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| << | < | > | >> |Indice1 Introduzione Premessa [10] La linea crescente [11] Addenda e corrigenda [19] 2 TRAIANO REDIVIVO [25] Note aggiuntive [66] 3 Premessa [73] Addendum: i caratteri "egizi" [81] • LA • NINFA • E • LA • GROTTA • La rinascita dei caratteri senza grazie [82] APPENDICE I "Sanserif": la parola, origini e ortografia [133] APPENDICE II "Egyptian" o "Antique"? Nomi per i caratteri senza grazie e per quelli a grazie squadrate [136] 4 Indice dei nomi [139] |
| << | < | > | >> |Pagina 11LA LINEA CRESCENTEI saggi che seguono esaminano due forme della scrittura occidentale alle quali sono associati miti e pregiudizi. Si tratta delle lettere delle iscrizioni della Roma imperiale del secondo secolo, e di quelle più antiche e più semplici del periodo repubblicano. Ambedue sono state viste come fondamentali. Da secoli, l'iscrizione della colonna dell'imperatore Traiano a Roma, incisa all'inizio del secondo secolo, è stata considerata un modello ideale per la forma delle lettere, in quanto evocatrice della maestà e dell'autorità della Roma imperiale. Le sue forme raffinate e complesse hanno sfidato numerosi trattatisti a tentare di scoprirne i principi costruttivi soggiacenti. E, come è stato mostrato nel saggio Traiano redivivo, questo interesse si rinnovò con particolare forza all'inizio del Novecento. I caratteri del periodo repubblicano, all'opposto, hanno forme semplici e quasi infantili, e generalmente non presentano alcuna apparente differenziazione fra tratti spessi e sottili né "grazie", come vengono chiamati i tratti terminali delle lettere romane. Non è un caso che i caratteri senza grazie, quasi un secolo fa, fossero adottati dal movimento moderno, specialmente in Germania, come stile semplice e neutro, l'unico modo affidabile di sfuggire alle ricche e imbarazzanti associazioni suggerite dai caratteri gotici, che erano diventati simbolo della cultura e dell'identità tedesche; e continuassero a essere usati dai progettisti grafici per ragioni simili, come forme razionali senza pretese culturali. Prima del 1900, i caratteri senza grazie erano largamenti associati, sia nell'architettura che nella tipografia, con l'ingegneria e con il commercio, o così ritenevano questi progettisti, e le loro radici, per quanto era possibile appurare, giacevano sepolte da qualche parte nel mondo rozzo e incolto della rivoluzione industriale inglese. Come ho scritto nella relativa premessa, La Ninfa e la dotta, la storia del "revival" dei caratteri senza grazie, era originariamente un tentativo di rispondere a un quesito fondamentale che avevo cominciato a pormi. La "ninfa" del titolo è una statua nel "grotto" di Stourhead, in un famoso giardino inglese del diciottesimo secolo dove erano stati costruiti templi romani per ricreare un paesaggio virgiliano. Il semplice stile senza grazie di un'iscrizione nel grotto, eseguita verso il 1748, sembrava essere una deliberata allusione alla sua architettura primitiva o naturale. Tutti gli storici dei caratteri da stampa avevano scritto che l'uso moderno di lettere senza grazie era cominciato con un carattere tipografico inglese databile al 1816. Come mai, allora, c'erano tanti esempi di queste lettere nelle opere realizzate in Inghilterra nei precedenti venti o trent'anni da architetti neoclassici — dei quali il più notevole era stato John Soane — e anche da pittori, scultori e incisori? Nel saggio originale, pubblicato nel 1965, suggerivo che i caratteri senza grazie, lungi dall'essere il prodotto di un artigiano incolto, fossero talvolta usati consapevolmente come stile "primitivista", un equivalente della "capanna primitiva", l'ipotetico riparo primigenio e rudimentale dalla costruzione del quale, secondo i teorici dell'epoca, erano derivati gli ordini architettonici. Quelli senza grazie, quindi, erano caratteri ideali: la scrittura del buon selvaggio di Rousseau, se ne avesse inventata una, sarebbe stata indubbiamente senza grazie. Ma altre volte, allo stesso tempo, i caratteri senza grazie sembravano usati con accuratezza e precisione quasi archeologiche, in quanto allusione alle lettere geometricamente costruite della Roma repubblicana, o della democratica Grecia, come se chiarezza e semplicità riflettessero le qualità morali di questi sistemi politici. Subito dopo la pubblicazione del saggio vennero alla luce molti più esempi di quelli lì citati, e trovai un modello plausibile delle lettere di Soane nell'iscrizione di epoca repubblicana sul piccolo Tempio della Sibilla a Tivoli, conosciuto anche come Tempio di Vesta (vedi p. 91). L'architetto neoclassico inglese George Dance aveva fatto un disegno dell'iscrizione, mentre particolari dell'edificio stesso sono un motivo ricorrente dell'opera di John Soane, che di Dance era stato allievo e i cui disegni conosciuti ne fanno uno dei primi utilizzatori di caratteri senza grazie, e certamente uno dei più coerenti. Nel 1999 si presentò l'opportunità inaspettata di realizzare una mostra di questi disegni e dei documenti collegati negli ambienti espositivi della casa stessa di Soane, ora il Sir John Soane's Museum di Londra, e a questo scopo il testo del mio articolo originario fu in tutta fretta rivisto per dar conto del nuovo materiale che si era accumulato nel corso di trent'anni. Ho aggiunto un'introduzione, mettendo in luce le ragioni per le quali c'era stato durante gli anni '60 un riemergere di interesse per i caratteri senza grazie, interesse che allora aveva reso utile la pubblicazione del saggio. | << | < | > | >> |Pagina 25TRAIANO REDIVIVOIl visitatore inglese a Roma, se ha qualche conoscenza della forma delle lettere, non può non essere colpito dalla coerente qualità delle iscrizioni che vede su molti edifici del tardo Cinquecento, del Seicento e del Settecento. Esse si adattano ai suoi preconcetti sulle lettere romane in un modo che non è facile definire immediatamente. Le proporzioni sono vicine a quelle dell'iscrizione antica con la quale egli ha più familiarità: quella sul basamento della colonna di Traiano. Ciò non gli apparirà inusuale, perché l'insegnamento del disegno delle lettere in Inghilterra ha per molti anni suggerito che l'iscrizione traiana sia l'esempio rappresentativo, e allo stesso tempo supremo, della scrittura monumentale dell'antica Roma. Soltanto se avrà esaminato altre iscrizioni italiane ed europee egli si potrà rendere conto che le lettere della colonna di Traiano sono state scelte a modello solo nella Roma del sedicesimo secolo e nell'Inghilterra del ventesimo. Le grandi lettere che venivano intagliate sugli edifici imperiali durante i primi secoli dell'era cristiana non furono mai completamente dimenticate nei mille anni successivi. Rimasero visibili su palazzi e monumenti, e furono utilizzate occasionalmente sia per iniziali e titolazioni di testi, scritte nei corsivi che a loro volta erano diretti discendenti delle maiuscole romane, sia per iscrizioni incise su pietra. Gli studiosi del quindicesimo secolo, ora più intensamente interessati alla riedizione dei testi classici, iniziarono la registrazione sistematica delle iscrizioni greche e romane sopravvissute, ma in un modo che turbò i grandi epigrafisti tedeschi del diciannovesimo secolo. Si trovò che Ciriaco di Ancona (morto nel 1455), pioniere dell'archeologia, completava le parti mancanti delle iscrizioni che trascriveva con materiale di fantasia, per quanto plausibile. Felice Feliciano da Verona, l'allievo che aveva ordinato molti dei documenti di Ciriaco, trattava i resti originali dell'antichità nella stessa maniera disinvolta. Il professor Charles Mitchell, nell' Italian Lecture della British Academy per il 1963, ha mostrato come le forme originarie venissero modificate da Felice e ha proposto una spiegazione: "In qualche occasione, con lo scrupolo di un buon scriba professionale addestrato ad aderire strettamente ai suoi modelli, Felice poteva copiare quel che aveva davanti con fedeltà straordinaria, quasi annullandosi. Ma negli stati d'animo più esaltati e inebriati egli voleva abbellire e variare, fino al limite delle proprie inclinazioni, illuminando le povere reliquie spezzate della Grecia e di Roma del pieno fulgore di un'Antichità che brillava soltanto nella sua fervidissima immaginazione". Nell'analizzare l'alfabeto di maiuscole che egli disegnò intorno al 1460, queste qualità di Felice dovrebbero essere presenti alla mente. Questo piccolo manoscritto, recentemente riprodotto in facsimile e pubblicato da Giovanni Mardersteig, è il più antico esempio conosciuto di quei trattati sulla costruzione delle lettere monumentali romane, manoscritti o a stampa, che furono prodotti tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento. Felice formula l'assunto fondamentale, seguito nei trattati successivi, che "l'uso antico fosse quello di formare le lettere dal cerchio e dal quadrato". Anche le sue stesse lettere, di conseguenza, sono prodotte con riga e compasso, costruite secondo misurazioni effettuate sulle lettere presenti nei monumenti di Roma e di altri luoghi. Il risultato, in alcuni dettagli, è diverso da qualunque iscrizione romana — in particolare, l'inclinazione dell'asse che passa per i minimi spessori, nella O e nella Q, è portata alla razionale misura di 45°. Ma questo alfabeto, pur essendo idealizzato, è anche eminentemente concreto: in ogni lettera di Felice è disegnata la linea dell'incisione a V, e Mardersteig ha studiato due iscrizioni sulla Pescheria di Verona, una delle quali datata 1468, che corrispondono strettamente alle lettere del suo Alphabetum Romanum. Per quanto il manoscritto di Felice sia il primo tentativo databile di costruire razionalmente le maiuscole delle iscrizioni romane, gli incisori di lettere stavano cercando di avvicinarsi ad esse già dall'inizio del Quattrocento. A Firenze, poco dopo la costruzione del classico ed elegante Ospedale degli Innocenti di Brunelleschi (1419), gli scultori sperimentavano forme che avevano affinità con le maiuscole romane. Si possono distinguere due tipi di lettera fiorentina. Il più comune ha caratteristici tratti a forma di cuneo, proporzioni leggermente compresse, e vestigia delle lettere gotiche, nella zampa della R e in occasionali incongruenze della sequenza di tratti spessi e sottili. Il secondo tipo, esemplificato in una delle più notevoli iscrizioni fiorentine, la tomba Schiattesi (1423) sul pavimento di Santa Croce, è un carattere senza grazie di spessore costante, quasi puramente geometrico, con la O perfettamente circolare, la C ad arco di cerchio, e la E che occupa esattamente mezzo quadrato, con tratti orizzontali della stessa lunghezza. Le lettere di Santa Croce — ci sono altri esempi con proporzioni simili, ma non così rigidamente geometrici — non sostituirono le eleganti lettere compresse fiorentine, con il piccolo "occhio" della P e della R, e con l'angolo centrale della M spostato verso l'alto. Sembra quindi che a Firenze si facesse deliberata allusione alle iscrizioni romane, senza però che il modello fosse seguito fino in fondo, perché gli scultori fiorentini preferivano esplorare le possibilità del proprio stile altamente individuale. Le illustrazioni di un recente studio di Millard Meiss forniscono sostegno a questa tesi. Meiss analizza attentamente le maiuscole delle iscrizioni incise e dipinte da Mantegna e Donatello, i quali lavorarono insieme a Padova fino al 1453, quando Donatello partì per Firenze. Ambedue usano le maiuscole con grande perizia. Il lavoro di Donatello, tuttavia, resta all'interno delle convenzioni fiorentine, mentre Mantegna, nelle firme e nelle iscrizioni dei suoi dipinti successivi al 1450, inserisce caratteristiche evidentemente derivate da originali romani, come il tratto superiore verticale della A. Va notato che Mantegna era amico di Felice, che nel 1464 gli dedicò uno dei suoi libri di epitaffi. Quanto gli architetti rinascimentali fossero interessati alle forme geometriche semplici, nella loro ricerca delle proporzioni ideali, è stato dimostrato da Rudolf Wittkower sulla base dei loro stessi trattati. Il più antico di questi, il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, fu scritto intorno al 1450 e stampato nel 1485. Discutendo la forma ideale delle chiese, Alberti loda il cerchio come la forma "più di ogni altra amata dalla natura". Per quanto il suo trattato non si occupi di lettere, egli menziona favorevolmente le iscrizioni usate dai romani "non solo sulle tombe, ma anche sui templi e sulle abitazioni private". Le iscrizioni che possono essere associate ad Alberti, quelle sulla facciata della chiesa di San Francesco a Rimini (il Tempio Malatestiano), 1450, il Santo Sepolcro nella Cappella Rucellai, in San Pancrazio, 1467, e la grande iscrizione lungo la facciata di Santa Maria Novella, 1470, ambedue a Firenze, hanno abbastanza caratteristiche comuni da suggerire che Alberti avesse sviluppato le proprie lettere antiche per l'uso in architettura. L'iscrizione intarsiata nella Cappella Rucellai è in lettere sottili, con piccole grazie angolari. Alcune peculiarità (specialmente la "base" piatta della G e della S) somigliano a quelle dell'alfabeto di Feliciano. È ben possibile, come ha ipotizzato Mardersteig, che Feliciano e Alberti si siano conosciuti a Roma e abbiano avuto modo di discutere quest'argomento di interesse comune. Senza dubbio anche altri, in quel periodo, erano interessati alle maiuscole romane, e qualcuno può persino aver pubblicato le sue osservazioni. Del libro sulle maiuscole di Damiano da Moille, stampato a Parma verso il 1480, conosciamo soltanto una copia, ed è possibile che altri libri non ci siano arrivati. | << | < | > | >> |Pagina 82LA NINFA E LA GROTTA: LA RINASCITA DEI CARATTERI SENZA GRAZIENel 1808, quando i monumenti nazionali in generale e i monumenti a Nelson in particolare erano argomento di discussioni pubbliche, venne pubblicato un pamphlet che perorava la costruzione di una grande piramide sulle dune a nord di Portsmouth, come mausoleo per gli eroi. L'autore, William Wood, sollecitava che le iscrizioni dovessero essere incise profondamente, nelle lastre di marmo sopra le porte, e "nei più antichi caratteri romani, perché meno suscettibili di lesioni". Il frontespizio, inciso da H. Moses, mostra chiaramente che per "antichi caratteri romani" egli intendesse lettere senza grazie. La nozione di caratteri senza grazie (sanserif) associati alla scabra antichità non sembra essere stata adeguatamente esplorata. Obiettivo di questo scritto è individuare, per quanto possibile, coloro che reintrodussero i caratteri senza grazie alla fine del diciottesimo secolo, e le ragioni che a ciò li spinsero. Le lettere generalmente in uso alla fine del diciottesimo secolo avevano due caratteristiche fondamentali: alternavano tratti sottili a tratti spessi, e ciascun tratto terminava con una grazia. Ambedue queste caratteristiche erano diretta derivazione delle lettere maiuscole della Roma imperiale, rimesse in uso in Italia durante il quindicesimo secolo, ma la loro origine è peculiare. Il contrasto tra gli spessori dei tratti ha una ragione calligrafica ed è il risultato del tracciamento sulla pietra per mezzo di un pennello piatto. Questa articolazione calligrafica di tratti spessi e sottili era una novità nella Roma del primo secolo. Nelle iscrizioni più antiche, in latino e in altre lingue della penisola italica, come l'etrusco, i tratti sono di spessore costante (monolineari). L'arcaica irregolarità di queste iscrizioni è simile a quella delle prime iscrizioni in greco, ma in Grecia l'evoluzione prese un'altra forma. Le lettere vennero rese più regolari, ma non fu fatto alcun tentativo di alterare la purezza delle forme originarie, con spessori costanti e senza grazie. Le più belle iscrizioni attiche del quinto secolo a.C. sono allo stesso tempo semplici e molto formalizzate e sofisticate, e l'effetto è spesso accentuato dalla disposizione a stoichedon, prevalente dal sesto al quarto secolo, nella quale le lettere sono allineate sia orizzontalmente che verticalmente. La struttura delle lettere è razionale quanto la loro disposizione, ed è basata su forme geometriche: il cerchio, il triangolo equilatero e il quadrato. Ma verso la fine del quarto secolo le forme semplici originarie furono decorate con terminazioni in forma di cuneo, delle quali uno dei più antichi esempi databili è l'iscrizione che commemora la dedica ad Atena del tempio di Priene in Asia Minore da arte di Alessandro Magio nel 334 a.C. Un nuovo stile, con parole separate, tratti irregolari e grazie molto marcate, soppiantò completamente la disposizione a stoichedon e le vecchie forme. A tempo debito i romani aggiunsero a queste caratteristiche il contrasto tra i tratti — spessi e sottili —, che divenne il marchio distintivo delle iscrizioni imperiali. Tra la fredda precisione delle sobrie iscrizioni attiche e la flamboyance e l'aggressività spesso prepotente di quelle della Roma imperiale c'è un profondo cambiamento di atteggiamento. Per quanto gli umanisti che riportarono in vita le lettere antiche nel quindicesimo secolo si basassero su principi geometrici, l'impiego di caratteri senza grazie e con spessore costante, in qualche iscrizione tombale o su qualche medaglia, fu sperimentale e transitorio, e non c'è alcun esempio di lettere con spessore costante nella serie di alfabeti costruiti geometricamente nel Cinque e Seicento che comincia con il piccolo manoscritto di Felice Feliciano da Verona del 1460 circa. | << | < | |