Copertina
Autore Gianluca Morozzi
Titolo Cicatrici
EdizioneTea, Milano, 2012 [2010], teadue 1994 , pag. 236, cop.fle., dim. 12,8x19,2x2 cm , Isbn 978-88-502-2778-5
LettoreGiangiacomo Pisa, 2012
Classe narrativa italiana
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Indice


Prologo. Il massacro                              9

I.   La strana storia del tipografo triste       21

II.  1942, e oltre                              195

III. Karmageddon                                215


Ringraziamenti e note                           229


 

 

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Pagina 9

PROLOGO
Il massacro



Suo padre prese un fucile e sparò. Questo è quel che successe all'inizio.

Il padre di Kate una sera impazzì, prese un fucile, lo puntò su sua moglie, suo figlio e sua figlia. Uno dei tre riuscì a fuggire.

E questo è quello che accadde all'inizio.

Il principio di una lunga, lunghissima catena di terribili eventi.

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Pagina 12

C'era una famiglia di quattro persone. Viveva in Irlanda, a sei chilometri da Limerick, in una bella casetta a due piani. Uno sterrato in mezzo ai campi collegava la casa alla strada asfaltata, a meno di un chilometro di distanza.

In quella casa viveva una coppia con due figli, Pat, il primogenito, e la tredicenne Kate.

Affacciandosi alla sua finestra, Kate poteva vedere un fossato acquitrinoso profondo un metro e mezzo e campi verdi dappertutto. Per raggiungere l'abitazione più vicina avrebbe dovuto camminare per dieci minuti costeggiando il fossato, e in quell'abitazione ci avrebbe trovato soltanto un innocuo e allegro ubriacone di nome Sean. Ma Kate, dalla casetta a due piani in mezzo ai campi, ci usciva soltanto per andare a scuola.

Sua madre amava moltissimo la musica. Cucinava, rammendava, lucidava con la radio sempre accesa. Si rattristava per le terribili notizie provenienti dal mondo, ma quando sentiva la musica accennava qualche piccolo e controllato balletto, alle prese con la scopa e la polvere.

Quella sera d'inizio estate, Kate era seduta al tavolo sparecchiato impegnata a disegnare. Indossava una camiciola color salmone.

Il sole era tramontato. Sua madre stava lavando i piatti canticchiando la canzone che usciva dalla radio. Il padre di Kate era seduto in poltrona senza dire niente.


*



Pat non amava la musica. Amava il calcio. Sognava di diventare un formidabile attaccante.

Pat si allenava tirando un pallone di pezza tra due sedie. Ogni volta che il pallone varcava lo spazio tra le sedie, Pat urlava Gol! e andava a riprendere il pallone. Palleggiava due o tre volte, e tornava a calciare verso quella porta improvvisata.

Kate ignorava la canzone alla radio e le urla di suo fratello. Stava disegnando una ballerina classica che danzava davanti a una folla di spettatori incantati.

Kate, da grande, sarebbe diventata una ballerina. Lo aveva ripetuto fino allo sfinimento a sua madre, suo padre e suo fratello.

La canzone era giunta allo snodo centrale. Il padre di Kate guardava il vuoto, del tutto privo di espressione.

Pat aveva preso il pallone sotto braccio.

«Ehi, ranocchia, basta disegnare. Vai in porta.»

«No» aveva sbuffato Kate senza neppure guardarlo.

«Dai» aveva insistito Pat, «quaranta rigori poi torni a disegnare.»

«No» aveva detto Kate.

«Trentacinque» aveva mercanteggiato Pat, mentre suo padre si alzava lento e calmo dalla poltrona.

«No» aveva ripetuto Kate mentre suo padre scompariva nell'altra stanza.

Pat aveva urtato la mano destra di Kate. La matita aveva tracciato un lungo frego nero, sopra le teste degli spettatori.

«Scemo!»

«Bleaaah.»

Pat aveva ripreso a tirare rigori tra le sedie. Kate non si era scomposta per quel segnaccio sul disegno. Lo aveva utilizzato artisticamente, trasformandolo nel bordo di un tendaggio.

La canzone stava sfumando per lasciare il posto a un brano molto in voga in quel periodo.

Sua madre aveva detto: «Bambini, non litigate». Teneva un piatto stretto nella mano sinistra.

Suo marito era tornato in cucina.

E in questo momento, in questo preciso momento, incomincia la storia. La terribile sequenza di terribili eventi.


Nessuno sa cosa accadde quella sera, che cosa si ruppe nella testa del padre di Kate. Forse una tara congenita. O una forma di pazzia ereditaria. O qualcosa di semplicemente incomprensibile.

Nessuno lo notò mentre rientrava in cucina, con gli occhi più freddi che il mondo avesse mai visto. Il padre di Kate era impazzito in quel preciso momento, come se la musica alla radio avesse spento un interruttore nel suo cervello.

La madre era impegnata con i piatti e con la musica. Pat giocava col suo pallone. Kate era alle prese con le sue matite.

Nessuno vide il fucile puntato su Pat.


La testa del ragazzo esplose.

Esplose, letteralmente, disintegrata dalla prima pallottola.

Perché quell'uomo impazzito avesse deciso di cominciare dal primogenito, nessuno lo sa. Nel giro di una frazione di secondo, il tavolo, la radio, il disegno della ballerina, tutto era stato imbrattato di pezzi di cervello e fiotti di sangue.

Kate si girò a bocca aperta. Vide il corpo decapitato cadere in avanti.

Sua madre si voltò a occhi sbarrati. Lasciò cadere il piatto, che si infranse sul pavimento della cucina.

Il fucile esplose un altro colpo.

La testa della madre scoppiò in mille pezzi, come una zucca scagliata giù da un grattacielo.


L'assassino non aveva espressione. La sua faccia era la faccia di uno che non sta abitando il proprio corpo. Sterminava la propria famiglia, lontano miliardi di chilometri da quella cucina chiazzata di sangue.


Nel momento in cui il piatto si infrangeva sul pavimento della cucina, due forze contrapposte stavano lottando nel corpo della giovane Kate.

La prima forza, quella chiamata shock, tendeva a paralizzarla lasciandola preda inerme dello sparo successivo.

La seconda forza, quella nota come istinto di conservazione, urlava disperatamente di lasciare quella maledetta sedia e correre come il vento verso la via di fuga più vicina.

Vinse l'istinto di conservazione.

Mentre suo padre si girava lento verso di lei, Kate schizzò su per la scala che portava al piano di sopra. La canna del fucile cambiò rapidamente direzione, seguendo la corsa della ragazzina, ma la terza pallottola si conficcò in un gradino.

Kate, velocissima, raggiunse la porta del bagno. Si chiuse dentro, ansante e terrorizzata, si appoggiò alla parete, con gli occhi spalancati e il cuore che batteva a mille all'ora. Al di là della porta chiusa a chiave, sentiva i passi pesanti di suo padre che saliva i gradini. Piano. Senza fretta.

Kate doveva pensare a come salvarsi la vita, e doveva pensarci alla svelta. Sarebbe stato uno scherzo, per la macchina di morte che il padre era diventato, far saltare la serratura dall'esterno. Sarebbe bastato un colpo di fucile.

Kate aprì la finestrella del bagno e guardò sotto, nel buio. Era un salto di pochi metri. Poteva saltar giù, scappare via, correre alla casa più vicina — quella di Sean — oppure correre per un chilometro fino alla strada asfaltata, poi per sei chilometri fino a Limerick, e lì entrare in un pub e chiedere aiuto.

Suo padre era ormai a pochi gradini dalla porta. Kate mise un piede oltre il davanzale. Poi l'altro piede. Chiuse gli occhi.

E fece il salto.


Kate soffocò un urlo. All'impatto col suolo, la sua caviglia sinistra si era piegata in modo innaturale con un piccolo e agonizzante crac!

Kate poggiò una mano a terra, lì, nel cortile in cui giocava con suo fratello. Piangeva, stringendo i denti.

Uno sparo la fece trasalire: suo padre aveva fatto saltare la serratura del bagno. Di lì a pochi secondi si sarebbe affacciato alla finestra per individuare sua figlia nel buio, e l'avrebbe freddata dall'alto come un cecchino. Kate doveva ignorare il dolore, allontanarsi, cercare rifugio nell'oscurità.

Zoppicante, piangendo a ogni passo, si allontanò dalla casa. Non osava voltarsi: temeva di vedere la sagoma del padre contro la finestra aperta, e la canna del fucile puntata in direzione della sua testa. Continuò a zoppicare nel buio, spinta solo dall'adrenalina.

Non sarebbe mai arrivata fino a Limerick né a casa di Sean, con la caviglia in quelle condizioni. Non sarebbe arrivata neppure alla strada asfaltata se non strisciando, lento e facile bersaglio. Doveva trovare un rifugio lì, subito.

L'unico nascondiglio possibile era il fossato.

Kate si lasciò scivolare giù per un metro e mezzo, cercando di non atterrare sul fondo con il piede ferito. Era a trenta passi appena da casa, ma forse il buio, il fango, le foglie, l'avrebbero nascosta...

Raggomitolata sul fondo del fossato iniziò a pregare, gli occhi chiusi e le orecchie attentissime a captare i passi del padre. Sentiva solo il battito feroce e accelerato del suo cuore che martellava nelle tempie.


Il tempo prese a scorrere in avanti, la sera a diventare notte. Faceva freddo, un freddo terribile. L'estate irlandese aveva fatto una timida e vaga apparizione ai primi del mese, ma poi, per dieci giorni di fila, non aveva fatto altro che piovere e piovere ancora.

A un certo punto Kate si convinse che sarebbe morta, lì, nel fango umido e ghiacciato, indossando soltanto una camiciola inadeguata. Strani insetti e animali strisciavano intorno al suo corpo tremante. Il battito dei suoi denti si era fatto così forte che suo padre, temeva, avrebbe potuto trovarla anche solo seguendo quel rumore.

Ma le ore erano passate, e il pazzo che aveva ucciso sua madre e suo fratello non aveva dato segno della sua presenza. Kate non aveva udito passi intorno alla casa, non lo aveva visto aggirarsi per i campi con una torcia.

Che si sia suicidato?, pensò allontanando un ragno. Forse il rimorso, chissà...

Se si era suicidato, di certo non aveva usato il fucile. Forse lo aveva fatto in modo silenzioso. Forse.

Kate decise di non rischiare. Il suo corpo ormai era una centrale di freddo e di terrore, raggomitolata com'era nel fango e nelle erbacce.

A un certo punto, dopo secoli, il cielo aveva iniziato a rischiararsi. Kate cercò di sviare i pensieri dal gelo, e di concentrarsi sulla situazione.

Di lì a poco sarebbe stato giorno, e la protezione dell'oscurità sarebbe venuta meno. Che fare? Rischiare il tutto per tutto e tornare in casa, sperando di trovare suo padre appeso a un cappio? Zoppicare fino alla strada asfaltata?

Mentre Kate analizzava le varie ipotesi, un suono l'aveva fatta ritornare in vita.

Era Sean, l'ubriacone della zona. Lungo lo sterrato, in lontananza, cantava la sua solita canzone sul figlio della signora McGrath mutilato in guerra. Quel canto, per Kate, era la salvezza.

Sean amava andare a Limerick al sorgere del sole, camminare sei chilometri e aspettare l'apertura del suo pub preferito. Per andare a Limerick, Sean doveva per forza passare davanti a casa loro. E al rifugio di Kate.

Usando le mani e il piede buono, Kate si alzò in piedi. La sua testa sbucava a malapena dal bordo del fossato.

Iniziò ad agitare le braccia in direzione dell'uomo, che era a un centinaio di metri di distanza. «Aiuto!» gridò. «Aiuto! Ho bisogno d'aiuto!»

Era salva. Sì, avrebbe avuto incubi per anni, l'incubo di suo padre impazzito, sua madre e suo fratello devastati dai proiettili, la notte passata in un gelido e fangoso fossato, ma la sua vita era salva.

«Aiuto!» urlò di nuovo. «Signor Sean, mi aiuti!»

In quel momento, un'ombra coprì il sole del mattino.


Suo padre era in piedi accanto al fossato. Guardava in giù, gli occhi spenti e inespressivi.

Sean aveva smesso di cantare.

Il padre di Kate puntò il fucile sulla figlia nel fossato.

Kate fece un passo indietro, e il piede sano sprofondò nell'acquitrino.

«Papà!» singhiozzò disperata.

Il dito di suo padre si incurvò sul grilletto.

Blamm.

Kate cadde all'indietro, di nuovo riversa nel freddo e nel fango, mentre la pallottola le spaccava il cuore.

Fece in tempo a sentire Sean che gridava. Vide suo padre ficcarsi in bocca la canna del fucile, in piedi sul bordo del fossato.

Poi non vide né sentì più niente.

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