|
|
| << | < | > | >> |Pagina 11Buongiorno, e grazie a Gilberte per avermi invitato a tenere una «Piccola conferenza» in questa grande sala. Ero un po' preoccupato sapendo che si sarebbe svolta in questa sala che non conoscevo, cercheremo di far funzionare questa sala. Detto questo, dato che Gilberte ha ripreso l'espressione «Piccole conferenze», penso che si chiamino così perché si rivolgono ai bambini, a voi bambini che sto cercando di individuare fra il pubblico.Grazie per esservi manifestati, certo che vi vedo! Stavo solo scherzando un po'. Le chiamiamo «Piccole conferenze» eppure non sono mai piccole, non mi sembra una definizione appropriata al concetto: sono conferenze «per i piccoli». Ma cosa vorrà poi dire «i piccoli»? | << | < | > | >> |Pagina 24Ti amo un po', molto, vuol dire: mi piaci, sono contento di conoscerti, di fare cose con te, ma l'accento è interamente su di me, sono io a dimostrare il mio apprezzamento ed è per questo che posso dire un po' o molto o anche di più, moltissimo. Ma quando dico «ti amo» non posso imporre alcuna misura, non posso dire se sia di più o di meno. Anzi, è proprio il contrario: «ti amo» è assoluto, in latino questo vuoi dire staccato da tutto, slegato da qualunque ordine di misura, termine di paragone. Il che ci indica qualcosa di importante: il vero amore inizia al di là di ogni possibilità di definire quantità, o livelli, di stabilire paragoni.| << | < | > | >> |Pagina 28Ma vediamo adesso il terzo momento della filastrocca: «appassionatamente». Appassionatamente – ma che cos'è la passione? La passione vuol dire che subiamo, che qualcosa ci accade, e si oppone all'azione. L'amore ci capita, questo non vuol dire che lo subiamo come una punizione, un incidente, un guaio, può anche voler dire che riceviamo e accogliamo con piacere. Ma riceviamo qualcosa che ci viene da altrove, dall'altro.Riceviamo l'amore anche quando siamo noi a donarlo. Ecco la cosa importante. Quando amiamo diamo amore all'altro, ma diamo qualcosa che noi stessi riceviamo da un'altra parte, dall'altro forse, al di fuori del rapporto con noi stessi e del rapporto dell'altro con se stesso. È qualcosa che non viene da nessuna parte e arriva da ogni dove, e ci permette di rivolgerci a un altro quando siamo presi, colpiti, da lui o da lei. Siamo colpiti da quello che di assolutamente unico c'è in lui o in lei, ma non nelle sue qualità, perché non si tratta di essere simpatici, belli, intelligenti, furbi, per non dire ricchi: se dico che «amo Luigi perché ha il nuovo modello di playstation», allora non amo Luigi. E anche se dico «Amo Oriana per i suoi magnifici capelli biondi» non amo Oriana. Certo, i capelli, le qualità proprie della persona contano, ma quel che ricevo nell'amore, quel che crea la passione è ciò che chiamiamo l'unicità della persona. E lui, è lei, ed è questo tutto quel che conta. | << | < | > | >> |Pagina 52[una ragazza] Perché è difficile dire «ti amo» per la prima volta?
Non soltanto per la prima volta:
però la prima volta lo è un po' di più,
hai ragione. Dire «ti amo» è difficile
perché sappiamo di affermare una
cosa enorme, che esprime tantissimo,
troppo. D'altra parte, abbiamo paura
che l'altro ci risponda «io no». Che ci
aspettiamo di sentire, quando diciamo
«ti amo»?
«Anch'io»
Ma certo! Un pensatore che si chiamava
Roland Barthes ha scritto, in un
libro intitolato
Frammenti di un discorso amoroso,
un lungo elenco delle
possibili risposte al «ti amo» che vanno
da «io no» fino ad «anch'io». È
chiaro che ci aspettiamo che l'altro
risponda «anch'io», perché dire «ti
amo» ha senso soltanto per chiedere
all'altro di ricambiare, amandoci, il
dono del nostro amore. Sappiamo
che quello che stiamo dicendo è troppo
e che corriamo il rischio di sentirci
rispondere «io no». È normale quindi
aver paura. Più abbiamo paura, più
aspettiamo senza osare dirlo, e più entriamo
nella verità del sentimento amoroso,
però non bisogna naturalmente
nemmeno attendere troppo.
|