Copertina
Autore Harry Mulisch
Titolo L'attentato
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1986, L'Avventura , pag. 176, cop.fle., dim. 140x220x18 mm , Isbn 978-88-07-04010-8
OriginaleDe aanslag [1982]
TraduttoreGianfranco Coppo
LettoreRenato di Stefano, 1986
Classe narrativa olandese , narrativa neerlandese
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Indice


  9 Prologo

 13 Primo episodio   1945

 55 Secondo episodio 1952

 77 Terzo episodio   1956

 93 Quarto episodio  1966

143 Ultimo episodio  1981


 

 

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Pagina 9

Tanto, tanto tempo fa, durante la seconda guerra mondiale, un certo Anton Steenwijk abitava con i genitori e il fratello alla periferia di Haarlem. In una strada che per un centinaio di metri costeggiava il canale e che poi, facendo una leggera curva, ritornava ad essere una strada qualsiasi, si ergevano quattro case non lontane una dall'altra. Erano circondate ognuna da un giardino e, coi loro balconcini, bovindi e tetti spioventi, avevano l'aspetto di ville, pur non essendo affatto tanto grandi; al piano superiore tutte le stanze erano a mansarda. Avevano gli infissi scrostati e mostravano un po' dovunque un certo degrado, dato che neppure negli anni trenta vi era stato fatto gran che. Ognuna si insigniva di un nome adatto al solido ottimismo borghese di giorni più spensierati:

BEL SITO IN QUIETE DOLCE SORPRESA PACE SILENTE

Anton abitava nella seconda casa da sinistra: quella dal tetto di paglia. Si chiamava così già quando i suoi genitori l'avevano presa in affitto poco prima della guerra; suo padre avrebbe preferito chiamarla "Eleutheria" o qualcosa del genere, però a caratteri greci. Anche prima che succedesse la catastrofe, Anton non aveva mai associato il nome "In Quiete" con la quiete che si gode fuori città, bensì piuttosto con "inquietudine" — un po' come "calma eccezionale" può significare calma più che normale, nel senso di massima calma, oppure qualcosa di ben diverso, cioè calma per niente normale, nel senso di calma prima della tempesta.

In "Bel Sito" abitavano i Beumer, un malaticcio procuratore in pensione e sua moglie. Anton qualche volta andava a trovarli e loro gli offrivano una tazzina di tè e un pasticcino, che chiamavano "biscotto" – almeno finché ci furono ancora tè e pasticcini, vale a dire prima dell'inizio di questa storia, che è la storia di un incidente. A volte il signor Beumer gli leggeva qualche brano de I tre moschettieri. Il signor Korteweg, l'altro vicino che abitava in "Dolce Sorpresa", era secondo su una nave di lungo corso, ma la guerra l'aveva costretto all'inattività. Dopo che gli era morta la moglie, sua figlia era tornata a vivere in casa. Si chiamava Karin, era infermiera. Andava di tanto in tanto anche da loro, passando attraverso un'apertura nella siepe che divideva i giardini dietro casa. Karin era sempre gentile, suo padre invece non gli prestava affatto attenzione. I contatti fra gli abitanti di quella strada lungo il canale non erano dei più frequenti, ma decisamente isolati restavano gli Aarts, che abitavano in "Pace Silente" dall'inizio della guerra. Lui sembrava ricoprire qualche carica presso una compagnia di assicurazioni, ma neppure questo era certo.

Evidentemente le quattro case avrebbero dovuto segnare l'inizio di un nuovo quartiere, che poi invece non fu più costruito. Ai lati e sul retro si aprivano i polder, ricoperti di erbacce e cespugli, ma anche alberi che avevano pure i loro anni. Là, sui campi, Anton scorrazzava parecchio; ci venivano a giocare anche bambini del quartiere che abitavano qualche casa più avanti. A volte, a imbrunire inoltrato, quando sua madre si dimenticava di chiamarlo in casa, sentiva salire dai campi un silenzio profumato, che lo riempiva di vaghe speranze. Di quanto in qualche modo sarebbe successo più tardi, quando sarebbe stato grande. La campagna immobile e le foglie. Due passeri che si mettevano improvvisamente a saltellare qua e là cinguettando. La vita sarebbe stata come in simili serate, quando ci si dimenticava di lui, altrettanto misteriosa e infinita.

I clinker della carreggiata davanti a casa erano disposti a spina di pesce. Al bordo della strada senza marciapiede cominciava un ciglio erboso che declinava dolcemente sino all'alzaia e sul quale era piacevole stendersi. Sull'altra riva del largo canale, di cui niente se non le anse addolcite facevano capire essersi trattato una volta di un fiume, si trovava qualche casa di braccianti agricoli e qualche piccola fattoria. Dietro, i prati si stendevano piatti sino all'orizzonte. Un po' più in là c'era Amsterdam. Prima della guerra, gli aveva raccontato suo padre, la sera si poteva vedere il riverbero della città contro le nuvole. C'era anche stato, un paio di volte, all'Artis e al Rijksmuseum, e a trovare suo zio, dal quale una sera si era anche fermato a dormire. Sulla destra, in un'ansa del canale, c'era un mulino a vento, che non girava mai.

Quando se ne stava là disteso con lo sguardo sperduto in lontananza, gli succedeva a volte di dover ritirare le gambe. Lungo l'alzaia spianata avanzava un uomo che pareva proprio uscir fuori dai tempi in cui Berta filava: piegato a metà su una pertica lunga vari metri e fissata alla prua di una chiatta, procedeva a passi lenti spingendola avanti. Al timone c'era di solito una donna con un grembiule e i capelli raccolti in una crocchia, sulla coperta un bambino che giocava. La pertica veniva usata anche in un'altra maniera. L'uomo, a bordo, camminava allora su di una fiancata della chiatta andando verso prua e trascinandosi dietro la pertica nell'acqua; arrivato a prua, la piantava di traverso sul fondo del canale, l'afferrava saldamente e procedeva all'indietro, facendosi avanzare la barca sotto i piedi. Questa era la maniera che affascinava di più Anton: un uomo camminava all'indietro e spingeva qualcosa in avanti pur restando sempre allo stesso posto. Ci doveva essere qualcosa che non quadrava, ma non ne parlava con nessuno. Questo era un segreto tutto suo. Solo quando più tardi lo raccontò ai propri figli, si rese conto di quanto lontani fossero i tempi in cui era vissuto. Cose del genere le si potevan vedere ormai solo in documentari sull'Africa o sull'Asia.

Un paio di volte al giorno passavano di là velieri a vela aurica e fiocchi: imbarcazioni stracariche con vele marron scuro, che comparivano silenziose dietro un'ansa e scomparivano maestose dietro la successiva, sospinte da un vento invisibile. I battelli a motore erano tutt'altra cosa. Avanzavano beccheggiando, fendendo l'acqua con la prua e formando una V, che si andava allargando sino a raggiungere le due rive del canale: l'acqua cominciava allora improvvisamente a sciabordare su e giù, mentre il battello era già avanzato di un bel po'. Poi l'acqua tornava indietro, formando una V rovesciata, un lambda, che andava rinchiudendosi sempre più, sino a interferire con la V iniziale, raggiungendo poi deformato la riva opposta, e ritornava indietro sino a che l'intera superficie d'acqua non era altro che un complicato intreccio di onde, che continuava a trasformarsi per ancora qualche minuto e poi si calmava, ritornando ad essere levigato come uno specchio.

Tutte le volte Anton cercava di stabilire come si producesse con esattezza il fenomeno, ma ogni volta i diversi elementi andavano a comporre un ordito talmente intricato che non gli era più possibile averne una chiara visione d'insieme.

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Pagina 13

PRIMO EPISODIO
1945



1.
Era sera, verso le sette e mezzo. La stufa a cilindro era rimasta accesa qualche ora, bruciando a fuoco lento alcuni ceppi, ma adesso era nuovamente fredda. Assieme ai genitori e a Peter se ne stava seduto a tavola nella camera sul retro. Su di un piatto c'era un cilindro di zinco delle dimensioni di un vaso da fiori; dalla parte superiore spuntava una cannuccia esile che si biforcava a forma di ipsilon e aveva in punta dei forellini da cui uscivano, dirette una verso l'altra, due fiammelle d'un bianco accecante. Tale strumento illuminava la stanza d'una luce spettrale e nelle zone d'ombra più intensa potevi vedere biancheria stesa ad asciugare, e rattoppata più volte, utensili da cucina, mucchi di camicie da stirare, una cesta con dentro della paglia per tenere in caldo il cibo. Anche due tipi di libri provenienti dallo studio di suo padre: quelli in fila sulla credenza erano da leggere, la pila di romanzetti da quattro soldi sul pavimento era invece per accendere la stufa di emergenza, sulla quale si cucinava quando c'era qualcosa da cucinare; i giornali non uscivano più da mesi. A parte quando si andava a letto, la vita in famiglia si svolgeva ormai unicamente in quella che prima era stata la sala da pranzo. La porta scorrevole era chiusa. Dietro di essa, in direzione della strada, si trovava il soggiorno, dove non erano entrati tutto l'inverno. Per isolarsi il più possibile dal freddo, lì le tende restavano chiuse anche di giorno per cui, vista dalla strada, la casa sembrava disabitata.

Era il gennaio del 1945. Quasi tutta l'Europa era stata liberata; si faceva festa, si mangiava, si beveva, si faceva l'amore e un po' alla volta si cominciava a dimenticare la guerra. Haarlem, invece, rassomigliava sempre più a quei tizzoni spenti e grigiastri che capitava di estrarre dalla stufa, quando c'era ancora carbone.

Sua madre aveva steso davanti sul tavolo un maglione blu scuro. Ne era già sparita la metà. Nella mano sinistra teneva il gomitolo che aumentava di volume man mano che la destra tirava velocemente il filo dal maglione. Anton guardava il filo scorrere svelto qua e là, e vedeva il maglione dissolvere nel nulla la sua forma: le maniche, stese sul piano come nel gesto di chi voglia scongiurare un pericolo che lo minaccia, finivano per essere una palla. Sua madre gli rivolse un breve sorriso e lui riprese a leggere. Lei aveva dei capelli biondi intrecciati e raccolti sopra gli orecchi come due ammoniti. Di tanto in tanto si fermava un attimo a bere un sorso del surrogato di tè, ormai freddo, che si era preparata servendosi della neve scioltasi in giardino. No, l'acqua non l'avevano ancora tolta, ma adesso si era ghiacciata nelle condutture. Sua madre aveva un molare cariato, che per il momento non era possibile curare; come usava fare sua nonna, vi aveva ficcato dentro uno di quei due o tre chiodi di garofano che era riuscita a trovare da qualche parte in cucina. Di fronte a lei, seduta con la schiena tutta diritta, sedeva con la schiena tutta curva suo marito a leggere un libro. I capelli scuri si stavano facendo grigi e gli formavano una specie di ferro di cavallo intorno al cranio liscio; di tanto in tanto cercava di scaldarsi con il fiato le mani, che erano grandi e tozze, benché non fosse un operaio, ma cancelliere presso il Tribunale.

Anton indossava la roba che al fratello era diventata piccola, Peter invece un vestito nero che gli stava troppo grande, passatogli dal padre. Aveva diciassette anni e, siccome si era improvvisamente messo a crescere quando il cibo andava sempre più scarseggiando, sembrava che il suo corpo fosse un fascio di stecche d'abete. Stava facendo i compiti. Era un paio di mesi che non usciva più in strada; un po' alla volta aveva raggiunto l'età in cui c'era il rischio di incorrere in qualche rastrellamento e venire spediti in qualche campo di lavoro in Germania. Dato che era stato bocciato un paio di volte, si trovava ora in prima liceo, e toccava a suo padre impartirgli le lezioni e assegnargli i compiti, affinché non restasse ancora più indietro. I due fratelli si assomigliavano tanto poco quanto i loro genitori. Ci sono delle coppie in cui marito e moglie sono precisi identici; forse perché la moglie assomiglia alla madre del marito e il marito al padre della moglie (o forse le cose sono un po' più complesse, il che è assai più verosimile), ma la famiglia Steenwijk era formata da due metà distinte: Peter aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri della madre, Anton i capelli scuri e gli occhi marrone del padre, come pure la sua pelle color noce, che attorno agli occhi si faceva più scura. Per il momento non andava a scuola neppure lui. Era in prima ginnasio ma, per via della mancanza di carbone, le vacanze di Natale erano state prolungate sino a quando non fosse finito il periodo di gelo.

Anton aveva fame, ma sapeva che solo la mattina dopo avrebbe rivisto una fetta di pane papposo e grigiastro con sopra della melassa. Il pomeriggio era stato un'ora a far la coda davanti alla mensa popolare allestita alla scuola materna. Il carretto con i pentoloni, tirato a mano, protetto da un poliziotto con un fucile a tracolla, arrivò solo dopo che si era fatto buio. Dopo che gli ebbero staccato i buoni, gli versarono quattro mestoli di minestra acquosa dentro il pentolino che si era portato appresso. Attraverso i campi, al ritorno, aveva assaggiato soltanto un po' di quella brodaglia calda e acidula. Per fortuna era quasi ora di andare a dormire. Nei suoi sogni era sempre pace.

Nessuno diceva niente. Anche fuori, nessun rumore. La guerra c'era sempre stata ed avrebbe continuato ad esserci sempre. Niente radio, niente telefono, niente. Le fiammelle borbottavano, di tanto in tanto un lieve schioppettio. Con addosso una sciarpa, i piedi dentro uno scaldapiedi che sua madre aveva cucito assieme usando una vecchia borsa da spesa, stava leggendo un articolo di Natuur en Techniek. Per il compleanno gli avevano regalato l'annata 1938, rilegata e di seconda mano. "Un Messaggio ai Posteri". Sulla foto c'era un gruppo di ben pasciuti e soddisfatti americani in maniche di camicia con gli occhi rivolti in alto a guardare una grande capsula rilucente a forma di siluro, che stava appena sopra le loro teste e che di lì a poco sarebbe stata calata quindici metri sotto terra. Soltanto cinquemila anni più tardi i posteri avrebbero potuto aprire la capsula e farsi così un'idea del grado di civiltà raggiunto dall'umanità al tempo della Esposizione Universale di New York. Dentro alla capsula di cupaloy, una lega di resistenza incredibile, vi era un cilindro di materiale refrattario, che conteneva centinaia di oggetti: un microfilm che, in dieci milioni di parole e mille tavole, informava sui traguardi raggiunti in scienza, tecnica e arti, e su cui erano riprodotti giornali, cataloghi, romanzi famosi, la Bibbia naturalmente, e il Paternoster in trecento lingue, messaggi lanciati da grandi personalità, ma anche filmati dello spaventoso bombardamento di Canton nel 1937 da parte dei giapponesi, sementi, una presa di corrente, un regolo calcolatore e le cose più impensabili; persino un cappello da signora, moda autunno 1938. Ad ogni biblioteca e museo importanti era stato inviato un documento ufficiale, sul quale era segnato il posto dove era stata scavata la "fossa dei secoli", affinché la si potesse poi ritrovare nel Settemila. Ma perché mai, si chiese Anton, si sarebbe dovuto attendere proprio sino al 6938? Non sarebbe potuto essere interessante anche prima?

"Papà, quanti sono cinquemila anni fa?"

"Esattamente cinquemila" rispose Steenwijk senza alzare gli occhi dal libro.

"Già, abbastanza ovvio. Ma c'era già anche allora... voglio dire..."

"Dài, cosa vuoi dire?"

"Beh, che la gente come ai nostri giorni..."

"Avesse la civiltà?" chiese sua madre.

"Già".

"Perché non lasci che il ragazzo si esprima da solo" disse Steenwijk, dandole un'occhiata da sopra gli occhiali. Poi, rivolto ad Anton: "A quei tempi la civiltà era appena ai primi passi. In Egitto, e in Mesopotamia. Ma perché me lo chiedi?"

"Perché qui c'è scritto che fra..."

"Finito!" disse Peter alzando gli occhi dai vocabolari e dalle grammatiche. Allungò il quaderno a suo padre e andò ad appostarsi accanto ad Anton. "Cosa stai leggendo?"

"Niente" disse Anton, piegandosi sul libro con le braccia incrociate.

"Non fare così, Tonny" disse sua madre, dandogli una gomitata perché si mettesse a sedere eretto.

"Ma neppure lui mi fa mai veder niente".

"Con una gran pernacchia, firmato: Anton Mussert" disse Peter – al che Anton si tappò il naso e cominciò a canticchiare:

        "Eh già, Scalogna sono nato
        e come tale tirerò le cuoia..."

"Basta!" esclamò Steenwijk, battendo una manata sul tavolo.

Uno che si chiamava Anton, come il capo dell'NSB,- era ovvio che lo si prendesse spesso in giro. Durante la guerra era abbastanza normale che í fascisti chiamassero i loro figli Anton, o Adolf, a volte addirittura Anton Adolf, come si poteva leggere in pomposi annunci di nascita con tanto di tagliola per lupi e scrittura runica sopra. Quando più tardi incontrava qualcuno con un nome del genere, o che veniva chiamato Ton o Dolf, gli veniva da chiedersi se non fosse per caso nato durante la guerra, nel qual caso era matematicamente certo che i suoi genitori erano stati dalla parte sbagliata e non poco. Dieci o quindici anni dopo la guerra, il nome Anton ritornò a essere un nome come un altro, dal che si può dedurre l'insignificanza di Mussert; per Adolf, invece, le cose non sono mai ritornate semplici come prima. Solo quando ci saranno di nuovo in giro Adolfi, ci saremo finalmente sbarazzati della seconda guerra mondiale; ma, per arrivare a tanto, bisognerà arrivare prima ad una terza guerra mondiale, come dire che solo allora l'avremo fatta finita con tutti gli Adolf. Anche la canzoncina, che Anton canticchiò come contrattacco, necessita di un minimo di spiegazione: si tratta di un'arietta cantata con voce nasale da un comico della radio, che amava presentarsi come Peter Scalogna, quando era ancora permesso avere una radio. Ma quante altre cose non necessitano oggi di un minimo di spiegazione – non tanto per noi, quanto soprattutto per Anton.

"Dài, vieni un po' qui da me" disse Steenwijk rivolto a Peter e prendendo in mano il quaderno. Cominciò a leggere con enfasi: "Al pari di fiumi che, enfiatisi a causa della pioggia e della neve ormai sciolta, scendono fragorosamente dalle catene montuose e riuniscono nel comune bacino giù a valle le loro imponenti masse d'acqua scaturite da fonti copiose – e molto lontano fra i monti il pastore ode il loro assordante frastuono: così risuonarono il clamore dei soldati arrivati a lottare corpo a corpo e il fragore delle loro armi". "Veramente stupendo!" disse Steenwijk, appoggiandosi all'indietro e togliendosi gli occhiali dal naso.

"Certo, favoloso" disse Peter. "Soprattutto se hai sudato un'ora e mezza su una frase tanto pallosa."

"Una frase così vale anche un'intera giornata. Non ti sei accorto di come l'autore evoca la natura, indirettamente, con la similitudine? A restarti in mente non sono i soldati che lottano, bensì il quadro della natura – e questa vive tuttora. La battaglia è scomparsa, ma i fiumi sono restati, li puoi sentire tuttora, e tu sei il pastore. È come se volesse dire che l'intera esistenza è un rimando ad un altro racconto, il punto è di riuscire a sapere quale sia mai l'altro racconto".

"La guerra, direi" disse Peter.

Steenwijk fece finta di non aver sentito.

"Traduzione perfetta, ragazzo. Però un errorino ci sarebbe. A incontrarsi, infatti, non sono 'fiumi', bensì 'due fiumi'."

"Dove sta scritto?"

"Guarda: symballeton, un duale, cioè l'incontro fra due cose, due. Altrimenti, come la metti con i due eserciti? È una forma che si riscontra solo in Omero. Del resto, pensa a 'simbolo', da symballo, 'riunire', 'incontrare'. Lo sai cos'era un symbolon?"

"No" disse Peter con un tono che lasciava chiaramente intendere che non voleva neppure saperlo.

"Che roba è, papà" chiese Anton.

"Era una pietra che spaccavano a metà. Cerca di capire: sono ospite di qualcuno in un'altra città e gli chiedo se non sia disposto a dare ospitalità anche a te, in caso di bisogno — come fa a sapere che sei veramente mio figlio? Ci basta fare un symbolon, una metà a lui, l'altra metà a me; e quando ritorno a casa io te la do. Tu vai a trovarlo, e le due metà combaciano."

"Mica male!" esclamò Anton. "Lo farò anch'io."

Peter si voltò dall'altra parte con un sospiro di sconforto.

"Ma per l'amor di Dio, mi devo proprio sorbire tutto questo?"

"Non per l'amor di Dio" disse Steenwijk, guardandolo da sopra gli occhiali, "per l'amore dell'ideale di umanità. Col tempo ti accorgerai quanto ti farà piacere tutto questo nella vita."

Peter chiuse i libri, li ammucchiò uno sull'altro e disse con una voce strana:

"Se vuoi farti una risata, guarda come si comporta la gente."

"Che c'entra questo con quanto ti ha detto tuo padre, Peter?" chiese sua madre, rimettendo a posto con la lingua il chiodo di garofano.

"Non c'entra."

"Mah, ho l'impressione andisse Steenwijk. "Sunt pueri pueri, pueri puerilia tractant."

Il maglione era svanito completamente e la signora Steenwijk mise il gomitolo nel cestino da lavoro.

"Su, ci facciamo una partitina prima di andare a letto."

"Come, a letto già adesso?" chiese Peter.

"Dobbiamo andarci piano col carburo. Ne abbiamo solo per un paio di giorni."

Da un cassetto della credenza la signora Steenwijk prese la scatola di Non T'Arrabbiare, scostò la lampada e stese il percorso.

"Io prendo le verdi" disse Anton.

Peter gli diede un'occhiata, puntandosi l'indice sulla fronte.

"Perché con quelle tu pensi di vincere, eh?"

"Sì, certo."

"Vedremo, vedremo."

Steenwijk pose il libro aperto accanto a sé, e poco dopo non si sentì altro che il rumore dei dadi e i passi delle pedine. Erano quasi le otto: l'ora dell'oscuramento. Fuori c'era il silenzio più assoluto, come quello che deve regnare sulla luna.

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