Autore Jo Nesbψ
Titolo Il pipistrello
EdizioneEinaudi, Torino, 2014, Stile Libero Big , pag. 416, cop.fle., dim. 13,8x21,6x2,5 cm , Isbn 978-88-06-21657-3
OriginaleFlaggermusmannen [1997]
TraduttoreEva Kampmann
LettoreGiovanna Bacci, 2014
Classe gialli , thriller , noir












 

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Indice


    Il pipistrello

    Parte prima     Walla

  7 1.  Sydney, il signor Kensington e tre stelle
 12 2.  Un diavolo della Tasmania, un clown e una svedese
 38 3.  Un vescovo, un pugile e una medusa
 70 4.  Un paesino di nome Nimbin, Kàre Willoch e Alice Cooper
 90 5.  Una madre, un ragno gigante e Bubbur

    Parte seconda   Moora

103 6.  Un accappatoio, la rilevanza statistica e un pesce d'acquario
122 7.  Terra nullius, un protettore e Nick Cave
T40 8.  Una prostituta simpatica, un danese strambo e il cricket
6o  9.  Due esibizionisti, un ubriacone, un gay e il black snake
190 10. Il Grande draugr, Mr Bean e ancora un altro paziente
209 11. Un'esecuzione, e Birgitta si spoglia
225 12. Una donna grassa e un anatomopatologo
247 13. La piattaforma dello stadio del nuoto di Frogner e
        il risveglio di un vecchio nemico

    Parte terza     Bubbur

271 14. Un receptionist, due buttafuori e un tizio di nome Speedy
285 15. Erik Mykland, un lancio col paracadute e un divano rococò
304 16. Canguri morti, una parrucca e un funerale
328 17. Mosche morte, una restituzione e un'esca
345 18. Il piano e una puntata al parco
352 19. Due conversazioni con un assassino, un kookaburra e il sonno Rem
374 20. Un Pc, la baia delle donne e come funzionano in pratica i cellulari
390 21. Un buon orecchio, un dritto sinistro e tre spari
407 22. Il tatuaggio
409 23. Milleduecento metri e un finale


 

 

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Pagina 7

Capitolo 1

Sydney, il signor Kensington e tre stelle


C'era un problema.

Sulle prime l'addetta al controllo passaporti gli aveva rivolto un sorriso a trentadue denti: — Come sta, mate?

— Benissimo, — aveva mentito Harry Hole. Erano trascorse piú di trenta ore da quando era partito da Oslo, via Londra, e fin dallo scalo nel Bahrein era rimasto seduto nello stesso maledetto sedile accanto all'uscita d'emergenza. Per motivi di sicurezza si poteva reclinare solo di pochissimo, e ancora prima di arrivare a Singapore aveva le reni a pezzi.

E adesso neanche la donna al desk sorrideva piú.

Aveva esaminato il suo passaporto con uno strano interesse. Era difficile dire se fosse stata la foto oppure lo spelling del suo nome a metterle addosso tanto buonumore all'inizio.

— Lavoro?

Harry Hole aveva pensato che gli addetti al controllo passaporti di qualsiasi altro posto del mondo avrebbero aggiunto un «sir», ma aveva letto che formule di cortesia del genere non erano particolarmente diffuse in Australia. Non importava, Harry non era né un giramondo né uno snob, tutto quello che voleva era una stanza d'albergo con un letto il prima possibile.

— Sí, — aveva risposto tamburellando con le dita sul banco.

E in quel momento la donna aveva arricciato le labbra, diventando brutta, e in tono spiccio gli aveva domandato:

— Perché non ha il visto sul passaporto, sir?

Lui aveva sentito un tuffo al cuore, come quando si intuisce una catastrofe imminente. Forse «sir» veniva usato soltanto quando la situazione precipitava?

— Scusi, me n'ero dimenticato, — mormorò, rovistandosi febbrilmente le tasche interne. Perché non avevano spillato il visto speciale al passaporto come si fa con quelli normali? Nella coda alle sue spalle udí il ronzio di un walkman e capi che doveva essere il suo vicino di posto sull'aereo. Aveva ascoltato la stessa cassetta dal principio alla fine del volo. E perché accidenti non ricordava mai in quale tasca metteva le cose? E come se non bastasse faceva caldo, con tutto che erano quasi le dieci di sera. Harry senti un inizio di prurito in testa.

Finalmente trovò il documento e con sollievo lo posò sul banco.

— Poliziotto, vero?

La donna levò lo sguardo dal visto e scrutò Harry: la smorfia era sparita.

— Non sarà stata assassinata qualche biondina norvegese, spero? — Proruppe in una risata trillante e calò soddisfatta il timbro sul visto speciale.

— Be', soltanto una, — rispose Harry Hole.


Il terminal degli arrivi era pieno di rappresentanti degli operatori turistici e autisti di limousine che tenevano alzato un cartello con su scritto ciascuno un nome, ma nessun Hole. Harry stava per andare a cercare un taxi quando un uomo nero in jeans celesti e camicia hawaiana, con un naso larghissimo e i capelli neri crespi, si fece largo fra i cartelli e lo raggiunse a passo svelto.

— Mr Hou-li, immagino! — dichiarò trionfante.

Harry Hole rifletté: era preparato a passare i primi tempi del suo soggiorno in Australia a correggere la pronuncia del proprio cognome, per evitare di essere scambiato per un buco, che era il significato inglese di hole. Mister Holy, signor Santo, era di gran lunga preferibile.

— Andrew Kensington, come va? — sorrise l'uomo tendendogli una mano enorme, un vero e proprio spremiagrumi.

— Benvenuto a Sydney, spero abbia fatto buon viaggio, — gli disse in tono affabile lo sconosciuto, quasi un'eco del saluto della hostess appena venti minuti prima. Afferrò la valigia lisa di Hole e si avviò verso l'uscita senza guardarsi indietro. Harry lo tallonava.

— Lavori nella polizia di Sydney? — gli domandò.

— Esatto, mate. Attenzione!

La porta a vento colpi Harry in pieno viso, schiacciandogli il naso cosí forte che le lacrime gli schizzarono dagli occhi. Una comica non avrebbe potuto cominciare peggio. Harry si strofinò il naso imprecando in norvegese. Kensington lo guardò dispiaciuto.

— Maledette porte, eh?

Harry tacque. Non sapeva come si rispondesse laggiú a quel genere di battute.

Nel parcheggio Kensington apri il bagagliaio di una piccola Toyota scassata e ci infilò la valigia. — Vuoi guidare tu, mate? — gli domandò sorpreso.

Harry si accorse di essersi fermato sul lato del conducente. Porco diavolo, in Australia c'era la guida a sinistra. Ma il sedile del passeggero era cosí ingombro di carte, cassette e spazzatura che lui si sedette dietro.

— Devi essere un aborigeno, — disse quando si immisero sull'autostrada.

— Impossibile menarti per il naso, immagino, agente, — rispose Kensington guardandolo nello specchietto retrovisore.

— In Norvegia si dice «negro australiano».

Kensington continuò a fissare lo specchietto.

— Davvero?

Harry cominciava a sentirsi in imbarazzo.

— Ehm, volevo solo dire che evidentemente i tuoi antenati non erano fra i galeotti che furono mandati quaggiú due secoli fa, — si scusò per dimostrare che aveva almeno un'infarinatura di storia del Paese.

— Giusto, Hou-li, i miei antenati si sono mossi un po' prima. Quarantamila anni fa, per la precisione.

Kensington sogghignò nello specchietto. Harry giurò a sé stesso che per un po' avrebbe tenuto la bocca chiusa.

— Ho capito. Chiamami Harry.

— Okay, Harry, io sono Andrew.


Per il resto del tragitto parlò soltanto Andrew. Accompagnò Harry a King's Cross e gli spiegò che era il quartiere a luci rosse, nonché il centro dello spaccio di droga e di ogni altro traffico poco pulito della città. Apparentemente, uno scandalo pubblico sí e uno no era legato a un albergo o un locale di spogliarello all'interno di quel chilometro quadrato.

— Eccoci arrivati, — annunciò all'improvviso Andrew. Accostò al marciapiede, smontò e prese la valigia di Harry dal baule.

— A domani, — lo salutò e immediatamente si volatilizzò insieme all'auto. Con la schiena anchilosata e il jet lag che cominciava a farsi sentire, Harry si ritrovò di colpo da solo con la valigia sul marciapiede di una città con un numero di abitanti pressoché uguale a quello di tutta la Norvegia, davanti al vistoso Crescent Hotel. Sulla porta, la scritta con il nome era affiancata da tre stelle. Il capo della polizia di Oslo era famoso non certo per largheggiare quando si trattava di alloggiare i suoi sudditi. Ma forse in fin dei conti era stato fortunato. «Sicuramente c'è uno sconto per i pubblici ufficiali che prendono la stanza piú piccola dell'albergo», pensò Harry.

E i fatti gli diedero ragione.

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Pagina 12

Capitolo 2

Un diavolo della Tasmania, un clown e una svedese


Harry bussò con discrezione alla porta del capo del distretto di polizia Sydney South.

— Avanti, — tuonò una voce dall'interno.

Un uomo grande e grosso con una pancia che faceva impressione era in piedi vicino alla finestra, dietro una scrivania di rovere. Sotto una criniera diradata spuntavano due sopracciglia grigie e irte, ma le rughe intorno agli occhi sorridevano.

— Harry Hole da Oslo, Norvegia, sir.

— Siediti, Holy. Hai l'aria di essere maledettamente in forma, a quest'ora della mattina. A proposito: non sarai passato a trovare qualcuno della Narcotici, spero? — Neil McCormack rise di cuore.

— Colpa del jet lag. Sono perfettamente sveglio dalle quattro di stanotte, sir, — spiegò Harry.

— Certo. La mia era soltanto una battuta per noi dell'ambiente. Devi sapere che un paio di anni fa abbiamo avuto un caso gravissimo di corruzione. Dieci dei nostri furono condannati, fra l'altro per spaccio di droga... ai colleghi. Ci vennero dei sospetti perché alcuni erano stranamente sveglissimi... ventiquattr'ore su ventiquattro. Ma in effetti non è un argomento su cui scherzare, — ridacchiò bonario, inforcò gli occhiali e prese a sfogliare i documenti che aveva davanti.

— Quindi, ti hanno mandato qui per assisterci nelle indagini sull'omicidio di Inger Holter, cittadina norvegese con un visto di lavoro in Australia. Una bella ragazza bionda, a giudicare dalle foto. Ventitre anni, vero?

Harry confermò con un cenno della testa. McCormack divenne serio.

— Trovata da alcuni pescatori in mare a Watsons Bay, e piú precisamente all'altezza del Gap Park. Seminuda, con segni da cui si evince che è stata prima stuprata, poi strangolata, ma nessuna traccia di sperma. Dopo, a notte fonda, il suo cadavere è stato trasportato fino al parco e gettato giú dal precipizio.

Fece una smorfia.

— Sicuramente, se il tempo fosse stato brutto, le onde l'avrebbero trascinata via, invece è rimasta fra gli scogli fino a quando è stata rinvenuta la mattina dopo. Come ho già detto, non abbiamo tracce di sperma, per il semplice motivo che la vagina è stata tagliata come un filetto di pesce e l'acqua di mare ha sciacquato a fondo la ragazza. Per la stessa ragione non ci sono neanche impronte digitali, però abbiamo un'ora approssimativa del decesso... — McCormack si tolse gli occhiali e si stropicciò il viso, — ma non un assassino. E cosa accidenti pensi di fare tu, Mr Holy?

Harry fece per rispondere, ma l'altro lo interruppe.

— Ebbene, te lo dico io cosa farai: seguirai con attenzione l'inchiesta fino a quando prenderemo quel bastardo, e nel frattempo informerai la stampa norvegese che stiamo collaborando a meraviglia, farai in modo che non offendiamo qualcuno dell'ambasciata norvegese o qualche parente, e per il resto la prenderai come una vacanza e scriverai una cartolina o due al tuo amato capo. A proposito, come sta?

— Bene, a quanto mi risulta.

— Gran donna. Immagino ti abbia spiegato cosa ci aspettiamo da te.

— Piú o meno. Dovrò partecipare alle inda...

— Perfetto. Scordatelo. Eccoti le nuove regole. Primo: d'ora in poi dài retta a me, a me e soltanto a me. Secondo: non fai niente che non ti abbia ordinato io. E terzo: un solo sgarro e ti ritrovi sul primo volo per la Norvegia.

Lo disse sorridendo, ma il messaggio era chiaro: giú le mani dalla marmellata. Harry era là in veste di osservatore. Aveva fatto male a non portarsi il costume da bagno e la macchina fotografica.

— A quanto ho capito in Norvegia Inger Holter era una specie di volto noto della televisione?

— Seminoto, sir. Conduceva insieme ad altri un programma per ragazzi un paio di anni fa. In realtà prima di essere uccisa stava cadendo nel dimenticatoio.

— Già, ho saputo che i vostri giornali stanno dando molto spazio all'omicidio. Due o tre testate hanno già mandato qualcuno quaggiú. Abbiamo dato loro le informazioni di cui disponiamo, ben poca cosa, perciò probabilmente presto si stancheranno e se ne torneranno a casa. Non sanno che tu sei qui, se ne prendono cura le nostre baby-sitter, perciò non ti dovrai preoccupare di loro.

— Grazie, sir, — disse Harry convinto. L'idea di avere gli inviati scalpitanti di qualche giornale norvegese che gli fiatavano sul collo era tutt'altro che allettante.

— Okay, Holy, sarò sincero con te e ti dirò come stanno le cose. Il mio capo mi ha spiegato con dovizia di particolari che esponenti del Comune di Sydney auspicano fortemente che questo caso venga risolto al piú presto. Come al solito, ci sono di mezzo la politica e l'economia.

— L'economia?

— Be', si prevede che quest'anno a Sydney il tasso di disoccupazione supererà il dieci per cento, e la città ha bisogno di ogni centesimo che entra con il turismo. Il 2000, con le Olimpiadi, si avvicina, e il flusso turistico dalla Scandinavia è in forte aumento. Gli omicidi, in particolare gli omicidi irrisolti, sono una cattiva pubblicità per noi. Perciò facciamo il possibile, abbiamo una squadra investigativa di quattro elementi che sta lavorando al caso, piú l'accesso prioritario alle risorse interne: tutti i database, il personale della Scientifica, i tecnici dei laboratori. Eccetera.

McCormack prese un foglio e lo guardò aggrottando le ciglia.

— In realtà dovresti lavorare con Wadkins, ma visto che hai espressamente chiesto di essere assegnato a Kensington, non vedo per quale motivo non debba accontentarti.

— Sir, non mi risulta di aver...

— Kensington è in gamba. Capita di rado che un nativo faccia strada come lui.

— Già, vero?

McCormack si strinse nelle spalle.

— Θ cosí e basta. Bene, Holy, se dovesse esserci qualcosa, sai dove trovarmi. Ci sono domande?

— Ehm, solo una piccola questione formale, sir. Mi chiedevo se «sir» sia il titolo giusto quando ci si rivolge a un superiore in questo Paese, o se sia un po' troppo...?

— Formale? Ingessato? Sí, forse. Però mi piace. Mi rammenta che in effetti sono io il capo di questa baracca -. McCormack scoppiò in una risata scrosciante e concluse l'incontro con una vigorosa stretta di mano a mo' di benvenuto.

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