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| << | < | > | >> |Indice7 Prefazione Il pendolo di Galileo 11 Introduzione 15 1. Orologi biologici: i ritmi del corpo 34 2. Il calendario: ritmi discordanti 44 3. I primi orologi: battiti artigianali 57 4. L'orologio a pendolo: il battito della natura 74 5. I successori: sapere l'ora ovunque 90 6. Isaac Newton: la fisica del pendolo 104 7. Il suono e la luce: oscillazioni diffuse 128 8. Il quanto: particelle fatte di oscillazioni 143 Bibliografia 149 Fonti delle illustrazioni 151 Indice analitico |
| << | < | > | >> |Pagina 11IntroduzioneAveva diciassette anni, e ascoltare la messa che si stava celebrando nel duomo di Pisa lo annoiava. Cercando qualcosa su cui posare l'attenzione, il giovane studente di medicina cominciò a concentrarsi su un alto lampadario che, sospeso a una lunga e sottile catena, dondolava dolcemente avanti e indietro, sospinto dalla brezza primaverile. Si chiese quanto tempo impiegassero le oscillazioni a ripetersi, misurandole con l'aiuto del proprio polso. Con suo grande stupore scoprì che, per completare un'oscillazione, il lampadario impiegava lo stesso numero di battiti quando si muoveva appena e quando invece il vento lo faceva ondeggiare cospicuamente. Questo giovane perspicace, destinato a fare altre scoperte scientifiche fondamentali, si chiamava Galileo Galilei. La leggenda sul modo in cui Galileo scoprì l'isocronismo del pendolo semplice, così come la racconta il suo biografo Vincenzo Viviani, è apocrifa; tuttavia è fuor dubbio che l'abbia scoperto, né è possibile negare i profondi effetti che tale scoperta ebbe sulla nostra civiltà nei secoli successivi. Questo libro parla del ritmo del tempo e di come esso sia stato finalmente regolato dal pendolo di Galileo; dell'impatto che le oscillazioni del pendolo hanno avuto sulla nostra percezione di quel ritmo, e di come queste oscillazioni siano state rinvenute in molti altri fenomeni naturali. I primi tre capitoli preparano la scena e descrivono come veniva registrato il ritmo del tempo prima dell'avvento del dondolio stabilizzatore del pendolo: l'imprimersi dell'alternanza tra giorno e notte sugli organismi viventi; la storia del calendario e la lotta che le varie civiltà si trovarono a sostenere nel tentativo di riconciliare il ciclo solare con quello lunare, nonché il calcolo degli intervalli di tempo più corti, fino al medioevo. Sia i meccanismi biologici escogitati dalla natura per instillare ritmi negli esseri viventi, sia i metodi sviluppati dalle culture umane per tener traccia dei periodi imposti dagli astri erano tutt'altro che stabili o accurati. Ma i primi si sono dimostrati un vantaggio adattativo tale da renderli una caratteristica biologica onnipresente, e i secondi hanno soddisfatto le esigenze delle popolazioni umane per secoli e secoli. Dopo il Rinascimento, tuttavia, gli avanzamenti in campo commerciale e scientifico fecero sentire con urgenza la necessità di misurazioni più accurate del tempo; il successivo progresso della civiltà occidentale sarebbe stato fortemente ostacolato senza l'invenzione di un orologio stabile e costante, da cui dipendevano sia la navigazione marittima su larga scala sia la scienza moderna. Il pendolo e, in seguito, altri meccanismi fisici equivalenti, risposero alla richiesta in maniera eccellente. La fisica dell'oscillatore armonico (il pendolo di Galileo), che ha permesso di regolare il flusso del tempo, va sorprendentemente al di là della descrizione di un dispositivo utile alla costruzione di orologi di precisione. Gli oscillatori di questo tipo, come si è scoperto, sono infatti alla base non solo di ciò che noi percepiamo come suoni e colori, ma anche, grazie alla teoria quantistica, di ciò che secondo noi forma la trama dell'universo. Senza oscillatori non ci sarebbero particelle: non esisterebbero l'aria che respiriamo, i fluidi che alimentano la vita, la materia solida che forma la Terra. Ecco la storia del più semplice, ma anche del più fondamentale sistema esistente in natura, e di come esso leghi il ritmo del tempo alla nostra stessa esistenza materiale. | << | < | > | >> |Pagina 574.
L'orologio a pendolo: il battito della natura
Nato nel 1564, due mesi prima di William Shakespeare, Galileo fu l'iniziatore di quello che possiamo definire il Rinascimento scientifico. Figlio di un matematico e musicista pisano, fu un uomo pugnace e aspro che si attirava molte inimicizie a causa delle idee filosofiche anticonformiste e del carattere irascibile. Nella scienza della meccanica combatté strenuamente contro l'eredità aristotelica, allora dominante, suffragando le proprie idee con esperimenti ancor oggi ripetuti dagli studenti nei corsi di fisica, come la caduta dei gravi, libera o lungo un piano inclinato. L'episodio del lancio di due palle di cannone di peso diverso dalla torre di Pisa, per dimostrare ai filosofi che, contrariamente a quanto affermato da Aristotele, oggetti di massa diversa cadono con la stessa velocità, è divenuto ormai mitico, anche se probabilmente non si è mai verificato. Nei diciassette anni in cui fu professore di matematica a Padova, Galileo dedicò la maggior parte del tempo alle ricerche sul moto, ma si occupò anche del principio di Archimede sul galleggiamento dei corpi immersi in un liquido e, tra una cosa e l'altra, inventò il termometro (basato sull'espansione dell'aria al crescere della temperatura, questo termometro non era molto accurato, ma ciò nonostante può essere considerato il primo strumento di misura scientifico). Nel 1609, stimolato dalla recente invenzione del cannocchiale in Olanda, Galileo spostò il suo interesse sull'astronomia. Costruì immediatamente una sua versione del cannocchiale, molto più potente dell'originale olandese, e fu il primo a usarlo per osservare il cielo. Scoprì, tra le altre cose, le più grandi tra le lune di Giove e ne diede una dettagliata descrizione in termini di satelliti orbitanti attorno al gigantesco pianeta. La pubblicazione del suo libro di astronomia, Il Nunzio Sidereo, fece scalpore in tutta Europa e gli valse la nomina a matematico e filosofo primario del granduca di Toscana, in seguito alla quale trasferì a Firenze la sede del suo lavoro scientifico. Sebbene non credesse all'ellitticità delle orbite dei pianeti propugnata dal suo contemporaneo Keplero, Galileo sulla base delle proprie osservazioni astronomiche si convinse che il sistema eliocentrico proposto da Copernico era corretto, e lo dichiarò pubblicamente, fino a quando la chiesa non dichiarò il suo sistema eretico e nel 1616 gli ordinò di abbandonare il suo punto di vista. Dopo l'ascesa al soglio pontificio del cardinal Barberini come papa Urbano VIII, tuttavia, Galileo ottenne il permesso di dare una descrizione imparziale dei due sistemi (quello tolemaico, geocentrico, e quello copernicano, eliocentrico) e di conseguenza pubblicò il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Dato che vi usava le proprie osservazioni per sostenere Copernico, il libro si rivelò ben poco imparziale, e fu immediatamente messo all'indice dalla chiesa. Nel 1633 Galileo fu portato a Roma dove l'Inquisizione lo processò per eresia (l'accusa era in realtà di insubordinazione). Trentatré anni prima il filosofo e astronomo Giordano Bruno era stato arso sul rogo per eresia, seppure su basi molto diverse, e il ricordo era ancora vivo nella memoria della gente. Per evitare la morte, Galileo fu obbligato ad abiurare la fede nel sistema eliocentrico, anche se secondo la leggenda se ne andò borbottando «Eppur si muove». Fu condannato alla prigione a vita, ma la sentenza fu subito commutata in confino permanente sorvegliato. Morì nel 1642, cieco e ancora sotto regime di sorveglianza, passando simbolicamente la fiaccola della scienza moderna a Isaac Newton, che nacque quello stesso anno, qualche mese più tardi. (Per inciso, la morte di Galileo fu registrata secondo il calendario gregoriano, mentre la nascita di Newton secondo quello giuliano, ancora in vigore all'epoca in Inghilterra.) Fu solo nel 1992 che Giovanni Paolo II dichiarò un errore la condanna della chiesa nei confronti delle scoperte galileiane. La prima scoperta scientifica importante di Galileo furono le proprietà del pendolo semplice, consistente idealmente in un ciondolo pesante sospeso a una corda leggera: a patto che le oscillazioni non siano troppo ampie, il loro periodo (il tempo che intercorre tra un'oscillazione e la successiva) non dipende dall'ampiezza (la lunghezza dell'arco percorso). Contrariamente a quanto tramandato dall'aneddoto citato nell'Introduzione, Galileo probabilmente arrivò alla scoperta grazie al suo interesse per la musica, che lo portò a sperimentare pendoli di lunghezze e ritmi diversi. La sua prima applicazione del pendolo come segnatempo fu uno strumento medico, il pulsilogio, che misurava il battito cardiaco dei pazienti: fu dunque il pendolo a essere impiegato per misurare il battito del polso, e non il contrario come vorrebbe la leggenda. Molti anni più tardi, mentre discuteva della curiosa proprietà scoperta con il figlio Vincenzo e altre persone interessate alla fabbricazione di orologi, a Galileo sovvenne che il pendolo, accoppiato a un opportuno scappamento, poteva essere ottimo come meccanismo regolatore al cuore di un orologio; l'idea fu ben presto verificata sperimentalmente dal gruppo. Lui stesso usò un orologio ad acqua per i suoi famosi esperimenti sul moto; l'orologio a pendolo fu sviluppato solo molto più tardi, quando Galileo progettò personalmente lo scappamento necessario, anche se con caratteristiche piuttosto diverse da quello schematico mostrato in figura 13. Solo quattordici anni dopo la sua morte venne realizzato il primo orologio completo basato sul progetto di Galileo, e nel 1667, su ordine del granduca Ferdinando II Georg Lederle di Asburgo costruì un regolatore a pendolo su progetto del grande scienziato e lo installò nel grande orologio a una lancetta della facciata occidentale di Palazzo Vecchio a Firenze, ex residenza dei Medici. L'orologio è ancor oggi funzionante, e sbaglia al massimo di un minuto alla settimana (fig. 12). Sebbene l'idea di usare il pendolo come segnatempo non fosse nuova (l'astronomo arabo Ibn Yunis il Giovane lo avrebbe usato già nel XII secolo, e lo si trova adibito a scopi simili in alcuni schizzi di Leonardo) solo dopo la fondamentale scoperta galileiana della costanza del periodo (isocronia) divenne chiara la sua speciale e distinta idoneità allo scopo. | << | < | > | >> |Pagina 906.
Isaac Newton: la fisica del pendolo
Galileo scoprì che l'isocronia del pendolo era una caratteristica della natura, ma non ne propose alcuna spiegazione in termini di leggi fondamentali. La spiegazione arrivò grazie alla grandiosa opera di Isaac Newton. Nato orfano di padre a Woolsthorpe, nel Lincolnshire, il giorno di Natale del 1642 (4 gennaio 1643 secondo il calendario gregoriano, non ancora in uso all'epoca in Inghilterra), Isaac Newton trascorse la maggior parte dell'infanzia in casa della nonna. Era «un ragazzo sobrio, silenzioso e pensoso» che sarebbe diventato un uomo solingo e schivo dal carattere sgradevole, e che amava armeggiare (costruire orologi ad acqua, tra le altre cose) e disegnare diagrammi. Nella sua famiglia non vi era mai stato nessuno di istruito, e la madre cercò di farne un agricoltore. Dopo aver ricevuto un'istruzione scolastica consistente soprattutto nello studio della Bibbia e del latino, fu tuttavia incoraggiato da uno zio a proseguire gli studi. Nel 1661 riuscì a entrare al Trinity College di Cambridge come subsizar (gli studenti poveri che si mantenevano svolgendo lavori umili per gli altri). Nel 1665, anno in cui avrebbe dovuto laurearsi, l'università chiuse per quasi due anni a causa della peste; Isaac dovette ritornare a casa e rimanerci per quasi tutto quel periodo. Furono quelli gli anni mirabiles durante i quali Newton, lavorando in totale isolamento, gettò le basi della maggior parte dei suoi lavori in matematica, meccanica celeste e ottica. Al suo ritorno a Cambridge, dove rimase per trent'anni, fu nominato Fellow del Trinity College e, all'età di 26 anni, professore Lucasiano di Matematica. Pur corrispondendo con altri eminenti scienziati del tempo, Newton continuò il suo febbrile lavoro, per la maggior parte solitario, occupandosi sia di questioni teologiche (divenne un fervente sostenitore dell'eresia ariana, un credo potenzialmente molto rischioso per il suo futuro a Cambridge) sia di esperimenti alchemici, ma soprattutto della sua opera colossale, i Philosophiae naturalis principia mathematica. Grazie al supporto finanziario dell'amico e astronomo Edmund Halley, nel 1687 il grande torno fu infine pubblicato, dopo un notevole ritardo. L'Europa riconobbe immediatamente l'importanza epocale dell'opera, nella quale Newton introduceva la legge di gravitazione universale, le leggi del moto e il calcolo infinitesimale, una procedura che aveva appositamente inventato per l'uso in fisica, e che divenne il germe di un nuovo ramo della matematica (l'analisi) estremamente vasto e prolifico. Insieme, le leggi del moto e della gravitazione universale unificavano la caduta di una mela, l'orbita della Terra attorno al Sole e il moto della Luna. Dopo la pubblicazione dei Principia, Newton cominciò ad aumentare i contatti con il mondo esterno. Fu eletto membro del parlamento (l'Università di Cambridge, come anche quella di Oxford, ha i suoi rappresentanti in parlamento), incontrò Christiaan Huygens, con cui era in disaccordo riguardo alla teoria della luce, e litigò in maniera pressoché costante con altri eminenti scienziati. Ebbe una controversia con Robert Hooke, altro membro litigioso della Royal Society, dopo aver pubblicato alcuni risultati da lui ottenuti senza tributargli il dovuto credito, e accusò ingiustamente di plagio Gottfried Wilhelm Leibniz, che aveva inventato indipendentemente l'analisi infinitesimale. La disputa contribuì a creare quell'astio che per lungo tempo divise i matematici britannici da quelli continentali; alla fine la comunità matematica decise di adottare il punto di vista e la notazione di Leibniz anziché quelli di Newton. La tensione dovuta al lavoro e alle continue liti gli causarono una grave depressione, in seguito alla quale decise di perseguire altri interessi. Nel 1699 fu nominato direttore della Zecca di Londra, e tre anni dopo fu eletto presidente della Royal Society, carica che mantenne fino alla morte. Poco dopo l'elezione a presidente fu nominato cavaliere dalla regina Anna, e divenne Sir Isaac. Nel 1704 Newton raccolse i risultati delle sue ricerche sulle proprietà della luce e li pubblicò nel volume Opticks. Era stato il primo a costruire un telescopio a riflessione, e i suoi esperimenti lo avevano portato a concludere che la luce bianca è formata da uno spettro di molti colori. Tuttavia, come si scoprì in seguito, Newton si sbagliava sulla natura fondamentale della luce, che pensava costituita da corpuscoli. La teoria ondulatoria di Huygens era più vicina al vero, anche se un paio di secoli più tardi avrebbe dovuto essere modificata anch'essa. Newton, che salendo «sulle spalle di giganti», come lui stesso ebbe a dire, e continuando l'opera di Galileo, aveva dato il via alla moderna rivoluzione scientifica, morì nel 1727. Ebbe un funerale di stato e fu sepolto nell'abbazia di Westminster «come un re», secondo le parole di Voltaire. Se vogliamo capire i motivi fisici alla base della proprietà del pendolo scoperta da Galileo dobbiamo ricordarci le leggi del moto di Newton. Applicate al caso in esame, forniscono una descrizione completa delle oscillazioni del pendolo, compreso il fatto che il loro periodo non dipende dall'ampiezza, a patto che questa rimanga piccola. | << | < | > | >> |Pagina 140Nel corso della seconda metà del XX secolo sono state costruite molte altre teorie di campo quantistiche sul modello della QED, anche se per il momento piuttosto lontane dalla capacità di quest'ultima di permettere il confronto tra misure di alta precisione e calcoli attendibili. Di conseguenza, tutti i costituenti noti della materia dell'universo sono oggi considerati quanti di qualche tipo di campo, e tutte le forze tra quanti (con la sola eccezione della gravità, la cui natura quantistica non è ancora ben capita) sono considerate manifestazioni di campi, a loro volta quantizzati. E tutti questi quanti derivano essenzialmente dallo stesso meccanismo matematico, ossia la quantizzazione dell'oscillatore armonico, i cui livelli energetici sono equispaziati e quindi «chiamano» l'interpretazione in termini di particelle.Lo stesso vale per le vibrazioni sonore: anch'esse sono soggette alle regole quantistiche e si possono pensare in termini di particelle chiamate «fononi» (dato che le frequenze dei suoni sono molto inferiori a quelle luminose, la relazione di Planck E=hf ci dice che le energie dei singoli fononi sono molto più piccole di quelle dei fotoni). Come se non bastasse, anche le teorie oggi maggiormente in voga riguardanti un'eventuale e lungamente attesa riconciliazione tra la relatività generale e i quanti, note col nome generale di teoria delle superstringhe, usano come elemento di base le proprietà del pendolo semplice galileiano, come nelle vibrazioni delle corde di un'ipotetica arpa multidimensionale.
Il dondolio del pendolo ci ha guidati lungo una strada
lunga e sinuosa, iniziata con la regolazione del tempo per
mezzo di orologi stabili e affidabili, che hanno portato ordine nei ritmi della
vita quotidiana. Siamo poi passati alle
vibrazioni di corde, membrane, flauti e canne d'organo,
che producono armonie musicali, e quindi alle onde luminose e alle loro frange
di interferenza. Infine, attraverso i
fotoni di Einstein e gli elettroni di Dirac, siamo arrivati
alla base di tutti i costituenti dell'universo. Per quanto complessa e
impenetrabile la natura possa apparire, la convinzione che guida la maggior
parte degli scienziati è che essa
finirà col rivelarsi coerente e semplice; se così non fosse
avremmo ben poche probabilità di riuscire a svelarne i segreti. Galileo non
poteva certo immaginare che l'oscillatore armonico, di cui in gioventù aveva
scoperto l'isocronismo, si sarebbe rivelato il sistema fisico più basilare e più
pervasivo al mondo, nonché un mattone fondamentale per
la nostra comprensione della natura.
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