Copertina
Autore Jo Nesbø
Titolo Il pettirosso
EdizionePiemme, Milano, 2012 [2009], Bestseller , pag. 492, cop.fle., dim. 12,7x19x3 cm , Isbn 978-88-566-1117-5
OriginaleRødstrupe [2000]
TraduttoreGiorgio Puleo
LettoreGiovanna Bacci, 2012
Classe gialli , thriller , narrativa norvegese
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Pagina 9

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DOGANA DI ALNABRU, 1° NOVEMBRE 1999

Un uccello grigio sfrecciò attraverso il suo campo visivo mentre Harry stava tamburellando con le dita sul volante. Il tempo sembrava non passare mai. Il giorno prima alla tv qualcuno aveva parlato della lentezza del tempo. Ecco, questo era un tempo lento. Come alla vigilia, prima dell'arrivo di Babbo Natale. Oppure sulla sedia elettrica, prima dell'inserimento della corrente.

Harry iniziò a tamburellare con più forza.

Erano parcheggiati nello spiazzo dietro i caselli del pedaggio, vicino al posto della dogana. Ellen alzò il volume dell'autoradio. Il cronista stava parlando con il tono solenne riservato alle grandi occasioni.

«L'aereo è atterrato cinquanta minuti fa, alle ore 18 e 38 in punto il presidente ha messo piede sul suolo norvegese. È stato accolto dal sindaco del comune di Jevnaker. Qui a Oslo c'è una splendida giornata autunnale, uno scenario degno di questo incontro al vertice. Ascoltiamo ancora una volta la dichiarazione che il presidente ha rilasciato mezz'ora fa, durante il suo primo incontro con i giornalisti.»

Era la terza volta che la mandavano in onda. Harry vide nuovamente davanti a sé la massa di giornalisti che si accalcava dietro gli sbarramenti. Dall'altra parte, uomini in completo grigio cercavano, senza troppa convinzione, di non sembrare agenti dei servizi segreti americani. Scrutavano la folla tronfi come dei superman, controllando per la dodicesima volta che il loro auricolare fosse posizionato correttamente. Come seguendo un codice prestabilito si sistemavano gli occhiali da sole, osservavano di nuovo la folla, si soffermavano alcuni secondi su un fotografo con un teleobiettivo un po' troppo lungo, poi continuavano a scrutare, controllando per la tredicesima volta che l'auricolare fosse a posto.

Qualcuno diede il benvenuto in inglese, seguì un attimo di silenzio e un microfono emise un suono gracchiante.

«First let me say I'm delighted to be bere...» dichiarò il presidente per la quarta volta, in un americano rauco ma ben scandito.

«Ho letto che un famoso psicologo americano ha affermato che il presidente soffre di MPD» disse Ellen.

«MPD?»

«Disturbo di personalità multipla. Dottor Jekyll e Mister Hyde. Lo psicologo intendeva dire che la sua personalità normale non sapeva che l'altra, quella del maniaco sessuale, avesse fatto sesso con quelle donne. Questo è il motivo per cui il tribunale nazionale non ha potuto condannarlo di avere mentito sotto giuramento su quell'argomento.»

«Porca miseria» disse Harry e guardò in alto, verso l'elicottero che volava sopra le loro teste.

Alla radio una voce dall'accento norvegese domandò: «Signor presidente, questa è la prima visita in Norvegia di un presidente americano in carica. Ci può dare la sua impressione?».

Pausa.

«È un vero piacere tornare nel vostro paese. E considero ancora più importante che lo stato di Israele e il popolo palestinese possano incontrarsi qui. E la chiave per...»

«Lei ricorda qualcosa della sua prima visita in Norvegia, signor presidente?»

«Certo. Durante la conferenza odierna mi auguro che riusciremo...»

«Quale significato hanno avuto Oslo e la Norvegia per la pace nel mondo, signor presidente?»

«La Norvegia ha sicuramente rivestito un ruolo importante.»

Quindi prese la parola una voce senza accento norvegese: «Signor presidente, quali risultati ritiene che sia realistico auspicarsi da questo vertice, in termini concreti?».

La trasmissione si interruppe e una voce dallo studio continuò: «Ecco, lo avete sentito! Il presidente pensa che la Norvegia abbia avuto un ruolo decisivo per... eh, la pace in Medio Oriente. Ora il presidente si sta recando...».

Harry emise un gemito e spense la radio. «Sai qual è il vero problema in questo paese, Ellen?»

Lei alzò le spalle.

«Punto 27 superato» la voce proveniva dalla ricetrasmittente fissata sul cruscotto.

Harry guardò Ellen.

«Tutti pronti ai propri posti?» chiese. Lei annuì.

«Ci siamo!» esclamò. Ellen alzò gli occhi al cielo. Era la quinta volta che Harry ripeteva la stessa frase da quando il corteo aveva lasciato l'aeroporto di Gardermoen. Dal luogo dove erano parcheggiati potevano vedere l'autostrada deserta che si snodava dall'edificio della dogana verso Trosterud e Furuset. Il lampeggiatore a luce blu sul tetto ruotava pigramente. Harry abbassò il finestrino e sporse la mano per staccare una foglia gialla che era rimasta impigliata nel tergicristallo.

«Un pettirosso» disse Ellen puntando il dito. «È un uccello raro ad autunno inoltrato.»

«Dove?»

«Lì. Sul tetto del casello del pedaggio.»

Harry si chinò in avanti e guardò attraverso il parabrezza.

«Veramente? E un pettirosso?»

«Sì. Ma suppongo che tu non sia in grado di distinguere un pettirosso da un merlo, non è così?»

«Sì. Lo ammetto.» Harry socchiuse gli occhi. Stava diventando miope?

«Il pettirosso è un uccello poco comune» disse Ellen, avvitando il tappo del thermos.

«Non ne dubito» disse Harry.

«Il novanta per cento dei pettirossi migra verso sud, ma alcuni si affidano alla sorte e rimangono qui.»

«Si affidano alla sorte?»

Qualcuno iniziò nuovamente a parlare alla radio: «Posto 62 a Quartiere Generale. C'è un'auto non identificata parcheggiata vicino alla strada, duecento metri prima dell'uscita per Lørenskog».

Dal Quartiere Generale rispose una voce dimessa con l'accento di Bergen: «Un attimo, 62. Controlliamo».

Silenzio.

«Hanno controllato la toilette?» chiese Harry facendo un cenno verso il distributore di benzina della Esso.

«Sì, í clienti sono stati fatti uscire e sono stati perquisiti. A eccezione del gestore. Lo abbiamo rinchiuso nel suo ufficio.»

«Anche i caselli del pedaggio?»

«Ispezionati. Rilassati Harry, tutti i posti da controllare contenuti nella lista sono stati spuntati. Sì, i pettirossi che rimangono sperano che l'inverno sia mite. Può andare bene, ma se sbagliano muoiono. Allora – viene da chiedersi – perché non vanno verso sud se è in gioco la loro vita? Quelli che restano lo fanno solo per pigrizia?»

Controllando nello specchietto Harry vide gli agenti su entrambi i lati del ponte della ferrovia. Vestiti di nero, con il casco sulla testa e le mitragliette MP5 appese al collo. Anche da lì, osservando il solo linguaggio del corpo, poteva intuire il loro livello di tensione.

«Il punto è che se l'inverno sarà mite potranno scegliere i luoghi migliori per la nidificazione prima che gli altri ritornino» disse Ellen cercando di spingere il thermos nel vano portaoggetti stracolmo. «Questo è un rischio calcolato... Può essere un successo o un fiasco totale. Rischiare o non rischiare... Se decidi di rischiare può darsi che una notte tu cada da un ramo congelato e non ti scongeli prima della primavera. Se sei un vigliacco può darsi che, quando torni, tu non riesca ad accoppiarti. Sono gli eterni problemi che affrontiamo nella vita.»

«Hai il giubbotto antiproiettile addosso?» Harry girò la testa e la fissò.

Ellen non rispose, si limitò a osservare l'autostrada scuotendo lentamente la testa.

«Ce l'hai o no?»

Ellen annuì e batté le nocche della mano sul petto.

«Quello leggero?»

Lei fece un cenno di assenso.

«Porca puttana, Ellen. Ho dato ordine di indossare il giubbotto antiproiettile. Mica questa variante alla Minnie.»

«Sai cosa utilizzano quelli dei servizi segreti?»

«Lasciami indovinare. Giubbotti leggeri?»

«Precisamente.»

«E tu sai di che cosa me ne sbatto?»

«Lasciami indovinare. Di quello che fanno i servizi segreti?»

«Precisamente.»

Ellen si mise a ridere. Harry sorrise a sua volta.

Dalla ricetrasmittente uscì di nuovo una voce gracidante.

«Quartiere Generale a posto 62. Quelli dei servizi segreti dicono che l'auto vicina all'uscita per Lørenskog è loro.»

«Posto 62. Ricevuto.»

«Vedi» disse Harry, e con un moto di irritazione diede un colpo al volante. «Nessuna comunicazione, questi tipi dei servizi segreti fanno le cose a modo loro. Cosa ci fa quell'auto lassù senza che noi ne sappiamo nulla? Tu cosa ne pensi?»

«Controllano se facciamo il nostro lavoro correttamente» rispose Ellen.

«Lavoro che loro ci hanno ordinato di fare.»

«In ogni caso tu puoi decidere ben poco, quindi smettila di lamentarti» disse Ellen. «E piantala di tamburellare sul volante.»

Le dita di Harry si trasferirono ubbidienti sulle ginocchia. Ellen sorrise. Lui sospirò con un lungo sibilo: «Sì, sì, sì».

Le dita cercarono il calcio della pistola di ordinanza, una Smith & Wesson calibro 38 a sei colpi. Nella cintura ne aveva altre due, automatiche e con sei colpi ciascuna. Accarezzò la pistola con la consapevolezza che per il momento non era autorizzato a portare un'arma. Forse stava veramente diventando miope; dopo il corso di quaranta ore dell'inverno precedente era stato bocciato all'esame di tiro. Anche se non era una cosa particolarmente grave, era la prima volta che gli succedeva, e questo non gli piaceva affatto. Naturalmente era sufficiente ritornare e ritentare, molti colleghi ci avevano provato anche quattro o cinque volte, ma per qualche motivo Harry aveva rimandato il nuovo tentativo.

Altri crepitii alla radio: «Punto 28 superato».

«È il penultimo punto di controllo del distretto di polizia di Romerike» disse Harry. «Il prossimo è Karihaugen, dopo di che tocca a noi.»

«Perché non possono fare come abbiamo fatto prima, comunicando semplicemente dove si trova il corteo, invece di snocciolare un numero dopo l'altro?» chiese Ellen irritata.

«Indovina.»

«Servizi segreti!» risposero entrambi in coro, e si misero a ridere.

«Punto 29 superato.»

Harry diede un'occhiata all'orologio.

«Ok, saranno qui fra tre minuti. Cambio frequenza alla ricetrasmittente per avere il distretto di polizia di Oslo. Fa' un ultimo controllo.»

La radio riprese a crepitare. Ellen chiuse gli occhi concentrandosi per poter captare le conferme che arrivavano una dopo l'altra. Riagganciò il microfono. «Tutti ai loro posti e pronti.»

«Grazie. Mettiti il casco.»

«Cosa? Per favore Harry...»

«Hai sentito cosa ho detto.»

«Metti il casco anche tu!»

«Il mio è troppo piccolo.»

Una nuova voce: «Punto 1 superato».

«Cristo, a volte sei così... poco professionale.» Ellen si mise il casco, allacciò il sottogola e fece delle smorfie davanti allo specchietto retrovisore.

«Li vedo» disse Harry mentre esaminava la strada davanti a loro con il binocolo. Sulla salita verso Karihaugen si intravedeva un luccichio metallico continuo. Harry riusciva a scorgere soltanto la prima auto della colonna, ma conosceva l'ordine di passaggio del corteo: sei motociclette con poliziotti della squadra speciale delle guardie del corpo norvegesi, addestrati appositamente, due auto di scorta norvegesi, un'auto dei servizi segreti, quindi due Cadillac Fleetwood esattamente identiche, entrambe trasportate in aereo dagli Stati Uniti. Il presidente viaggiava su una di queste ultime. Quale, era un segreto. O forse si trovava su entrambe, pensò Harry. Una per Jekyll e l'altra per Hyde. Seguivano i veicoli più grossi: le ambulanze, il furgone per il coordinamento delle comunicazioni e ancora altre auto dei servizi segreti.

«Tutto sembra procedere tranquillamente» disse Harry. Il suo binocolo spaziava da destra a sinistra. Anche se era una fredda mattina di novembre, l'aria vibrava sull'asfalto.

Ellen poté scorgere la silhouette della prima auto. Fra trenta secondi avrebbero superato il posto di dogana e metà del lavoro sarebbe stato fatto. E fra due giorni, quando le stesse auto avrebbero superato il posto di dogana nella direzione opposta, lei e Harry sarebbero potuti tornare al proprio normale lavoro di poliziotti. Preferiva occuparsi di omicidi nella squadra anticrimine piuttosto che alzarsi alle tre del mattino per sedersi su una Volvo ghiacciata insieme a un Harry irritato per via dello stress provocato dalla responsabilità che gli era stata affidata.

A parte il respiro irregolare di Harry, nell'auto regnava il silenzio. Ellen verificò che le luci delle due unità di comunicazione fossero accese. Il corteo di auto aveva quasi raggiunto il piede della collina. Una volta finito il turno aveva deciso di andare da Tørst a ubriacarsi. C'era un tipo lì, con cui aveva scambiato diverse occhiate: capelli ricci e neri, occhi scuri, un po' tenebrosi. Snello, fisionomia levantina e aria da intellettuale. Forse...

«Cosa diavolo...»

Harry aveva già afferrato il microfono. «C'è qualcuno nel terzo casello a partire da sinistra. Qualcuno può identificare l'individuo in questione?»

La radio rispose con un crepitio senza parole mentre lo sguardo di Ellen si dirigeva verso i caselli del pedaggio. Lì! Vide le spalle di un uomo dietro il vetro scuro del casello, a non più di quaranta, cinquanta metri da loro. In controluce la figura disegnava un profilo nitido. Anche la canna corta con il mirino che sporgeva sopra le sue spalle si distingueva nettamente.

«Un'arma!» gridò Ellen. «Ha una mitraglietta!»

«Merda!» Harry diede un calcio alla portiera dell'auto, afferrò il telaio della porta con entrambe le mani e saltò fuori. Ellen rimase con lo sguardo fisso sul corteo delle auto che era a non più di duecento metri di distanza. Harry si chinò davanti al finestrino dell'auto.

«Non è uno dei nostri, ma può essere qualcuno dei servizi segreti. Chiama il Quartiere Generale.» Harry aveva già la pistola in mano.

«Harry...»

«Chiama di nuovo! E se il Quartiere Generale dice che è uno dei suoi agenti buttati sul clacson.»

Harry si mise a correre in direzione dei caselli e della figura in abiti civili. "Si direbbe il mirino di un Uzi" pensò. L'aria fredda e umida del mattino aggrediva i suoi polmoni.

«Polizia!» urlò Harry. «Police!»

Nessuna reazione, il vetro spesso del casello era studiato per isolare dal rumore del traffico. Ora l'uomo aveva girato la testa verso il corteo e Harry poteva vedere i suoi occhiali da sole Ray Ban. Intelligence. O qualcuno che voleva assomigliare a un agente dei servizi segreti.

Mancavano soltanto venti metri.

Come avrebbe potuto entrare in quel casello chiuso a chiave se non fosse stato uno di loro? Diavolo! Harry poteva già udire le motociclette. Non aveva il tempo di raggiungere il casello. Tolse la sicura e prese la mira, e contemporaneamente pregò che il clacson dell'auto interrompesse la tranquillità di quella strana mattina, su un'autostrada chiusa al traffico, dove non avrebbe mai voluto essere. Le istruzioni erano chiare, ma non riusciva a scacciare i pensieri che gli ronzavano in testa: "Giubbotto antiproiettile leggero. Nessuna comunicazione. Spara, non è colpa tua. Avrà famiglia?".

Ora il corteo stava raggiungendo i caselli e procedeva a velocità sostenuta. Ancora due secondi e le Cadillac sarebbero state lì davanti. Con la coda dell'occhio destro Harry notò un movimento, un piccolo uccello che spiccava il volo da un tetto.

"Rischiare o non rischiare. Questo è l'eterno dilemma."

Pensò alla scollatura bassa del giubbotto, abbassò la pistola di un centimetro. Il rombo delle motociclette era assordante.

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