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| << | < | > | >> |Pagina 3È facile rispondere alla domanda che mi sento fare più spesso. Domanda: come hai cominciato a scrivere? Risposta: è buffo, ma è stato rivolgendo praticamente questa stessa domanda a qualcuno, e ci sono riuscita solo grazie a una dose di straordinaria fortuna.È meglio che mi spieghi. La mia fortuna è stata, naturalmente, la sfortuna di qualcun altro. Ho scoperto che capita spesso. La telefonata è stata sconvolgente. È arrivata una domenica sera. Lavoravo al giornale da tre sole settimane. Ero una cronista d'assalto al mio primo lavoro retribuito. «Lesley.» Era il mio capo, la responsabile delle pagine arte e spettacoli Meryl Monkton, una signora con cui era meglio rigare dritto. Non perse tempo in convenevoli; non lo faceva mai. «Senti, Lesley, ho un problema. Dovevo andare a Venezia domani, a intervistare Paolo Levi.» «Paolo Levi?» chiesi io. «Il violinista?» «Esiste un altro Paolo Levi?» Non fece nulla per nascondere la sua irritazione. «Senti, Lesley. Ho avuto un incidente mentre sciavo e sono bloccata in ospedale in Svizzera. Devi andare a Venezia al mio posto.» «Oh, è terribile» dissi, cercando di reprimere l'eccitazione. Avevo cominciato da tre settimane, e avrei intervistato il grande Paolo Levi, a Venezia! Parla dell'incidente, mi dissi. Devi sembrare preoccupata. Devi sembrare molto preoccupata. «Com'è successo?» chiesi. «L'incidente mentre sciavi, intendo.» «Mentre sciavo» tagliò corto lei. «Se c'è una cosa che non sopporto, Lesley, è la compassione.» «Mi dispiace» dissi. «Sposterei l'appuntamento, se potessi, Lesley» riprese, «ma non oso farlo. Mi ci è voluto più di un anno per convincerlo. Sono anni che non concede un'intervista. E ho dovuto accettare di non fargli la domanda su Mozart. Quindi non fargli la domanda su Mozart, è chiaro? Se gliela fai, è probabile che mandi a monte tutto, è già successo. È una gran fortuna intervistarlo, Lesley. Vorrei tanto poterlo fare io. Ma dovrai farlo tu.» «La domanda su Mozart?» chiesi, esitante. Un lungo silenzio all'altro capo del filo. «Vuoi dire che non sai di Paolo Levi e della domanda su Mozart? Ma dove vivi, ragazza? Non sai niente di Paolo Levi?» All'improvviso capii che se non davo l'impressione di essere informata, e bene, rischiavo di perdere l'occasione. «Be', è nato a metà degli anni Cinquanta» cominciai. «Deve avere una cinquantina d'anni.» «Ne compie cinquanta tra due settimane» mi interruppe stancamente Meryl Monkton. «Il suo concerto londinese sarà il concerto del suo cinquantesimo compleanno. È per questo che lo intervistiamo. Vai avanti.» Sparai tutto quello che sapevo. «Bambino prodigio e genio, come Yehudi Menuhin. Ha tenuto il suo primo concerto importante a tredici anni. È noto a tutti per le sue interpretazioni di Bach e Vivaldi. Come Menuhin, ha suonato spesso con Grappelli; è ugualmente a suo agio col jazz, con la musica scozzese per violino e con Beethoven. Ha suonato praticamente in tutte le sale da concerto più importanti del mondo, davanti a presidenti e re e regine. Io l'ho sentito a Londra, alla Royal Festival Hall, tipo cinque anni fa. Suonava il Concerto per violino di Beethoven; è stato meraviglioso. Non gli piacciono gli applausi. Non aspetta mai gli applausi. Non ci crede, a quanto pare. La sera che l'ho sentito io è uscito di scena e non è più tornato. È convinto che sia la musica a dover essere applaudita, o semmai il compositore, ma certo non il musicista. Dice che il silenzio dopo un esecuzione è parte della musica e non dovrebbe essere interrotto. Niente incisioni. Crede che la musica debba essere dal vivo, non imprigionata. Difende con tutte le forze la propria vita privata. Solitario. Reticente. Vive da solo a Venezia, dov'è nato. È praticamente il musicista più celebre del pianeta, e...» «È decisamente il più famoso, Lesley, ma detesta i complimenti. Gli piace chi parla franco. Quindi niente inchini, niente adulazioni, niente occhioni sgranati, e soprattutto niente nervi. Pensi di farcela?» «Sì, Meryl» risposi, sapendo benissimo che mi sarebbe stato difficilissimo anche solo aprir bocca davanti a quel grand'uomo. «E comunque devi limitarti alla musica. Parlerà fino allo sfinimento di musica e compositori. Ma niente domande personali. E soprattutto, evita la domanda su Mozart. Ah, e non portare il registratore. Odia le diavolerie tecnologiche. Prendi appunti e basta. Sai stenografare, immagino. Tremila parole. È la tua grande occasione, quindi non sciuparla, Lesley.» Non mi aveva messo addosso nemmeno un po' di tensione. E così, la sera dopo, eccomi davanti alla casa di Paolo Levi, a Dorsoduro, a Venezia, alle sei in punto, la gola secca, il cuore che batteva, tutta concentrata nello sforzo di darmi un contegno. Mi venne in mente di nuovo, come era successo spesso sull'aereo, che non avevo ancora idea di cosa fosse questa domanda su Mozart, a parte il fatto che non dovevo farla. C'era freddo, il genere di gelo feroce che ti entra all'istante nelle ossa, penetra nelle reni e fa male alle orecchie. Cosa che non sembrava affliggere gli artisti di strada nella piazza alle mie spalle: parecchie figure con maschere grottesche, montate su trampoli, che passeggiavano avanti e indietro, una statua maschile d'argento che posava immobile fuori dal caffè con un branco di turisti che la fissavano incantati. | << | < | |