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| << | < | > | >> |IndiceIndice Pag. 7 Nota del traduttore 13 INTRODUZIONE GENERALE 13 I. L'abisso 13 La domanda 15 L'incognito della conoscenza 16 Il multidimensionale e l'inseparabile 16 La rottura 17 La patologia del sapere 18 La crisi dei fondamenti 22 II. Del meta-punto di vista 24 1. L'apertura bio-antropo-sociologica 24 2. La riflessività permanente scienza<->filosfia 28 3. La reintegrazione del soggetto 29 4. La riorganizzazione epistemologica 31 5. La persistenza dell'interrogazione radicale 31 6. La vocazione emancipatrice 32 III. L'avventura 32 Il tabù e la rassegnazione 33 Il termine "metodo" 35 L'incompiutezza LIBRO PRIMO ANTROPOLOGIA DELLA CONOSCENZA 41 PREFAZIONE AL LIBRO PRIMO 43 1. BIOLOGIA DELLA CONOSCENZA 43 Il ritorno alle fonti 44 I. La computazione 48 II. La computazione vivente 52 III. Il "computo" 53 L'auto-computazione 55 L'auto-eso-referenza 55 Il computo policellulare 57 IV. Biologia della conoscenza 58 V. Alle fonti... 58 Conoscere è in primo luogo computare 58 Le due logiche della computazione 59 Alla fonte della conoscenza 59 Alla fonte della fonte: ciò che implica la conoscenza 61 Conclusione 62 2. L'ANIMALITA' DELLA CONOSCENZA 62 I. L'apparato neurocerebrale 62 L'organizzazione dell'azione e della conoscenza 66 II. La conoscenza cerebrale 66 1. La computazione delle computazioni 66 2. L'autonomizzazione della conoscenza (apprendimento, strategie, curiosità) 76 Conclusioni: l'animalità della conoscenza umana 76 La conoscenza cerebrale 77 L'ominizzazione della conoscenza 79 3. LA MENTE E IL CERVELLO 79 Che cos'è una mente capace di concepire un cervello capace di produrre una mente? 80 Lo straordinario problema 80 Il grande scisma 82 L'unidualità cervello<->mente 85 La trinità 87 L'eliminazione delle opposizioni assolute 93 Possibilità di definizione 95 Conclusioni 97 4. LA MACCHINA IPER-COMPLESSA 99 I. "Unitas multiplex" 101 l. Il cervello bi-emisferico 106 2. Il cervello triunico 108 3. La concezione "modulare" 109 4. Le "ormonie" cerebrali 110 5. Il complesso dei complessi 112 II. La concezione complessa del concettore iper-complesso 112 1. Il principio dialogico 114 2. Il principio ricorsivo 115 3. Il principio olo(grammatico/scopico/nomico) 119 4. La trinità: dialogica<->ricorsione<->olo (grammia/scopia/nomia) 127 III. Il Grande Problematizzatore Solutore 127 Un GPS iper-complesso 129 La grande deconnessione 131 5. COMPUTARE E COGITARE 131 Operazioni computanti e operazioni cogitanti 134 L'istanza logica 135 Pensiero e linguaggio 138 La coscientizzazione 139 Cogito<->ergo computo<->ergo sum<->ergo 140 Conclusione: l'unidualità computistica<->cogistica 143 6. L'ESISTENZIALITA' DELLA CONOSCENZA 144 I. La Psiche 144 Psichiatria della conoscenza 145 Psicoanalisi della conoscenza 147 II. Ossessioni cognitive e gioie della certezza 148 La doppia possessione 150 La religione della verità e la verità della religione 151 Godimento psichico ed estasi 154 L'errore della verità 154 Conclusione: al di là del principio di piacere 156 7. I DOPPI GIOCHI DELLA CONOSCENZA 156 L Analogica<->logica 156 Le analogie 157 L'analogico e il logico 161 II. Comprensione<->spiegazione 162 Proiezione<->identificazione 164 Mimesi 166 Comprendere la comprensione 168 La spiegazione 169 La dialogica comprensione<->spiegazione 171 Conclusione 172 8. IL DOPPIO PENSIERO (MYTHOS<->LOGOS) 174 I. Il pensiero simbolico mitologico magico 175 Il simbolo 178 Il mito 184 La magia 186 Il pensioero simbolico/mitologico/magico 187 Passato e presente 189 L'Archi-Mente 192 II. L'unidualità dei due pensieri 193 La complementarità de facto 196 Il pensiero e il suo doppio 199 9. INTELLIGENZA <-> COSCIENZA <-> PENSIERO 199 I. L'intelligenza dell'intelligenza umana 201 Le qualità intelligenti 203 Avventure e sventure dell'intelligenza 204 II. Del pensiero 205 La dialogica pensante 208 La concezione 209 Concepire la concezione 210 'Ars cogitandi' 211 Il pensiero creatore 213 III. La coscienza 213 La coscienza della coscienza 216 L'iceberg di incoscienza 218 La coscienza di sé 220 La breccia 221 Il sottosviluppo di coscienza 223 Conclusione: l'uccello di Minerva 225 La preistoria della mente umana 227 CONCLUSIONI DEL LIBRO PRIMO POSSIBILITA' <-> LIMITI DELLA CONOSCENZA UMANA 227 I: Le condizioni della conoscenza 227 L'attività cognitiva 230 Inerenza-separazione-comunicazione 234 Costruzione<->Traduzione 235 Dall'anello soggetto<->oggetto alla relazione mente<->mondo 237 La mente è nel mondo che è nella mente 240 La realtà della Realtà 243 La scala di mezzo 244 Il mondo conoscibile 246 La zona di adeguamento cognitivo 248 II. Limiti, incertezze, accecamenti, miserie della conoscenza 248 La conoscenza dei limiti della conoscenza 249 Le relazioni d'incertezza 252 I buchi neri della conoscenza 253 Carenze e derive 254 I verificatori 256 Schiavitù e grandezze cognitive 258 III. Transito 258 I fondamenti di una conoscenza senza fondamento 259 Il fondamento senza fondamento della complessità 260 L'umanità della conoscenza 265 Bibliografia |
| << | < | > | >> |Pagina 13Introduzione generale I. L'ABISSO La domandaSi può mangiare senza conoscere le leggi della digestione, respirare senza conoscere le leggi della respirazione, pensare senza conoscere le leggi e la natura del pensiero, conoscere senza conoscere la conoscenza. Ma, mentre l'asfissia e l'intossicazione si fanno immediatamente sentire in quanto tali nella respirazione e nella digestione, l'errore e l'illusione hanno questo di caratteristico, che non si manifestano appunto come errore e illusione. "L'errore consiste semplicemente nel fatto che non sembra esser tale" (Cartesio). Come hanno detto Marx e Engels all'inizio dell'Ideologia tedesca, gli uomini hanno sempre elaborato false concezioni di se stessi, di ciò che fanno, di ciò che devono fare e del mondo in cui vivono. E Marx-Engels non fanno eccezione. Quando il pensiero scopre il gigantesco problema degli errori e delle illusioni che non hanno mai cessato (e non cessano) di imporsi come verità nel corso della storia umana, quando scopre, correlativamente, di racchiudere in se stesso il rischio permanente di errore e di illusione, è allora che deve cercare di conoscersi. | << | < | > | >> |Pagina 16 [ multidimensione della conoscenza, scienza/filosofia ]Il multidimensionale e l'inseparabileSe la nozione di conoscenza si diversifica e si moltiplica non appena la si considera, possiamo legittimamente supporre che essa comporti in sé diversità e molteplicità. A questo punto, la conoscenza non può esser ridotta a una sola nozione - informazione, per esempio, o percezione, descrizione, idea, teoria. Occorre piuttosto concepire in essa più modi o livelli ai quali ognuno di questi termini corrisponde. D'altra parte, ogni conoscenza comporta necessariamente: a) una competenza (capacità di produrre conoscenze); b) un'attività cognitiva (cognizione) effettuantesi in funzione di questa competenza; c) un sapere (risultante da queste attività). Le competenze e le attività cognitive umane richiedono un apparato cognitivo, il cervello, che è una formidabile macchina bio-psico-chimica, e il cervello a sua volta richiede l'esistenza biologica di un individuo; le capacità cognitive umane possono realizzarsi solo in seno a una cultura che ha prodotto, conservato, trasmesso un linguaggio, una logica, un capitale di saperi, di criteri di verità. E' in questo quadro che la mente umana elabora e organizza la sua conoscenza utilizzando i mezzi culturali di cui essa dispone. Infine, in tutta la storia umana, l'attività cognitiva si è trovata ad interagire, in modo complementare ma anche antagonistico, con l'etica, il mito, la religione, la politica, e il potere ha spesso controllato il sapere per controllare il potere del sapere. Così, ogni evento cognitivo richiede la congiunzione di processi energetici, elettrici, chimici, fisiologici, cerebrali, esistenziali, psicologici, culturali, linguistici, logici, ideali, individuali, collettivi, personali, trans-personali e impersonali, ingranantisi gli uni negli altri. La conoscenza è quindi proprio un fenomeno multidimensionale, nel senso che essa è inseparabilmente, fisica, biologica, cerebrale, mentale, psicologica, culturale, sociale. La rottura Ora, questo fenomeno multidimensionale è spezzato dall'organizzazione stessa della conoscenza, in seno alla nostra cultura; quei saperi che, legati, permetterebbero la conoscenza della conoscenza, sono disgiunti e frammentati. Di fatto, la grande distinzione fra scienza e filosofia ha operato una scissione fra la mente e il cervello, disponendo la prima dalla parte della metafisica, il secondo da quella delle scienze naturali; le compartimentazioni disciplinari inoltre hanno separato e disperso: - nelle scienze fisiche: l'informazione, la computazione, l'intelligenza artificiale; - nelle scienze biologiche: il sistema nervoso centrale, la filogenesi e l'ontogenesi del cervello; - nelle scienze umane: la linguistica, la psicologia cognitiva, le diverse psicologie (che non comunicano tra loro e anzi si escludono a vicenda), le diverse psicoanalisi (stesso rilievo), la psico-sociologia, l'antropologia culturale, le sociologie della cultura, della conoscenza, della scienza, le storie delle culture, delle credenze, delle idee, della scienza; - nella filosofia: la teoria della conoscenza; - fra scienza e filosofia: la logica, l'epistemologia. A ciò va aggiunto il continente non riconosciuto, non esplorato della noosfera, in cui la conoscenza si organizza in sistemi di idee (teorie, dottrine) e che richiede una scienza nuova: la noologia. Ognuno di questi frammenti disgiunti ignora il volto globale di cui fa parte. E' solo in anni recentissimi che un raggruppamento, a nostro avviso ancora parziale (come avremo modo di ribadire), ha cominciato a operarsi fra le "cognitive sciences" o scienze della cognizione. | << | < | > | >> |Pagina 72 [ strategie cognitive, programma/strategia ]Sarà opportuno ricordare qui le nozioni ad un tempo complementari e antinomiche di programma e di strategia (cfr. Metodo 2, pp. 143 sgg.). Il programma è costituito da una sequenza prestabilita di azioni che si concatenano tra loro e si scatenano a un segno o a un segnale dato. La strategia si costruisce nel corso dell'azione, modificando, secondo il presentarsi degli eventi o la reazione delle informazioni, la condotta dell'azione considerata. La strategia presuppone dunque a) la capacità di intraprendere o di cercare nell'incertezza tenendo conto di questa stessa incertezza; b) la capacità di modificare lo sviluppo dell'azione in funzione dell'alea e del nuovo. La strategia presuppone la capacità da parte del soggetto di utilizzare, per l'azione, i determinismi e le alee esterni e possiamo quindi definirla come il metodo d'azione proprio di un soggetto in situazione di gioco (nel senso neumanniano del termine), una situazione nella quale, per raggiungere i suoi fini, egli si sforza di subire al minimo e di utilizzare al massimo i vincoli, le incertezze e le opportunità di tale gioco. Il programma è predeterminato nelle sue operazioni e in questo senso è "automatico', la strategia è predeterminata nelle sue finalità, ma non in tutte le sue operazioni; di fatto per la strategia è utile disporre di un gran numero di automatismi (sequenze programmate). Così, la maggior parte delle computazioni neuroniche e interneuroniche sono "automatiche". Si ha un automatismo di trattamento degli stimoli esterni da parte delle cellule sensoriali e si hanno automatismi dei legami intersinaptici fra neuroni. Si può persino avere automatismo della decisione, quando l'accumulazione dei segnali positivi scatena l'eccitazione, oppure quando l'accumulazione dei segnali negativi scatena l'inibizione o la fuga. L'automatismo - il programma - agisce insomma quando non si ha scelta, contingenza, novità.La strategia può e deve emergere solo al meta-livello in cui sono possibili sia la scelta, sia lo scontro con l'alea, sia il dialogo con il nuovo, sia la possibilità di trovare delle soluzioni a situazioni nuove; ma, anche in questo caso, una strategia ha bisogno di miriadi di automatismi cerebrali e può solo arricchirsi per il fatto di utilizzare sequenze assai diverse di azioni programmate. Un'alta strategia può trarre solo dei vantaggi dalla possibilità di scatenare, secondo il bisogno, gli automatismi che essa controlla. La strategia che si esprime ai livelli globali e superiori ricorre quindi all'automatismo e al programma ai livelli inferiori e segmentari. Ciò che vale per la conoscenza animale vale ancor di più per la conoscenza umana, in cui la strategia (intelligenza e perspicacia) ha bisogno di innumerevoli programmi o automatismi cognitivi. Le strategie cognitive hanno lo scopo: a) di estrarre informazioni dall'oceano del 'rumore"; b) di effettuare la rappresentazione corretta di una situazione; c) di valutare le eventualità e di elaborare scenari d'azione. | << | < | > | >> |Pagina 85 [ cervello/spirito ]La contraddizione ci riporta alla circolarità paradossale fra le nozioni di cervello e di spirito. In effetti, se il cervello può esser concepito come lo strumento del pensiero, quest'ultimo può esser concepito come lo strumento del cervello. L'idea del cervello è stata effettivamente il prodotto di un lungo travaglio dello spirito, ma lo spirito è il prodotto di un'evoluzione ancor più lunga del cervello. L'attività dello spirito è una produzione del cervello, ma la concezione del cervello è una produzione dello spirito. Lo spirito ci appare come un'efflorescenza del cervello, ma quest'ultimo si presenta come una rappresentazione dello spirito. Si costituisce così un circolo apparentemente infernale in cui ogni termine, incapace di spiegare se stesso come l'altro, si dissolve nell'altro all'infinito. Ma questa circolarità significa anche il bisogno che questi termini hanno l'uno dell'altro.Il cervello non spiega lo spirito ma ha bisogno dello spirito per spiegare se stesso; lo spirito non spiega il cervello ma ha bisogno del cervello per spiegare se stesso. Così, il cervello può concepirsi solo attraverso lo spirito e lo spirito può concepirsi solo attraverso il cervello. Il problema che si pone diviene così il seguente: quali sono la realtà del cervello e la realtà dello spirito, quelle per le quali essi si esigono l'un l'altro pur tendendo a escludersi tra loro? E' chiaro ora che ogni concezione che non consideri il legame ad un tempo gordiano e paradossale della relazione cervello/spirito sarà mutilante. Occorre affrontare la loro "unidualità complessa" in tutti i caratteri che le sono propri e originali; tali caratteri sono appunto: -l'ineliminabilità e l'irriducibilità di ciascuno dei termini; - la loro unità inseparabile; - la loro insufficienza reciproca, il loro mutuo bisogno e la loro relazione circolare; - l'insuperabilità della contraddizione che la loro unità pone. Tutto ciò si esprime nel paradosso chiave: "che cos'è uno spirito che può concepire il cervello che lo produce? e cos'è un cervello che può produrre uno spirito che lo concepisce?" | << | < | > | >> |Pagina 882. L'eliminazione biologicaE' a questo punto che possiamo operare un'eliminazione biologica della disgiunzione, dato che la computazione vivente porta e comporta in sé l'unità dell'essere e del conoscere. Ricapitoliamo quanto abbiamo acquisito nel primi due capitoli: l. Ogni atto biologicamente organizzatore comporta una dimensione cognitiva, ed è sotto questo aspetto che assume un senso forte la nota formula di Piaget: "A una certa profondità, l'organizzazione vitale e l'organizzazione mentale non formano che una sola e medesima cosa." Così, il corpo è una repubblica di decine di miliardi di cellule, cioè di esseri-macchine computanti, le cui inter-poli-computazioni organizzazionali producono senza soluzione di continuità quella realtà cui diamo il nome di corpo. Il corpo non è che la concretizzazione di inter-computazioni di cui è a un tempo il prodotto e il produttore. Ciò significa che l'organizzazione stessa del corpo umano comporta una dimensione cognitiva. 2. L.'apparato neuro-cerebrale è costituito di cellule, i neuroni, che hanno la stessa origine e gli stessi caratteri fondamentali delle altre cellule del corpo: sono degli esseri-macchine computanti che dispongono della stessa informazione genetica. Ma essi hanno delle funzioni specializzate che permettono loro computazioni e comunicazioni riservate propriamente alle attività cognitive. I neuroni della corteccia cerebrale, necessari alle attività intellettuali e al pensiero, non si differenziano affatto dagli altri neuroni: "nessuna categoria cellulare, nessun tipo di circuito particolare è proprio della sola corteccia cerebrale" (Changeux, 1983). | << | < | > | >> |Pagina 91L'immaterialità della coscienza e dello spirito cessa di essere uno scandalo biologico o fisico da una parte perché la coscienza e lo spirito non possono essere concepiti indipendentemente da processi e trasformazioni fisiche e, dall'altra, perché l'organizzazione è già essa stessa immateriale pur essendo legata alla materialità fisica. A questo punto possiamo abbandonare sia il dualismo cartesiano in cui lo spirito e il cervello, venuti ciascuno da un universo differente, si incontravano nella glandola pineale, sia il circolo vizioso in cui spirito e cervello rimandano l'uno all'altro in modo ad un tempo inevitabile e assurdo. Per converso, possiamo concepire un anello ricorsivo-produttivo in cui, come ultima emergenza dell'evoluzione cerebrale, lo spirito è continuamente generato-rigenerato dall'attività cerebrale, a sua volta generata-rigenerata dall'attività di tutto l'essere, e in cui lo spirito svolge il suo ruolo attivo e organizzatore, essenziale per la conoscenza e l'azione.Si ha certo eterogeneità fra gli stimoli fisici venuti dal mondo esterno, le trasmissioni elettro-chimiche fra neuroni, la natura immaginante della rappresentazione percettiva e la spirituale immaterialìtà delle parole e delle idee. Ma ciò che unifica questa eterogeneità è l'unità della computazione, la quale opera a livello dei recettori sensoriali, poi degli scambi inter-computanti e delle istanze poli-computanti, costruisce la rappresentazione che è una sintesi ricomputante globale e infine elabora la struttura logico-linguistica dei discorsi e dei pensieri. | << | < | > | >> |Pagina 95CONCLUSIONI1. Noi possiamo e dobbiamo ormai reintegrare lo spirito nella "physis" (per questo termine cfr. Méthode 1, pp. 367-8) e la "physis" nello spirito. Analogamente, possiamo, nel medesimo movimento, reintegrare lo spirito nel "bios" e il "bios" nello spirito (cfr. Metodo 2, pp. 217 sgg.). Ma, per fare ciò, dobbiamo smettere di pensare in virtù del paradigma di semplificazione (disgiunzione e riduzione) che può solo dissociare i due termini o annientare l'uno nell'altro. 2. Facciamo così la stupefacente scoperta che interazioni di miliardi di miliardi attraverso 10^14 sinapsi formano uno spirito, un pensiero, un giudizio, una volontà. Il fatto è che esse sono integrate/integratrici in un dinamismo ricorsivo, quello del cervello<->spirito che è ad un tempo quello del computo<->cogito, federatore di un essere-soggetto ego-centrico. Ritroviamo così l'idea, impostasi già nelle nozioni di computo e di cogito, che tutto ciò che concerne spirito e psichismo è incomprensibile senza la nozione di soggetto. "Se il nostro cervello è un apparecchio televisivo, chi è che lo guarda?" si chiedeva Crick. Rimane inteso che ciò che conosce non è un cervello, e neppure uno spirito, bensì un essere-soggetto che si serve dello spirito/cervello come di un mezzo. "Un essere umano è un essere umano non un osservatore rinchiuso nel suo sensorium né un cervello munito di braccia" (S. Toulmin). Tutto ciò che concerne l'essere concerne lo spirito/cervello e tutto ciò che concerne lo spirito/cervello concerne l'essere. "Lo spirito che anima l'azione è animato dall'azione di tutto l'essere" (Metodo 2, p. 217). I processi spirituali esigono i processi cerebrali, e questi ultimi i processi fisiologici; la macchina del corpo assicura la pressione del sangue, il ritmo cardiaco, le secrezioni gastro-intestinali, le quali sono controllate dal sistema neuro-vegetativo, il quale è regolato dall'apparato neuro-cerebrale, il quale... 'Un essere umano si crea e si ricrea in un processo auto-fondatore di animazione/corporeizzazione. | << | < | > | >> |Pagina 103 [ maschile/femminile ]L'asimmetria fra i due emisferi si opera durante l'embriogenesi. Un'ipotesi recente attribuisce a un ormone sessuale, il testosterone, lo sviluppo preferenziale di un emisfero, e ciò vorrebbe dire che si avrebbe una determinazione "maschile" o "femminile" innata nella dominanza dell'uno o dell'altro emisfero. Tuttavia, come ha suggerito Danchin, è possibile che sia lo sviluppo dell'asimmetria a regolare il tasso, di produzione del testosterone. In ogni modo, esiste una sessualizzazione degli emisferi e si ha una dominanza del sinistro nell'uomo, del destro nella donna. Ci sono quindi due tipi di dominanza in una conoscenza che rimane "uniduale", in cui cioè il tipo dominato rimane attivo, complementare ma subordinato all'altro.Detto questo, non si può rinchiudere questo problema nei limiti della scatola cranica; occorre far intervenire la determinazione socio-culturale all'interno del cervello, poiché, sin dalla nascita e negli anni giovanili in cui il cervello mantiene la sua plasticità, un ruolo maschile e un ruolo femminile vengono imposti dalla famiglia e dalla cultura, sotto forme che variano appunto secondo le famiglie e le culture. Così si può pensare che la bipartizione culturale maschile/femminile (a sua volta conseguenza trasformata e mediatizzata della bipartizione biologica maschile/femminile) retroagisca sin dalla nascita sull'organizzazione bi-emisferica del cervello, quindi sulla stessa conoscenza. A questo punto, non basta vedere che la dominanza di un emisfero privilegia un tipo di conoscenza (astratto o analitico, per esempio) e ne inibisce un altro (concreto o sintetico, per rimanere all'esempio dato) simultaneamente complementare e antagonista. Occorre vedere anche che la sovra-determinazione culturale produce, contemporaneamente ai ruoli sociali del maschile e del femminile, un tipo di educazione dominante per ogni sesso (che privilegia per esempio l'astratto e la tecnica su un versante, il concreto e l'estetica sull'altro) e lascia con ciò un segno profondo sul funzionamento intimo dell'intelligenza e della conoscenza. | << | < | > | >> |Pagina 136 [ linguaggio ]Il linguaggio è talmente necessario sia alla costituzione, alla perpetuazione, allo sviluppo della cultura, sia all'intelligenza, al pensiero e alla coscienza dell'uomo, talmente consustanziale all'umano dell'umano, che secondo alcuni è il linguaggio che ha fatto l'uomo. Ma quest'idea mutila una verità complessa che occorre far emergere: "il linguaggio ha fatto l'uomo che ha fatto il linguaggio"; analogamente, "il linguaggio ha fatto la cultura che ha prodotto il linguaggio".Il linguaggio umano costituisce un'autentica cerniera tra: - computazione e cognizione (come abbiamo appena visto, il linguaggio è ad un tempo computato e cogitato); - innato e acquisito: la disposizione al linguaggio (acquisita filogeneticamente nel corso dell'ominizzazione) è innata nell'homo sapiens, ma ogni lingua deve essere appresa in seno a una cultura e consente di acquisire tutto ciò che una cultura conosce; - individuale e collettivo, personale e culturale. Facendo parte della memoria individuale, le parole fanno parte della memoria collettiva, che si perpetua riproducendosi e moltiplicandosi nelle memorie individuali. Contemporaneamente, il linguaggio permette alla cultura di imprimersi sotto forma di saperi, esperienze, norme, ingiunzioni, interdetti, nell'intimità di ogni mente e con ciò fornisce ad esse specifiche possibilità di sviluppo pur esercitando il controllo sociale su tale sviluppo. Contemporaneamente, ancora, il linguaggio permette e garantisce l'inter-comunicazione che, pur assicurando il funzionamento della macchina sociale, permette la trasmissione, la correzione, la verifica dei saperi e delle informazioni, così come l'espressione, la trasmissione e lo scambio dei sentimenti individuali. Fra il pensiero individuale e l'organizzazione sociale si attua un doppio gioco fondamentale. Il linguaggio è ad un tempo individuale, comunicazionale e comunitario (solo il linguaggio può formulare il mito fraternitario che tiene unita una società). Solo il linguaggio è attrezzato per assicurare sia la riproduzione culturale (cioè la perpetuazione della complessità sociale) sia la soluzione individuale dei problemi (che favorisce lo sviluppo della complessità sociale). Solo il linguaggio può formulare la devianza, la critica, la contestazione, e permettere ad esse di spiegarsi. Grazie al linguaggio: - ogni operazione cognitiva, ogni acquisizione, ogni fantasma può esser nominato, classificato immagazzinato, rimemorato, comunicato, logicamente esaminato, coscientizzato; - le parole, le nozioni, i concetti operano come discriminanti, selettori, polarizzatori per tutte le attività della mente; - la mente può combinare all'infinito parole e frasi e così esplorare all'infinito le possibilità di pensiero. Il linguaggio traduce e trasferisce in enunciati lineari/sequenziali ciò che si manifesta come simultaneità aggrovigliata, sia nel cervello sia nel reale. Così, il concomitante, l'interretroattivo, il multiplo, l'istantaneo vengono espressi in fila indiana nei discorsì, mentre la mega-computazione cerebrale riproduce simultaneamente la simultaneità multipla del fenomeno percepito. La semplificazione lineare/sequenziale offre grandi vantaggi per l'esame puntuale e più generalmente per il pensiero analitico; ma questa semplificazione non impedisce in alcun modo di restituire nel tempo ciò che è simultaneo e di ritrovare il filo di ciò che è aggrovigliato. Così, oh prodigio, il discorso si dimostrerà capace di esprimere sequenzialmente e linearmente il non-sequenziale e il non-lineare. Esso restituirà sequenzialmente la simultaneità multipla di un quadro come Las Meninas (Foucault) o descriverà in una lunghissima frase i diversi e contraddittori sentimenti che assalgono contemporaneamente un medesimo essere (Proust). Così il linguaggio è una semplificazione complessificante che consente di utilizzare una parte dell'iper-complessità cerebrale, di costruire/ricostruire una nuova complessità discorsiva, e così di dialogare con la complessità del reale. La complessità del linguaggio (del pensiero, quindi) si fonda su una dialogica permanente di semplificazione/complessificazione. Il linguaggio è produttore di astrazione; quest'ultima è semplificatrice, nella misura in cui elimina i tratti concreti, singolari e vissuti di ciò che essa apprende; ma l'astrazione è complessificante nel senso che essa crea per la conoscenzcl una nuova sfera mentre le parole, divenendo nozioni e concetti, formano un' "algebra" che sostituisce la componente isomorfica dell'oggetto (Changeux, 1983) e determinano l'accesso alla conoscenza di realtà, qualità o proprietà astratte come il triangolo, la passione, la ragione. | << | < | > | >> |Pagina 140CONCLUSIONE: L'UNIDUALITA' COMPUTISTICA<->COGITISTICAIl legame tra computazione e cogitazione (pensiero) è così intimo che molte menti perspicaci che hanno percepito l'uno nell'altro sono state portate a confonderle. Così, Pask vede bene che la computistica non è riservata ai calcolatori ma concerne le strutture della conoscenza delle menti reali, e Fodor che "i soli modelli per concepire i processi cognitivi sono di natura computante" (Fodor, 1975). Essi tuttavia tendono a unificare troppo le due cose. Ora, l'attività della mente umana, pur essendo Una, è duale nel senso che nessuna delle due nozioni potrebbe svanire nell'altra. Il pensiero, abbiamo detto, presuppone, utilizza, sviluppa, trasforma, supera la computazione. l. Presuppone: come dice S. Papert, "le strutture primitive di calcolo [nei nostri termini: computanti] sono indispensabili a qualsiasi funzione mentale". Tutto passa attraverso computazioni neuroniche e inter-macro-computazioni cerebrali. 2. Utilizza: il linguaggio, che è lo strumento del pensiero, utilizza, per costituirsi, un'infrastruttura computante (fonica, alfabetica, sintattica/grammaticale 'profonda'). La formalizzazione della logica offre una sovra-computazione cosciente per trattare gli enunciati. Ed è in seguito allo sviluppo della scrittura che si sviluppano il calcolo numerico e le matematiche, che sono forme e sviluppi inediti, 'pensieri' della computazione. 3. Sviluppa: come abbiamo appena visto, le matematiche e la logica formalizzata sviluppano nuove sfere per la computazione. Questi sviluppi spingono il pensiero più avanti di quanto non avrebbe potuto andare da solo, ma possono anche soffocarlo. 4. Trasforma e soprattutto supera la computazione in quella stessa trasformazione in cui emergono correlativamente il linguaggio, il pensiero, la coscienza. Si costituisce veramente una meta-sfera, quella della mente, un meta-livello, quello della coscienza, una meta-conoscenza rispetto alla conoscenza cerebrale, ad un tempo sempre più astratta (vertente su idee, nozioni, concetti) e sempre più ricca (capace di costruire una fantastica sfera noologica). E, attraverso il mito, poi, nei tempi storici, attraverso la filosofia prima e la scienza poi, la conoscenza umana si è aperta sul mistero del mondo, nonché sul proprio mistero. Il pensiero di ciò che è cosciente e la coscienza di ciò che è pensato contribuiscono, in tutti i campi, pratici e cognitivi, allo sviluppo delle strategie dell'intelligenza, alla ricerca, alla problematizzazione, e, nonostante le potenti determinazioni della cultura (imprinting, dogmi, habitus), è la disautomatizzazione dell'intelligenza che è ormai, su tutti i terreni, possibile... Così il pensiero spicca il volo in e attraverso la cogitazione<->computazione; il cervello diviene non più soltanto macchina super-computante ma anche macchina per pensare; la mente prende forma non soltanto di attività cognitiva ma anche di attività pensante e cosciente. La mente, che si dispiega e si sviluppa, sviluppa e dispiega la propria sfera o noosfera (dal termine greco nous, che significa mente, spirito). La conoscenza non è più soltanto il frutto di un'organizzazione computante; è il frutto di un'organizzazione cogitante<->computante. | << | < | > | >> |Pagina 1567. I doppi giochi della conoscenza I. ANALOGICA<->LOGICA Le analogieLa conoscenza per analogia è una conoscenza del simile da parte del simile che scopre, utilizza, produce similitudini in modo da identificare gli oggetti o i fenomeni che essa percepisce o concepisce. Il termine analogia racchiude sensi diversi. 1. L'analogia può essere nelle proporzioni (similari) e nei rapporti (uguali), come per esempio l'analogia fra il movimento e il tempo di rotazione della lancetta di un orologio da una parte e la rotazione apparente del sole intorno alla terra dall'altra. 2. L'analogia può essere di forme o di configurazioni. A partire da tali analogie si possono stabilire isomorfismi e omeomorfismi che concepiscono in modo sistematico e coerente tali analogie, per esempio quelle fra gli organismi dei pesci e dei cetacei, o quelle fra le ali degli uccelli e dei pipistrelli. 3. L'analogia può essere organizzazionale e funzionale. Essa permette allora di stabilire omologie. Queste ultime possono corrispondere a omeomorfismi (come quello che si ha tra il dispositivo volante degli uccelli e dei pipistrelli) ma possono anche riguardare entità assai diverse dotate degli stessi dispositivi organizzatori, come per esempio la retroazione negativa (feed-back negativo) che si trova in sistemi fisici naturali (astri), artificiali (macchine), nei sistemi biologici e nei sistemi sociali. 4. Infine, vi sono dei giochi di analogie libere, spontanee, con valore suggestivo, evocatorio, affettivo, come le metafore poetiche, letterarie e quelle del linguaggio quotidiano. La mente/cervello umano scopre, utilizza, produce, combina questi diversi tipi di analogie nei suoi processi cognitivi. Così gli stimoli che investono la retina vengono trasformati analogicamente in modulazioni di frequenza di impulsi elettrici. L'elaborazione della percezione si effettua per analogia identificatoria delle forme percepite nei confronti di modelli, patterns, schemi che ci permettono di riconoscere un cane, un gatto, un letto, una sedia. L'esame di una situazione rileva le somiglianze più svariate fra gli oggetti, gli esseri, i fenomeni percepiti e quelli della nostra memoria, li interroga, cerca di essi un messaggio, e la mente, nelle sue strategie di chiarificazione, procede a valutazioni a partire da analogie. Infine, le metafore ci soccorrono spontaneamente quando si tratta di concretizzare un'informazione ("il sole entra nel mare"), di definire gli attributi di un'altra persona ("grosso porco", "vecchia volpe") o di cristallizzare un sapere sotto forma di proverbio ("la mala erba..."). Si può quindi dire che i molteplici modi per riconoscere e conoscere sulla base dell'analogia sono inerenti a ogni attività cognitiva e a ogni pensiero. Ma v'è di più: la mente non si limita a servirsi di analogie: il fine stesso dell'attività cognitiva è quello di "simulare" il reale percepito costruendo un analogon mentale (la rappresentazione), oltre che di simulare il reale concepito elaborando un analogon ideale (teoria). In queste condizioni, l'analogia, che ci appare all'inizio e al termine della conoscenza, costituisce insieme il mezzo e il fine di essa. L'analogico e il logico L'organizzazione della conoscenza umana esige il trattamento binario (digitale) delle informazioni a tutti i livelli della computazione cerebrale. Al momento della percezione o della concezione, l'alternativa binaria dell'esclusione o dell'accettazione di un'analogia si impone quando si ha incertezza nell'identificazione di una forma (uccello o topo per il pipistrello, uccello o bipede terrestre per lo struzzo ecc.). Così, la discriminazione alternativa interviene sempre in associazione con il modo analogico di identificazione, e questa discriminazione, che organizza e controlla l'uso delle analogie, obbedisce ai principi/regole che organizzano e controllano la conoscenza (così, è in funzione dei principi di classificazione stabiliti in zoologia che classifichiamo i pipistrelli fra i mammiferi e gli struzzi fra gli uccelli). Infine, il pensiero umano impone alle percezioni come ai discorsi l'alternativa logica permanente del vero e del falso. E' con il linguaggio che appare e funziona in modo incessante l'inesorabile lama logica della negazione, sempre pronta a eliminare le analogie impertinenti, quella lama che precisamente viene a mancare al funzionamento analogico del pensiero. Correlativamente, il principio di identità ci impone di distinguere, anzi di separare, ciò che è semplicemente simile e non identico. Più generalmente, introducendo le sue esigenze di coerenza all'interno del pensiero, la logica o spezza l'analogia o la inquadra nel ragionamento. Così, i principi/regole che organizzano la conoscenza umana istituiscono, a livello cerebrale come a livello mentale/spirituale, una dialogica cooperativa digitale/analogica. Questa doppia dialogica è di natura complessa, e ciò significa che le relazioni fra il digitale e il logico da una parte, l'analogico dall'altra, sono non soltanto complementari ma anche concorrenti e antagoniste. Alleau pensa che esista una logica analogica capace di opporsi e di integrarsi a quella dell'identità. A mio avviso, non si ha dialogo di due logiche ma dialogica fra la logica identitaria e processi sub-logici e meta-logici - tra i quali appunto si situa l'analogia. Judith Schlanger afferma che l'analogia ha "usi piatti e superficiali come usi profondi e creativi" e che essa è ad un tempo "inevitabile, positiva, feconda per l'invenzione e l'instaurazione dello spazio intellettuale [ed] estremamente pericolosa per la conoscenza stessa". Lasciata a se stessa, l'analogia erra, vagabonda, viaggia, attraversa senza difficoltà frontiere, spazi e tempi. Essa racchiude in sé, potenzialmente, delirio, follia, ragionamento, invenzione, poesia e ha bisogno, non appena si applica alla pratica, di essere verificata, messa alla prova, pensata e di entrare in dialogica con le procedure analitiche/logiche/empiriche del pensiero razionale. La razionalità autentica non reprime l'analogia ma se ne nutre tenendola sotto controllo. Si può avere una disfunzione nel movimento a spola analogico-logico; l'eccesso analogico e l'atrofia logica portano al delirio; ma l'ipertrofia logica e l'atrofia analogica portano alla sterilità del pensiero. Come vedremo nel capitolo seguente, la mente umana produce un doppio pensiero, l'uno simbolico/mitologico/magico, l'altro razionale/logico/empirico. L'uno è sempre in un certo modo nell'altro (in yin-yiang) ma è nel primo che l'analogia subisce i controlli minori e può conoscere una piena espansione; è nel secondo invece che l'analogia è più controllata e repressa. Notiamo già, qui, che la tradizione scientifica ha avuto una tendenza troppo accentuata a percepire solo gli antagonismi e le antinomie tra l'analogico e il logico, a conoscere dell'analogia solo le forme superficiali o arbitrarie, e a respingerla come metafora procedente sulla cresta dei fenomeni. Le stesse analogie morfologiche o funzionali hanno suscitato una diffidenza spesso legittima; così è avvenuto per la concezione organicista della società che, equiparando quest'ultima, sulla base delle numerose analogie funzionali, all'organismo biologico, ha finito col mascherare l'originalità del fenomeno sociale. Ma se le scienze hanno ufficialmente diffidato dell'analogia, clandestinamente l'hanno praticata. Molti uomini di scienza hanno utilizzato il ragionamento analogico per costruire tipologie, elaborare omologie, persino per formulare leggi generali (ma i manuali cancellano le tracce del percorso mentale soggettivo, così come i nobili di recente istituzione cancellano quelle della loro origine plebea). Ci sono persino dei grandi spostamenti teorici che si sono effettuati per analogia. Così lo "strutturalismo" è in origine la trasposizione sull'organizzazione della parentela delle concezioni della linguistica strutturale. Meglio ancora, è per analogia rispetto alla doppia articolazione del linguaggio umano che si è potuto interpretare e concepire il codice genetico delle cellule viventi, quindi è per analogia con la genetica che Chomsky ha introdotto l'idea di "codice genetico della lingua". | << | < | > | >> |Pagina 173E' questo il problema chiave della relazione che troviamo, in tutte le civiltà arcaiche, fra due modi di conoscenza e di azione, l'uno simbolico/mitologico/magico, l'altro empirico/ tecnico/razionale; da una parte, si ha "de facto" una distinzione nettissima fra questi due modi; dall'altra, essi si intrecciano in modo complementare formando un tessuto complesso senza che l'uno attenui o degradi l'altro.I due modi coesistono, si sostengono a vicenda, sono in costante interazione, come se avessero un bisogno permanente l'uno dell'altro; essi possono a volte confondersi, ma sempre provvisoriamente (ogni rinuncia alla conoscenza empirico/tecnico/razionale condurrebbe gli umani alla morte, ogni rinuncia alle credenze fondamentali disintegrerebbe la loro società). Abbiamo parlato di "modo di conoscenza e di azione"; dobbiamo ora usare anche il termine "pensiero", nel senso che il pensiero costituisce il modo superiore delle attività organizzatrici della mente che, in, mediante e attraverso il linguaggio, istituisce la sua concezione del reale e la sua visione del mondo. Possiamo così dire che il pensiero arcaico è ad un tempo uno e doppio ("uniduale"): - empirico/tecnico/razionale; - simbolico/mitologico/magico. Lo sviluppo delle grandi civiltà storiche, iniziato dieci millenni or sono, ha fatto evolvere i due pensieri, come pure la loro dialettica, senza produrre tuttavia una qualsiasi erosione del pensiero simbolico/mitologico/magico. Tale pensiero si è sviluppato, trasformato e integrato nel pensiero religioso e ha continuato a interpretare e ad accompagnare tutti gli atti pratici della vita individuale e sociale, nascite, matrimoni, morti, cacce, semine, raccolti, guerre ecc. Il pensiero empirico/tecnico/razionale ha effettuato molteplici progressi non soltanto fuori della sfera religiosa ma anche all'interno di essa. Così, una scienza tutta osservazione e calcolo come l'astronomia si è formata tra i preti-maghi dell'antico Egitto e dell'antica Caldea, in stretto contatto con un pensiero simbolico/mitologico/magico (astrologia). Peraltro, molti secoli dopo il suo distacco dalla religione, la scienza degli astri ha continuato a racchiudere in sé e ad associare astronomia e astrologia. E' soltanto dopo Newton che si compie, in Occidente, la scissione radicale dell'una dall'altra. E' effettivamente negli sviluppi ultimi della storia occidentale che si istituisce un'opposizione fra la ragione e il mito e che si opera una rottura tra scienza e religione. I formidabili sviluppi scientifici e tecnici non hanno tuttavia in alcun modo prodotto il declino delle religioni o la morte dei miti, e, paradossalmente, è nella loro pretesa di dettar legge all'umanità e di guidarla che la Ragione e la Scienza si troveranno ad essere surrettiziamente parassitate dal mito. | << | < | > | >> |Pagina 175Il simboloTutti questi termini, "simbolo", "mito", "magia", contengono un'insidia. Cominciamo dalla nozione di simbolo. Come abbiamo visto, ogni computazione ha necessariamente a che fare con segni/simboli; io associo questi due termini perché quello di segno racchiude in sé la distinzione forte fra la realtà che gli è propria e la realtà che esso designa e perché la nozione di simbolo racchiude in sé la relazione forte fra la realtà che le è propria e la realtà che essa designa. Come abbiamo visto, ancora, l'originalità della computazione cerebrale è data non soltanto dal fatto che essa tratta questi segni/simboli in modo straordinariamente complesso, ma anche dal fatto che produce rappresentazioni le quali, nella eccezione, si proiettano sul mondo esterno e si identificano alla realtà percepita. Resuscitata da e nella rimemorazione, la rappresentazione restituisce, a dispetto della loro assenza, la presenza concreta degli esseri, delle cose e delle situazioni che essa evoca. La mente umana abita il linguaggio, vive di linguaggio e si nutre di rappresentazioni. Le parole sono ad un tempo indicatori, che designano le cose, ed evocatori, che suscitano la rappresentazione della cosa nominata. E' in questo senso evocatorio concreto che il nome ha una potenzialità simbolica immediata: nominando la cosa esso fa sorgere il suo fantasma e, se il potere di evocazione è forte, resuscita, benché sia assente, la sua presenza concreta. Il nome è quindi ambivalente per natura. Analogamente, ogni figurazione iconica è ad un tempo potenzialmente indicativa e simbolica e può divenire l'una o l'altra cosa. | << | < | > | >> |Pagina 178 [ mitologie, paradigmi ]Il mitoIl mito è inseparabile dal linguaggio e, come "Logos", "Mythos" significa in origine parola, discorso. Logos e Mythos nascono insieme dal linguaggio, poi si distinguono; Logos diviene il discorso razionale, logico e oggettivo della mente che pensa un mondo ad essa esterno; Mythos costituisce il discorso della comprensione soggettiva, particolare e concreta di una mente che aderisce al mondo e lo esperisce dall'interno. In un secondo momento, Mythos e Logos si oppongono: il secondo appare al primo come favola e leggenda priva di verità; il primo appare al secondo come astrazione disincarnata, esterna alle realtà profonde. Ma, come abbiamo detto, una razionalità aperta ha ormai riconosciuto nel mito "un modo di pensiero semanticamente autonomo a cui corrispondono il proprio mondo e la propria sfera di verità" (Cassirer, 1982). Ma quali sono questo pensiero, questo mondo, questa sfera di verità? Per Cassirer, il mito è una forma simbolica autonoma. Di fatto, il discorso-racconto del mito comporta dei simboli, ne produce, se ne nutre. Come il simbolo, il mito racchiude in sé una forte presenza particolare e concreta; come il simbolo, esprime relazioni analogiche e ologrammatiche; come il simbolo, contiene un coagulum di senso; come il simbolo, può contenere una verità nascosta, anzi vari livelli di verità, i più profondi dei quali sono anche i più occulti; come il simbolo, esso resiste alla concettualizzazione e alle categorie del pensiero razionale/empirico; infine, come il simbolo esercita una funzione comunitaria e, più ancora, ci si può chiedere se una comunità umana sia possibile senza il cemento mitologico. Il mito va al di là della sfera del simbolo che pure ingloba. Esso costituisce o un racconto o una fonte di racconti e, se il racconto mitologico costruisce una catena di simboli, esso è, in questo concatenamento stesso, una sequenza di eventi immaginaria o storica, oppure entrambe le cose insieme, cioè una catena leggendaria. Mentre il pensiero strettamente simbolico decifra dei simboli (gli astri, i tarocchi, le linee della mano, le lettere/cifre della Bibbia ecc.), il pensiero mitologico tesse insieme simbolico, immaginario ed eventualmente reale. Le mitologie sono racconti. Di cosa parlano? Certo, i miti più grandi o più profondi raccontano l'origine del mondo, l'origine dell'uomo, il suo status e la sua sorte nella natura, le sue relazioni con gli dèi e gli spiriti. Ma i miti non parlano soltanto della cosmogenesi, del passaggio dalla natura alla cultura, bensì anche di tutto ciò che riguarda l'identità, il passato, il futuro, il possibile, l'impossibile e di tutto ciò che suscita interrogativi, curiosità, bisogni, aspirazioni. Essi trasformano la storia di una comunità, di una città, di un popolo, la rendono leggendaria e, più generalmente, tendono a sdoppiare tutto ciò che capita nel nostro mondo reale e nel nostro mondo immaginario per legarli e proiettarli insieme nel mondo mitologico. Il discorso mitologico supera inoltre il simbolo nei principi di pensiero che lo organizzano. Ma quali sono questi principi? Come riconoscerli? Il mito obbedisce a una logica particolare che non si può definire in modo logico, oppure obbedisce sotterraneamente alla nostra logica? Obbedisce a regole analoghe a quelle messe in luce dalla linguistica strutturale? obbedisce ad altre regole? oppure si esprime al di fuori di ogni regola? Il mito è di una ricchezza travolgente e Lévi-Strauss ha sottolineato che le sue interpretazioni particolari non sono certo in grado di esaurirla. Per parte nostra, ci sembra di poter dire che il mito obbedisce ad una poli-logica (pur comportando anche qualcosa di contingente e di arbitrario). Ma ci sembra anche che questa poli-logica sia governata da alcuni principi organizzativi supremi che sono i "paradigmi", nel senso che tale termine assume nel nostro discorso; per noi appunto un paradigma è costituito da una relazione specifica e imperativa fra le categorie o le nozioni cardine in seno ad una sfera di pensiero che esso comanda determinando l'utilizzazione della logica, il senso del discorso e infine la visione del mondo - dando per scontato che la "visione del mondo" diviene ricorsivamente tanto l'origine quanto il prodotto dei principi che la organizzano. Il primo paradigma del pensiero mitologico è quello dell'intelligibilità attraverso il vivente e non attraverso il fisico, il particolare e non il generale, il concreto e non l'astratto. Il racconto mitologico, quando si propone di narrare la nascita del mondo, quella degli dèi, l'origine della morte, la sorte riservata all'umanità ecc., non fa in alcun modo appello a una causalità generale, oggettiva e astratta: sono sempre delle entità viventi che, attraverso i loro atti concreti e in eventi singoli, creano il mondo, suscitano tutti i fenomeni, costruiscono la sua storia. Il secondo paradigma è il principio semantico generalizzato che elimina tutto ciò che non ha senso e dà significato a tutto ciò che accade. Non esistono eventi puramente contingenti; tutti gli eventi sono in effetti dei segni e dei messaggi che chiedono e ottengono interpretazione. L'universo mitologico è un emettitore di messaggi e ogni cosa naturale è portatrice di simboli. In questo senso, il pensiero mitologico si caratterizza per una proliferazione semantica e per un eccesso di significazioni. E' all'interno di questa paradigmatologia fondamentale che il pensiero mitologico ordina la sua visione dell'uomo, della natura, del mondo a partire da due paradigmi chiave. Il primo di tali paradigmi "di second'ordine" è, a nostro parere, un paradigma antropo-socio-cosmologico di inclusione reciproca e analogica fra la sfera umana e quella naturale o cosmica. Ne risulta che l'universo dispone di caratteri antropomorfi e che, inversamente, l'uomo dispone di caratteri cosmomorfi. L'universo mitologico ci appare come un universo "animista", nel senso che i caratteri fondamentali degli esseri animati sono presenti nelle cose inanimate. Così, nelle mitologie antiche o in alcune mitologie contemporanee di altre civiltà, le rocce, le montagne e i fiumi sono biomorfi o antropornorfi, mentre l'universo è tutto popolato di spiriti, geni, dèi presenti in tutte le cose o dietro di esse. Inversamente, l'essere umano sentirsi della stessa natura delle piante e degli animali, può con essi, trasformarsi in essi, essere abitato o aver rapporti posseduto dalle forze della natura. Così, la tessitura stessa di questo universo, di carattere analogico, permette le metamorfosi nei due sensi, fra esseri umani da una parte, animali o piante e persino cose dall'altra. Un mito chiave universale, legato a questa possibilità, è quello della Morte-Rinascita, in cui morire è una trasformazione che fa rinascere sotto altra forma, vegetale, animale o umana. | << | < | > | >> |Pagina 196Il pensiero e il suo doppioIl pensiero mitologico è carente se non è capace di accedere all'oggettività. Il pensiero razionale è carente se è cieco al concreto e alla soggettività. Il primo è sprovvisto di immunità empirico/logica contro l'errore. Il secondo è sprovvisto del senso che percepisce il singolare, l'individuale, il comunitario. Il mito nutre ma offusca il pensiero; la logica controlla ma atrofizza il pensiero. Il pensiero logico non può superare l'ostacolo della contraddizione; il pensiero mitologico lo supera anche troppo bene. I due pensieri sarebbero allora due devianze di un pensiero complesso non ancora giunto alla completezza? Oppure questa dualità è insormontabile e può al massimo esser portata alla coscienza, riflessa e resa complementare? Il lettore che ha seguito la mia analisi dall'inizio immagina già che non è che io intenda propugnare un superamento totalizzante che ingloberebbe armoniosamente l'uno e l'altro pensiero. Ciò che io voglio e posso prendere in considerazione, piuttosto, è lo sviluppo di una razionalità complessa capace di riconoscere la soggettività, la concretezza, il singolare, ed è con questo e su questo che lavoro; ciò a cui miro è lo sviluppo autocritico della tradizione critica, uno sviluppo che riconosca non soltanto i limiti della razionalità ma anche i pericoli sempre rinascenti della razionalizzazione, in altre parole della trasformazione della ragione nel suo contrario; è lo sviluppo di una ragione aperta, che sappia dialogare con l'irrazionalizzabile. Una ragione aperta può comprendere ad un tempo le carenze e gli eccessi dell'uno e dell'altro pensiero. Essa può comprendere anche le virtù contrarie. Può capire per esempio che il simbolo, la simpatia, la proiezione/identificazione e persino l'antropo-cosmomorfismo possono essere necessari alla comunicazione e alla comprensione. E' infine lo sviluppo di una razionalità capace di criticare la ragione e insieme lo sviluppo di un pensiero complesso (due aspetti dello stesso processo) che può portarci non al superamento dell'alternativa ma al dialogo cosciente dei due pensieri, alla loro convivialità civilizzata, forse persino alla trasformazione dell'uno da parte dell'altro; ma diviene allora necessario non soltanto che la ragione aperta concepisca il simbolo, il mito e la magia ma anche che il pensiero simbolico/mitologico possa ragionarsi, in altre parole concepirsi come pensiero simbolico/mitologico. Siamo forse arrivati al punto e al momento in cui possiamo e dobbiamo far dialogare i nostri miti con i nostri dubbi, i nostri dubbi con i nostri miti. Abbiamo un bisogno imperioso della correzione empirico/logico/razionale su tutte le nostre attività mentali, ma abbiamo anche un bisogno vitale della stoffa immaginaria/simbolica che contribuisce a tessere la nostra realtà, la stessa di cui sono fatti i miti: "We are such stuff as dreams are made." Il pensiero razionale ha bisogno del suo doppio. | << | < | > | >> |Pagina 212Ci sono evidentemente diversi modi, tipi e livelli di invenzione e di creazione (di dettaglio, d'insieme, tecnica, letteraria, filosofica, scientifica ecc.). Le invenzioni e le creazioni che si inscrivono nei principi, nelle regole, negli schemi, nelle teorie preesistenti derivano da un'inventività o da una creatività banale, quotidiana anzi. Più rare sono le invenzioni che trasgrediscono a queste regole, e le creazioni che le sovvertono. Le creazioni più creative sono quelle che concepiscono un nuovo concetto, che costituiscono un nuovo sistema di idee (teoria), che apportano un principio di intelligibilità che modifica i principi e le regole che governano le teorie. Queste creazioni del pensiero cambiano contemporaneamente la nostra visione delle cose, la nostra concezione del mondo e la realtà stessa di questo mondo. Copernico, Galileo, Keplero, Newton, Planck, Einstein, Bohr hanno tutti generato un mondo nuovo.E' degno di nota che i progressi della conoscenza oggettiva abbiano bisogno di immaginazione creatrice. Ripetiamolo: non sono soltanto i grandi sistemi filosofici, sono anche le scoperte scientifiche apparentemente più evidenti a posteriori - quelle dell'attrazione universale o dell'equivalenza massa/energia, per esempio - che sono il frutto di un'immaginazione sorprendente. L'immaginazione elabora forme o figure nuove, inventa/crea sistemi a partire da elementi captati qua e là o isolati dai sistemi di cui facevano parte, cosa che conferma, nella sfera del pensiero, il carattere bricoleur di ogni evoluzione creatrice. Il pensiero, quando si trova di fronte ai problemi che tenta di risolvere, si imbatte in rotture, in blocchi, subisce turbolenze e tormenti, rischia la regressione o il delirio. L'immaginazione rischia l'illusione. La creazione ha spesso generato mostri. Solo raramente il pensiero riesce a dispiegare la sua complessità dialogica e le sue capacità creatrici. Ma anche se è raro e difficile, non è con questo che il pensiero sia prerogativa di un settore specializzato che sarebbe la filosofia. Fortunatamente, c'è del pensiero vivo nelle scienze, nelle tecniche, nella vita quotidiana, c'è pensiero negli analfabeti, come in tutti coloro che percepiscono, concepiscono, riflettono per loro conto. In questo senso, il pensiero è e rimane un'attività personale e originale. | << | < | > | >> |Pagina 224L'intelligenza, il pensiero, la coscienza non sono soltanto interdipendenti: ciascuno di questi termini ha bisogno degli altri per esser definito e concepito. Così il pensiero richiede arte e strategia cognitiva, cioè intelligenza. L'intelligenza ha bisogno di pensiero, in altre parole di dialogiche polimorfe della mente, ed ha bisogno della disposizione a concepire. La coscienza ha bisogno di esser controllata dall'intelligenza, la quale ha bisogno di prese di coscienza. Il pensiero ha bisogno di riflessione (coscienza) e la coscienza di pensiero.----- Intelligenza\ / pensiero \ / coscienzadevono anch'essi associarsi a una dialogica fra razionalità immaginazione. Così, possiamo concepire le attività superiori della mente secondo una costellazione di istanze interdipendenti, meglio, di istanze producentisi l'una con l'altra in un anello ricorsivo. La combinazione fra le qualità messe in opera si modifica secondo i problemi; le capacità combinatone variano con gli individui e la cultura che li ha formati. Si ha un'enorme varietà di stili cognitivi cioè di stili di intelligenza, di pensiero e di coscienza. Ci sono per esempio degli "olisti" (global learners) che colgono insiemi e forme globali e dei "serialisti" (step by Step learners) che hanno bisogno di procedere elemento per elemento, così, un essere umano vede i suoi problemi, la società, il mondo secondo il suo stile cognitivo. Detto questo, non si devono rinchiudere gli individui in uno stile cognitivo; ciascuno ha il suo stile dominante, anche se può eventualmente utilizzare in modo secondario gli altri stili. Inversamente, ci sono fattori, individuali e culturali, di irrigidimento o sclerosi degli stili cognitivi (invecchiamento, conformismo, specializzazione). | << | < | > | >> |Pagina 225Ciò equivale a dire, tra l'altro, che le virtualità spirituali e intellettuali di cui ogni individuo dispone sono per lo più inibite dall' "imprinting" socio-culturale e che un complesso di condizioni esterne favorevoli è necessario alla loro attualizzazione. Ma, perché si abbia un pensiero che sia ad un tempo critico, radicale, inventivo e addirittura creatore occorre che si dia anche un complesso di condizioni interne, a cominciare dalla propensione personale a resistere all'imprinting, dalla capacità di stupirsi e di lasciarsi sorprendere, dalla passione della conoscenza e dal gusto dell'avventura.La creazione è ancora rara e presuppone sempre un'originalità, anzi una devianza e forse a volte una certa infermità; la mancata disposizione a integrarsi nel proprio gruppo e nella propria società, l'incapacità di imitare il comportamento dominante negli altri, l'impossibilità di aderire a ciò che è riconosciuto, ammesso, evidente, possono essere all'origine di una nuova concezione, persino nel campo scientifico. Così, è probabilmente significativo che il piccolo Einstein non fosse capace di sentire il tempo come lo si sentiva nell'ambiente che lo circondava e che si sia mostrato così poco capace di entrare nei sistemi di idee dominanti. Ciò equivale a dire che l'invenzione e la creazione vanno al di là delle forme e delle regole ammesse, che superano, trascendono i quadri ordinari della ragione e ci rimandano tanto alla singolarità delle personalità dette in questo senso "geni" quanto alle attitudini psico-cerebrali più profonde dell'homo sapiens. | << | < | > | >> |Pagina 227CONCLUSIONI DEL LIBRO PRIMO Possibilità<->limiti della conoscenza umana I. LE CONDIZIONI DELLA CONOSCENZA L'attività cognitivaLa conoscenza è ad un tempo attività (cognizione) e prodotto di tale attività. Sono le condizioni e i caratteri bio-antropologici dell'attività cognitiva che abbiamo esaminato in questo Libro primo. La conoscenza mentale, spirituale è la conoscenza propriamente umana, anche se è l'emergenza ultima di uno sviluppo cerebrale in cui si compie l'evoluzione biologica dell'ominizzazione e comincia l'evoluzione culturale dell'umanità. La conoscenza cerebrale è essa stessa uno sviluppo particolarmente originale di una conoscenza inerente ad ogni organizzazione vivente. L'attività computante, in effetti, caratterizza in modo originario e fondamentale ogni organizzazione biologica e racchiude in sé una dimensione cognitiva. In questo senso, si può vivere solo con una certa quantità di conoscenza: 1) la vita può auto-organizzarsi solo con e attraverso la computazione: 2) l'essere vivente può sopravvivere in un determinato ambiente solo con e attraverso una conoscenza di tale ambiente. "La vita non è né vivibile né vitale senza conoscenza." La mente umana, che può emergere solo in una cultura, è inconcepibile senza il cervello, che è inconcepibile senza inter-retro-poli-computazioni. La conoscenza culturale è ad un tempo culturale, spirituale, cerebrale e computante. Come ogni conoscenza vivente, la conoscenza umana è la conoscenza di un individuo che è ad un tempo prodotto e produttore di un processo auto-(geno-feno-ego-)eco-ri-organizzatore. Come ogni conoscenza individuale, la conoscenza umana è ad un tempo soggettiva (caratterizzata dall'ego-geno-sociocentrismo) e oggettiva (caratterizzata dall'operazionalità e dall'efficacia nel trattamento degli oggetti). Come ogni conoscenza cerebrale, la conoscenza umana è, nella sua origine e nei suoi sviluppi, inseparabile dall'azione; come ogni conoscenza cerebrale, essa elabora e utilizza strategie per risolvere i problemi posti dall'incertezza e dall'incompletezza del sapere. Come ogni conoscenza cerebrale, la conoscenza umana organizza in rappresentazioni (percezioni, rimemorazioni) le informazioni che essa riceve e i dati di cui dispone. Ma, a differenza di qualsiasi altra conoscenza cerebrale (animale), la conoscenza umana associa ricorsivamente attività computante e attività cogitante (pensante) e produce correlativamente rappresentazioni, discorsi, idee, miti, teorie; essa dispone del pensiero, attività dialogica di concezione, e della coscienza, attività riflessiva della mente su se stessa e sulle sue attività; il pensiero e la coscienza utilizzano necessariamente, l'uno e l'altra, i dispositivo linguistico-logici, i quali sono ad un tempo cerebrali, spirituali e culturali. | << | < | > | >> |Pagina 229La conoscenza può relativamente emanciparsi in una vita umana, ma non può affrancarsi dalla vita: si conosce per vivere, poi, non appena la conoscenza si emancipa, si vive per conoscere.| << | < | > | >> |Pagina 237La mente è nel mondo che è nella menteCome aveva ben visto Kant, noi possiamo conoscere il mondo dei fenomeni solo se la nostra mente opera su di esso il suo intervento organizzatore. Ma, secondo Kant - ed era appunto questo il senso della sua "rivoluzione copernicana" - la conoscenza razionale non integra affatto nella mente le forme e le strutture del mondo esterno, anzi, è imponendo al mondo le proprie strutture che la mente conosce. Così, il Tempo e lo Spazio non sono caratteri intrinseci della realtà ma forme a priori della sensibilità. Essi precedono ogni esperienza e fanno parte della nostra considerazione soggettiva. Analogamente, la causalità o la finalità sono categorie a priori dell'intelletto. Così, lo spazio, il tempo, le categorie fondamentali (quantità, qualità, relazione, modalità) ci designano non il modo d'essere della realtà ma il nostro modo di conoscerla. Correlativamente, qualsiasi uso dell'intelletto, in altre parole qualsiasi sintesi del multiplo, presuppone sempre un'operazione unificante da parte del soggetto conoscente, un "io penso" (cosa che noi abbiamo qui concepito come un computo<->cogito). Così, il soggetto trascende l'esperienza sensibile nel suo modo a priori di formare la conoscenza. Una tale conoscenza può e deve essere oggettiva, ma questa oggettività riguarda i nostri rapporti con il mondo, in altre parole le nostre percezioni dei fenomeni, non il mondo in sé. Quest'ultimo è inaccessibile alle nostre facoltà cognitive. Le strutture della nostra mente, che permettono la conoscenza dei fenomeni, la rendono incapace di andare al di là o al di qua, nella natura profonda del reale. | << | < | > | >> |Pagina 240Leibniz aveva formulato la prima concezione ad anello della relazione fra la mente e i dati forniti dai sensi: nulla è nella mente che prima non sia stato nei sensi, nulla se non la mente stessa. Ma occorre anche, in virtù del principio dialogico/ricorsivo/ologrammatico, reintrodurre la mente nel mondo e il mondo nella mente, enunciando la seguente formula complementare: il mondo è nella nostra mente che è nel mondo. Detto in altro modo: il nostro mondo è racchiuso nella nostra mente/cervello, la quale è racchiusa nel nostro essere, il quale è racchiuso nel nostro mondo.Non occorre soltanto che la mia mente/cervello sia separata dal mondo, occorre anche, correlativamente, che, in un certo modo, il mondo sia presente in essa perché io possa effettuare riproduzioni più o meno analogiche e omologiche, cioè perché io possa più o meno conoscerlo. "Così, lo statuto di inerenza/separazione/comunicazione e l'opera di costruzione traduttrice, propri della conoscenza, sono inseparabili dallo statuto ologrammatico dell'essere conoscente." Di qui la necessità fondamentale, se vogliamo conoscere meglio, di legare la conoscenza del mondo (fisico, biologico, sociale) alla conoscenza della conoscenza: "Più profondamente sondiamo l'universo e più profondamente sondiamo la nostra stessa mente" (Jurii Moskvitin); reciprocamente; più a fondo penetriamo nella nostra mente, più profondamente sondiamo l'universo. A questo punto, "diviene per noi necessario legare la conoscenza dei mondo alla conoscenza della mente conoscente, e viceversa." La realtà della Realtà Se facciamo parte di un mondo fenomenico che fa parte di noi, possiamo concepire che questo mondo sia ad un tempo fuori e all'interno della nostra mente e, benché non possiamo concepirlo indipendentemente da noi, possiamo però riconoscergli indipendenza e consistenza. Potremmo pensare ormai che il mondo dei fenomeni sia totalmente riabilitato e che ciò renda privo di qualsiasi interesse il problema del "mondo in sé". Invece il problema kantiano di un "mondo in sé", più "reale", più "profondo", più "vero" del mondo dei fenomeni, è resuscitato nel nostro secolo non a partire da un rinnovamento filosofico della critica della ragion pura ma a partire dai progressi dell'indagine delle scienze fisiche su e nel mondo dei fenomeni. E' in effetti notevole che le scienze fisiche abbiano raggiunto e superato le frontiere della ragion pura. La fisica relativista e la fisica quantistica si sono emancipate non soltanto dalle nostre limitazioni sensoriali ma anche e soprattutto dagli schemi che governano la nostra percezione. La micro-fisica ha trovato e provato zone di realtà che, pur rimanendo empiricamente individuabili e intellettualmente computabili, non obbediscono quasi più alle nostre forme e categorie a priori. Contemporaneamente, queste scienze sono entrate in una terra di nessuno in cui sorgono antinomie che superano l'intelletto; così, siamo arrivati a una realtà micro-fisica "di base" in cui il materiale è contemporaneamente immateriale, il continuo discontinuo, il separato non separabile, il distinto indistinto; qui la cosa e la causa si confondono confondendo così immediatamente il nostro sentimento di realtà; l'oggetto non è più esattamente localizzabile nello spazio; il tempo del divenire vi si perde, poiché il nostro divenire concerne solo la formazione, lo sviluppo e la disintegrazione di organizzazioni che articolano i loro elementi costitutivi in sistemi. Più ancora, è su tutti i versanti che si opera, nel nostro secolo, la corrosione dell'universalità e dell'assolutismo del Tempo e dello Spazio; questi ultimi si sono fusi alla scala macro-cosmica in cui la relatività einsteiniana ha dimostrato che non esiste un Tempo Universale indipendente dagli osservatori. In seguito, l'astro-fisica ci ha condotto alla contraddizione genesica di un mondo spazio-temporale che nasce da un non-mondo senza spazio e senza tempo (teoria del big bang). Infine, l'esperienza di Aspect ci mette di fronte alla contraddizione ontologica di una realtà spazio-temporale apparentemente inseparabile da una realtà apparentemente non-spazio-temporale. Si pone quindi di nuovo il problema: lo Spazio e il Tempo sono soltanto i Modi che ci permettono di separare e distinguere, cioè di conoscere, oppure rimangono ancora dotati di una certa realtà, benché relativizzati e incompleti? In ogni modo, sembra proprio che la realtà fisica comporti qualcosa di meta- o infra-spaziale, di meta- o infra-temporale. E' plausibile, come si è spesso supposto, che siamo in un universo polidimensionale di cui tre dimensioni soltanto ci sarebbero percettibili. E' possibile che le profondità del mondo fisico ignorino separazioni, tempo, spazio, benché siano state e probabilmente rimangano la fonte generatrice della nostra "physis" del tempo, dello spazio e della separazione (da ciò era appunto nata la nostra idea di un Caosmo, Metodo 1, pp. 73-84). | << | < | > | >> |Pagina 244Il mondo conoscibilePerché si abbia conoscenza, occorre non soltanto che si abbia una separazione fra il dispositivo cognitivo e i fenomeni da conoscere, oltre che un'inerenza a un mondo comune, ma anche che si diano separazioni e differenze in seno ai fenomeni e fra i fenomeni che fanno capo a un medesimo mondo. Correlativamente, perché si abbia un mondo (fenomenico) occorre che quest'ultimo sia ad un tempo uno e diverso, in altre parole che i fenomeni siano inerenti ad esso pur essendo differenti e separati. Un mondo totalmente indistinto non può accedere all'esistenza fenomenica. Come ci è tramandato dalla versione attuale delle origini, il Mondo è nato da un'esplosione separatrice, e la frammentazione è stata la sua prima condizione d'accesso all'esistenza. Così le condizioni d'esistenza della conoscenza sono le stesse condizioni d'esistenza del suo mondo: l'una e l'altro nascono dalla separazione. Come abbiamo visto, è sotto forma di differenze e di identità, di variazioni e di costanze, di irregolarità e di regolarità che il mondo si presenta ai nostri recettori sensoriali. |
| << | < | > | >> |RiferimentiBibliografia ALLEAU, R. (1983), La scienza dei simboli. Contributo allo studio dei principi e dei metodi della simbolica, Sansoni, Firenze. ANDERSON, A.R. (1983), Pensée et machine, Champ Wallon (distr. PUF), Seyssel. ANDERSON, B.F. (1975), Cognitive Psychology. The Study of Knowing, Learning and Thinking, Academic Press, London. ANOKHIN, P.K. (1973), La formation de l'intelligence naturelle et de l'intelligence artificielle, in 'Impact, Scienee et Société', XXIII, 3, pp. 213-31. BATESON, G. (1976), Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano. BENVENISTE, 2. (1985), Della soggettività nel linguaggio, in Problemi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano. BERLIN, B., KAY, P. (1969), Basic Color Terms, Univ. of California Press, Berkeley. BISHOF, N., in PIATTELLI PALMARINI, M. (1979), pp. 345-7. BORILLO, M. 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