Copertina
Autore Alice Munro
Titolo Nemico, amico, amante...
EdizioneEinaudi, Torino, 2003, Supercoralli , pag. 322, dim. 140x222x23 mm , Isbn 978-88-06-16591-8
OriginaleHateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage [2001]
TraduttoreSusanna Basso
LettoreRenato di Stefano, 2003
Classe narrativa canadese
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Indice

  3  Nemico, amico, amante...

 54  Il ponte galleggiante

 84  Mobili di famiglia

117  Conforto

152  Ortiche

183  Post and Beam

213  Quello che si ricorda

237  Queenie

268  The Bear Carne aver the Mountain

 

 

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Pagina 3

Nemico, amico, amante...


Anni fa, prima che tanti treni su linee secondarie venissero soppressi, una donna dalla fronte alta e lentigginosa e una matassa crespa di capelli rossi, si presentò in stazione per informarsi riguardo alla spedizione di certi mobili.

L'impiegato faceva sempre un po' lo spiritoso con le donne, specie con quelle bruttine, che sembravano apprezzare.

- Mobili? - disse, come se nessuno avesse mai avuto prima un'idea simile. - Dunque, vediamo. Di che genere di mobili stiamo parlando?

Un tavolo da pranzo con sei sedie. Una camera da letto completa, un divano, un tavolo basso, alcuni tavolini, una lampada a stelo. E anche una cristalliera e una credenza.

- Accidenti. Una casa intera.

- Non direi proprio, - ribatté lei. - Mancano le cose di cucina e ci sono mobili per una sola camera da letto.

Aveva tutti i denti ammucchiati davanti, come se fossero pronti a litigare.

- Le servirà il furgone, - fece lui.

- No, voglio spedirli per ferrovia. Vanno a ovest, nel Saskatchewan.

Gli si rivolgeva a voce alta, come se fosse sordo o scemo, e c'era qualcosa di strano nel modo in cui pronunciava le parole. Un accento. Olandese, pensò lui - c'era parecchio movimento di olandesi in quella zona -, anche se, delle donne olandesi, a questa mancava la stazza o la bella carnagione rosea o i capelli biondi. Poteva essere sotto i quaranta, ma che importanza aveva? Miss bellezza non doveva esserlo stata mai.

L'uomo si fece molto professionale.

- Prima di tutto le ci vorrà il furgone per trasferire la roba qui da dovunque si trovi. E poi, sarà meglio controllare che in questo posto nel Saskatchewan ci passi il treno. Se no, dovrà farla venire a prendere, che so, a Regina.

- È Gdynia, - disse. - Il treno ci passa.

Lui prese una guida cincischiata che stava appesa a un chiodo, e le chiese come si scriveva. Lei si servi della matita a sua volta legata a una corda e scrisse su un pezzo di carta estratto dalla borsetta: GDYNIA.

- E che razza di nome sarebbe?

Disse che non lo sapeva. Le prese la matita per scorrere rigo a rigo.

- Un sacco di posti da quelle parti sono pieni di cechi, di ungheresi e di ucraini, - commentò. Mentre lo diceva gli venne in mente che la donna poteva essere una di loro. Be', e allora? Stava solo esprimendo un dato di fatto.

- Eccola qui. Tutto a posto. C'è la ferrovia.

- Si, - disse lei. - Voglio spedire la roba venerdi. E possibile?

- Possiamo spedirla, ma non posso prometterle che arriverà in un certo giorno, - fece lui. - Tutto dipende dalle priorità. Ci sarà qualcuno a occuparsene quando arriva?

- Si.

- È un treno misto, merci e passeggeri, quello di venerdi, delle quattordici e diciotto. Il furgone passa a ritirare la roba venerdi mattina. Lei abita qui in paese?

Annui, mentre scriveva il suo indirizzo: 106, Exhibition Road.

Era da poco che in comune avevano distribuito i numeri civici, perciò lui non riusciva a immaginare il punto esatto, pur sapendo dove si trovava Exhibition Road. Se lei avesse fatto il nome di McCauley, in quel momento, l'uomo avrebbe forse mostrato maggior interesse, e le cose avrebbero magari preso una piega diversa. C'erano abitazioni nuove in quella zona, costruite dopo il conflitto, anche se la gente le chiamava le «case del tempo di guerra». Immaginò che si trattasse di una di quelle.

- Pagamento alla spedizione, - le disse.

- Voglio anche un biglietto per me sullo stesso treno. Venerdi pomeriggio.

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Pagina 117

Conforto


Nina aveva ripreso a giocare a tennis nel tardo pomeriggio, sui campi del liceo. Per un certo periodo li aveva boicottati, dopo che Lewis aveva lasciato la scuola, ma ormai era passato quasi un anno e la sua amica Margaret, altra insegnante a riposo il cui pensionamento, tuttavia, a differenza di quello di Lewis, era avvenuto in modo tranquillo e cerimonioso, l'aveva convinta a tornare.

- Ti conviene uscire un po', finché puoi.

Margaret era già andata via quando erano incominciati i guai per Lewis. Aveva scritto una lettera dalla Scozia offrendo la propria solidarietà. Ma era una persona dalle simpatie talmente vaste e onnicomprensive, una donna cosi cordiale con tutti, che forse quella lettera non ebbe molto peso. La solita generosità d'animo di Margaret.

- Come sta Lewis? - chiese, mentre Nina la riaccompagnava a casa in macchina quel pomeriggio.

Nina disse: - Si tiene a galla.

Il sole era già calato fin quasi al bordo del lago. Certi alberi ancora aggrappati alle loro foglie erano fiaccole d'oro, ma il tepore estivo del pomeriggio era sparito. Gli arbusti davanti alla casa di Margaret erano tutti fasciati dentro i sacchi come mummie.

Quest'ora del giorno ricordava a Nina le passeggiate con Lewis dopo la scuola e prima di cena. Percorsi brevi, per forza, mano a mano che le giornate si accorciavano, lungo viottoli fuori dell'abitato e sponde ferroviarie. Ma ricchi di quello spirito preciso di osservazione, tacito o esplicito, che Nina aveva imparato o assorbito da Lewis. Insetti, lombrichi, muschi, giunchi nel fossato e sterpaglie lanuginose tra l'erba, impronte di animali, bacche, mirtilli selvatici, un inquieto potpourri, ogni giorno un po' diverso. E ogni volta piú piú vicino di un passo all'inverno; maggiore parsimonia, un inaridimento.

La casa in cui abitavano Nina e Lewis era stata costruita intorno al 1840, addossata al marciapiede come si usava ai tempi. Dal soggiorno si sentivano non solo lo scalpiccio ma perfino le conversazioni dei passanti. Nina immaginava che Lewis avesse sentito sbattere la portiera della macchina.

Entrò fischiettando meglio che poteva. «See the conquering hero comes».

- Ho vinto. Ho vinto. C'è nessuno?


Ma mentre lei era fuori, Lewis moriva. Anzi, si ammazzava. Sul comodino da notte c'erano quattro confezioni di plastica foderate di stagnola. Ogni cartina conteneva due potenti analgesici. Accanto a queste, altre due intatte, con le capsule bianche che ancora occupavano le piccole bolle di plastica. Piú tardi, quando Nina le raccolse, vide che una presentava un breve taglio sulla stagnola, come se Lewis avesse incominciato a inciderla con l'unghia e poi avesse rinunciato, forse decidendo che ne aveva già prese abbastanza, o forse perché in quel momento aveva perso i sensi.

Il bicchiere d'acqua era quasi vuoto. Non ne aveva versato una goccia.

Di questa cosa avevano parlato. Avevano anche programmato il da farsi, ma intendendolo sempre come una possibilità, un'eventualità futura. Nina aveva dato per scontato che lei sarebbe stata presente, e che l'evento si sarebbe svolto secondo una sorta di cerimoniale. Musica. I cuscini ben sistemati e una sedia accostata al letto in modo che lei potesse tenergli la mano. Due elementi erano sfuggiti alla sua riflessione: il fatto che Lewis detestasse ogni genere di rito, e il fardello che una simile forma di partecipazione le avrebbe scaricato sulle spalle. Domande a cui rispondere, giudizi contrastanti, il suo coinvolgimento in quanto parte attiva nel gesto.

Facendolo in questo modo, lui aveva ridotto al minimo lo scalpore degno di curiosità e la necessità di mentire.

Si mise a cercare un biglietto. Che cosa si aspettava di trovarci? Non aveva bisogno di istruzioni. Di certo non le occorreva una spiegazione, e meno che mai una richiesta di scuse. Qualunque biglietto non avrebbe potuto dirle niente che già non sapesse. Perfino alla domanda, Perché cosi presto?, sapeva rispondere da sé. Avevano parlato - anzi, lui aveva parlato - della soglia tollerabile di invalidità, dolore fisico e ripugnanza, di come fosse essenziale riconoscerla e non superarla. Meglio troppo presto che troppo tardi.

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Pagina 124

Nina era alta piu di un metro e ottanta. Sin dall'adolescenza, tutti quanti, dagli insegnanti di educazione fisica ai counselor scolastici, a certe premurose amiche della madre, le consigliavano di stare diritta con la schiena. Lei faceva del suo meglio, ma anche adesso, quando guardava le vecchie fotografie, si scoraggiava nel constatare la sua postura dimessa: spalle raccolte, testa inclinata, il tipico atteggiamento sorridente e servizievole. Da ragazza si era abituata agli incontri organizzati da amiche che la accoppiavano a partner alti. Pareva che in un uomo avesse poca importanza tutto il resto: se superava ampiamente il metro e ottanta, era destinato a far coppia con Nina. Non di rado la situazione non li entusiasmava; dopo tutto i ragazzi alti potevano permettersi di scegliere, e Nina, sempre curva e sorridente, si sentiva invadere dall'imbarazzo.

I suoi genitori, se non altro, si comportavano come se la sua vita fosse affar suo. Erano entrambi dottori in una piccola città del Michigan. Nina tornò a stare con loro dopo il college. Insegnava latino presso il liceo locale. Passava le vacanze in Europa con le compagne di università non ancora inghiottite da matrimoni a catena e probabilmente ormai al riparo dall'esperienza. Durante un'escursione nei Cairngorms, lei e il suo gruppo si erano imbattute in una compagnia di australiani e neozelandesi, hippie a tempo determinato, il cui leader pareva essere Lewis. Aveva qualche anno piu degli altri, era un consumato girovago piú che un autentico hippie, e di sicuro una persona cui fare riferimento in caso di grane o di difficoltà. Pur non essendo particolarmente alto - una buona mezza dozzina di centimetri meno di lei - prese a fare coppia fissa con Nina, la persuase a cambiare itinerario e ad andarsene via con lui, a sua volta spensieratamente disposto ad abbandonare gli amici alle loro inclinazioni.

Saltò fuori che non ne poteva piu di viaggiare e che aveva una buona laurea in Biologia e un'abilitazione all'insegnamento conseguite in Nuova Zelanda. Nina gli raccontò della cittadina sulla costa orientale del lago Huron, in Canada, dove da bambina andava a trovare dei parenti. Ne descrisse gli alberi alti che costeggiavano le strade, le vecchie, semplici case, i tramonti sull'acqua: un posto eccellente per andare a vivere, anche perché, grazie ai privilegi riservati ai paesi membri del Commonwealth, Lewis avrebbe trovato facilmente lavoro. E lo trovarono infatti, entrambi, presso il liceo, anche se Nina smise di insegnare pochi anni dopo, quando il latino venne gradualmente eliminato. Avrebbe potuto seguire dei corsi di aggiornamento, prepararsi per insegnare altrove, ma in cuor suo non le dispiaceva affatto di non dover piu essere una collega di Lewis, per di piu nella stessa scuola. La forza della sua personalità, e lo stile di insegnamento, piuttosto sconcertante, gli procuravano amici, ma anche nemici, e fu un sollievo per lei non trovarsi coinvolta.

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Pagina 152

Ortiche

[...]

Un giorno che era con noi, Ranger si mise a inseguire una puzzola, e quella si rivoltò e gli spruzzò addosso il suo odore. Mike e io fummo ritenuti in parte responsabili. Mia madre dovette interrompere quello che stava facendo e precipitarsi in città a comprare svariate lattine di salsa di pomodoro. Mike convinse Ranger a entrare dentro una vasca, lo inondò di succo di pomodoro e glielo spazzolò bene sul pelo. Sembrava che gli stessimo facendo il bagno nel sangue. Chissà quanta gente ci sarebbe voluta per racimolare tutto quel sangue, ci chiedevamo. Quanti cavalli? Quanti elefanti?

In confronto a Mike, io la sapevo lunga in fatto di sangue e di come si uccidono gli animali. Lo portai a vedere l'angolo del pascolo accanto al cortile del granaio dove mio padre sparava ai cavalli che macellava per darli in pasto alle volpi e ai visoni. Il terreno era brullo in quel punto a furia di calpestarlo, e si vedeva una gran chiazza di sangue, una specie di impronta rosso ruggine. Poi lo portai allo scannatoio in cortile, dove le carcasse dei cavalli venivano appese prima di essere tritate e diventare mangime. Lo scannatoio era solo una tettoia cintata di filo di ferro, con le pareti nere di mosche, ubriache per il fetore delle carogne. Ci procurammo dei sassi piatti e cominciammo a schiacciarle.

La fattoria era piccola, nove acri di terra. Abbastanza piccola perché l'avessi esplorata tutta quanta, e ogni sua parte aveva caratteristiche particolari che non avrei saputo descrivere a parole. Non è difficile capire che cosa ci sia di speciale nella tettoia cintata con le lunghe carcasse pallide appese a quei barbari ganci, o nella chiazza inzuppata di sangue dove i cavalli passavano dalla condizione di animali vivi a quella di carne commestibile. Ma c'erano anche altre cose, come le pietre su entrambi i lati della passerella verso il granaio, che avevano a loro volta un mucchio di cose da dirmi, anche se non vi era mai accaduto niente di memorabile. Da una parte sporgeva un pietrone liscio e biancastro che dominava su tutti gli altri, perciò quel lato aveva ai miei occhi un aspetto piu accessibile e pubblico, e infatti sceglievo sempre di entrare da lí anziché dall'altro versante dove le pietre erano scure e ammassate con piú cattiveria. Ogni albero aveva a sua volta un atteggiamento e una personalità - l'olmo sembrava sereno e la quercia minacciosa, gli aceri cordiali e semplici, il biancospino scontroso e decrepito. Perfino le pozze lungo le sponde del fiume - da cui mio padre anni prima aveva estratto e venduto ghiaia - avevano ognuna la propria indole, forse piu facile da individuare se avevi occasione di vederle piene d'acqua dopo il disgelo primaverile. Ce n'era una piccola e tonda, profonda e perfetta; una allungata e sinuosa come una coda, e una larga e indecisa e sempre interrotta nel mezzo da un po' di terra, tanto bassa era l'acqua.

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Pagina 213

Quello che si ricorda

[...]

I giovani mariti erano severi, in quei giorni. Pochissimo tempo prima, erano stati corteggiatori, personaggi quasi comici, titubanti e devastati dalla smania di sesso. Ora però, a letto caldo, si erano fatti risoluti e critici. Uscivano di casa ogni mattina, ben rasati, il giovane collo strizzato dal nodo della cravatta, e ricomparivano la sera, pronti a dispensare occhiate di sufficienza alla cena e a spalancare il giornale, facendone una barriera contro il caos della cucina, i piccoli malesseri, le emozioni, i neonati. Quante cose avevano dovuto imparare, in poco tempo. Come lavorarsi il capo, e come dominare la moglie. Come mostrarsi autorevoli in materia di ipoteche, beni immobili, cura del prato, impianto fognario, politica, come pure riguardo al lavoro destinato a mantenere la famiglia per il successivo quarto di secolo. Solo alle donne dunque era concesso scivolare - durante le ore del giorno e sempre tenendo conto delle strepitose responsabilità scaricate sulle loro spalle dalla presenza dei bambini - in una sorta di seconda adolescenza. Una leggerezza dell'anima quando i mariti se ne andavano. Sognanti ribellioni, raduni sovversivi, accessi di ilarità che riportavano ai tempi del liceo, muffe che fiorivano sui muri a spese dei mariti, nelle ore in cui loro erano fuori.

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