Autore Thomas Nagel
Titolo Mente e cosmo
SottotitoloPerchè la concezione neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa
EdizioneCortina, Milano, 2015, Scienza e idee , pag. XIX+134, cop.fle., dim. 14x22,5x1,2 cm , Isbn 978-88-6030-760-6
OriginaleMind & Cosmos. Why the Materialist Neo-Darwinian Conception of Nature Is Almost Certainly False
EdizioneOxford University Press, Oxford, 2012
CuratoreMichele Di Francesco
TraduttoreSarah Songhorian
LettoreFlo Bertelli, 2016
Classe filosofia , mente-corpo , evoluzione , scienza , epistemologia , scienze cognitive , scienze naturali












 

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Indice


Introduzione all'edizione italiana                       IX
(Michele Di Francesco)


Premessa                                                  3

1. Introduzione                                           5

2. L'antiriduzionismo e l'ordine della natura            17

3. La coscienza                                          39

4. La cognizione                                         75

5. I valori                                             101

6. Conclusioni                                          131


Indice analitico                                        133


 

 

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Pagina IX

INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA
Michele Di Francesco



Mente e cosmo


Thomas Nagel è uno dei principali filosofi americani viventi, e uno dei pensatori che più hanno contribuito alla riflessione sui rapporti fra coscienza e ordine naturale, rapporti che, nella sua prospettiva, sono incentrati su una tensione essenziale: l'aspirazione della scienza postgalileiana a una descrizione oggettiva e impersonale del mondo e la presenza di soggetti di esperienza – creature coscienti dotate di un punto di vista e di una vita mentale i cui caratteri qualitativi sono accessibili solo in prima persona. Per Nagel, la tensione appare in qualche modo irrisolvibile: la visione materialistica e oggettiva del mondo proposta dalla scienza moderna semplicemente non offre margini per una spiegazione dell'esistenza dei fenomeni coscienti.

Questa tesi, sostenuta fin dall'inizio degli anni Settanta del secolo scorso, è ormai un punto di riferimento obbligato nel dibattito in filosofia analitica della mente. In questo volume, tuttavia, la riflessione di Nagel assume uno sviluppo nuovo e ancora più radicale. Invece di limitarsi a sottolineare l'incapacità della visione materialistica e riduzionistica di giungere a una spiegazione della soggettività cosciente, egli compie un passo ulteriore, cercando di trarne conseguenze di scala – alla lettera – cosmica. Ciò che Nagel oggi afferma è che il problema del rapporto tra mente e corpo (o meglio tra mente e mondo) non è una questione locale, ma si ripercuote sulla nostra visione di fisica e biologia. Con una sintesi stringente: se la coscienza non è spiegabile (per ragioni di principio) da fisica e biologia nella loro forma attuale, e se la mente biologica è il prodotto dell'evoluzione (se gli organismi coscienti non sono tali per un miracolo, ma fanno parte dell'ordine naturale), "allora la biologia non può essere una scienza puramente fisica" (p. 19). Si apre a questo punto la necessità di rileggere l'intera storia dell'evoluzione dell'universo, assumendo la centralità dei fenomeni mentali e coscienti (e di ciò che essi portano con sé: conoscenza, razionalità, valori). Lungi dall'essere un tardivo sottoprodotto dell'intreccio tra leggi fisiche generali e impersonali e selezione naturale, la comparsa dei fenomeni mentali richiede una spiegazione ulteriore; una spiegazione che ci conduce oltre la terra cognita della visione materialistica e neodarwiniana che (ritiene Nagel) oggi domina la nostra concezione del mondo. Si tratta, niente meno, di estendere il confine di ciò che finora non è stato ammissibile pensare, fino a suggerire "che nella storia della natura sono al lavoro anche principi di tipo diverso, principi sull'aumento dell'ordine che sono, per quanto riguarda la loro forma logica, teleologici piuttosto che meccanicistici" (p. 9).

Se questo al lettore non paresse abbastanza, possiamo aggiungere che nel libro Nagel giunge ad affermare che, oltre agli argomenti filosofici, esistono anche ragioni empiriche per dubitare del riduzionismo biologico e che, da questo punto di vista, gli argomenti critici dei sostenitori del "disegno intelligente", invece che demonizzati, dovrebbero essere serenamente valutati, anche da chi, come lui, contrappone alle dottrine teistiche una visione atea e immanente dell'origine della vita e della mente.

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1
INTRODUZIONE



Scopo di questo libro è sostenere che il problema mente-corpo non è semplicemente un problema localizzato che concerne la relazione tra mente, cervello e comportamento negli organismi animali viventi, ma pervade la nostra comprensione dell'intero cosmo e della sua storia. Le scienze fisiche e la biologia evoluzionistica non sono esenti da questo problema. Inoltre, ritengo che una appropriata valutazione della sua difficoltà debba infine modificare la nostra concezione del posto che le scienze fisiche occupano nella descrizione dell'ordine naturale.

Uno dei compiti legittimi della filosofia è investigare i limiti persino delle forme più sviluppate e riuscite della conoscenza scientifica contemporanea. Può essere frustrante riconoscerlo, ma noi ci troviamo semplicemente in un determinato punto della storia del pensiero umano e i nostri discendenti faranno scoperte e svilupperanno forme di comprensione che ancora non immaginiamo. Gli esseri umani non rinunciano alla speranza di una sintesi finale, ma l'umiltà intellettuale impone di resistere alla tentazione di assumere che strumenti del tipo di quelli oggi posseduti siano in teoria sufficienti a comprendere appieno l'intero universo. Mostrare i limiti di tali strumenti è un'impresa filosofica, per chiunque la intraprenda, piuttosto che parte della ricerca interna alla scienza, benché si possa sperare che, se i limiti vengono riconosciuti, ciò possa infine condurre alla scoperta di nuove forme di comprensione scientifica. Gli scienziati sono ben consapevoli di quanto poco sappiano, ma questo è un altro genere di problema: non si tratta semplicemente di ammettere i limiti di quanto è davvero compreso, ma di provare a riconoscere che cosa possa e non possa essere compreso, in linea di principio, con certi metodi esistenti.

Il mio obiettivo polemico è una certa immagine generale e speculativa del mondo, ottenibile per estrapolazione da certe scoperte della biologia, della chimica e della fisica; una particolare Weltanschauung naturalistica che postula una relazione gerarchica tra gli oggetti di quelle scienze e una spiegazione teoricamente compiuta, attraverso la loro unificazione, di tutto ciò che esiste nell'universo. Per nessuna di tali scienze questa visione è condizione necessaria per la pratica e la sua accettazione o non accettazione non avrà alcun effetto sulla maggior parte della ricerca scientifica. Per quanto ne so, la maggioranza degli scienziati di professione non ha alcuna opinione sulle questioni cosmologiche generali cui questo riduzionismo materialistico fornisce una risposta. Le loro ricerche dettagliate e i loro risultati concreti non implicano ovvero non dipendono, in generale, da quest'ultimo né da alcuna altra risposta a tali questioni. Sennonché, tra gli scienziati e i filosofi che invece esprimono un'opinione sull'ordine naturale come un tutto, il materialismo riduzionistico è largamente assunto come l'unica possibilità seria.

Il punto di partenza dell'argomentazione è il fallimento del riduzionismo psicofisico, una posizione – nella filosofia della mente – ampiamente motivata dalla speranza di mostrare come le scienze fisiche possano fornire, in linea di principio, una teoria del tutto. Se tale speranza è irrealizzabile, sorge la questione se si possa ricavare un'altra comprensione, più o meno unificata, dell'intero cosmo così come lo conosciamo. Tra i candidati tradizionali per una comprensione globale della relazione tra mente e mondo fisico, ritengo che ci siano prove a favore di una qualche forma di monismo neutrale rispetto alle alternative tradizionali del materialismo, dell'idealismo e del dualismo. Quello che vorrei fare è esplorare le possibilità compatibili con ciò che sappiamo, in particolare sul modo in cui la mente e tutto ciò che a essa è collegato dipendono dalla comparsa e dallo sviluppo degli organismi viventi, in conseguenza dell'evoluzione fisica, chimica e infine biologica dell'universo. Sosterrò che questi processi devono essere riconcepiti alla luce di ciò che hanno prodotto, se il riduzionismo psicofisico è falso.

L'argomento che muove dal fallimento del riduzionismo psicofisico è un argomento filosofico, ma ritengo che ci siano ragioni empiriche indipendenti per essere scettici rispetto alla verità del riduzionismo in biologia. Il riduzionismo fisico-chimico costituisce la posizione ortodossa in biologia e ogni resistenza a esso è considerata scorretta non solo scientificamente, ma anche politicamente. Ciò nonostante, per molto tempo ho trovato difficile credere a una spiegazione materialistica del modo in cui noi e gli organismi simili a noi abbiamo avuto origine, compresa la versione comunemente accettata del funzionamento del processo evolutivo. Quanti più dettagli apprendiamo sulle basi chimiche della vita e sulla complessità del codice genetico, tanto più incredibile diventa la spiegazione storica standard. Questa è solo l'opinione di un profano con una vasta conoscenza della letteratura che spiega la scienza contemporanea ai non addetti ai lavori. Forse quella letteratura presenta la situazione con una semplicità e una sicurezza che non riflettono il pensiero scientifico più sofisticato in questi ambiti. Tuttavia, a me sembra che l'attuale ortodossia sull'ordine cosmico, così come è comunemente presentata, sia il prodotto di assunzioni di fondo prive di fondamento e che sfidi il senso comune.

Vorrei difendere la reazione ingenua di incredulità alla spiegazione riduzionistica e neodarwiniana dell'origine e dell'evoluzione della vita. È prima facie altamente implausibile che la vita, così come la conosciamo, sia il risultato del susseguirsi di eventi fisici casuali in combinazione con il meccanismo della selezione naturale. Ci si aspetterebbe che abbandonassimo questa risposta ingenua non a favore di una compiuta spiegazione fisico-chimica, bensì a favore di un'alternativa che sia realmente uno schema esplicativo, corroborato da alcuni esempi. Ciò che manca, per quanto ne so, è un argomento credibile a sostegno del fatto che tale storia ha una probabilità non trascurabile di essere vera. Al riguardo, sorgono due domande. In primo luogo, a partire da ciò che sappiamo sulle basi chimiche della biologia e della genetica, qual è la probabilità che forme di vita autoprodotte possano aver avuto spontaneamente origine sulla Terra primordiale solo per effetto delle leggi della fisica e della chimica? La seconda domanda riguarda le cause della variazione del processo evolutivo avviatosi quando la vita ebbe inizio: nel tempo geologico trascorso da quando le prime forme di vita sono apparse sulla Terra, quanto è verosimile che, come risultato di eventi fisici casuali, possa aver avuto luogo una sequenza di mutazioni genetiche realizzabili sufficiente a permettere che la selezione naturale producesse gli organismi che di fatto esistono?

Nella comunità scientifica c'è molta più incertezza sulla prima domanda che sulla seconda. Molti ritengono estremamente difficile che si giunga a una spiegazione riduzionistica dell'origine della vita, ma la maggior parte delle persone non ha alcun dubbio che siano sufficienti variazioni genetiche casuali a sostenere l'effettiva storia dell'evoluzione per selezione naturale, una volta comparsi organismi in grado di riprodursi. Tuttavia, dal momento che tali domande riguardano eventi altamente specifici su un ampio periodo che si estende fino a un remoto passato, le prove disponibili sono molto indirette e le assunzioni generali svolgono per forza una parte importante. Il mio scetticismo non si basa su una credenza religiosa o su una credenza in una qualsiasi altra particolare alternativa; esso non è altro che la credenza che su queste questioni l'evidenza scientifica a disposizione non ci impone razionalmente – a dispetto del consenso dell'opinione scientifica – di trascurare l'incredulità del senso comune. Ciò è particolarmente vero per quanto concerne l'origine della vita.

Il mondo è un posto sorprendente e l'idea che noi siamo in possesso degli strumenti di base necessari per comprenderlo non è più credibile oggi di quanto lo fosse ai tempi di Aristotele. Che il mondo abbia prodotto te, me e il resto di noi è la cosa più sorprendente. Se la ricerca contemporanea in biologia molecolare lascia aperta la possibilità di dubbi legittimi su una spiegazione completamente meccanicistica dell'origine e dell'evoluzione della vita, che dipenderebbe soltanto dalle leggi della chimica e della fisica, ciò, insieme al fallimento del riduzionismo psicofisico, suggerisce che nella storia della natura sono al lavoro anche principi di tipo diverso, principi sull'aumento dell'ordine che sono, per quanto riguarda la loro forma logica, teleologici piuttosto che meccanicistici. Mi rendo conto che tali dubbi verranno vissuti da molte persone come oltraggiosi, ma questo è solo perché quasi tutti, nella nostra cultura secolare, sono stati intimiditi al punto di considerare un programma di ricerca riduzionistico come sacrosanto in ragione del fatto che nient'altro sarebbe da considerarsi scienza.

Il mio progetto ha la forma familiare del tentativo di soddisfare un insieme di condizioni che sembrano congiuntamente impossibili. Oltre all'antiriduzionismo, altri due vincoli sono importanti: in primo luogo, se abbiamo la pretesa di fornire una comprensione effettiva del mondo, l'assunzione che certe cose siano così degne di nota da dover essere spiegate come non casuali; in secondo luogo, l'ideale di scoprire un solo ordine naturale che unifichi tutto sulla base di un insieme di elementi e principi comuni: un ideale cui le nostre forme di comprensione attuale, che sono inevitabilmente molto incomplete, dovrebbero tuttavia aspirare. Il dualismo cartesiano rifiuta questa seconda aspirazione e i programmi riduzionistici sia del materialismo sia dell'idealismo sono tentativi falliti di realizzarla. La concezione unificante è incompatibile anche con il teismo, che spiega certe caratteristiche del mondo naturale per mezzo dell'intervento divino, il quale non fa parte dell'ordine naturale.

I grandi progressi nel campo delle scienze fisiche e biologiche sono stati resi possibili dall'esclusione della mente dal mondo fisico. Ciò ha permesso una comprensione quantitativa di quel mondo, espressa per mezzo di leggi fisiche senza tempo e formulate matematicamente. A un certo punto, tuttavia, sarà necessario ripartire da una comprensione più completa, che includa anche la mente. Sembra inevitabile che una tale comprensione avrà una dimensione storica così come una dimensione non temporale. L'idea che la comprensione storica sia parte della scienza è divenuta familiare con la trasformazione della biologia per mezzo della teoria dell'evoluzione. Più recentemente, con l'accettazione della teoria del Big Bang, anche la cosmologia è diventata una scienza storica. La mente, in quanto risultato dello sviluppo della vita, deve essere inclusa come lo stadio più recente di questa lunga storia cosmologica, e la sua comparsa – io credo – getta ombre su tutto il processo nonché sui costituenti e sui principi da cui esso dipende.

La domanda è se possiamo integrare questa prospettiva con quella delle scienze fisiche, che sono state sviluppate per un universo privo di mente. La comprensione della mente non può essere confinata all'interno della prospettiva in prima persona, dato che la mente è il prodotto di un processo in parte fisico; al contempo, dovremo però, a un certo punto, porre un termine all'isolamento della fisica e alla sua pretesa di completezza. Ciò suscita una domanda: fino a che punto il carattere riduzionistico, che è così centrale per la fisica contemporanea, potrà sopravvivere a questa trasformazione? Se la fisica e la chimica non sono in grado di spiegare completamente la vita e la coscienza, come potrà l'immensa mole delle loro verità combinarsi con altri elementi in una concezione estesa dell'ordine naturale che possa render conto di esse? Come ho detto, i dubbi sulla spiegazione riduzionistica della vita vanno contro il consenso scientifico dominante; tale consenso deve però affrontare la questione – che non mi sembra sia stata presa abbastanza sul serio – di quanto sia probabile che le forme di vita evolvano per mutazione casuale e per selezione naturale e di quanto sia probabile che sistemi fisici capaci di una tale evoluzione possano originarsi dalla materia inanimata. Questi problemi ci appaiono tanto più difficili quanto più scopriamo sulla complessità del codice genetico e sul suo controllo dei processi chimici della vita.

Ancora: per quanto riguarda l'evoluzione, il processo di selezione naturale non può rendere conto della storia effettiva senza presupporre un'adeguata disponibilità di mutazioni attuabili e mi sembra una questione ancora aperta che ciò possa essere stato ottenuto nel tempo geologico solamente come risultato di un evento chimico casuale, senza che fossero operativi altri fattori a determinare e a restringere le forme di variazione genetica. Non è più lecito immaginare semplicemente – come fa Richard Dawkins per l'evoluzione dell'occhio – una sequenza di fenotipi in graduale evoluzione, come se la loro comparsa per mezzo di mutazioni del DNA non fosse problematica. Per quanto riguarda l'origine della vita, il problema è ancora più serio perché, per la sua spiegazione, la selezione naturale non è un'opzione disponibile. Inoltre, è particolarmente difficile che la comparsa del codice genetico – una mappatura arbitraria di sequenze di nucleotidi in aminoacidi insieme a meccanismi che ne leggono il codice e ne eseguono le istruzioni – possa rivelarsi probabile date le sole leggi fisiche.

Nel riflettere su tali questioni sono stato stimolato da critiche alla prevalente visione scientifica del mondo giunte da una direzione molto diversa: l'attacco al darwinismo mosso in tempi recenti, a partire da una prospettiva religiosa, dai difensori del disegno intelligente. Nonostante autori come Michael Behe e Stephen Meyer siano motivati almeno in parte dalle loro credenze religiose, gli argomenti empirici che offrono contro la probabilità che l'origine della vita e la sua storia evolutiva possano essere completamente spiegate dalla fisica e dalla chimica sono di per sé di grande interesse. Un altro scettico, David Berlinski, ha portato chiaramente alla luce questi problemi senza esporli come inferenze a favore del disegno intelligente. Anche se non si è attratti dall'alternativa di una spiegazione che faccia riferimento alle azioni di un architetto, i problemi che questi iconoclasti pongono al consenso scientifico ortodosso dovrebbero essere presi seriamente. Essi non meritano lo sdegno con cui sono solitamente trattati. Ciò è manifestamente scorretto.

Coloro che hanno seriamente criticato questi argomenti hanno certamente mostrato che vi sono modi di resistere alla conclusione del disegno intelligente, ma la forza generale della componente negativa della tesi del disegno intelligente – ovvero lo scetticismo rispetto alla probabilità della visione riduzionistica ortodossa, date le prove a disposizione – non mi pare sia stata distrutta in questo dibattito. Quanto meno la questione dovrebbe essere considerata aperta. A chiunque sia interessato ai motivi di questo mio giudizio posso solo consigliare un'attenta lettura di alcuni dei maggiori sostenitori di entrambe le parti della disputa, con particolare attenzione a quanto stabilito dai critici del disegno intelligente. Qualunque cosa si possa pensare sulla possibilità che ci sia un architetto, la dottrina prevalente – cioè che la comparsa della vita a partire dalla materia inanimata e la sua evoluzione per mutazioni casuali e selezione naturale fino alle forme presenti non abbia coinvolto altro che l'operato di una legge fisica – non può essere considerata inoppugnabile. Si tratta di un'assunzione che guida il progetto scientifico, piuttosto che di un'ipotesi scientifica adeguatamente confermata.

Confesso di avere anch'io un'assunzione non fondata, in quanto non ritengo possibile considerare l'alternativa del disegno intelligente una vera opzione. Mi manca il sensus divinitatis che permette – per la verità, obbliga – così tante persone a vedere nel mondo l'espressione di un intento divino con la stessa naturalezza con cui vedono in un volto sorridente l'espressione di un sentimento umano. Perciò, le mie speculazioni su un'alternativa alla fisica in quanto teoria del tutto non invocano un essere trascendente, ma tendono a complicare il carattere immanente dell'ordine naturale. Questo, inoltre, costituirebbe una spiegazione maggiormente unificante rispetto all'ipotesi del disegno intelligente. Dissento con l'assunzione dei difensori del disegno intelligente – assunzione che condividono con i loro avversari – secondo cui l'unica alternativa naturalistica è una teoria riduzionistica basata su leggi fisiche del tipo che ci è familiare. Tuttavia, credo che i difensori del disegno intelligente meritino la nostra gratitudine per aver sfidato una visione scientifica del mondo alla quale molti aderiscono con passione proprio perché si ritiene ci liberi dalla religione.

Quella visione del mondo è ormai abbastanza matura per essere rimpiazzata, nonostante i grandi risultati ottenuti dal materialismo riduzionistico, i quali presumibilmente continueranno per lungo tempo a essere la nostra maggiore risorsa per comprendere realmente e controllare il mondo intorno a noi. Sostenere, come farò, che tale visione lascia molte cose inspiegate non equivale a offrire un'alternativa. Tuttavia, il riconoscimento di questi limiti è una precondizione affinché si possano cercare alternative o, almeno, affinché ci si possa aprire alla possibilità che ve ne siano. Ciò potrebbe anche significare che alcune delle direzioni che prende la ricerca di una forma materialistica di spiegazione appariranno come vicoli ciechi. Se la comparsa di organismi coscienti nel mondo si deve a principi di sviluppo che non derivano dalle leggi senza tempo della fisica, questo potrebbe rappresentare un motivo per essere pessimisti anche sulle spiegazioni puramente chimiche dell'origine della vita.

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3
LA COSCIENZA





I



La coscienza è l'ostacolo più evidente a un naturalismo globale che si affidi solo alle risorse della fisica. L'esistenza della coscienza sembra implicare che la descrizione fisica dell'universo, nonostante la sua ricchezza e il suo potere esplicativo, sia solo parte della verità, e che l'ordine naturale sia molto meno austero di quanto lo sarebbe se la fisica e la chimica rendessero conto di tutto. Se prendiamo questo problema sul serio e ne seguiamo le implicazioni, esso minaccia di mandare all'aria l'intera immagine naturalistica del mondo. È tuttavia molto difficile immaginare alternative percorribili.

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Pagina 72

VII



Finora ho posto il problema enfatizzando l'irriducibilità dell'esperienza cosciente al fisico. Ho accennato, però, al fatto che la coscienza umana non è solo passiva, ma è permeata, sia nell'azione sia nella cognizione, di intenzionalità, la capacità della mente di rappresentare il mondo e i propri scopi. Potrebbe risultare più controverso sostenere che l'intenzionalità non può essere realizzata in un universo puramente fisico che sostenere l'impossibilità della coscienza. Tuttavia, se, come credo, l'intenzionalità, il pensiero e l'azione resistono al riduzionismo psicofisico e possono esistere solo nelle vite di esseri che sono anche capaci di coscienza, allora anche loro fanno parte di quello che una spiegazione espansa del mentale deve spiegare. Riprenderò questo argomento nel prossimo capitolo. Credo che il ruolo della coscienza nella sopravvivenza degli organismi sia inseparabile dall'intenzionalità: inseparabile dalla percezione, dalla credenza, dal desiderio, dall'azione e, infine, dalla ragione. La generazione dell'intera struttura mentale dovrebbe essere spiegata per mezzo di principi fondamentali, se essa è riconosciuta come parte dell'ordine naturale.

La filosofia non può generare tali spiegazioni; può soltanto indicare il gran vuoto creato dalla loro mancanza e gli ostacoli alla loro costruzione a partire dai materiali attualmente disponibili. In contrasto con il classico dualismo, tuttavia, suggerisco che non dovremmo rinunciare allo scopo di trovare una spiegazione naturalistica integrata di un tipo nuovo. A una simile teoria non ci si può accostare direttamente. Richiederà diversi passaggi, in un tempo lungo, a cominciare da informazioni empiriche molto più ampie sulle regolarità nella relazione tra stati coscienti e stati cerebrali in noi stessi e negli organismi strettamente connessi a noi. Solo successivamente le ipotesi riduttive potranno essere formulate a partire da questa base evidenziale. Ritengo che abbia senso, tuttavia, non solo ambire a una ricerca neurofisiologica, ma anche a una ricerca evoluzionistica, con una certa finalità utopica di lungo termine in mente. Dovremmo cercare una forma di comprensione che ci permetta di vedere noi stessi e altri organismi coscienti come espressioni particolari del carattere al tempo stesso fisico e mentale dell'universo. Si potrebbe obiettare che la vita è già abbastanza difficile da comprendere anche solo considerandola come un fenomeno puramente fisico e che la mente può aspettare. Tuttavia, aggiungere il requisito che qualsiasi teoria della vita debba anche spiegare lo sviluppo della coscienza potrebbe non peggiorare il problema. Forse, al contrario, le caratteristiche aggiuntive dell'ordine naturale che sono necessarie per rendere conto della mente contribuiranno infine anche alla spiegazione della vita. Quanto più una teoria deve spiegare, tanto più deve essere potente.

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Pagina 85

Così come la coscienza non può essere spiegata come mera estensione o complicazione dell'evoluzione fisica, allo stesso modo la ragione non può essere spiegata come mera estensione o complicazione della coscienza. Spiegare la razionalità richiede qualcosa in più di ciò che è necessario a spiegare la coscienza e le sue forme evidentemente adattive, qualcosa che si colloca a un diverso livello. La ragione può portarci oltre le apparenze perché ha una validità del tutto generale, piuttosto che un'utilità localizzata. Se l'abbiamo, riconosciamo che essa non può essere né confermata né minata da una teoria delle sue origini evolutive, e neppure da qualsiasi altra prospettiva esterna a essa. Non possiamo distanziarci dalla ragione. Questa fu l'intuizione di Cartesio.

Se una cosa di questo tipo è comparsa nel menù evoluzionistico, potrebbe aver dimostrato il suo valore adattivo localmente. Successivamente, con l'aiuto della diffusione e dello sviluppo della cultura, potrebbe essere cresciuta fino alla sua attuale posizione di autorità critica, correggendo e spesso revocando i vecchi suggerimenti della percezione, dell'istinto e dell'intuizione e non essendo soggetta a correzione da parte di nient'altro. Il suo radicamento e infine la sua sovranità sui più vecchi istinti è comprensibile, ma solo se possiamo capire come una cosa del genere possa esistere.

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