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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 9 1. Filosofia e fisica 15 1.1. Filosofia 15 1.2. Filosofia della scienza 16 1.3. Filosofia della fisica 21 1.3.1. Episodi storici e teorie come strumenti per la filosofia della scienza generale 1.3.2. Fisica e metafisica 1.3.3. I "fondamenti": tra fisica, matematica e filosofia 1.4. Il punto della situazione 27 2. Lo sviluppo storico-concettuale della fisica: dall'antichità al XIX secolo 29 2.1. La fisica di Aristotele 30 2.2. Dopo Aristotele 35 2.3. La scienza moderna 39 2.3.1. I contributi di Galileo 2.3.2. I contributi di Newton 2.3.3. Dopo Newton 3. Lo sviluppo storico-concettuale della fisica: dal 1890 in poi 69 3.1. La teoria della relatività speciale e generale 70 3.1.1. La teoria speciale 3.1.2. La teoria generale 3.2. La meccanica quantistica 96 3.3. La fisica negli ultimi novant'anni 110 4. Gli strumenti e le questioni della filosofia della fisica 115 4.1. L'irragionevole efficacia della matematica 116 4.2. Spiegazione, unificazione e riduzione. Una teoria del tutto? 124 4.3. Leggi della teoria fisica e leggi di natura 131 4.4. Fisica e realismi 134 4.4.1. Realtà e apparenza 4.4.2. Scienza e senso comune 4.4.3. Realismo scientifico e strumentalismo 4.5. L'interpretazione della fisica e le sue conseguenze concettuali 153 4.5.1. L'interpretazione della meccanica quantistica 4.5.2. Aspetti metafisici della meccanica quantistica 4.5.3. Aspetti metafisici della teoria della relatività: la natura del tempo 4.5.4. Altri temi 4.6. Filosofia della fisica dei fondamenti 197 4.6.1. Probabilità 4.6.2. Reversibilità e invarianza 4.6.3. Campi e particelle Conclusioni e prospettive 207 Riferimenti bibliografici 209 Indice analitico 213 |
| << | < | > | >> |Pagina 9La rilevanza culturale della fisica è oggi difficile da sottovalutare. Oltre a essere considerata fondamentale nei suoi aspetti tecnici e applicativi, la fisica è infatti generalmente vista come la forma più alta e sofisticata di conoscenza a nostra disposizione. In generale, la fisica si è affermata come la disciplina che esemplifica al massimo grado l'idea di successo pratico e teorico della scienza. In virtù di questo, non sorprende il fatto che esistano ormai parecchi testi che presentano ai non addetti gli aspetti concettuali più eclatanti delle teorie fisiche moderne e contemporanee. In particolare, da un lato vari fisici tentano e hanno tentato di agire da "divulgatori", presentando le loro scoperte e i loro risultati nel modo meno tecnico e più accessibile possibile; dall'altro lato, i filosofi si cimentano e si sono cimentati nella ricostruzione della fisica e/o nell'interpretazione di specifiche teorie utilizzando gli strumenti della logica, dell'analisi concettuale, della metafisica e anche della storia, della sociologia e della psicologia per situare le teorie fisiche in un contesto più ampio. In questo ambito, è la relazione stessa tra fisica e filosofia che si è costituita come oggetto d'indagine di riflessione. In effetti, è quantomeno dal periodo a cavallo fra la fine del XIX secolo e l'inizio del secolo scorso che si è andato affermando uno studio sistematico, il quale, nei suoi metodi come nei suoi obiettivi, si situa "a metà strada" tra le due discipline – si pensi per esempio alla Théorie physique: son objet et sa structure (La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura), scritto del 1906 di Pierre Duhem (1978) e, ancora prima, alla famosa opera del 1883 Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt (La meccanica nel suo sviluppo storico-critico) di Ernst Mach (1977). Questo interesse specifico non sorprende, dati i risultati raggiunti dalla fisica a partire dalla seconda metà dell'Ottocento – i quali rendevano e avrebbero reso sempre più indispensabile una riflessione di ampio respiro sulla disciplina, i suoi metodi, i suoi risultati e la sua evoluzione; ma anche in considerazione dell'origine comune di scienza e filosofia come strumenti per conoscere la realtà. Allo stesso tempo, la relazione tra filosofia e fisica non si è mai presentata come lineare e di semplice lettura. Nonostante sia passato ormai più di un secolo dai testi appena citati e gli studi di filosofia e fisica si siano nel frattempo moltiplicati, rimane anzi una certa frammentarietà, e una fondamentale mancanza di chiarezza metodologica. Spesso, per esempio, si è proposta come filosofia della fisica l'analisi, anche sofisticata, di specifiche parti della fisica e/o specifici sviluppi teorici. Altre volte, in un contesto di filosofia interessata alle scienze fisiche si sono ricostruite da un punto di vista prevalentemente storico le vicende che hanno portato a presunti episodi chiave, come per esempio l'affermarsi della relatività einsteiniana e lo sviluppo della meccanica quantistica nei primi decenni del XX secolo. Ma non ci si è altrettanto spesso posti il problema – che pure si situa più a monte – di quale sia esattamente la relazione tra filosofia e fisica, e che tipo di riflessione filosofica possa essere fatta, o comunque sia meglio promuovere, rispetto al lavoro e ai risultati ottenuti dai fisici. Peraltro, in questo contesto si è spesso focalizzata l'attenzione su quei pochi aspetti della fisica e delle teorie fisiche sulla cui rilevanza c'è un accordo quasi unanime: per fare solo qualche esempio, l'importanza dell'esperimento e della tecnologia, la mutevolezza dei quadri teorici generali (aristotelismo, atomismo, meccanicismo ecc.), il legame delle teorie di Einstein con le nuove geometrie o l'incompatibilità tra fisica newtoniana e fisica quantistica. E questo ha portato a una diffusa "localizzazione", intesa come perdita della generalità e del respiro filosofico che pure era presente nelle opere di autori come i già citati Mach e Duhem , ma anche Poincaré , Cassirer o lo stesso Einstein. In definitiva, varie domande rimangono aperte: "Che cos'è la filosofia della fisica?", "Che cosa si può dire di filosoficamente rilevante sulla fisica?", "Che cosa aggiunge una riflessione generale non basata sul metodo scientifico a quello che ci dicono le teorie fisiche stesse?". Il presente testo si pone l'obiettivo di rispondere almeno in parte a queste domande, contribuendo così a riempire un gap concettuale innegabile. Va da sé che, più che di un "testo definitivo", si tratterà di un primo tentativo che, si auspica, potrà essere assorbito in futuro da un più generale, rinnovato e probabilmente maggiormente qualificato interesse per tali questioni. A questo scopo, invece di – o, forse meglio, oltre a – presentare direttamente le teorie fisiche più importanti, illustrandone gli aspetti tecnici e le fondamentali conseguenze concettuali, si partirà da un'attenta analisi della natura della filosofia della fisica e del perché e come si fa filosofia della fisica. In seguito, si proporrà uno sguardo d'insieme sull'evoluzione storica della fisica – per forza di cose, attento non tanto ai dettagli, pur sempre importantissimi, quanto alle dinamiche fondamentali che guidano tale evoluzione. In particolare, partendo dalla fisica aristotelica e arrivando ai più recenti sviluppi della ricerca sperimentale e della riflessione teorica in fisica, si cercherà di offrire al lettore uno sguardo d'insieme sulla disciplina che possa poi permettere eventuali studi più specialistici, a livello sia storico che teoretico. Tutto questo costituisce una sorta di "obiettivo minimo" per il presente testo. All'interno del percorso che sarà compiuto per raggiungere tale obiettivo minimo, su alcune cose non ci si addentrerà a fondo, evitando così certe asperità tecniche che non abbiamo qui bisogno di affrontare. Per contro, si metteranno talvolta in questione elementi spesso dati per scontati. Per esempio, è convinzione diffusa tra i filosofi che la fisica, come altre scienze, proceda essenzialmente per cesure rivoluzionarie che impediscono di pensarla come un'entità la cui evoluzione procede lungo una linea ininterrotta e con almeno alcuni aspetti di "cumulatività". Cercando una linea di continuità almeno minimale, si proverà qui invece a suggerire che il cammino compiuto dalla fisica da Aristotele a oggi ha una sua linearità interna, e che si possono identificare elementi che lo caratterizzano come cumulativo. Durante il percorso, oltre a peculiarità quasi ovvie dello sviluppo della fisica, come il crescente peso dell'evidenza empirica e dell'esperimento, se ne suggeriranno altre. In primis, si sosterrà che, al contrario di quanto l'immagine popolare della scienza suggerisce, la fisica si è rivelata essere, fondamentalmente, una sistematica messa in dubbio di certezze; in particolare, una continua sostituzione di idee, concetti e convinzioni ben radicati con idee, concetti e convinzioni del tutto nuovi, collocati in un quadro teorico progressivamente più ampio e in costante rielaborazione. In questo senso, come vedremo, le nozioni di "relativo", "relatività", "dipendente da", in opposizione a ciò che a vario titolo si presenta come "naturale", "assoluto" o "fondamentale", promettono di essere di grande utilità per la comprensione della fisica dal punto di vista del suo valore filosofico. Va da sé che quanto appena detto è potenzialmente in conflitto con l'affermazione precedente, secondo la quale l'evoluzione della fisica può essere letta come una storia cumulativa e continua. Un altro obiettivo del presente testo sarà allora quello di far vedere come questi due aspetti, vale a dire quello della progressività lineare e della sistematica messa in dubbio delle certezze, in particolare rispetto a ciò che si presenta come oggettivo, assoluto e fondamentale, non sono necessariamente in conflitto fra loro. La struttura del libro è la seguente. Il capitolo 1 presenterà una caratterizzazione della filosofia della fisica in relazione alla filosofia, alla scienza e alla fisica. Si proporrà, inoltre, una classificazione di tipi di filosofia della fisica, mettendo così in evidenza come, in effetti, ricada sotto questa etichetta abbastanza generale una molteplicità di indagini filosofiche, anche significativamente differenti fra loro. Su questa base, nei due capitoli successivi, sarà offerta una ricostruzione storico-teoretica complessiva della fisica, basata su concetti-guida più che su figure di scienziati o filosofi preminenti o di teorie specifiche. Il capitolo 2 sarà dedicato al periodo storico che va da Aristotele fino a Newton e agli sviluppi del meccanicismo nel XIX secolo. Il capitolo 3 si focalizzerà invece sulla fisica per come si è configurata in seguito ai grandi rivolgimenti avvenuti tra fine Ottocento e inizio Novecento, fino ai giorni nostri. Infine, nel capitolo 4 si esamineranno alcune fra le questioni centrali in filosofia della fisica: il ruolo fondamentale della matematica, la dialettica fra realtà e apparenza e fra realismo e strumentalismo/relativismo, l'idea di spiegazione come guida per lo sviluppo della fisica (e quella, intimamente connessa, di spiegazione onnicomprensiva e di teoria del tutto) e infine la questione dell'interpretazione – e quindi delle conseguenze metafisiche – delle teorie fisiche. Nel complesso, ci si auspica che la lettura di questo libro, o almeno di capitoli o sezioni di esso, possa da una parte orientare il lettore all'interno dell'insieme di problematiche e temi che sono oggi genericamente compresi nel dominio della cosiddetta "filosofia della fisica"; e, dall'altra, fornire una prospettiva almeno in parte nuova sul soggetto, utile al lettore per individuare elementi di potenzale interesse in una o più delle "sottodiscipline" della filosofia della fisica che verranno via via identificate. | << | < | > | >> |Pagina 15Un modo di definire la filosofia, che sicuramente può essere messo in discussione ma è senz'altro funzionale per i nostri scopi, è quello secondo cui la filosofia consiste, essenzialmente, nell'analisi dei vari aspetti e risultati di x, dove x è una disciplina specifica, inclusa la filosofia stessa. La filosofia, secondo questa definizione, si configura come una attività di "secondo ordine" – ovviamente non nel senso valutativo del termine bensì in quello logico-concettuale: la filosofia non ha un oggetto di studio proprio che non sia, almeno in parte, già l'oggetto di studio di una o più altre discipline. In quest'ottica, per esempio, la filosofia politica si propone di esaminare le forme possibili e attuali della socialità umana, le loro caratteristiche strutturali, la loro origine e la loro evoluzione. E qualcosa di analogo si può dire, per esempio, per la filosofia della religione, la filosofia morale, la filosofia della storia, l'estetica e così via, laddove la filosofia viene ad avere come suo oggetto di studio, di volta in volta, l'idea di Dio e di fede, la verità "rivelata" e la religione come sistema di credenze e valori; o il bene e il male, l'agire e la responsabilità etica; o l'evoluzione nel tempo del genere umano e delle strutture sociali; o il bello, il brutto, la creazione artistica e il giudizio estetico; oppure, infine, la filosofia stessa, sotto forma delle idee dei grandi pensatori del passato, oppure di specifiche domande e interrogativi. La filosofia della fisica ha lo stesso tipo di connotazione. Presa la fisica come insieme di costruzioni concettuali e pratiche concrete, il filosofo ne esaminerà la valenza, interessandosi – tra le altre cose – delle caratteristiche generali della disciplina che definiamo "fisica", delle relazioni fra le diverse teorie, delle idee che guidano e hanno guidato le speculazioni di grandi fisici; oppure della natura delle teorie fisiche e delle leggi che si presume siano "catturate" da tali teorie; o delle conseguenze concettuali di una specifica teoria, magari ricca di successi sperimentali e di frutti tecnologici ma dal contenuto misterioso in quanto lontano dall'immagine delle cose propria del senso comune. Ci si può legittimamente chiedere, però, in che cosa consista, più in dettaglio, l'attività del filosofo della fisica. E perché fare filosofia della fisica? Qual è il rapporto fra il metodo sperimentale proprio della fisica in quanto scienza naturale e il metodo della filosofia, che sembrerebbe essere del tutto a priori, cioè indipendente dal dato empirico? Per rispondere a queste domande è utile, da una parte, fare un passo indietro e definire la filosofia della fisica in relazione alla parte di filosofia che, in una schematica ricostruzione "gerarchica", sembra costituirne il ramo subito superiore, vale a dire la filosofia della scienza; e, dall'altra parte, distinguere varie tipologie di filosofia della fisica. | << | < | > | >> |Pagina 69Nel capitolo precedente abbiamo ricostruito brevemente l'evoluzione della fisica dall'antichità fino all'epoca moderna, quando la fisica aristotelica lascia il posto all'immagine essenzialmente meccanicistica e deterministica del mondo riconducibile a Galileo e Newton, fino all'emergere di profonde problematiche negli ultimi decenni dell'Ottocento. Su questa base, possiamo ora passare a considerare gli sviluppi ulteriori della fisica, nel XX secolo e fino ai giorni nostri. A tale scopo, è possibile focalizzare l'attenzione soprattutto su due grandi questioni. Una è quella relativa alla natura dei fenomeni microscopici concernenti la materia, la luce e le forze, lo studio dei quali conduce alle innovazioni e ai problemi concettuali connessi con la meccanica quantistica. L'altra ha a che vedere con lo status dello spazio e del tempo, che abbiamo visto discusso già da Newton e Leibniz, e dei fenomeni che si propagano in essi, in particolare quelli elettromagnetici, che abbiamo esaminato alla fine del capitolo 2. In questo caso, la teoria da guardare più da vicino è la teoria della relatività di Einstein. In termini generali, nel periodo che stiamo per esaminare si verifica una vera e propria crisi delle certezze: sia la teoria della relatività sia la meccanica quantistica si configurano come cesure nette rispetto al passato, tanto se non più di quanto non fosse avvenuto per il paradigma copernicano e newtoniano rispetto a quello aristotelico-tolemaico. Tale rottura è resa necessaria da inconfutabili fatti fisici e richiede l'abbandono di assunzioni fondamentali sulla natura delle cose. Anche se, come vedremo meglio nel capitolo 4, si possono comunque riconoscere degli importanti elementi di continuità fra questa nuova fisica e quella precedente (sia a livello del contenuto delle teorie sia per quanto riguarda, a livello metateorico, i concetti e le idee guida), è proprio il modo in cui si ripensano le basi stesse della fisica che rende veramente cruciale, e in qualche misura unico, il periodo di transizione fra l'ultimo decennio dell'Ottocento e la seconda metà del XX secolo. Nelle prossime sezioni illustreremo dunque le tappe fondamentali di questo processo, e gli elementi più significativi delle teorie coinvolte, mettendone soprattutto in luce proprio gli elementi più radicalmente innovativi. Considereremo prima la teoria della relatività di Einstein, e poi la meccanica quantistica. | << | < | > | >> |Pagina 96Oltre a quella relativistica, l'altra grande rivoluzione nella fisica del XX secolo riguarda la struttura microscopica della realtà, e in particolare l'affermarsi del quadro teorico relativo a tale struttura noto come meccanica quantistica. Anche in questo caso il punto di partenza per il cambiamento furono le elaborazioni teoriche sull'elettricità e il magnetismo compiute nella seconda metà dell'Ottocento, e il risultato fondamentale consistette nell'abbandono della concezione classica del mondo (o, quantomeno, in un significativo allontanamento da tale concezione). La meccanica quantistica si afferma come la teoria dominante della materia, e delle forze che tengono insieme le entità che la costituiscono, a partire dagli anni Venti-Trenta del Novecento. Per seguirne lo sviluppo, due prime parole chiave sono senza dubbio onda e particella. Abbiamo in qualche modo già introdotto il fondamentale dualismo onda-particella al momento di illustrare il tentativo ottocentesco di far rientrare in un contesto meccanicistico le descrizioni dei vari fenomeni, definendo questi ultimi o in termini ondulatori (come nel caso dei fenomeni elettromagnetici) o in termini corpuscolari (come nel caso della particelle materiali, per esempio nel contesto della meccanica statistica). In uno slogan, la novità della meccanica quantistica consiste essenzialmente nel prendere atto dell'insufficienza di questa concezione dicotomica, e della necessità di mettere in qualche modo insieme nozioni ondulatorie e corpuscolari. Da ciò seguono una serie di novità teoriche e concettuali molto profonde, che portano a mettere in questione anche un'altra polarità fondamentale in fisica: quella fra continuo e discreto: la nuova meccanica è infatti basata essenzialmente sull'idea che si diano quanti elementari, vale a dire "pacchetti" separati e discontinui, di energia, luce e materia. Ma vediamo più in dettaglio come si arriva all'attuazione della rivoluzione quantistica. | << | < | > | >> |Pagina 115Dopo aver tracciato a grandi linee lo sviluppo storico e teorico della fisica dall'antichità a oggi, in questo capitolo discuteremo alcune questioni specifiche che rientrano nel dominio della filosofia della fisica, o quantomeno nella filosofia della scienza che ha come oggetto primario di indagine la fisica. In questo modo, si illustreranno alcuni problemi aperti in filosofia e alcune possibili prospettive di soluzione, dando allo stesso tempo un'idea della disciplina nella sua espressione pratica. Nei primi quattro paragrafi (4.1-4.4), in particolare, l'attenzione sarà rivolta agli aspetti della fisica più connessi con questioni rilevanti per la filosofia della scienza generale: il ruolo centrale della matematica nella fisica e l'origine dell'efficacia del linguaggio matematico stesso; il concetto di spiegazione in scienza e la sua funzione in fisica, anche in connessione a nozioni che abbiamo già incontrato, come quella di unificazione, quella di riduzione di un contesto teoretico a un altro e quella di teoria del tutto; il ruolo della probabilità nella spiegazione, nelle teorie scientifiche e nel mondo stesso; e, infine, lo status del concetto di legge di natura in filosofia e in fisica. Su questa base, passeremo poi a uno dei temi fondamentali in filosofia, e quindi ovviamente centrale in filosofia della scienza e filosofia della fisica: quello del realismo. Come vedremo, sotto questa etichetta generale rientrano problemi e questioni diverse, su ognuna delle quali la fisica sembra poter fornire dati e spunti importanti, ma che è essenziale distinguere. Da una parte c'è l'antico problema filosofico dell'opposizione fra realtà e apparenza e fra realismo e idealismo; poi c'è da considerare l'opposizione fra senso comune e scienza; infine, si può affrontare il più specifico problema del realismo scientifico e del reale contenuto conoscitivo delle teorie scientifiche, e in particolare fisiche: sono queste dei puri strumenti per interagire con la realtà, o siamo autorizzati a dedurre dal successo con cui li usiamo che tali strumenti sono anche delle descrizioni almeno parzialmente vere del mondo materiale? Nel paragrafo 4.5 passeremo alle parti della filosofia della fisica più vicine alla filosofia teoretica, relative all'interpretazione delle teorie e alla loro "comprensione profonda". Focalizzandoci, in particolare, su relatività e meccanica quantistica, considereremo alcune tematiche di grande interesse filosofico, che abbiamo già anticipato nel corso del testo: da una parte, quella relativa all'interpretazione della meccanica quantistica alla luce dei problemi posti dalle peculiari caratteristiche della teoria per la nostra comprensione della realtà; dall'altra, quello delle conseguenze metafisiche di relatività e meccanica quantistica: che cosa sono lo spazio e il tempo? Di che tipo di entità si occupa la meccanica quantistica? Che tipo di proprietà stiamo attribuendo alle particelle quando le descriviamo sulla base di tale teoria? Nel paragrafo 4.6 illustreremo infine alcuni temi che rientrano in quella che abbiamo definito filosofia della fisica "dei fondamenti". Senza ovviamente poter entrare nel dettaglio, discuteremo per esempio alcuni "teoremi di impossibilità" che sono stati formulati nel contesto della meccanica quantistica dei campi relativistica, e la questione dell'invarianza – o meno – della meccanica classica per ipotetiche "inversioni" della direzione del tempo – cioè quando la variabile tempo "cambia segno".
Si tratta, nel complesso, solamente di una scelta di temi, e anche tale
selezione potrà essere trattata solo in modo generale più che con l'obiettivo di
fornirne una disamina esaustiva. La speranza è che il lettore
ne possa trarre un'idea della molteplicità di aspetti propria della filosofia
della fisica, e della rilevanza e profondità delle questioni affrontate
da tale disciplina al confine fra scienza dura e pensiero filosofico.
Una prima area di riflessione filosofica, centrale in filosofia della scienza e, di conseguenza, nella più generale delle tre forme di filosofia della fisica che abbiamo identificato, riguarda il dualismo qualitativo/quantitativo e il ruolo della matematica in fisica. Come abbiamo visto nel capitolo 2, una delle tappe fondamentali nella storia della fisica, ed elemento essenziale per l'emergere della fisica moderna, fu il passaggio dalle descrizioni puramente qualitative, cioè non matematizzate, degli eventi fisici – tipiche della fisica aristotelica in senso lato – a descrizioni fondate sull'uso di concetti matematico-geometrici. A partire da Galileo, in effetti, l'uso della matematica ricopre per la pratica della fisica un ruolo almeno altrettanto importante rispetto a quello dell'osservazione e della sperimentazione, e apre nuove possibilità concettuali. Per esempio, mentre Aristotele respingeva ogni nozione di infinito attuale come fondamentalmente contraddittoria, con lo sviluppo sistematico del calcolo infinitesimale in età moderna si definirono gli strumenti per trattare grandezze fisiche continue attraverso il concetto di limite, e quindi di infinito. Oppure si pensi alla relazione intima, messa in evidenza nel capitolo 3, fra lo sviluppo della relatività generale e quello delle geometrie non euclidee, o fra la meccanica quantistica e la definizione di spazi vettoriali multidimensionali di nuovo tipo. Dal punto di vista filosofico, il problema che emerge, di cui non a caso si è presa coscienza nel secolo scorso proprio alla luce dei grandi sviluppi della teorizzazione fisica, è quello di spiegare perché la matematica è così efficace. Ci si chiede, cioè, perché quello che in fondo sembrerebbe un linguaggio (quasi) come un altro – detto grossolanamente, una versione un po' più precisa del linguaggio naturale che utilizziamo tutti i giorni – si riveli insostituibile per lo sviluppo delle nostre teorie. Il filosofo deve allora provare a spiegare quella che, citando il titolo di un ormai celebre articolo del fisico e matematico Eugene Wigner (1902-1995), è spesso definita come la "irragionevole efficacia della matematica". Wigner (1960) parla di "irragionevole efficacia" proprio in virtù del fatto che non è chiaro perché esattamente quel particolare insieme di strumenti (non solo linguistici, in effetti, ma in senso più lato concettuali) costituito dalla matematica sia così adatto allo scopo. In aggiunta a ciò, Wigner mette in evidenza il fatto importante che spesso la struttura matematica di una teoria conduce a ulteriori progressi, anche al di fuori del suo ambito di applicazione iniziale, esclusivamente in virtù di sue caratteristiche generali. | << | < | > | >> |Pagina 124Strettamente connesso al tema discusso sopra è quello della natura della spiegazione in fisica. Le teorie scientifiche hanno in primis una funzione esplicativa e predittiva, ed è nella sua utilità per il raggiungimento di tali scopi che l'elemento matematico sembra insostituibile. Andando in un certo senso a monte della questione, ci si può allora chiedere quale sia la natura precisa della spiegazione scientifica. In particolare, cosa può dire il filosofo a proposito della nozione di spiegazione scientifica e dell'efficacia esplicativa delle teorie fisiche? Quello concernente la spiegazione scientifica è in effetti uno dei temi classici della filosofia della scienza. Si parte dal presupposto che la scienza sia la forma più sofisticata di conoscenza, e che la conoscenza si colleghi direttamente alla capacità di crearsi delle aspettative fondate rispetto al futuro (la predizione è centrale nella scienza: si ricordi, per esempio, il ruolo che la predizione della deviazione dei raggi di luce da parte della massa solare ha giocato nel rafforzare lo status della teoria della relatività generale) ma anche alla capacità di fornire una spiegazione dei dati che sono a nostra disposizione. Che cos'è, dunque, una spiegazione scientifica? Anche in questo caso, i filosofi hanno fornito varie risposte. | << | < | > | >> |Pagina 129Torniamo, a questo punto, indietro per un attimo. Come abbiamo detto a proposito del modello unificazionista della spiegazione scientifica, la fisica ha progredito spesso attraverso l'unificazione di domini precedentemente indipendenti, come nel caso dell'elettromagnetismo. Ma allora sorge spontaneo chiedersi se ci sono dei limiti all'unificazione, o magari la definizione di un unico sistema teorico per tutti i fenomeni fisici sia non solo una possibilità da accettare, ma un obiettivo da perseguire attivamente. Questo ci conduce direttamente al concetto di teoria del tutto, che abbiamo già indicato in precedenza come una delle linee-guida della fisica contemporanea e su cui possiamo dire ora qualcosa in più, intendendolo come riferito al (presunto) risultato finale di un processo di progressiva unificazione di domini in precedenza indipendenti.Innanzitutto, come già accennato in precedenza, l'idea di una teoria del tutto conduce direttamente all'insieme di questioni filosofiche relative al riduzionismo e al fisicalismo. Per riduzionismo si intende qualunque tesi secondo cui un certo dominio di entità e/o leggi si può ridurre a (e magari tradurre sistematicamente nei termini di) un altro dominio più fondamentale. Per il fisicalista, tutto è fondamentalmente riducibile in questo senso a entità e leggi fisiche. Ora, è chiaro che, se si assume il fisicalismo, un'ipotetica teoria del tutto non sarebbe "solo" una teoria unica e unificata di tutti i fenomeni fisici, ma si presenterebbe ipso facto come una teoria di tutti i fenomeni nel senso più forte possibile. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche e dell'indagine filosofica, però, questo riduzionismo radicale sembra immotivato: non è solo impraticabile (come tradurre nei termini della fisica le proprietà di cui si occupa, poniamo, l'economia?) ma anche implausibile (sembrano esistere proprietà genuinamente "emergenti", cioè caratteristiche nuove delle cose che appaiono con l'aumentare del livello di complessità senza essere riducibili a proprietà fisiche dei livelli inferiori). È quindi probabilmente da accantonare l'idea che un giorno o l'altro i fisici ci forniranno una teoria con cui sarà possibile spiegare ogni tipo di fenomeno o esperienza. [...] Allo stesso tempo, il senso in cui va inteso il concetto di teoria del tutto non è ancora stato definito con precisione, e questo invita senz'altro a un'ulteriore elaborazione concettuale: basta unificare tutte le forze e le particelle note in un unico modello fisico? Oppure si vuole spiegare tutto in un senso più forte, dando un resoconto di tutti i fenomeni fisici noti ma anche di quelli possibili? Nel secondo caso, come potremmo mai sapere, o avere buone ragioni di pensare, che siamo effettivamente giunti a formulare una teoria del tutto? Infine, tornando al discorso relativo alla riduzione, si può escludere che i limiti del riduzionismo e del fisicalismo abbiano a che vedere con le nostre capacità pratiche, e non possiedano una valenza ontologica? Oppure occorre compiere ulteriori studi in relazione a nozioni come quella di riduzione, o quella di proprietà emergente, e quindi reinserire elementi più ambiziosamente riduzionisti nel progetto unificazionista che è alla base della teoria del tutto? Senza prendere una posizione rispetto a queste importanti questioni, si aggiungerà qui solo un'altra cosa al proposito: se il riduzionismo lasciasse strada, come sembra aver fatto negli ultimi decenni di dibattito filosofico, a una qualche forma di pluralismo quando si considerano le scienze nel loro complesso, occorrerebbe prendere sul serio la prospettiva di un pluralismo anche interno alla fisica. Vale a dire, la possibilità che anche nell'ambito dei soli fenomeni fisici non possa di fatto darsi una teoria veramente onnicomprensiva, in virtù dell'esistenza di "livelli" e/o "sottodomini" mutualmente incompatibili e/o irriducibili l'uno all'altro. In questo senso, gli sviluppi futuri della fisica saranno senz'altro indicativi, a partire da quelli riguardanti la possibilità effettiva di inserire in un quadro concettuale unitario due teorie ugualmente fondamentali ma in senso stretto incompatibili come relatività e meccanica quantistica. | << | < | > | >> |Pagina 134Un altro ambito importante di riflessione in filosofia della scienza, rispetto al quale lo studio della fisica è di particolare rilevanza, è quello che concerne il tema del realismo. In generale, quando ci si occupa della questione filosofica del realismo si assume un'opposizione fra qualcosa che è considerato oggettivo, assoluto e indipendente dalla mente umana e qualcosa che è invece soggettivo, relativo e dipendente dalla mente umana. L'opposizione può però assumere varie forme, e occorre distinguere con attenzione. Si danno, in effetti, tre diversi livelli di discussione e tre tipi di contrapposizione, che potremmo sintetizzare attraverso le seguenti coppie di nozioni: 1. realismo e idealismo e, derivatamente, realtà e apparenza; 2. realismo e senso comune;
3. realismo scientifico e antirealismo/strumentalismo rispetto alla scienza.
Consideriamo allora ognuna di queste coppie più in dettaglio,
esaminando in particolare che ruolo giochi, o possa giocare, la fisica
nell'elaborazione filosofica di ciascuna di esse.
L'opposizione fra realismo e idealismo è certamente quella più filosoficamente tradizionale. Nella sua forma moderna, tale opposizione ha origine in Descartes, attraverso il suo "dubbio metodico" e lo scetticismo che ne consegue – dovuto, com'è noto, all'impossibilità di trovare fondamenta salde per la nostra conoscenza sotto forma di credenze assolutamente certe e indubitabili, e quindi sulla possibilità che ciò che ci appare reale sia solo una fuorviante apparenza. | << | < | > | >> |Pagina 139Si potrebbe però argomentare che il realismo filosofico presuppone la determinatezza, la precisione e l'univocità delle proprietà che, sulla base delle nostre migliori teorie, attribuiamo alle cose. Su questa base, la meccanica quantistica sembrerebbe in effetti rappresentare un problema per i realisti in quanto, come abbiamo visto, essa non attribuisce quasi mai proprietà precise e determinate ai sistemi fisici. Storicamente, in effetti, è proprio in questo senso che la meccanica quantistica è stata letta come una refutazione empirica del realismo filosofico – specie alla luce degli sviluppi di certi argomenti di Einstein che discuteremo in seguito. Ma perché pensare che il realismo contenga essenzialmente la presupposizione che la realtà abbia le caratteristiche generali di cui facciamo esperienza nel mondo classico di pertinenza del senso comune? Perché pensare che se una parte di realtà non possiede caratteristiche determinate e precise, essa non può comunque esistere indipendentemente dal soggetto che la conosce? | << | < | > | >> |Pagina 141Rimane da discutere un ultimo tipo di realismo, forse il più interessante: il realismo scientifico. Il realismo scientifico è la tesi per cui il successo crescente della scienza non può che essere dovuto alla verità, almeno parziale, delle teorie scientifiche. Se le teorie in questione non fossero vere, dice il realista, sembrerebbe che la loro efficacia nel guidarci nelle nostre interazioni con il mondo (rendendo possibili spiegazioni, predizioni, progressi tecnologici ecc.) sarebbe strana, se non del tutto miracolosa. Questo ragionamento, noto come "argomento niente miracoli" (ma forse più propriamente definibile "intuizione niente miracoli"), è in effetti il punto di partenza per tutti i filosofi che sono realisti sulla scienza. | << | < | > | >> |Pagina 147Un punto cruciale nel dibattito fra realismo e antirealismo scientifico è quello relativo alla continuità e/o discontinuità fra teorie successive nella storia della scienza. È interessante allora, giunti a questo punto, vedere cosa si può dire in proposito alla luce della ricostruzione storica proposta nei capitoli 2, e 3, in particolare in riferimento alle tappe teoriche fondamentali — la fisica di Aristotele, quella di Galileo e Newton, le elaborazioni concettuali della fine del XIX secolo e, infine, l'avvento della teoria della relatività e della meccanica quantistica. Partendo, com'è ovvio, da Aristotele, è innegabile che la sua concezione del mondo fisico, e in particolare la sua teoria dei luoghi naturali, non ha, dal punto di vista della scienza contemporanea, un reale fondamento. In effetti, è opinione comune che la fisica aristotelica sia rimasta dominante per circa due millenni essenzialmente grazie all'autorità di Aristotele stesso e all'atteggiamento dogmatico della comunità accademica nei secoli successivi alla sua opera, e non grazie a una genuina capacità del filosofo di Stagira di raccogliere sistematicamente dati esperienziali ed elaborarli in teorie complete, coerenti e verificabili — le basi del moderno metodo scientifico. Per contrasto, l'avvento del metodo sperimentale e dell'approccio più strettamente scientifico, basato sull'osservazione e la prova, avrebbe rapidamente e inequivocabilmente smantellato del tutto il sistema fisico aristotelico. Ma è proprio così? In questa sede, è ovviamente impossibile addentrarsi in un esame critico dettagliato. Ma è comunque importante chiedersi in che misura il giudizio appena espresso sia corretto e in che misura, invece, la questione sia più complessa e, forse, certe nozioni aristoteliche non solo siano almeno in parte nel giusto, ma addirittura sopravvivano in qualche forma nella fisica successiva. Questo, non tanto allo scopo di rivendicare la correttezza dell'immagine fisica dell'universo proposta da Aristotele, il che sarebbe chiaramente anacronistico, ma per cercare di vedere se non sia possibile rimettere in discussione un'opinione diffusa fra gli studiosi, al tempo stesso rivalutando la prospettiva di una ricostruzione realista (nel senso del realismo scientifico) della fisica – una visione, cioè, secondo la quale lo sviluppo storico della fisica è ben più lineare, continuo e cumulativo di quanto normalmente si pensi. Innanzitutto, è essenziale ribadire che la distinzione fra moti naturali e innaturali rimane anche nella fisica newtoniana – ciò che cambia è cosa esattamente conti come naturale. Un secondo più importante elemento è che la fisica di Aristotele non è semplicemente falsa, cioè non è completamente fuori strada e inapplicabile. Al contrario, si può argomentare che, esattamente nello stesso senso in cui la fisica di Newton è un'approssimazione di quella di Einstein, così la fisica di Aristotele è una corretta approssimazione di quella di Newton, valida in un particolare dominio di fenomeni. In primo luogo, come Newton, Aristotele intende spiegare fenomeni non relativistici e non quantistici, cioè, grosso modo, fenomeni che coinvolgono oggetti di dimensione "media" e velocità trascurabili rispetto a quella della luce. Ma soprattutto, Aristotele intende descrivere il moto di corpi che sono di fatto immersi in fluidi di densità specifiche e variabili, come l'aria o l'acqua. E in questi casi non è corretto dire che egli è completamente in errore, dato che si possono ricostruire le descrizioni di queste situazioni fisiche che egli offre nei suoi testi in modo che queste risultino approssimarsi a quelle fornite dall'odierna fisica dei fluidi. Ovviamente, la capacità di Galileo di astrarre da fattori contingenti come la presenza dell'aria e le caratteristiche specifiche dei corpi determina comunque un passo in avanti oggettivo ed essenziale rispetto alla ricostruzione aristotelica, in particolare in quanto permette di identificare le caratteristiche fondamentali della caduta dei gravi – la presenza di attrito causato da fluidi è infatti in questo caso un fattore contingente. In generale, la fisica moderna e contemporanea ha compiuto enormi passi avanti rispetto a quella aristotelica, dal punto di vista sia metodologico sia dei risultati empirici, proprio grazie alla capacità di astrarre, idealizzare e distinguere entità, proprietà, processi e circostanze fondamentali e non fondamentali. Ma, detto questo, rimane un fatto che per molti aspetti la fisica terrestre di Aristotele si rivela essere fenomenologicamente corretta, e perfino in corrispondenza con la fisica di oggi nelle circostanze appropriate. Almeno per un realismo scientifico moderato, e quindi disposto ad accettare che le teorie scientifiche siano solo in parte corrette e sempre rivedibili e migliorabili, questo è già un dato significativo. [...] Analogamente, con Newton e la sua introduzione delle tre leggi fondamentali del moto e della legge di gravità non si confuta né si abbandona la fisica precedente nella sua totalità, bensì si approfondisce e si articola ulteriormente la teoria ampliandone il campo di applicazione. Da una parte, è ovvio che come causa dei movimenti verso il basso dei corpi la forza di gravità è ben diversa rispetto all'attrazione del simile da parte del simile postulata da Aristotele. Ma questo non comporta che le caratteristiche dei fenomeni e dei processi fisici in questione fossero state colte e rappresentate in modo sbagliato da Aristotele: un errore a proposito della presunta causa ultima di un fenomeno non implica in alcun modo che la descrizione del fenomeno stesso sia analogamente scorretta. In definitiva, ferme restando delle differenze concettuali profonde, non appare assurdo difendere la tesi per cui sussiste una qualche forma di continuità fra la fisica aristotelica e quella newtoniana. Che l'evoluzione della fisica possa essere letta in questa chiave "continuista", secondo la quale alcuni elementi vengono preservati nonostante la concomitante modifica di altre parti della teoria, sembra sostenibile anche in relazione alla fisica più recente. Per quanto riguarda gli studi di fine Ottocento e il cruciale passaggio dal meccanicismo newtoniano alla fisica contemporanea rappresentato dall'abbandono dell'idea di etere, per esempio, molti realisti hanno argomentato come segue (torniamo qui a un episodio già menzionato in precedenza). Non si può negare che molti fisici dell'Ottocento lavorarono esplicitamente in un contesto teorico fondamentalmente newtoniano, così che l'esistenza dell'etere era un presupposto concettuale per loro, in quanto ne guidava direttamente le speculazioni ed elaborazioni teoriche nella veste di medium per la propagazione meccanica dell'elettricità. Fresnel, per esempio, operando in questo contesto teorico, formulò delle equazioni generali molto efficaci per descrivere i fenomeni in questione, e specialmente il comportamento della luce. Ma il successivo abbandono dell'idea di etere non implicò che tutto questo lavoro era stato inutile e, in particolare, totalmente sconnesso dalla realtà. Nel contesto della teoria elettromagnetica di Maxwell, al contrario, come abbiamo già accennato in precedenza, nonostante l'etere non giocasse più un ruolo esplicativo, le equazioni che erano state proposte da Fresnel vennero riutilizzate rimanendo totalmente invariate nella loro forma! Per i realisti scientifici, anche in questo caso è evidente che l'errore nella postulazione dell'esistenza di certe entità con certe caratteristiche si accompagna alla correttezza di altre congetture sulla realtà fisica – in particolare, sul comportamento della luce a prescindere dalla sua natura ultima. Anche qui, dunque, il realista scientifico può affermare che la fisica evolve in modo progressivo e caratterizzato da discontinuità molto meno radicali di quanto sostengono, sulla scia di Kuhn, gli antirealisti. L'idea fondamentale è, allora, ormai chiara: solo un realismo ingenuo che prende sul serio le teorie scientifiche nella loro interezza affermandone la verità alla lettera è confutato dall'evidenza che ci fornisce la storia della fisica. Ma l'intuizione realista fondamentale, secondo cui il successo empirico della scienza è un indicatore del fatto che le teorie scientifiche sono almeno in parte "sulla buona strada", non implica in alcun modo un tale atteggiamento ingenuo. Essa, anzi, può e deve essere resa sofisticata attraverso l'analisi filosofica e, in questo modo, può essere mostrata compatibile con (se non direttamente supportata da) l'evidenza storica. Questo vale anche per le teorie più innovative introdotte nel XX secolo. Nel caso della relatività, per esempio, come abbiamo già visto nel capitolo 3, le equazioni di Newton e le trasformazioni galileiane vengono sostituite nella nuova teoria ma, al contempo, anche mantenute come caso limite: per ribadire un fatto fondamentale, in domini ristretti, in cui le velocità dei corpi sono quasi nulle rispetto a quella della luce, la meccanica classica è di fatto corretta, e la teoria della relatività si riduce a quest'ultima. Una dinamica analoga si verifica nel caso della meccanica quantistica: a prescindere dalle ovvie innovazioni concettuali connesse allo sviluppo di questa teoria e dai problemi che rimangono aperti rispetto alla comprensione di essa, si può mostrare che, nella misura in cui la costante di Planck h tende a zero, il mondo classico "emerge" da quello quantistico. Vale a dire, che le indicazioni e le predizioni della teoria quantistica coincidono con quelle della meccanica classica in domini in cui le caratteristiche peculiari del mondo microscopico diventano irrilevanti. Va da sé che la distinzione fra, da un lato, parti delle teorie che sono vere o approssimativamente vere e che, in quanto tali, vengono preservate nei cambiamenti teorici; e, dall'altro, parti delle teorie che sono meramente utili e in ultima analisi dispensabili non è facile da formulare (il realista, in particolare, corre il rischio di poter identificare le parti presunte corrette delle teorie solo a posteriori, cioè dopo aver preso coscienza della loro preservazione nella teoria – ma questo appare per certi versi troppo facile, se non addirittura tale da presupporre circolarmente ciò che il realista deve dimostrare). Ed è anche innegabile che l'uso del concetto di limite è in qualche modo un trucco (in natura, per esempio, non si dà nulla di lontanamente simile al progressivo tendere a zero della costante di Planck), e non si può dimenticare che ci sono differenze fondamentali e ineliminabili fra le varie teorie, in virtù delle quali tali teorie sono in senso stretto incompatibili. Infine, vale la pena sottolineare che in linea di principio è possibile accettare una ricostruzione continuista della storia della scienza senza aderire al realismo scientifico, per esempio motivando il proprio strumentalismo rispetto alla scienza non sulla base di una presunta discontinuità storica ma sulla distinzione fra osservabile e inosservabile. Su questi e altri punti il dibattito è aperto, e i realisti devono senza dubbio compiere ulteriore lavoro. In conclusione, la proposta fatta in questo paragrafo va vista più che altro come uno spunto di riflessione, essenzialmente formulato con l'obiettivo di mostrare la complessità intrinseca allo sviluppo storico della fisica; ma anche per evidenziare la possibilità, in contrapposizione con letture costruttiviste e antirealiste spesso troppo semplicisticamente "imposte" alla scienza sulla base di certe visioni storico-filosofiche diffuse, di un'interpretazione della storia della scienza, e della fisica in particolare, significativamente unitaria e progressiva. | << | < | > | >> |Pagina 183Per quanto riguarda la relatività, come abbiamo già avuto modo di mostrare, le conseguenze concettuali più profonde della teoria riguardano la natura dello spazio e del tempo. In particolare, le teorie einsteiniane sembrano dire cose molto precise, e anche rivoluzionarie, rispetto al nostro concetto di divenire e alla distinzione fra presente, passato e futuro, come pure sulla natura dello spazio e del tempo come grandezze, o "entità". In questo contesto, è usuale cominciare ricordando il dibattito fra Newton (o meglio, Clarke in quanto portavoce di Newton) e Leibniz sulla natura dello spazio e del tempo, e quindi l'opposizione fra sostanzialismo e relazionismo. Come il lettore ricorderà, Newton riteneva lo spazio e il tempo grandezze assolute e indipendenti dagli oggetti e dagli eventi fisici che esistono o hanno luogo in essi. Solo lo spazio, sosteneva Newton, è veramente omogeneo e immobile, e solo il tempo passa in modo costante e uniforme. Per Leibniz, invece, non c'era motivo per postulare l'esistenza di qualcosa di aggiuntivo rispetto ai corpi materiali, i quali, con le loro relazioni reciproche, costituiscono quello che ci appare essere un "contenitore" preesistente e più fondamentale. La posizione di Leibniz è stata difesa nella seconda metà dell'Ottocento da Mach, il quale cominciava con il notare che con il suo sostanzialismo Newton di fatto abbandonava il suo stesso dettame metodologico, che gli imponeva di non andare oltre i fatti osservativi: come potremmo, in effetti, osservare lo spazio assoluto o il tempo assoluto, o anche solo lo spazio e il tempo come entità in sé e non come relazioni fra oggetti ed eventi? Per elaborare una fisica veramente basata solo sull'osservazione e l'esperienza, argomentava allora Mach, occorre abbracciare il relazionismo e, più in generale, costruire una fisica interamente relazionale, priva cioè di grandezze assolute, sostanze inosservabili indipendenti da tutto il resto e altre nozioni non verificabili in senso stretto. Con questo fine, Mach si proponeva di "ritradurre" l'evidenza fisica reale e possibile in termini di sole relazioni, e in questa chiave spiegava l'esperimento mentale del secchio di Newton (di cui abbiamo parlato in precedenza) non sulla base dello spazio assoluto ma dell'insieme delle stelle fisse – vale a dire, facendo riferimento al sistema di oggetti più remoto rispetto al sistema in questione. Ora, il lavoro di Einstein sulla relatività è stato inteso da molti interpreti, soprattutto all'inizio, come un contributo decisivo a favore del progetto machiano – in particolare in virtù della generalizzazione del principio galileiano di relatività che, come abbiamo visto, Einstein porta a termine. Ma questo è sbagliato, in quanto l'affermazione che le leggi di natura sono invarianti per tutti i sistemi di riferimento – che è il contenuto del principio di relatività – non implica affatto la prevalenza di una metafisica relazionista piuttosto che sostanzialista. A ben vedere, anzi, si potrebbe sostenere che la teoria di Einstein, pur essendo "indipendente dallo sfondo", cioè tale da non prevedere un "background" spazio-temporale fisso responsabile degli effetti inerziali, faccia comunque prevalere una concezione sostanzialista dello spazio-tempo inteso come tutto quadridimensionale. Quest'ultimo sembra infatti avere delle sue proprietà specifiche e possedere la capacità di influenzare il comportamento degli oggetti attraverso la sua struttura. Questo, chiaramente, ne rende difficile una riduzione agli oggetti stessi. Il collegamento fra "relatività" e "relazionismo" è, quindi, sicuramente indebito se basato solo sull'uso di certi termini e sulle loro implicazioni apparenti. Dall'altra parte, è al momento un ben preciso progetto di ricerca quello di riprendere il programma machiano, e molti sostengono anzi che esso rappresenti la base migliore per mettere insieme la relatività generale e la meccanica quantistica. | << | < | > | >> |Pagina 192Un'altra domanda rilevante nel contesto della filosofia della fisica che incontra la metafisica (alla quale abbiamo già accennato, cfr. supra, CAP. 3 e PAR. 4.5.1) riguarda ancora il tempo: in particolare, la direzionalità intrinseca del tempo e del suo divenire, ovvero quella che è definita la "freccia del tempo". Da che cosa deriva tale freccia se, come sembra, le equazioni delle teorie fisiche non distinguono una direzione privilegiata nell'evoluzione dinamica delle cose? Per rispondere a questa domanda, le riflessioni su termodinamica e meccanica statistica a cui abbiamo già fatto riferimento sono state approfondite e utilizzate per sostanziare la tesi, essenzialmente metafisica, secondo la quale il tempo ha una direzionalità come caratteristica intrinseca ed essenziale. Ovviamente, il problema che abbiamo visto sorgere al momento di esaminare la termodinamica riemerge qui: dato che l'irreversibilità dei processi termodinamici non si configura come necessità vera e propria bensì come qualcosa di solo altamente probabile, ne segue che anche il tempo potrebbe non avere una freccia nel senso forte che si sta presupponendo, ma solo come dato di fatto contingente in regioni specifiche dell'universo. Come nel caso della termodinamica, si possono postulare delle "condizioni iniziali" di bassa entropia, tali da determinare una direzionalità di fatto del tempo per come esso si configura nel nostro universo. Ma anche in questo caso il risultato è solo parzialmente soddisfacente, in quanto l'assunzione di un'asimmetria iniziale non rende necessaria la direzionalità nel senso metafisico che si sta cercando di stabilire: rimane in ogni caso la possibilità di cambi di direzione o "fluttuazioni" tali da contraddire l'assunto iniziale, cioè che il tempo scorra necessariamente e immutabilmente in una direzione precisa.Se la cosmologia non è d'aiuto, si potrebbe allora provare a fondare la freccia del tempo su un'altra freccia, che appaia come ugualmente, o auspicabilmente più, fondamentale. Un candidato ovvio è la direzione della causalità. In effetti, quando ci troviamo di fronte a relazioni causali, ci sembra necessario che la causa preceda l'effetto, e che l'ordine temporale basti di per sé per determinare cosa può e cosa non può essere una causa di qualcos'altro. Si potrebbe allora concepire un'inversione nell'ordine di priorità, e ipotizzare che sia in realtà la direzione del tempo a dipendere dal tipo di relazione che si dà fra certi eventi che agiscono come cause e altri che si qualificano come effetti. L'ipotesi è interessante, ma rimane aperta l'obiezione che non si può in questo caso stabilire un ordine di precedenza ontologica se non in modo arbitrario, e in qualsiasi modo lo si faccia qualcosa rimane comunque asimmetrico e "direzionato" in un modo primitivo e non ulteriormente analizzabile, mentre l'esigenza iniziale era proprio quella di spiegare una direzionalità apparentemente fondamentale nell'evolvere dell'universo fisico. Un argomento connesso a questo e al precedente, e in cui la fisica e la metafisica si incontrano in modo eclatante, è poi quello dei viaggi nel tempo. Oltre che affascinante dal punto di vista della fiction letteraria e cinematografica, la possibilità (o impossibilità) di viaggiare nel tempo è, chiaramente, anche un tema rilevante dal punto di vista scientifico e filosofico. Peraltro, soprattutto con lo sviluppo e l'articolazione di modelli cosmologici basati sulla relatività generale, nonché dei già menzionati tentativi di riunire la meccanica quantistica e la relatività in un'unitaria teoria della gravità quantistica, ci si è resi conto che si può dare una definizione precisa sia del concetto di viaggio nel tempo, sia di ciò che esso richiederebbe per realizzarsi. Per esempio, se veramente la relatività einsteiniana implica che spazio e tempo formano un inscindibile tutto quadridimensionale, perché non pensare che – in linea di principio – ogni punto dello spazio-tempo sia raggiungibile da ogni altro (almeno nel momento in cui certe restrizioni fisiche vengono rispettate)? Stando a certi modelli dello spazio-tempo, in effetti, quest'ultimo potrebbe essere curvo e tale da rendere possibili dei "tunnel" che permetterebbero di passare – pur andando sempre "in avanti" lungo una precisa "linea di universo" – da un punto spazio-temporale a un altro che si era precedentemente attraversato (o in un punto arbitrariamente vicino a quest'ultimo). Dall'altra parte, la concepibilità dei viaggi nel tempo è oggetto di discussione sia in metafisica che in fisica: ci si chiede, per esempio, se il presentista (il quale, si ricordi, ritiene che solo ciò che è presente esiste come oggetto concreto, e tutto l'universo è un enorme "foglio tridimensionale") debba rifiutare o possa accettare la nozione di viaggio temporale, ovviamente adattandola alle restrizioni poste dalle sue specifiche preferenze metafisiche; oppure, se ammettere la possibilità di viaggi nel tempo non possa condurre a scenari in contraddizione con le leggi fisiche (ma anche logico-metafisiche) che accettiamo, e non richieda, di conseguenza, anche la presupposizione di "restrizioni" tali da escludere alcuni tipi di viaggi nel tempo (come, per esempio, quello in cui mister X torna indietro nel tempo e uccide suo nonno prima che egli generi il padre di X, rendendo così impossibile l'esistenza, e quindi il viaggio indietro nel tempo, di X stesso) e ammetterne altri. [...] Ma l'intreccio tra fisica e metafisica non si esaurisce certo qui: ci sono numerose altre domande che coinvolgono in uguale misura le due discipline e rispetto alle quali è lecito aspettarsi che solo con un'interazione dell'indagine a priori della metafisica e la ricerca sperimentale si possa sperare di ottenere qualche progresso. Per menzionarne solo alcune: qual è lo status delle teorie fisiche che si presentano (anche se magari solo contingentemente) come pure speculazioni non passibili di test sperimentali, come nel caso per esempio della teoria delle stringhe? Occorre considerarle ipotesi "metafisiche"? Se sì, dobbiamo intendere ciò in un senso peggiorativo, come molti fanno, o solo nel senso che siamo di fronte all'inizio di una nuova serie di ipotesi, da sviluppare in modi precisi e, idealmente, sulla base di un insieme di metodi di indagine sia a priori che a posteriori? Oppure, cosa si può dire, alla luce della fisica contemporanea, sul paradigma atomistico originariamente democriteo, sicuramente presente nelle elaborazioni concettuali di Newton e dei suoi contemporanei (nonché nella fisica di oggi – basti pensare al modello standard delle particelle elementari menzionato in precedenza)? Occorre continuare a credere che ci sia un livello di entità fondamentali, più piccole di tutte le altre e dalle quali, magari attraverso processi complicati che impediscono in linea di principio una riduzione diretta del più complesso al più semplice, ha origine tutta la realtà fisica? O si può (o si deve) cominciare a esplorare modelli alternativi, come quello originariamente parmenideo, per cui ciò che è fondamentale è in realtà l'Uno, il cosmo nella sua interezza, oppure quello per cui non c'è in realtà un livello fondamentale, bensì una rete di entità l'una dipendente dall'altra o una serie infinita di livelli ontologici e relazioni di dipendenza e priorità, senza alcuna fine (magari né nella direzione del più piccolo, né in quella del più grande)? La visione monistica è stata recentemente sostenuta sulla base, tra le altre cose, dell'idea che l'entanglement quantistico sia una relazione pervasiva e che, di conseguenza, ciò che è veramente fondamentale in quanto fisicamente ben definito sia solo il sistema fisico più comprensivo di tutti, vale a dire appunto l'universo. Per contro, la visione antifondazionalista che accetta catene infinite di dipendenza e priorità ontologica sembra trovare un supporto almeno parziale nel fatto che la fisica ha storicamente sempre trovato qualcos'altro "oltre" ciò che sembrava profilarsi come fondamentale; nonché nel fatto che modelli più o meno esplicitamente infinitisti sono stati proposti in relazione sia al molto piccolo che al molto grande. | << | < | > | >> |Pagina 197Passiamo ora a una breve panoramica sulla terza e ultima tipologia di filosofia della fisica identificabile sulla base della tassonomia proposta nell' Introduzione. Come abbiamo spiegato in precedenza, essa rappresenta la forma più tecnicamente sofisticata della filosofia della fisica, e per certi versi quella più vicina al metodo di ricerca della fisica stessa. Tale variante della filosofia della fisica, in particolare, si occupa di studiare "da vicino" specifiche teorie o parti di teorie e esaminarne aspetti e risultati formali nel dettaglio, proponendo così un'analisi filosofica dei "fondamenti della fisica". Tra i filoni di ricerca che possono rientrare in questo tipo di approccio alla filosofia della fisica, ne discuteremo qui – come in precedenza, abbastanza succinatamente ed essenzialmente con l'obiettivo di dare un'idea generale dei problemi e delle nozioni che sono in gioco – tre, in parte già menzionati nei paragrafi precedenti: 1. lo studio del ruolo della probabilità nella fisica classica e quantistica (anche connesso al tema determinismo/indeterminismo e alla nozione di sistema caotico); 2. l'analisi dell' invarianza (o meno) delle teorie fisiche rispetto alla direzione del tempo;
3. l'indagine sui
risultati relativi alle particelle, al loro numero e alla loro localizzabilità
nella teoria quantistica dei campi (anche relativistica),
i quali estendono in un modo importante, se non decisivo, la discussione –
considerata in precedenza – sull'ontologia della meccanica quantistica.
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