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| << | < | > | >> |Pagina 1SE AVESSE POTUTO SCEGLIERE, Conor non avrebbe mai deciso di passare il compleanno più importante della sua vita ad aiutare Devin Trunswick a vestirsi. In tutta sincerità, non si sarebbe offerto di aiutare Devin Trunswick a fare niente, mai. Ma Devin era il figlio maggiore di Eric, Conte di Trunswick, e Conor era il terzogenito di Fenray, Pastore di Greggi. Fenray aveva contratto debiti con il conte, e Conor lo stava aiutando a ripagarli come servitore di Devin. L'accordo, entrato in vigore più di un anno prima, sarebbe durato almeno altri due. Conor doveva agganciare correttamente ogni singolo e complicatissimo fermaglio dietro il cappotto di Devin, altrimenti le pieghe sarebbero cadute tutte sbilenche e lui se lo sarebbe sentito rimproverare per settimane. La stoffa fine era più ornamentale che pratica. Se Devin fosse stato colto da un temporale, Conor sapeva che avrebbe rimpianto di non avere addosso un cappotto più semplice e resistente. Uno senza fermagli. E che potesse davvero tenerlo al caldo. «Hai finito di trafficare, là dietro?», domandò Devin, esasperato. «Scusate per il ritardo, milord», rispose Conor. «Ci sono quarantotto fermagli. In questo momento sto agganciando il quarantesimo.» «Quanti altri giorni ci vorranno? Sto per morire di vecchiaia! Non è che ti stai inventando dei numeri a caso?» Conor si trattenne dal rispondere. Era cresciuto contando le pecore, e con ogni probabilità sapeva far di conto molto meglio di Devin. Ma discutere con un nobile causava più guai di quanti ne meritasse. A volte, Devin sembrava provocarlo di proposito. «Ne sono quasi sicuro, milord.» La porta si spalancò di botto e Dawson, il fratello minore di Devin, fece irruzione nella stanza. «Ti stai ancora vestendo, Devin?» «Non dare la colpa a me», protestò Devin. «Conor dorme in piedi.» Conor rivolse a Dawson soltanto una rapida occhiata. Prima sistemava quei fermagli, e prima avrebbe potuto prepararsi. «Dormire? Impossibile!», ridacchiò Dawson. «Tutto quello che dici, fratello, è così interessante.» Conor trattenne un sorriso. Dawson smetteva raramente di parlare. Spesso diventava fastidioso, ma a volte era davvero divertente. «Sono sveglio.» «Non hai ancora finito?», si lamentò Devin. «Quanti ne mancano?» Conor avrebbe voluto rispondere che ne mancavano venti. «Cinque», disse invece. «Pensi che evocherai uno spirito animale, Devin?», chiese Dawson. «Non vedo perché no», rispose Devin. «Il nonno ha evocato una mangusta. Nostro padre una lince.» Era il giorno della Cerimonia del Nettare a Trunswick. Di lì a un'ora, i ragazzi del luogo che avevano compiuto undici anni nel mese in corso avrebbero tentato di evocare uno spirito animale. Conor sapeva che alcune famiglie avevano la tendenza a formare legami animaleschi più spesso di altre. Tuttavia, riuscire a evocare uno spirito animale non era mai garantito, a prescindere dal cognome che si portava. C'erano solo tre ragazzi che dovevano bere il Nettare, quel giorno, e le probabilità di successo erano uguali per tutti. Di certo non era qualcosa di cui vantarsi in anticipo. «Che animale pensi di ricevere?», chiese Dawson. «Non ne ho idea», rispose Devin. «Secondo te?» «Uno scoiattolo», predisse Dawson. Devin balzò verso il fratello, che si allontanò ridacchiando. Dawson non era vestito in modo formale come lui, e questo gli permetteva maggiore libertà di movimento. Ciononostante, Devin lo afferrò in pochi secondi e lo buttò a terra, bloccandolo. «Più probabile che sia un orso», disse, premendogli il gomito sul petto. «O un felino selvatico, come nostro padre. E per prima cosa, gli farò avere un assaggio della tua carne.» Conor si sforzò di aspettare con pazienza. Non era suo compito intervenire. «Potresti anche non ricevere nulla», azzardò Dawson. «Allora sarò soltanto il Conte di Trunswick, e quindi il tuo padrone.» «Non se nostro padre vivrà più a lungo di te.» «Fossi in te terrei a freno la lingua, secondogenito.» «Sono contento di non essere te!» Devin torse il naso di Dawson fino a farlo strillare, poi si alzò in piedi, spazzolandosi i calzoni. «Almeno io non ho il naso indolenzito.» «Anche Conor berrà il Nettare!», gridò Dawson. «Forse sarà lui a evocare uno spirito animale.» Conor tentò di rendersi invisibile. Sperava di riuscire a evocare uno spirito animale? Certo che sì! Chi non l'avrebbe sperato? Non si poteva fare a meno di sperare. Il fatto che nessuno, nella sua famiglia, ci fosse più riuscito dai tempi di un oscuro pro-prozio, decenni prima, non lo rendeva certo impossibile. «Giusto», ridacchiò Devin. «E suppongo che la figlia del fabbro ne evocherà uno anche lei.» «Non si può mai sapere», disse Dawson, mettendosi seduto e strofinandosi il naso. «Conor, che animale ti piacerebbe avere?» Conor fissò il pavimento. Gli era stata posta una domanda diretta da parte di un nobile, quindi era obbligato a rispondere. «Sono sempre andato molto d'accordo con i cani. Mi piacerebbe un cane da pastore, credo.» «Caspita, che immaginazione!», rise Devin. «Il pastore sogna di evocare un cane da pastore.» «Un cane sarebbe divertente», osservò Dawson. «E comune», ribatté Devin. «Quanti cani avete, Conor?» «La mia famiglia? Dieci, l'ultima volta che li ho contati.» «Da quanto tempo non vedi i tuoi?», chiese Dawson. Conor tentò di mantenere un tono di voce fermo. «Da più di sei mesi.» «E oggi ci saranno?» «Ci proveranno, credo. Dipende se sono riusciti a liberarsi oppure no.» Nel caso non ce l'avessero fatta, non voleva far vedere che gli importava. «Sarebbe una novità, per te», commentò Devin, sprezzante. «Quanti fermagli rimangono?» «Tre.»
Devin si voltò. «Non perdiamo altro tempo. Stiamo facendo tardi.»
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