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| << | < | > | >> |IndiceI nomi russi. Una premessa 7 Nota sulle pronunce 9 Introduzione 15 Come mai p. 17 Di Dostoevskij p. 19 Non abbracciare p. 20 La paura p. 21 Opinioni p. 23 Altre opinioni p. 24 Non è importante p. 26 Un viaggio singolare p. 28 Tutti serissimi p. 30 Al tempo stesso p. 33 Di servizio p. 34 Il potere 35 Centodue anni che è uscito un articolo p. 37 Una penna p. 39 Il sole imballato p. 40 I diari di Tolstoj p. 42 A cosa serve l'arte p. 43 Un'altra citazione di Tolstoj p, 44 Uno sguardo p. 47 La fustigazione p. 49 CiCikov p. 51 Anime morte p. 55 Il purgatorio p. 56 Il primo e l'ultimo libro di Gogol' p. 59 Prospettiva Nevskij, 68 p. 64 In piazza Pionerskaja p. 65 Autopubblicazione p. 69 La casa sul Lungofiume p. 73 Un tipo particolare di samizdat p. 75 Una parola di verità p. 77 Fanfarónstvo p. 78 Un dono divino p. 80 Uno dei periodi migliori della mia vita p. 82 Giocare all'esilio p. 84 265-39 p. 87 Noi p. 89 L'amore 93 Come finiscono p. 95 Anche Anna Karenina p. 99 Spoiler p. 100 Una parentesi p. 102 Ancora Anna Karenina p. 103 La fine p. 106 Il genio p. 109 La cosa dei pianeti p. 110 Il manuale di narrativa p. 112 Amare nella vita quotidiana p. 114 28 gennaio 1881 p. 117 La mamma p. 118 Il byt 121 Al'bin e Ksana p. 123 Pochmel'e p. 124 Stoby opochmelit'sja p. 127 La vita p. 128 Per esempio p. 130 Quindi p. 137 Primo esempio p. 139 Secondo esempio p. 143 Come mai? p. 146 Di cosa parla questo libro p. 149 Appendice. Arrivederci 151 Su Puškin p. 154 Scene dalla vita di Puškin p. 155 Scene dalla vita di Lev Tolstoj p. 158 Tolstoj e Dostoevskij p. 160 Novecento p. 161 Dostoevskij e Gogol' p. 162 Dostoevskij e Lermontov p. 163 Dostoevskij e le narici p. 164 Daniil Chartns p. 165 Ancora Puškin p. 166 Puškin e Tagore p. 167 Un romanzo di Gogol' p. 168 Gogol' e Arina Rodionovna (la bambinaia di Puškin) p. 169 Turgenev da vecchio p. 170 Gogol' e Dostoevskij p. 171 Manca la fine p. 172 Un'altra appendice. La lingua del sentimento 173 Come parliamo quando parliamo d'amore p. 177 Le mie idiosincrasie p. 179 Manganelli, Puškin, mia nonna e mia mamma p. 181 A studiare una lingua straniera p. 183 Il bolide p. 185 Un'altra volta p. 186 Un'altra volta ancora p. 187 Lo strumento p. 188 Un caso personale p. 191 Il linguaggio dell'ubriachezza p. 193 Un altro campo semantico p. 195 Togliatti p. 200 Fabio Volo p. 202 Gogol' p. 205 Raffaello Baldini p. 208 Come si accentano i nomi russi di questo libro 211 Elenco delle citazioni (in ordine di apparizione) 215 Indice delle illustrazioni 221 |
| << | < | > | >> |Pagina 17Č matematico che chi studia russo si senta chiedere, prima o poi, «Come mai hai studiato russo?». Come se ci fosse bisogno di un motivo, come se la cosa andasse spiegata, come se studiare russo non equivalesse a studiare inglese, o francese, o tedesco, o spagnolo, per dire. Secondo me, è vero. Studiare russo non equivale a studiare inglese, o francese, o tedesco, o spagnolo, per dire. La letteratura russa è molto diversa dalla letteratura inglese, o francese, o tedesca, o spagnola, per dire. Per non parlare di quanto ci sembri diversa da quella italiana, che noi italiani guardiamo in un modo tutto nostro particolare, molto italiano anche lui, il modo, mi viene da dire. Ma torniamo a noi: se hai studiato russo, e incontri un sacco di gente che ti chiede «Come mai hai studiato russo?», tu puoi chiederti, a tua volta, «Ma come mai me lo chiedono tutti?». Ma se scrivi un libro che si intitola I russi sono matti, e si sottotitola Corso sintetico di letteratura russa, dovresti essere tu, dentro quel libro che scrivi, a dirlo per primo, come mai hai studiato russo o, per lo meno, a dire in cosa si differenzia la letteratura russa da quella inglese, o tedesca, o americana, o cubana eccetera eccetera. E qui cominciano i problemi: perché tu, in cosa si differenzia, questa benedetta letteratura russa, da tutte le altre letterature, non lo sai di preciso. Perché tu, in sostanza, sei uno che sa molto poco. | << | < | > | >> |Pagina 21Uno scrittore svizzero che si chiama Peter Bichsel, che ha scritto una volta: «Tutti noi abbiamo vissuto momenti di disperazione di fronte alle prime pagine dei grandi romanzi russi, quando non capivamo chi fosse lo zio e chi il fratello e se la zia fosse la moglie dello zio e se fosse il fratello o l'amico a essere innamorato della figlia e di chi fosse figlia la figlia. Siamo allenati e sappiamo come si affronta il problema: si continua a leggere, prima o poi si capirà», ha scritto Bichsel, e mi viene da dargli ragione: è vero, la letteratura russa, fan dei libri anche così grossi, fa un po' paura. Un po' la stessa paura che a Werner, il medico di Un eroe dei nostri tempi, straordinario romanzo pubblicato nel 1840 da Michail Lermontov, fanno le donne. In quel romanzo Werner paragona le donne al bosco incantato di cui parla il Tasso nella sua Gerusalemme liberata. «Appena entri», ha detto Werner, «ti saltano addosso da tutte le parti tanti di quegli orrori che Dio ti salvi: il dovere, l'orgoglio, il decoro, l'opinione comune, il ridicolo, il disprezzo.» Secondo Werner, non li si deve guardare, si deve andare avanti: «Pian piano i mostri scompaiono e si apre di fronte a te una quieta e luminosa pianura, nel mezzo della quale fiorisce il verde mirto. Ma che disgrazia, se ai primi passi il cuore trema e tu torni indietro». Con la letteratura russa, più o meno, potrebbe succedere così. Cioè che se non ti spaventi, non scappi, vai avanti, dopo un po' arrivi al centro del bosco che c'è una radura che è un posto che si sta benissimo. O malissimo, a seconda dei casi. Cioè quei romanzi così grossi, con tutti quei personaggi che hanno almeno tre nomi e un cognome e un paio di soprannomi e dei gradi che li collocano in una gerarchia incomprensibile e che sono legati da intricatissimi vincoli di parentela, se fai come Bichsel, se porti pazienza, se arrivi, per dire, a pagina 39, dopo alla fine ti danno delle gran soddisfazioni, e se sei proprio fortunato magari ti fanno anche molto male. | << | < | > | >> |Pagina 23Uno scrittore russo del quale parleremo un po', in questo libretto, Ivan Turgenev, ha creato il primo uomo superfluo della letteratura russa e il primo nichilista, della letteratura russa, è stato il primo scrittore russo ad avere successo in Occidente, è stato, per un po', lo scrittore probabilmente più celebre d'Europa, è stato probabilmente lo scrittore russo dell'Ottocento meno russo di tutti (ha vissuto a lungo a Baden-Baden e a Parigi), ha fatto dire a un proprio personaggio (del romanzo Fumo, uscito nel 1867) che «se la Russia intera scomparisse, l'umanità non ne avrebbe nessun danno, e il fatto non provocherebbe nessun turbamento», e sembra che abbia scritto che a lui, dei russi, piaceva in particolare «la pessima opinione che hanno di se stessi». | << | < | > | >> |Pagina 30Se un italiano entra in metropolitana a Mosca, o a San Pietroburgo, una cosa che lo colpisce è che i russi che sono con lui, nella carrozza della metropolitana, sono tutti serissimi. Il che, in un certo senso, risponde all'idea che uno ha, che ho avuto per lo meno io, della letteratura russa, dopo aver letto quel Delitto e castigo che mi ha fatto così male. Solo che poi, andando avanti, nelle cose che ho letto di Gogol', per esempio, quando ho trovato, nel Cappotto, un personaggio che Gogol' chiama «Il personaggio importante» e che descrive così: Quale fosse e in cosa consistesse la carica del personaggio importante, ancora oggi non si sa. Bisogna sapere che quel personaggio importante era diventato da poco un personaggio importante e, fino a poco prima, era stato un personaggio che non era importante. O, in Anime morte, il dialogo tra la signora piacevole da tutti i punti di vista e la signora semplicemente piacevole, o quando ho letto, nei quaderni del dottor Čechov: Gli piaceva che la sua fidanzata fosse religiosa, che avesse certe sue idee e convinzioni. Ma, quando essa divenne sua moglie, questa autonomia di pensiero cominciò a dargli fastidio. O, più avanti, nel Novecento, Sergej Dovlatov, per esempio, quando scrive: Ho incontrato Fel'dman, l'economista. Dice: «Sua moglie si chiama Sofia?» «No», dico io, «Lena.» «Lo so, scherzavo. Lei non ha il senso dell'umorismo. Č lettone, forse?» «Perché lettone?» «Ma scherzavo. Lei proprio non ha nessun senso dell'umorismo. Sta andando per caso dal logopedista?» «Perché dal logopedista?»
«Scherzo, scherzo. Ma che fine ha fatto il suo senso dell'umorismo?»
Ecco. Quando ho incontrato queste cose, dicevo, mi sono accorto di un fatto che non avevo immaginato: che i russi hanno il senso dell'umorismo, e lo usano. E lo usano a volte anche in contesti stranissimi, per esempio nel manuale di lingua russa su cui ho studiato io, che era un manuale ancora sovietico (si chiamava Baš), c'era un dialogo che si intitolava "Purtroppo no" e che diceva così: «Il manuale ce l'hai?» «Ce l'ho.» «Il quaderno ce l'hai?» «Ce l'ho.» «La matita ce l'hai?» «Ce l'ho.» «Le sigarette ce le hai?» «Ce le ho.» «La vodka ce l'hai?» «Purtroppo no.» | << | < | > | >> |Pagina 33Dostoevskij, di sé e dei suoi colleghi, diceva: «Noi veniamo tutti dal cappotto di Gogol'», e Nabokov, in un suo memorabile saggio che si intitola, appunto, Nikolaj Gogol', dà una definizione di quello stile con la quale voglio finire questa introduzione: lo stile di Gogol', secondo Nabokov, dà la sensazione di qualcosa di ridicolo e di stellare al tempo stesso - e piace richiamare alla mente che la differenza tra il lato comico delle cose e il loro lato cosmico dipende da una sibilante. | << | < | > | >> |Pagina 73Quando penso al samizdat, mi viene sempre in mente una cosa che mi è successa nel 1993, quando, da una casa in periferia dove abitavo, a Mosca, mi dovevo trasferire in una casa in centro, dietro al Cremlino, una casa celebre, la casa sul Lungofiume, si chiama, e su questa casa sul Lungofiume, mi aveva detto la mia insegnante di russo, era stato scritto anche un romanzo, da Jurij Trifonov. «E l'hai letto?» avevo chiesto io alla mia insegnante di russo quando mi aveva detto così. «Per forza l'ho letto», mi aveva risposto lei, «era proibito.» C'è stato un periodo, negli anni settanta, che il fenomeno del samizdat aveva raggiunto un livello, in Russia, che praticamente si leggevano solo romanzi in samizdat. Dice sempre Dovlatov che, in quel periodo lì, se tu, per il compleanno di un tuo amico gli regalavi un libro, dovevi regalargli un libro in samizdat, che regalare libri ufficiali, libri che avevano passato il vaglio della censura, era una cosa che veniva considerata poco educata. Se un libro veniva pubblicato, dice Dovlatov, voleva dire che valeva poco. Perché i libri che valevano tanto, sembra incredibile, i libri che dicevano delle cose importanti, sembra incredibile, facevan paura. Lo stato, il grande stato sovietico, il grande regime sovietico, la più grande potenza mondiale, aveva paura dei libri. | << | < | > | >> |Pagina 99Certo, a pensare: romanzo d'amore, può darsi che venga in mente, per esempio, Anna Karenina, dove, di romanzi d'amore, ce ne dovrebbero esser due, per lo meno: l'amore tra Anna e Vronskij, e l'amore tra Levin e Kitty. Solo che, secondo me, non è vero. Di romanzi d'amore, in Anna Karenina, non ce n'è neanche uno, secondo me. Perché quel che mi resta dentro la testa e negli occhi, dopo aver letto Anna Karenina, non è l'amore tra Anna e Vronskij, né, tantomeno, quello tra Levin e Kitty: quel che mi resta dentro gli occhi sono le orecchie di Karenin, è la schiena spezzata di Frou-Frou, un cavallo da corsa, è il monologo di Anna alla fine del romanzo, è il disastro di un finale che non c'entra niente col resto, e adesso mi spiego meglio, ma prima è necessaria una premessa: chi non ha letto Anna Karenina e non sa come va a finire, si dovrebbe fermare qui. | << | < | > | >> |Pagina 128Delle opere di Puškin, che oggi vengono considerate «un'enciclopedia della vita russa», un critico ottocentesco ha scritto che sono «scenette insignificanti da vite insignificanti». Molti contemporanei di Puškin si sono stupiti quando, nell' Evgenij Onegin, Puškin ha messo in versi le scene da un matrimonio di una città di provincia. «Perché ci racconta queste cose?», si chiedevano, «le sappiamo benissimo.» Ecco quelle cose, quelle cose di Puškin che i suoi contemporanei conoscevano benissimo e che per noi sono così preziose, soprattutto per la leggerezza e l'incanto con cui sono raccontate, sono il byt, la vita quotidiana. Uscire dall'arte è impossibile, - dice Jurij Lotman in Conversazioni sulla cultura russa - così come lo è uscire dalla lingua. Perfino quando tacciamo lo facciamo in una determinata lingua.
Per questo l'arte siamo noi. Noi siamo compenetrati d'arte. Ora è malata,
perché siamo noi a essere malati, soprattutto in questo periodo. Siamo malati e
ci lamentiamo di avere un'arte malata. Ma lo sapete, no, il proverbio:
non te la prendere con lo specchio, se hai la faccia storta.
E in un libro recente di Giorgio Agamben, intitolato Il fuoco e il racconto, Agamben dice che quel che fa l'arte non è rendere visibile l'invisibile, ma rendere visibile il visibile. Il byt.
Il quotidiano.
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