Autore Tom Nichols
Titolo La conoscenza e i suoi nemici
SottotitoloL'era dell'incompetenza e i rischi della democrazia
EdizioneLuiss University Press, Roma, 2018, Pensiero libero 9 , pag. 246, cop.fle., dim. 15,3x21,2x1,6 cm , Isbn 978-88-6105-311-3
OriginaleThe Death of Expertise. The Campaign Against Established Knowledge and Why It Matters
EdizioneOxford University Press, New York, 2017
TraduttoreChiara Veltri
LettoreGiorgia Pezzali, 2018
Classe sociologia , media , universita' , informatica: sociologia , paesi: USA












 

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Indice


Prefazione                                                   11


Introduzione. La fine della competenza                       17

    Cosa ci aspetta                                          23


Capitolo 1 - Esperti e cittadini

    Una nazione di "spiegatori"                              29
    È una cosa nuova?                                        29
    Quindi non è una novità. Ma è davvero un problema?       35
    L'ascesa dell'elettore a basso tasso di informazione     40
    Esperti e cittadini                                      43


Capitolo 2 - Perché la conversazione è diventata estenuante  55

    Un dibattito, per favore                                 55
    Forse siamo soltanto ottusi                              57
    Bias di conferma: perché lo sapevi già                   61
    Leggende popolari, superstizioni e teorie del complotto  68
    Stereotipi e generalizzazioni                            74
    Io sto bene, tu stai bene — cioè, quasi                  77


Capitolo 3 - Istruzione superiore.
             Il cliente ha sempre ragione                    83

    Quei magici sette anni                                   83
    Benvenuti, clienti!                                      89
    Posso mandarti un'email?                                 96
    L'università generica                                    99
    Giudicami con dolcezza                                  107
    Il college non è uno spazio sicuro                      109


Capitolo 4 - Ora lo cerco su Google. Come l'informazione
             illimitata ci rende più stupidi                115

    Il ritorno della legge di Sturgeon                      115
    Cos'è falso su internet: tutto                          121
    Certo che è sicuro, l'ho trovato su Google              124
    La saggezza delle mega-folle                            130
    Ti tolgo l'amicizia                                     136


Capitolo 5 - Il nuovo New Journalism, a vagonate            141

    L'ho letto sul giornale                                 141
    Il troppo stroppia, anche di una cosa buona             145
    Radio killed the video star                             150
    L'America in ostaggio: giorno 15.000                    154
    Non fidarti di nessuno                                  16o
    I telespettatori sono più intelligenti degli esperti?   163
    Cosa fare                                               170


Capitolo 6 - Quando gli esperti si sbagliano                173

    Gli esperti sono pregati di non presentarsi             173
    I tanti volti dell'insuccesso                           178
    Quando gli esperti diventano cattivi                    181
    Credevo studiassi medicina                              190
    Io prevedo!                                             197
    Ricucire il rapporto                                    205


Conclusione - Esperti e democrazia                          209

    "Gli esperti sono terribili"                            209
    Competenza e democrazia: la spirale della morte         214
    Quelli che sanno e quelli che decidono                  217
    Una repubblica, se sapete che cos'è                     224
    Io valgo quanto te                                      229
    La ribellione degli esperti                             231


Note                                                        237


 

 

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Pagina 20

La fine della competenza non è solo un rifiuto del sapere esistente. È fondamentalmente un rifiuto della scienza e della razionalità obiettiva, che costituiscono le fondamenta della civiltà moderna. È segno, come ha affermato una volta il critico d'arte Robert Hughes descrivendo l'America di fine Novecento, di "una politica ossessionata dalle terapie e piena di diffidenza per la politica formale", cronicamente "scettica nei confronti dell'autorità" e "in preda alla superstizione". Abbiamo chiuso il cerchio, partendo dall'età premoderna, in cui la saggezza popolare colmava inevitabili lacune nella conoscenza umana, attraverso un periodo di rapido sviluppo fortemente basato sulla specializzazione e la competenza, fino a un mondo postindustriale e orientato all'informazione, dove tutti i cittadini si ritengono esperti di qualsiasi cosa.

Ogni affermazione di competenza da parte di un esperto vero, nel frattempo, produce un'esplosione di rabbia in alcuni segmenti della popolazione americana, pronti a lamentarsi che simili rivendicazioni non sono altro che fallaci "appelli all'autorità", segni inequivocabili di un temibile "elitarismo", nonché un evidente tentativo di usare delle qualifiche per soffocare il necessario dialogo richiesto da una democrazia "reale". Gli americani ormai credono che avere diritti uguali in un sistema politico significhi anche che l'opinione di ciascuno su qualsiasi argomento debba essere accettata alla pari di quella di chiunque altro. Moltissime persone ne sono convinte, nonostante si tratti di un'evidente assurdità. È una rivendicazione categorica di uguaglianza che è sempre illogica, talvolta divertente e spesso pericolosa. Questo libro, dunque, parla di competenza. O, per essere più precisi, del rapporto tra esperti e cittadini in una democrazia, del perché questa relazione sta andando in frantumi e di ciò che tutti noi, cittadini ed esperti, potremmo fare a riguardo.

La reazione più immediata di molte persone quando si affronta il tema della fine della competenza è di dare la colpa a internet. Quando si trovano di fronte clienti che pensano di saperla più lunga di loro, i professionisti, in particolare, tendono a indicare nella Rete la colpevole. Come vedremo, non è una tesi del tutto sbagliata, ma resta pur sempre una spiegazione semplicistica. Gli attacchi al sapere consolidato hanno un lungo pedigree e internet è solo lo strumento più recente nell'ambito di un problema ciclico, che in passato ha afflitto allo stesso modo la televisione, la radio, la stampa e altre innovazioni.

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Pagina 24

L'istruzione dovrebbe aiutarci a riconoscere problemi come il bias di conferma e a superare le lacune nella nostra conoscenza così da poter essere cittadini migliori. Purtroppo, la moderna università americana e il modo in cui gli studenti e i loro genitori la trattano, alla stregua di una generica merce, sono ormai parte integrante del problema. Nel capitolo 3 discuterò del perché l'ampia offerta di educazione universitaria – paradossalmente – induce molte persone a pensare di essere diventate più intelligenti, quando in realtà hanno solo acquisito un'intelligenza illusoria sostenuta da una laurea di valore discutibile. Quando gli studenti diventano clienti preziosi anziché allievi, la loro autostima aumenta ma imparano ben poco; peggio, non sviluppano un pensiero critico che consentirebbe loro di continuare ad apprendere e valutare le tematiche più complesse su cui dovranno deliberare e votare in quanto cittadini.

La moderna èra della tecnologia e delle comunicazioni rende possibili giganteschi balzi in avanti per il sapere, ma agevola e amplifica anche gli errori umani. Se internet non giustifica completamente la fine della competenza, ne spiega molti aspetti, almeno nel Ventunesimo secolo. Nel capitolo 4 esaminerò come la più grande fonte di conoscenza nella storia umana da quando Gutenberg si macchiò le dita di inchiostro sia diventata tanto una piattaforma per attacchi al sapere consolidato, quanto uno strumento per difendersene. Internet è un magnifico deposito di conoscenze, eppure è anche fonte e facilitatore dell'epidemia di disinformazione. Non ci rende soltanto più ottusi, ma anche più meschini: da sole, al riparo delle proprie tastiere, le persone litigano anziché discutere e insultano anziché ascoltare.

In una società libera, i giornalisti sono, o dovrebbero essere, i maggiori arbitri nella grande mischia tra ignoranza e cultura. Ma cosa succede quando i cittadini chiedono di essere intrattenuti anziché informati? Analizzeremo queste inquietanti domande nel capitolo 5.

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Pagina 25

Gli esperti non sono infallibili. Hanno commesso errori terribili, con conseguenze spaventose. Difendere il ruolo della competenza nell'America moderna significa evocare un elenco di disastri e di errori: la vendita del talidomide, la guerra del Vietnam, il disastro dello Shuttle Challenger, gli avvertimenti catastrofici sui rischi alimentari connessi al consumo delle uova (non vi preoccupate, riprendete pure a mangiarne se vi piacciono; non fanno più parte dell'elenco dei cibi dannosi per la salute). Gli esperti, comprensibilmente, ribattono che è come ricordare un unico incidente aereo e ignorare i miliardi di chilometri percorsi in tutta sicurezza. Può essere vero, ma a volte gli aerei precipitano, e a volte succede perché un esperto ha combinato qualche casino.

Nel capitolo 6 prenderò in considerazione ciò che accade quando gli esperti si sbagliano. Ciò può avvenire perché si vogliono perpetrare vere e proprie frodi o perché, pur in buona fede, si ripone un'eccessiva e arrogante fiducia nelle proprie capacità. E a volte, più semplicemente, perché anche gli esperti, al pari degli altri esseri umani, possono commettere errori. È importante però che i profani capiscano come e perché gli esperti sbagliano, non solo per diventare consumatori più consapevoli dei loro pareri, ma anche per essere rassicurati sul modo in cui gli esperti cercano di vigilare sul proprio lavoro. Altrimenti i loro errori diventano materiale di dibattiti disinformati, che indignano gli specialisti per gli attacchi alla loro professione e incutono nei profani il terrore che gli esperti non abbiano idea di cosa stanno facendo.

Infine, nella conclusione, solleverò l'aspetto più pericoloso della fine della competenza: il modo in cui essa danneggia la democrazia americana. Gli Stati Uniti sono una repubblica in cui le persone nominano altre persone affinché prendano decisioni per proprio conto. Questi rappresentanti eletti non possono padroneggiare tutti i problemi e si affidano all'aiuto di esperti e professionisti. Malgrado ciò che pensa la maggior parte delle persone, esperti e responsabili delle politiche non coincidono, e confondere i due ruoli, come spesso fanno gli americani, mina il rapporto di fiducia tra esperti, cittadini e leader politici.

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Pagina 84

Lo dico pur rimanendo un difensore del sistema universitario americano, anche delle tanto calunniate arti liberali. Personalmente sono uno di quelli che hanno tratto beneficio dall'accesso allargato all'istruzione superiore che si è verificato nel Ventesimo secolo e dalla mobilità sociale che ha prodotto. Il record di queste istituzioni è indiscutibile: le università degli Stati Uniti sono ancora le principali centrali intellettuali del mondo. Continuo ad avere fiducia nel fatto che gli istituti accademici americani producano conoscenze e cittadini competenti.

Tuttavia, il punto è che molti di questi istituti superiori americani non riescono a fornire ai loro studenti le conoscenze e le capacità di base che creano competenza. Elemento ancor più importante, non riescono a dar loro la capacità necessaria per riconoscere la competenza e per dialogare in modo produttivo con esperti e altri professionisti nella vita quotidiana. La più importante di queste abilità intellettuali, nonché quella più presa di mira nelle università americane, è il pensiero critico: la capacità di esaminare nuove informazioni e idee concorrenti in modo spassionato, logico e senza preconcetti emotivi o personali.

Questo perché la frequenza di istituti superiori non garantisce più un'"istruzione universitaria". Al contrario, ormai i college e le università propongono l'esperienza di "andare all'università" come un pacchetto completo. Le due esperienze non sono neanche lontanamente la stessa cosa, e ora gli studenti si laureano credendo di sapere molto di più di quanto effettivamente non sappiano. Oggi, quando un esperto dice "be', sono andato all'università", è difficile biasimare qualcuno che risponde: "Chi non c'è andato?". Oggi gli americani con un diploma universitario si ritengono "istruiti", quando in realtà la maggior parte di loro potrebbe dire, al massimo, di aver continuato a frequentare aule scolastiche dopo il liceo, con risultati estremamente diversificati.

L'afflusso di studenti negli istituti post-secondari americani ha determinato una crescente mercificazione dell'istruzione. Oggi, in gran parte delle scuole, i ragazzi sono tratti come clienti anziché come studenti. I più giovani, appena usciti dalla scuola superiore, vengono assecondati sia materialmente sia intellettualmente, in contesti che finiscono per rafforzare alcune delle loro peggiori tendenze, quando non hanno ancora imparato l'autodisciplina, in passato essenziale per l'istruzione superiore. I college ormai sono lanciati sul mercato come pacchetti vacanza pluriennali, piuttosto che come un contratto stipulato con un'istituzione e il suo corpo docenti per un corso didattico. Questa trasformazione in merce dell'esperienza universitaria non sta solo distruggendo il valore dei diplomi di laurea agli occhi degli americani comuni, ma sta anche minando la loro convinzione che il college abbia la benché minima importanza.

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Pagina 115

CAPITOLO 4



Ora lo cerco su Google
Come l'informazione illimitata ci rende più stupidi





                    Ormai la mia mente si aspetta di assorbire le informazioni
                    nel modo in cui la Rete le distribuisce: in un flusso di
                    particelle che si muove con grande rapidità. Un tempo ero un
                    sommozzatore nel mare delle parole. Ora sfreccio sulla
                    superficie come una moto d'acqua.
                                                                Nicholas G. Carr


                    Anche se internet potrebbe renderci tutti più intelligenti,
                    instupidisce molti di noi, perché non si tratta soltanto di
                    una calamita per i curiosi. È un inghiottitoio per i
                    creduloni. Trasforma chiunque in esperto istantaneo. Hai una
                    laurea? Be', ho fatto una ricerca su Google!
                                                                     Frank Bruni


                    Non credete a tutto quello che leggete su internet,
                    soprattutto alle frasi di persone famose.
                                                 Abraham Lincoln (probabilmente)





IL RITORNO DELLA LEGGE DI STURGEON



Chiedete a un professionista o a un esperto cosa pensa della fine della competenza, e la maggior parte di loro accuserà immediatamente lo stesso colpevole: internet. Persone che in passato dovevano chiedere una consulenza specialistica in qualsiasi campo ora inseriscono termini di ricerca in un browser e ottengono una risposta nel giro di qualche secondo. Perché affidarvi a persone con un'istruzione e un'esperienza superiori alle vostre – o, peggio, prenderci un appuntamento – quando potete ottenere da soli quell'informazione?

Dolore al petto? Chiedete al vostro computer: la domanda "perché mi fa male il petto?" genera più di undici milioni di risultati (almeno sul motore di ricerca che ho appena usato), esattamente in 0,52 secondi. Un flusso di informazioni riempie lo schermo di utili consigli, provenienti da fonti che vanno dagli istituti nazionali di sanità ad altri organismi dalle credenziali un tantino meno rispettabili. Alcuni di questi siti addirittura spiegano all'aspirante paziente la diagnosi, passo per passo. Il vostro medico magari avrà un'opinione diversa, ma chi è lui per discutere con uno schermo luminoso che risponde alla vostra domanda in meno di un secondo?

[...]

Nonostante quel che possono pensare i professionisti irritati, però, internet non è la causa principale delle minacce alla loro competenza. Piuttosto, internet ha accelerato il crollo della comunicazione tra esperti e profani offrendo un'apparente scorciatoia per l'erudizione. La Rete consente alla gente di imitare la preparazione intellettuale crogiolandosi in un'illusione di competenza offerta da un rifornimento infinito di fatti.

Ma i fatti, come sanno gli esperti, sono cosa diversa dal sapere o dal saper fare. E su internet i fatti a volte non sono nemmeno tali. Nelle varie contese delle campagne contro il sapere costituito, internet è come l'artiglieria di supporto: un bombardamento costante di informazioni random, sconnesse, che piovono addosso allo stesso modo agli esperti e ai cittadini comuni, assordando tutti noi e facendo saltare in aria qualsiasi tentativo di discussione ragionevole.

Gli utenti di internet hanno inventato molte leggi e corollari umoristici per descrivere il dibattito nel mondo elettronico. La tendenza a parlare della Germania nazista in qualsiasi discussione ha ispirato la legge di Godwin e la reductio ad Hitlerum, a essa strettamente collegata. Le convinzioni profondamente radicate e solitamente immutabili degli utenti di internet sono alla base della legge di Pommer, secondo cui internet può far cambiare idea a una persona soltanto facendola passare dal non avere un'opinione ad averne una sbagliata. Ce ne sono molte altre, tra cui la mia preferita, la legge di Skitt: "Qualsiasi messaggio di internet che corregge un errore in un altro post, conterrà almeno un errore a sua volta".

Per quel che riguarda la fine della competenza, tuttavia, la legge da tenere a mente è un'osservazione coniata molto tempo prima dell'avvento del personal computer: la legge di Sturgeon, che prende nome dal leggendario scrittore di fantascienza Theodore Sturgeon. All'inizio degli anni Cinquanta, i critici intellettuali deridevano la letteratura popolare, in particolare la fantascienza americana. La consideravano insieme al fantasy un ghetto letterario, e arricciavano il naso ritenendo i due generi quasi del tutto inutili. Sturgeon rispose infuriato che i critici stavano ponendo l'asticella troppo in alto. La maggior parte dei prodotti nella maggior parte dei campi, dichiarò, è di bassa qualità, compresa quella che allora era considerata scrittura alta. "Il 90 per cento di ogni cosa" decretò Sturgeon "è spazzatura".

Per quel che riguarda internet, il 90 per cento contemplato nella legge di Sturgeon potrebbe essere una stima al ribasso. Le dimensioni e il volume di internet, e l'incapacità di separare il sapere serio dal rumore casuale, significano che le buone informazioni sono sempre sommerse da dati scadenti e bizzarre digressioni. Quel che è peggio, non c'è modo di tenere il passo con tutto questo, anche se un gruppo o un'istituzione volesse provarci. Nel 1994 c'erano meno di tremila siti web online; nel 2014 ce n'erano più di un miliardo. La maggior parte è rintracciabile e ti si presenta davanti agli occhi in pochi secondi, a prescindere dalla qualità.

La buona notizia è che, anche se la legge di Sturgeon vale, ci sono comunque cento milioni di buoni siti web. Tra questi figurano tutte le principali testate di informazione del mondo (molte delle quali vengono lette ormai più in pixel che su carta), oltre alle home page di think tank, università, organismi di ricerca e numerose figure scientifiche, culturali e politiche importanti. La cattiva notizia, ovviamente, è che trovare tutte queste informazioni significa avanzare a fatica attraverso una tempesta di informazioni inutili o fuorvianti postate da chiunque, da nonne animate dalle migliori intenzioni a killer dello Stato islamico. Alcune delle persone più intelligenti della terra vantano una presenza rilevante su internet; alcune delle persone più stupide del pianeta, però, si trovano a distanza di un clic sulla pagina o sul link successivi.

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COS'È FALSO SU INTERNET: TUTTO



Non ci sono abbastanza pagine, su questo o su altri libri, per catalogare la quantità di informazioni non valide presenti in Rete. Cure miracolose, teorie del complotto, documenti falsi, citazioni attribuite alla persona sbagliata: tutte queste cose, e altre ancora, costituiscono le erbacce infestanti che con grande velocità hanno ricoperto il giardino globale del sapere. I fiori e le erbe più sane, ma meno resistenti, non hanno possibilità di sopravvivere.

Vecchie leggende metropolitane e teorie del complotto dure a morire, per esempio, sono state rimesse a nuovo e sono rinate online. Tutti abbiamo sentito storie di alligatori nelle fogne, di improbabili morti di celebrità e di biblioteche crollate perché nessuno ha contato il peso dei libri che contenevano, raccontate e riraccontate principalmente tramite passaparola. Su internet queste storie vengono presentate con una grafica e un layout bellissimi e ormai si diffondono con tale rapidità, grazie a email e social media, che ci sono gruppi, come l'ammirevole progetto di Snopes e altre organizzazioni di fact-checking, che non fanno altro che spegnere questi incendi di cassonetti intellettuali tutto il giorno.

[...]

Molte sciocchezze, soprattutto in ambito politico, si nutrono della vastità e della resistenza della Rete. Un caparbio gruppo di eccentrici può ancora credere che la terra sia piatta o che gli americani non siano mai sbarcati sulla Luna, ma alla fine le fotografie scattate nello spazio vanno più che bene per noialtri. Ma quando si tratta di leggende metropolitane come la nascita in Africa di Barack Obama, o la teoria per cui gli attacchi terroristici dell'11 settembre sarebbero stati orchestrati da George W. Bush, o il piano segreto del Tesoro statunitense per rimpiazzare il dollaro con una valuta globale, gli astronauti con la macchina fotografica non sono d'aiuto. I social media, i siti web e le chat room trasformano miti, storie sentite da "un amico di un amico" e voci in "fatti".

Come ha spiegato il giornalista britannico Damian Thompson, la comunicazione istantanea rafforza persone e gruppi dediti a idee folli, alcune delle quali piuttosto pericolose. Thompson la definisce "contro-conoscenza", poiché va contro la scienza ed è completamente impermeabile a qualsiasi prova che dimostri il contrario.

Ora, grazie a internet [...], una voce che riguarda l'Anticristo può rimbalzare in pochi secondi dai dark svedesi fino a una setta di estremisti cattolici tradizionali che vivono in Australia. I gruppi minoritari stanno diventando sempre più tolleranti nei riguardi delle dottrine eccentriche dei loro analoghi. I contatti tra razzisti neri e bianchi, iniziati in modo esitante decenni fa, ora fioriscono e i due gruppi si scambiano aneddoti complottisti.


In un mondo più lento e meno connesso, questo tipo di gruppi non potrebbe rafforzare le proprie convinzioni con affermazioni istantanee da parte di altri estremisti online. La libera circolazione di idee è un potente elemento di spinta della democrazia, ma porta sempre con sé il rischio che gente ignorante o malvagia possa piegare gli strumenti della comunicazione di massa ai propri fini e diffondere bugie e miti che nessun esperto riesce a dissipare.

Quel che è peggio, le cattive informazioni possono rimanere online per anni. A differenza del quotidiano del passato, l'informazione online è persistente e si ripresenta in ricerche successive dopo essere comparsa una volta. Anche quando falsità ed errori vengono cancellati alla fonte, compaiono in un archivio da qualche altra parte. Se le storie che contengono diventano "virali" e viaggiano per il mondo elettronico nel giro di qualche giorno, di qualche ora o addirittura di qualche minuto, sono di fatto impossibili da correggere.

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Com'è possibile che l'esposizione a così tante informazioni non riesca quantomeno a elevare lo standard del sapere, se non altro attraverso l'osmosi elettronica? Come fa la gente a leggere tanto e a memorizzare così poco? La risposta è semplice: sono poche le persone che leggono davvero quello che trovano.

Come ha rilevato uno studio della University College of London (UCL), la gente non legge davvero gli articoli che trova durante una ricerca online. Dà una rapida occhiata alla prima riga o alle prime frasi e poi passa oltre. Gli utenti della Rete, hanno osservato i ricercatori, "non leggono nel senso tradizionale; anzi, vari indicatori segnalano l'emergere di nuove forme di 'lettura' in cui gli utenti 'avanzano nella navigazione' orizzontale attraverso titoli, pagine di contenuti e abstract alla ricerca di risultati immediati. Sembra quasi che vadano online per evitare di leggere nel senso tradizionale". In realtà questo è l' opposto della lettura, e l'obiettivo non è tanto imparare quanto avere la meglio in una discussione o confermare una convinzione preesistente.

I bambini e i giovani sono particolarmente vulnerabili nei confronti di questa tendenza. Lo studio della UCL indica che il motivo è che "hanno mappe mentali poco sofisticate di cosa sia internet, e spesso non riescono a comprendere che si tratta di una raccolta di risorse messe in Rete da diversi fornitori".

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L'eccellenza di qualsiasi studio scientifico si misura in base alla possibilità di replicarlo o quantomeno ricostruirlo. Ecco perché scienziati e studiosi usano le note a piè di pagina: non come garanzia dalla possibilità di plagio — sebbene sia presente anche questo aspetto — ma affinché i colleghi possano seguire le loro orme per verificare se giungono alle stesse conclusioni. Se gli scienziati alterano i dati, allora diventa difficile replicare le conclusioni a cui sono giunti, e ciò significherebbe che i loro studi sono deboli o addirittura falsificati.

Questo tipo di verifica presume, tuttavia, che qualcuno si scomodi a replicare la ricerca. Le peer review ordinarie non prevedono di rifare gli esperimenti; piuttosto, i referee leggono l'articolo presumendo che siano stati rispettati gli standard elementari della ricerca e della procedura. Decidono perlopiù se l'argomento è importante, se i dati sono di qualità sufficiente e se le prove presentate sostengono le conclusioni.

Ovviamente il requisito della replicabilità sembra indicare una fiducia maggiore nelle scienze pure come la chimica o la fisica. Le scienze sociali, come la sociologia e la psicologia, si affidano a studi che spesso dipendono da un elemento umano e quindi sono più difficili da riprodurre. Almeno gli studiosi di scienze naturali possono dire di avere standard più netti: se qualcuno afferma che una determinata plastica fonde a cento gradi, allora chiunque disponga di un campione del materiale e di un becco di Bunsen può verificare quella scoperta. Quando cento studenti volontari vengono invitati a partecipare a un sondaggio o a un'esercitazione, le cose diventano molto più difficili. I risultati potrebbero essere uno spaccato nel tempo, o di una particolare regione, o presentare qualche altra particolarità. Il progetto di ricerca dovrebbe tenere in conto questi problemi, ma l'unico modo di saperlo è tentare di replicare gli esperimenti.

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Negli anni Settanta il chimico premio Nobel Linus Pauling , per esempio, si convinse che la vitamina C fosse una medicina miracolosa. Raccomandò di assumerne dosi massicce per prevenire comuni raffreddori e tutta una serie di altri malanni. Le affermazioni di Pauling non erano sostenute da prove, ma era un Nobel della chimica, e così a molti le sue conclusioni sull'effetto delle vitamine sembrarono una logica estensione della sua competenza.

In realtà Pauling non aveva applicato gli standard scientifici della sua professione all'inizio della sua campagna pro-vitamine. Cominciò ad assumere vitamina C alla fine degli anni Sessanta su consiglio di un sedicente medico di nome Irwin Stone, che gli disse che se ne avesse preso tremila milligrammi al giorno – cinquanta volte la dose giornaliera raccomandata – avrebbe vissuto venticinque anni in più. Gli unici titoli del "dottor" Stone, però, erano due lauree honoris causa in una scuola per corrispondenza non accreditata e in un college di chiropratica.

Pauling voleva credere all'idea e cominciò a rimpinzarsi di vitamina. Immediatamente ne avvertì gli effetti miracolosi. Un osservatore più imparziale avrebbe potuto sospettare di trovarsi di fronte a un caso di "effetto placebo", in cui dire a qualcuno che un farmaco gli farà bene lo induce a sentirsi bene, ma a causa degli illustri contributi scientifici di Pauling i suoi colleghi lo presero sul serio e sottoposero le sue teorie a dei test.

Nessuna di queste analisi della vitamina C ebbe successo, ma Pauling non si lasciò dissuadere. Come scrisse poi il dott. Paul Offit, pediatra e specialista di malattie infettive alla University of Pennsylvania, "anche se uno studio dopo l'altro ha dimostrato che Pauling si sbagliava, lui si rifiutò di crederci, continuando a promuovere la vitamina C in conferenze, articoli sulla stampa popolare e libri. Quando ogni tanto compariva di fronte ai media con evidenti sintomi di raffreddore diceva di soffrire di allergia".

Pauling sviluppò le sue teorie per tutti gli anni Settanta. Sostenne che le vitamine potevano curare tutto, compresi il cancro, le malattie cardiache, la lebbra e le malattie mentali, tra gli altri. In seguito propose di analizzare gli usi della vitamina C nella lotta all'Aids. I produttori di vitamine ovviamente erano ben felici di avere un premio Nobel come santo patrono. Ben presto gli integratori vitaminici (tra cui gli "antiossidanti", termine che divenne il "senza glutine" e il "non OGM" dell'epoca) si trasformarono in un business da milioni di dollari.

Soltanto che, come si scoprì, ingenti dosi di vitamine in realtà possono essere pericolose, aumentando le probabilità di ammalarsi di alcuni tipi di cancro e di essere colpiti da ictus. Alla fine Pauling ha danneggiato non solo la sua reputazione ma anche, potenzialmente, la salute di milioni di persone. Come ha detto Offit, un "uomo che aveva ragione in modo tanto spettacolare da vincere due premi Nobel" si era "sbagliato in modo tanto spettacolare da meritarsi il titolo di ciarlatano più grande del mondo". Ancora oggi ci sono persone convinte che un pillolone di vitamine possa tenere alla larga le malattie, nonostante la scienza abbia lavorato come doveva mettendo alla prova e dimostrando la falsità delle teorie di Pauling.

Lo stesso Pauling è morto di cancro a novantatré anni. Non sapremo mai se ha ottenuto i venticinque anni extra che gli aveva promesso il "dottor" Stone.

A volte gli esperti usano il lustro di una qualifica o di un risultato in particolare per spingersi oltre la loro area, e influire su importanti dibattiti in tema di politiche pubbliche.

[...]

La comunità di esperti è piena di esempi simili. Il più famoso, almeno se lo misuriamo in base all'influenza che esercita sulla comunità globale, è il professore del MIT Noam Chomsky , una figura venerata da milioni di lettori in tutto il mondo. Chomsky, per alcuni versi, è l'intellettuale americano vivente più citato, poiché ha scritto moltissimi libri di politica interna ed estera. Tuttavia la sua cattedra al MIT era in realtà di linguistica. Chomsky è considerato un pioniere, addirittura un colosso, nel suo campo, ma non è un esperto di politica estera più di quanto, per esempio, il compianto George Kennan lo fosse di linguaggio umano. Ciononostante è più famoso presso il pubblico per i suoi testi di politica che nella sua area di competenza; anzi, nel corso degli anni ho conosciuto spesso studenti di college che hanno familiarità con Chomsky ma non avevano idea che fosse in realtà un professore di linguistica.

Come Pauling e Caldicott, tuttavia, Chomsky ha risposto a un bisogno della pubblica piazza. Spesso i profani si sentono in svantaggio a mettere in discussione la scienza tradizionale o le idee socialmente dominanti, e si stringono attorno a figure più dirette le cui idee sono rivestite da una patina di certezza da esperti. Forse i medici dovrebbero prestare maggiore attenzione al ruolo delle vitamine nella dieta degli esseri umani. Sicuramente i cittadini dovrebbero essere coinvolti in un continuo riesame del ruolo delle armi nucleari. Ma una laurea in chimica o un lavoro di pediatra non rende i sostenitori di queste posizioni più credibili di qualsiasi altro autodidatta in questi argomenti specialistici.

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Per l'uscita reale della Gran Bretagna dalla UE ci vorrà ancora qualche anno. L'anti-intellettualismo e la conseguente sfiducia nei confronti della competenza, tuttavia, hanno rivestito un ruolo più immediato e cruciale negli Stati Uniti durante la campagna presidenziale del 2016. All'inizio dell'anno, a un raduno in Wisconsin, il candidato repubblicano Donald Trump ha sferrato un attacco agli esperti. Nei dibattiti precedenti Trump si era spesso ritrovato a corto di argomenti su questioni fondamentali di politica pubblica, e ora passava al contrattacco. "Dicono: 'Oh, Trump non ha esperti'" ha dichiarato alla folla. "Sapete, ho voluto sempre dire questa cosa... Gli esperti sono terribili. Dicono: 'Donald Trump ha bisogno di un consulente di politica estera'... Ma ipotizziamo che io non ce l'abbia: sarebbe peggio rispetto a quello che stiamo facendo adesso?"

Il disprezzo di Trump nei confronti degli esperti risale a una vecchia idea americana secondo cui esperti e intellettuali non soltanto governano la vita delle persone comuni, ma lo fanno anche male. L'ascesa di Trump nel 2016 è stata l'esito di molti fattori, alcuni (come un campo affollato che ha prodotto soltanto una maggioranza relativa) legati semplicemente alle circostanze. La vittoria finale di Trump, però, è stata anche, innegabilmente, uno dei più recenti — e più forti — squilli di tromba suonati per annunciare l'imminente fine della competenza.

Prendiamo in considerazione i molteplici modi in cui quella di Trump è stata per antonomasia la campagna di un solo uomo contro il sapere costituito. Trump è stato uno dei primi birther a chiedere che Barack Obama dimostrasse di avere la cittadinanza americana; ha lodato il National Enquirer come fonte di notizie; si è schierato con gli attivisti novax; ha ammesso di ottenere gran parte delle informazioni in suo possesso in materia di politica estera dai "programmi" televisivi in onda la domenica mattina; ha insinuato che il giudice della Corte suprema Antonin Scalia, morto per cause naturali all'inizio del 2016, fosse stato assassinato; e ha accusato il padre di uno dei suoi rivali (Ted Cruz) di essere coinvolto nella Madre di Tutte le Teorie del Complotto, l'omicidio di John F. Kennedy.

Gli errori marchiani nei comizi sono un rischio legato alla professione dei candidati politici — come quando l'allora senatore Barack Obama ha detto di essere andato in tutti i cinquantasette Stati —, ma l'ignoranza di Trump durante la campagna è stata ostinata e persistente. Non aveva idea di come rispondere neppure alle domande più rudimentali relative al suo programma, ma anziché vergognarsi della sua mancanza di conoscenze se n'è beato. Quando gli hanno chiesto della triade nucleare, l'enorme arsenale che avrebbe avuto a disposizione in quanto presidente degli Stati Uniti, Trump ha risposto: "Dobbiamo essere estremamente vigili e attenti quando si tratta di nucleare. Il nucleare cambia tutta la situazione". Quando gli hanno chiesto insistentemente cosa intendesse, ha aggiunto: "Penso... penso che per me il nucleare è il potere, la devastazione è molto importante per me".

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In altre parole, non è che i sostenitori di Trump lo hanno perdonato quando ha sparato le sue baggianate più grosse; semplicemente, come dice Dunning, "non riescono a capire che esse sono tali".

Nel 2016 il sostegno maggiore a Trump si è ovviamente concentrato tra le persone con bassi livelli di istruzione. "Adoro la gente poco istruita" ha esultato Trump dopo la vittoria ai caucus del Nevada, e l'amore era certamente ricambiato. Gli americani convinti che forze indistinte stiano rovinando la loro vita e che qualsiasi abilità intellettuale visibile sia una caratteristica sospetta in un leader nazionale hanno trovato in Trump un campione. Ma certe convinzioni, come ad esempio credere che l'élite politica e i suoi alleati intellettuali stiano complottando contro noi, da dove arrivano?

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COMPETENZA E DEMOCRAZIA: LA SPIRALE DELLA MORTE



La competenza e il governo dipendono l'una dall'altro, soprattutto in una democrazia. Il progresso tecnologico ed economico che garantisce il benessere di una popolazione richiede una divisione del lavoro, che a sua volta conduce alla creazione delle professioni. La professionalità incoraggia gli esperti a fare del loro meglio al servizio dei propri clienti, a rispettare i propri limiti e a esigere che questi vengano rispettati dagli altri, all'interno di un servizio complessivo per il cliente finale: la società stessa.

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Il rapporto tra esperti e cittadini, al pari di quasi tutte le relazioni in una democrazia, si basa sulla fiducia. Quando questa crolla, esperti e profani entrano in guerra. E quando questo accade, la democrazia può avvitarsi in una spirale della morte che presenta un pericolo immediato: degenerare nel governo delle masse o in una tecnocrazia elitaria, due esiti autoritari che oggi come oggi minacciano gli Stati Uniti.

È per questo che il crollo del rapporto tra esperti e cittadini è una disfunzione della democrazia, e la pessima alfabetizzazione, sia politica sia generale, della popolazione americana è alla base di tutti questi problemi. È il terreno in cui tutte le altre disfunzioni si sono radicate e hanno prosperato, e di cui le elezioni del 2016 sono soltanto l'espressione più recente.

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Probabilmente gli americani comuni non hanno mai amato le classi istruite o i professionisti, ma fino a poco tempo fa non ne disprezzavano il sapere come elemento negativo in sé. Forse è addirittura un eufemismo limitarsi a definire questo atteggiamento "antirazionale"; più che altro siamo davanti a un'evoluzione al rovescio, che si allontana dalle conoscenze verificate e regredisce verso la saggezza popolare e i miti tramandati oralmente, ma alla velocità degli elettroni.

Il crollo dell'alfabetizzazione e l'aumento di questa ignoranza deliberata fanno parte di un circolo vizioso di disimpegno tra cittadini e politiche pubbliche. La gente sa poco e si interessa ancor meno di come viene governata o di come funzionano davvero le strutture economiche, scientifiche o politiche. Tuttavia, a mano a mano che tutti questi processi diventano più incomprensibili, i cittadini si sentono più alienati. Sopraffatti, si allontanano dallo studio e dall'impegno civile e si rifugiano in altre attività. Ciò li rende a loro volta cittadini meno capaci, e il circolo vizioso si rafforza, soprattutto quando la fame pubblica di fuga viene alimentata dall'industria del tempo libero.

Inondati di gadget e comodità in passato inimmaginabili, gli americani (e molti altri occidentali, a essere onesti) oppongono un rifiuto quasi infantile a un apprendimento sufficiente a governarsi da sé o a guidare le politiche che influiscono sulle loro esistenze. È un crollo della cittadinanza funzionale, che determina una cascata di altre conseguenze funeste.

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E così è. Quando le persone infastidite chiedono che tutti i segni di successo, compresa la competenza, siano livellati ed equiparati in nome della "democrazia" e della "giustizia", non c'è speranza né per l'una né per l'altra. Tutto diventa una questione d'opinione, e in nome dell'uguaglianza tutti i punti di vista vengono ridotti al minimo comun denominatore. Un'epidemia di tosse convulsa perché un ignorante non ha vaccinato un bambino è un segno di democrazia; la fine di un'alleanza con un Paese straniero perché un isolazionista provinciale non sa trovare le altre nazioni su un atlante è un trionfo dell'egalitarismo.

La democrazia, così come praticata negli Stati Uniti all'inizio del Ventunesimo secolo, è diventata una faccenda di rabbia e risentimento. I fragili ego degli studenti narcisisti dei college sgomitano contro l'identità indignata e ferita dei tossicodipendenti dei talk show radiofonici, che chiedono tutti di essere presi altrettanto sul serio dagli altri, a prescindere da quanto le loro opinioni siano estreme o disinformate. Gli esperti vengono derisi e definiti elitari, uno dei tanti gruppi che opprimerebbe "noi, la gente", espressione ormai usata in modo indiscriminato dagli elettori con il significato di "me". Le consulenze degli esperti o qualsiasi tipo di decisione consapevole da parte di chiunque venga percepito dai profani come "élite" — cioè quasi tutti tranne loro — vengono respinti per principio. Nessuna democrazia può andare avanti in questo modo.




LA RIBELLIONE DEGLI ESPERTI



Non ho intenzione di terminare questo libro su una nota così pessimistica, ma non sono sicuro di avere molta scelta. È possibile superare gran parte delle cause dell'ignoranza, se le persone sono disposte a imparare. Nulla, tuttavia, può superare la tossica convergenza di arroganza, narcisismo e cinismo che gli americani ormai indossano come un'armatura contro gli sforzi di esperti e professionisti.

Le soluzioni tradizionali non funzionano più. La scuola, anziché abbattere le barriere all'apprendimento continuo, sta insegnando ai giovani che i loro sentimenti sono più importanti di qualsiasi altra cosa. "Andare al college", per molti studenti, è soltanto l'ennesimo esercizio di autoaffermazione. I media, invischiati nella competizione a tutti i livelli, ormai chiedono ai consumatori cosa piacerebbe loro sapere invece di dir loro cos'è importante. Internet è un'arma a doppio taglio, un pozzo di informazioni avvelenato dall'equivalente del sabotaggio intellettuale.

Di fronte alla risoluta ignoranza della popolazione, gli esperti sono sconfitti. "Molti di noi si sentono impotenti contro di essa" ha dichiarato David Autor, un economista del lavoro del MIT. "Sentiamo di poter istruire i nostri studenti, ma i nostri studenti non sono la popolazione e non sappiamo come istruire la popolazione." Un professore di Yale, Dan Kahan, è stato più pessimista: "Bombardare le persone di conoscenza non serve" ha detto nel 2015. "Non aiuta a spiegare le cose alla gente, ma eccomi qui a spiegare e a rispiegare i fatti. Forse sono io la vittima di questo scherzo."

Un segnale di ottimismo è che gli esperti sembrano ribellarsi agli attacchi alla loro competenza. Criticando l'esito della Brexit, per esempio, James Traub ha detto chiaro e tondo che per i difensori del liberalismo occidentale era arrivato il momento "di sollevarsi contro le masse ignoranti". Ovviamente farlo significa rischiare la terribile imputazione di "elitarismo", accusa che ha sempre avuto un impatto maggiore nell'egalitaria America che nelle più stratificate culture in Europa e altrove, come Traub ha ammesso: "È necessario dire che la gente si illude e che il compito della leadership è disilluderla. Questo è 'elitarismo'? Forse sì; forse siamo diventati talmente inclini a celebrare l'autenticità di tutte le opinioni personali che è diventato elitario credere nella ragione, nella competenza e nelle lezioni della storia".

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