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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 5 CAPITOLO 1. ESTREMO ORIENTE 20 Giappone 20 Cina 40 Il Triangolo d'Oro 48 CAPITOLO 2. ASIA CENTRALE E REGIONI CONTIGUE 56 La Mezzaluna d'Oro 56 Tribal area e Valle di Fergana 73 CAPITOLO 3. EST EUROPEO 78 Russia 78 Repubbliche ex sovietiche 98 Transnistria 108 CAPITOLO 4. AREA BALCANICA 117 Serbia 117 Montenegro 127 Albania 133 Bulgaria, Croazia e Romania 141 CAPITOLO 5. MEDITERRANEO E AREA SUBSAHARIANA 146 Turchia 146 Nordafrica 155 Nigeria 165 Corno d'Africa 169 Libano 173 Costa del Sol 175 CAPITOLO 6. AMERICA LATINA 179 Colombia 179 Messico 212 Brasile 223 CAPITOLO 7. LE ALTRE MAFIE IN ITALIA 233 LA FINE DEL VIAGGIO 263 Bibliografia 267 |
| << | < | > | >> |Pagina 2L'autore e l'editore inoltre riconoscono il principio della gratuità del prestito bibliotecario e sono contrari a norme o direttive che, monetizzando tale servizio, limitino l'accesso alla cultura. Dunque l'autore e l'editore rinunciano a riscuotere eventuali introiti derivanti dal prestito bibliotecario di quest'opera. Per maggiori informazioni, si consulti il sito «Non Pago di Leggere», campagna europea contro il prestito a pagamento in biblioteca «http://www.nopago.org/». | << | < | > | >> |Pagina 5INTRODUZIONELa globalizzazione, partita nei primi anni Ottanta sull'onda delle rivoluzioni finanziaria e informatica, ha costruito e implementato un gigantesco sistema di reti interconnesse, una Rete di Reti, che ha innervato il pianeta, collegandone le sue molteplici parti. Non è stata un'operazione indolore, anzi è costata contraddizioni e lutti. Mettere in circolo il mondo, renderlo fluido e mobile, come insegna Zygmund Bauman, ha comportato la crescita impetuosa delle economie e della ricchezza totale prodotta, con una diffusione del benessere (in alcune aree del pianeta) senza pari nella storia dell'umanità, ma ha anche generato alienazioni, povertà e nuove sofferenze, che si sono aggiunte alle vecchie, venute repentinamente alla luce in ogni parte del globo. Una tempesta permanente di conflitti, di focolai di violenza e di rivolta, di turbolenze, si è scatenata e non accenna a placarsi. La guerra è tornata all'orizzonte del nostro presente e dell'immediato futuro, anche per effetto dell'aumento generale dell'entropia all'interno delle forme della vita associata. Il terrorismo ha rialzato la testa, se mai l'avesse abbassata, spesso con un bagaglio di fondamentalismo e di arcaismo che pretendono di riportare indietro l'orologio della Storia. Ma il terrorismo non è solo. Si avvale di un fratello gemello, di uno spettro forse ancora più pericoloso perché di esperienza plurisecolare: il crimine organizzato su scala transnazionale. Se è vero infatti che lo scheletro della globalizzazione è costituito da tipologie differenti di reti in sinergia reciproca, quella che chiameremo la globalizzazione inversa – in quanto finalizzata alla predazione e alla schiavizzazione – si alimenta con un flusso reticolare di traffici illeciti altrettanto poderoso (droga, armi, esseri umani, tabacchi lavorati, rifiuti tossici, preziosi, informazioni, merci contraffatte, capitali). Questi traffici, che viaggiano attraverso rotte e canali interni e/o paralleli alle reti ufficiali, sono gestiti da soggetti delinquenziali strutturati, da mafie con proiezione mondiale, a volte in simbiosi con le organizzazioni terroristiche. L'entità del business è immane. Secondo stime dell'Ocse e dell'Onu, già nel 2000 il giro di affari complessivo si era attestato intorno ai 1500 miliardi di dollari, quanto il Pil di uno dei maggiori paesi industrializzati e pari a circa il 5% del Pil totale del pianeta. Il commercio di esseri umani (clandestini, prostitute, bambini, organi) frutta da solo circa 13 miliardi di euro all'anno, coinvolgendo 700 mila vittime. Complessivamente, nel mondo vi sarebbero 27 milioni di schiavi. Venendo al narcotraffico – il business più lucroso che ci sia – il suo fatturato equipara quello dell'industria automobilistica internazionale, basandosi su uno sterminato esercito di 200 milioni di tossicodipendenti. È facile immaginare la quantità di potere concentratosi nelle mani di quelli che sono stati definiti a buon diritto i predatori globali, i signori della globalizzazione inversa. Processo che è stato descritto in questi termini: "Sommata all'economia illegale, la nuova economia del terrorismo muove quasi 1.500 miliardi di dollari (...) creando un sistema economico internazionale parallelo a quello legittimo; questo genera un fiume di denaro che scorre in direzione delle economie tradizionali e in sostanza le inquina; accresce la dipendenza dal denaro di origine illecita e indebolisce i sistemi di controllo del riciclaggio del denaro sporco; immiserisce i paesi in via di sviluppo e le economie in transizione (...), impoverisce le economie legali, mentre sostiene quelle illegali e del terrore; indebolisce gli Stati e favorisce il costituirsi di Stati-guscio, entità che si formano intorno all'economia dei conflitti armati sostenuti da gruppi terroristici. Man mano (...) aumentano le dimensioni del sistema economico alternativo, e con esse la dipendenza dell'Occidente". | << | < | > | >> |Pagina 7La globalizzazione criminale ha anticipato quella ufficiale, perché le organizzazioni mafiose hanno dovuto porsi da subito il problema di travalicare le frontiere nazionali per condurre i propri affari al meglio, eludendo controlli, violando normative, sfuggendo alle indagini e alle sanzioni. Poi, si è abbarbicata come un parassita alle grandi reti, man mano che si sono sviluppate, sfruttandone il potenziale comunicativo. Ne è scaturita una creatura a due facce, l'una funzionale all'altra. Due universi paralleli, come la materia e l'antimateria, che condividono però punti di fusione e corridoi di scambio. Veri e propri buchi neri, tramite i quali è possibile passare da una dimensione all'altra. Se si volesse condensare in un modello la globalizzazione inversa, si dovrebbe ipotizzare un sistema articolato su quattro livelli: – le Zone franche o Aree di libero crimine (Guillermo O'Donnel, direttore dello Helen Kellog Institute for International Studies di Parigi, le ha definite Zone brune); – le Rotte o Tubazioni; – i Mercati neri o Aree di sbocco;
– i
Porti off-shore
o
Lavatrici del denaro sporco.
Le Zone franche Le Aree di libero crimine sono in genere collocate in zone remote del pianeta, lontane dai mercati maturi. In queste aree il crimine spadroneggia, gli Stati non esistono o sono totalmente soggiogati dal potere mafioso, sotto la pressione della violenza e della corruzione. Eserciti di killer spietati controllano il territorio e sorvegliano le produzioni delle merci destinate ai mercati neri, impedendo la sovranità della legge. Spesso costituiscono anche un humus ideale nel quale si intersecano contatti e connessioni con le reti terroristiche. Attualmente, è possibile distinguere almeno le seguenti Zone franche principali: – la Giungla colombiana; – il Triangolo Latino fra Paraguay, Argentina e Brasile; – il Triangolo d'Oro fra Myanmar, Laos e Thailandia; – la Tribal Area fra Afghanistan e Pakistan; – la Transnistria fra Moldavia e Ucraina; – la Valle di Fergana nel cuore dell'Asia centrale; – la fascia di confine fra Messico e Stati Uniti; – la Somalia e il Corno d'Africa. Elaborando la nozione di Narco-terrorismo, la statunitense Dea (Drug Enforcement Administration) ha messo a fuoco il principale link fra attività illecite a scopo di lucro e organizzazioni sovversive, riscontrabile a partire proprio dalle suddette Aree di libero crimine. Interessante la definizione proposta dall'agenzia: "Si dice narco-terrorista ogni gruppo organizzato che sia complice nel traffico di droga al fine di promuovere, o finanziare, atti premeditati e politicamente motivati di violenza contro obiettivi non combattenti, con l'intenzione di condizionare governi o settori di popolazione". Il concetto è stato mutuato dalla prassi del Cartello di Medellin, che impiegava tecniche terroristiche (autobombe contro obiettivi civili) per indurre il governo colombiano a non interferire nei suoi affari e a non estradare Pablo Escobar negli Usa. Nella lista nera stilata dalla Dea figurano le seguenti formazioni guerrigliere che si foraggerebbero con la droga: – Fare, Eln e Auc in Colombia; – Hamas ed Hezbollah nel Triangolo Latino (area ai confini di Paraguay, Argentina e Brasile nella quale cellule terroristiche infiltrate fra gli abitanti di origine araba sono dedite a svariate forme di contrabbando); - Sendero Luminoso in Perù (apparentemente scompaginato); - Talebani e Al Qaeda nella Tribal Area; - Pkk in Turchia; - Miu in Uzbekistan e nella Valle di Fergana e di Tildara; - Tigri Tamil in Sri Lanka (decimate); - Esercito Unito dello Stato Wa nel Triangolo d'Oro; - Nuovo Esercito del Popolo, Moro Fronte di Liberazione Nazionale, Moro Fronte di Liberazione Islamica, Gruppo Abu Sayyaf, nelle Filippine.
Del resto, altri autori confermano che "in almeno trenta
paesi i ribelli che combattono i governi finanziano la loro
guerriglia e le campagne di destabilizzazione con i fondi
del narcotraffico o derivanti da altre forme di criminalità
organizzata. Non a caso oggi le tre più lunghe guerre civili del mondo, quelle
in Colombia, Afghanistan e Myanmar, si combattono in paesi leader nella
produzione di droga". Anche i guerriglieri maoisti del Nepal sono stati
accusati di trarre profitto dalla commercializzazione di funghetti allucinogeni
che crescono nelle altitudini himalayane.
Le Rotte Molteplici, tortuose e talora mutevoli, sono le rotte dei traffici illeciti. Comprendono quelle attraverso cui la cocaina, in partenza dalla Colombia e dal Perù, raggiunge l'America del Nord e l'Europa, oppure quelle percorse dall'eroina e dalle droghe sintetiche prodotte nel Triangolo d'Oro e nella Mezzaluna d'Oro per invadere le metropoli a stelle a strisce o le strade del Vecchio Continente.
Vi sono rotte utilizzate anche per il traffico di carne umana (clandestini e
prostitute) e per il commercio di armi o di tabacchi lavorati. Non di rado si
tratta di
corridoi
o
tubazioni
impiegati alternativamente per il passaggio dell'una o dell'altra "merce".
I Mercati neri
Il terzo anello è costituito dalle aree metropolitane avanzate all'interno
delle quali le organizzazioni criminali controllano i "mercati neri" (dove si
vendono i "beni proibiti") e ampie zone del territorio, che danno luogo ai
flussi del denaro sporco.
I Porti off-shore Il quarto anello della catena comprende i paradisi fiscali, decisivi per riciclare e immettere nei circuiti finanziari regolari le risorse ricavate dalle attività illecite. Secondo l'Ocse, sarebbero rimasti in 7 quelli operativi: il Principato di Monaco; il Liechtenstein, il Principato di Andorra, la Liberia, le Isole Marshall, la Repubblica di Nauru, l'arcipelago di Vanuatu. Si tratta di "ambienti" caratterizzati da un impenetrabile segreto bancario e dalla scarsità di informazioni ai fini fiscali. In altre parole, accettano i soldi di tutti senza chiederne l'origine, senza applicare tasse e, soprattutto, non rispondendo ad alcuna rogatoria estera. In realtà i paradisi fiscali sono molti di più. Dalla nostra ricognizione è emerso che anche l'Isola di Cipro è stata usata dalle mafie turca, russa e cecena, nonché dall'ex presidente serbo Slobodan Milosevic, per trasferire denaro e ripulirlo. Analoghe operazioni sono state compiute presso l'isola di Malta e lo stesso Ior vaticano, verso la metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. | << | < | > | >> |Pagina 12Chi domina la globalizzazione inversa? La risposta è una sola: le mafie transnazionali. Si tratta di organismi che hanno la capacità di dirigere processi complessi grazie a precise caratteristiche integrate in forma sistemica, veri e propri punti di forza, assenti in altre manifestazioni delinquenziali. In altre parole, i mafiosi non sono malavitosi tout court, bensì hanno un quid in più. Gli studiosi del fenomeno sono concordi nel riconoscere alle loro associazioni i seguenti tratti distintivi: * struttura organizzativa gerarchizzata e segreta; * capacità di controllare il territorio; * disponibilità di eserciti criminali; * propensione all'uso della violenza quando occorra, mai a sproposito; * adozione di forme di ritualità e di simbologie arcaiche; * osservanza di un "codice d'onore" da parte degli affiliati; * elevata capacità di corrompere apparati, burocrazie statali e classi politiche; * abilità nel catturare il consenso sociale; * capacità di instaurare rapporti internazionali con organizzazioni omologhe secondo un modello reticolare. Particolare attenzione merita l'abilità che le mafie dimostrano sotto tutte le latitudini nel corrompere politici e burocrati e nell'infiltrare interi settori delle istituzioni che le fronteggiano. Tale abilità è sicuramente uno dei fattori che fanno la differenza rispetto alle altre espressioni di delinquenza comune: bisogna sempre tenere a mente che fra un mafioso e un semplice gangster c'è un abisso. Su questo punto è utile riportare l'opinione di Umberto Santino: "In Occidente si sono avuti due modelli storici del rapporto mafia-economia: 1) il modello siciliano, con la prevalenza delle attività illegali, per le scarse convenienze offerte dal mercato legale e per l'inesistenza di ricambi per articolare la divisione del lavoro criminale. In tale quadro le attività legali sono soprattutto attività di copertura e di riciclaggio; 2) il modello nordamericano, con un passaggio parziale ad attività legali, all'interno di un mercato aperto e con una società composita che offre notevoli possibilità di ricambio. Quanto al rapporto mafia-politica-istituzioni, in entrambi i modelli i gruppi mafiosi sono collegati alle istituzioni, ma distinti da esse. Sotto questo profilo c'è un terzo modello, quello sudamericano, che dà vita a un'identificazione tra criminalità e istituzioni (narcocrazie o criminocrazie). Nel modello russo, la mafia in buona parte è nata e nasce dal seno delle istituzioni (Partito, Kgb, ecc.) e a questo livello esso è più simile alle criminocrazie". Riassumendo, si potrebbe affermare che le mafie si rapportano alle pubbliche amministrazioni in tre differenti forme: Contropotere, Stato-nello-Stato, Stato tout court. In alcune realtà queste modalità si intersecano e si sovrappongono, in altre sono disgiunte. Nelle Zone franche, la mafia è Stato puro, dominio assoluto e brutale. Utile in questo senso, e per certi versi analoga, la nozione di Stato-guscio elaborata da Loretta Napoleoni. In molti paesi la mafia è insieme contropotere, nei confronti di quei segmenti dell'apparato statuale che non riesce a comprare, e Stato-nello-Stato, quando assolda i funzionari pubblici e i politici. Le funzioni di contropotere implicano l'uso della forza e l'annientamento degli avversari, ossia di "quelli che non ci stanno". Gli amici degli amici, invece, si pagano lautamente. Tutto ciò apre una problematica vastissima sulla consistenza/configurazione della sovranità nell'era della globalizzazione. Se si guardano le cose sotto il profilo sostanziale, oltre i formalismi giuridici, si scoprirà che tutti gli Stati appartenenti alla comunità internazionale sono a sovranità limitata. Parte di essa è stata infatti corrosa e assorbita dai sistemi criminali organizzati, che si sono insediati come parassiti dentro le istituzioni. Naturalmente questi processi degenerativi hanno intaccato le forme-Stato costituite in misura differenziata. Talora in maniera periferica e marginale, altre volte pesantemente sino a svuotare da dentro la sovranità formale. Viene alla mente il film La Cosa di John Carpenter, nel quale un organismo alieno letale si impadroniva dei corpi umani e li trasformava dall'interno, lasciandoli apparentemente inalterati all'esterno. Un altro aspetto degno di riflessione, in quanto tratto vicino al terrorismo di ispirazione fondamentalista, è l'arcaismo. Ritualità magico-simboliche, giuramento di sangue, verticismo, sottomissione totale al capo, codice d'onore di stampo "cavalleresco", tradimento come sommo peccato, vendetta come diritto metafisico, struttura organizzativa mutuata dalla famiglia patriarcale o dal clan, concezione della comunità come entità chiusa e ripiegata su se stessa, sono tutti elementi che veicolano antimodernismo. Antitetici alla cultura della libertà e al diritto dell'individuo al "perseguimento della felicità", sono portatori di una Weltanshauung altra e irriducibile rispetto a quella illuministica che continua a informare il capitalismo democratico e, in ultima analisi, i processi di globalizzazione. Di qui una naturale sintonia/sinergia, non solo sul piano tattico, con i fautori della restaurazione del Califfato nel Terzo Millennio. A questo punto la domanda è: esiste una Supercupola mafiosa mondiale? L'argomento è stato molto dibattuto negli ambienti accademici e fra gli esperti della materia. Diversi gli orientamenti. Indubbiamente la tentazione di parlare di Piovra universale, di Spectre del crimine, per spiegare tutto, è forte, ma appare come uno stereotipo che semplifica eccessivamente la complessità del reale. Sono agli atti dichiarazioni di pentiti che attribuivano a Totò Riina la presidenza della Supercupola. Risultano tuttavia poco credibili. Molto più credibile è invece il modulo reticolare, che vede interconnessi senza un centro unico una pluralità di sistemi criminali all'interno di dinamiche condivise. Ovviamente si sono verificati negli ultimi decenni summit, incontri, accordi, patti e anche scontri, per arrivare a una divisione internazionale del lavoro illegale ricompositiva di interessi, rotte e mercati neri, che soddisfi tutti gli attori in campo. In questa dimensione, però, la stabilità delle intese è una chimera sempre inseguita, ma mai del tutto afferrata, soprattutto tra fuorilegge. In ogni caso, da un punto di vista che respinga ogni visione complottarda e dietrologica della Storia, ritenendo caricaturali i Grandi Vecchi e i Grandi Fratelli, appare più utile ipotizzare ambiti di coordinamento di area e di settore fra le diverse organizzazioni, non permanenti, bensì attivabili periodicamente o ad hoc. | << | < | > | >> |Pagina 16Afferma Luciano Violante: "La mafia non è una piovra, né un cancro. Non è né misteriosa, né invincibile. Per combatterla efficacemente e per vincerla occorrono analisi razionali". Analisi che non sono state fatte o sono state soltanto abbozzate superficialmente dai singoli Stati e dagli organismi sovranazionali, se si considerano i risultati finora conseguiti dalle strategie e dalle tattiche di contrasto del crimine organizzato messe in campo su scala planetaria. Nonostante le numerose operazioni di successo condotte dalle polizie, nessuno dei principali traffici illeciti gestiti dalle mafie è stato seriamente messo in crisi o ridimensionato. Si prenda il caso del narcotraffico, esemplare più di ogni altro. Le politiche Onu e anche Usa di eradicazione e di sostituzione delle coltivazioni di coca e di papavero da oppio hanno dato risultati transitori e, in ultima analisi, effimeri. Spesso le piantagioni sono state spostate altrove, mentre rotte alternative per trasportare la droga sono state scelte dai narcos quando quelle tradizionalmente battute si sono rivelate impraticabili. Lo stesso è avvenuto per il commercio delle armi. Gli embarghi Onu sono stati aggirati attraverso il metodo della triangolazione delle merci e la proliferazione degli strumenti di sterminio di massa è andata avanti, nonostante gli anatemi dei paesi democratici, con il rischio concreto che essi cadano nelle mani di gruppi terroristici senza scrupoli. Per non parlare degli altri traffici illegali, che hanno continuato a fluire pressoché indisturbati. Non è certo nostro compito forgiare nuove strategie per combattere la criminalità mondiale, lasciamo questo gravoso onere ai soggetti competenti. Alcuni suggerimenti e considerazioni, tuttavia, ci permettiamo di proporli in forma schematica. Gli ordinamenti giuridici e le legislazioni nazionali, a causa della loro rigidità e della crescente frammentazione, sono inadeguati e non stanno al passo con la rapida evoluzione delle tipologie delinquenziali organizzate. Come segnalano alcuni autori, "la formula magica con cui, per ora, Caino vince (...) si basa su due pilastri fondamentali. Il primo è il decentramento amministrativo (...). Dove i governi nazionali non hanno saputo, né voluto, o forse potuto, regolare il mercato, là si sono sviluppate forme efficienti di capitalismo selvaggio. In molti paesi, per effetto della deregulation, della devolution e del decentramento, le autorità regionali sono rimaste le sole a controllare il processo di produzione della ricchezza. Spesso si tratta di autorità senza alcun potere anticrimine e antimonopolio (...). Il crimine organizzato spesso prevale non tanto perché vince battaglie locali contro le forze dell'ordine (...). Semplicemente occupa spazi abbandonati da Stati schiacciati da un grave degrado politico e amministrativo, paralizzati da ridicole regole burocratiche". Il diritto internazionale si dimostra anodino, poiché non dispone di adeguati strumenti sanzionatori in grado di far rispettare le norme e di perseguire duramente chi le viola. Le politiche repressive sono necessarie, ma non sufficienti a determinare il risultato complessivo della sconfitta o comunque della forte regressione dei fenomeni mafiosi. Fino a quando le élite di potere dei paesi democratici non prenderanno atto che le mafie danno risposte deviate a problemi reali e a bisogni autentici radicati nel profondo della condizione umana, qualsiasi intervento di polizia rimarrà monco e, dunque, sostanzialmente inefficace, al di là del successo immediato. E questo vale per il narcotraffico come per la prostituzione, per l'immigrazione clandestina e persino per il commercio di organi umani o per il traffico d'anni. La lotta al crimine organizzato non è una mera questione di ordine pubblico o di ordinaria amministrazione della giustizia. Essa è uno dei problemi principali del nostro tempo. Richiede categorie cognitive innovative e flessibilità operativa. Lotta al terrore di matrice fondamentalista e lotta a quello di stampo mafioso rappresentano due fronti della stessa guerra. Solo con un approccio spregiudicato, che sappia fondere dentro una strategia unitaria strumenti e interventi diversificati (diplomazia, intelligence, misure sanzionatorie, azioni belliche, politiche di legalizzazione/liberalizzazione delle merci proibite, politiche di prevenzione, ecc.), sarà possibile combatterla con successo e vincere, purché si assuma un concetto relativo di vittoria. Nel frattempo, ampliare e approfondire la conoscenza dei fenomeni in questione è l'imperativo categorico. A questo scopo, compiremo un viaggio nelle principali aree del pianeta: Estremo oriente, Asia centrale, Est europeo ed ex Unione sovietica, Balcani, Mediterraneo e area sub sahariana, America latina. Ovviamente non tutti i fenomeni di criminalità organizzata sono stati indagati in maniera esauriente (non basterebbe un'intera enciclopedia), alcuni sono stati completamente ignorati. Tuttavia riteniamo di aver abbozzato una mappa complessiva delle mafie attive dentro lo scenario della globalizzazione, nonché dei traffici illeciti e delle rotte da essi seguite per raggiungere i mercati di sbocco. Abbiamo volutamente tralasciato soltanto la mafia italo-americana e quelle autoctone (siciliana, campana, calabrese, pugliese), perché sull'argomento è stato già versato un fiume di inchiostro e non saremmo stati in grado di aggiungere nulla di più, preferendo piuttosto focalizzare le connessioni che queste ultime intrattengono con i sistemi criminali organizzati allogeni.
L'obiettivo è disegnare una mappa geopolitica dei traffici
illeciti, una sorta di piccolo atlante che, avvalendosi di
studi e inchieste, riesca a offrire una panoramica ricca e
aggiornata delle mafie transnazionali e della globalizzazione inversa nel loro
materiale divenire.
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