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| << | < | > | >> |IndicePrefazione degli autori 11 Note pratiche per la lettura e la consultazione di questa guida 15 Introduzione ai mammiferi marini 17 Cenni sulla biologia dei cetacei 21 Evoluzione 21 Classificazione 22 Morfologia esterna e anatomia 31 Fisiologia 34 Alimentazione 36 Riproduzione e longevità 38 Ecologia 40 Sensi e comunicazione 41 Comportamento 43 Il futuro dei cetacei 46 I mammiferi marini del Mediterraneo 51 Balenottera comune 61 Balenottera minore 71 Capodoglio 79 Zifio 89 Orca 96 Pseudorca 105 Globicefalo 113 Grampo 121 Tursiope 129 Stenella striata 138 Delfino comune 146 Steno 154 Specie accidentali 161 Balena franca boreale 161 Balenottera boreale 163 Megattera 165 Cogia di Owen 168 Mesoplodonte di Blainville 170 Susa indo-pacifica 172 Focena comune 174 Cetacei assenti nel Mediterraneo 176 Foca monaca 178 In cerca di cetacei 187 Cosa vuol dire osservare 187 Osservazione in mare 188 Rinvenimento di un cetaceo spiaggiato, morto alla deriva, oppure in difficoltà 206 Codice di condotta da seguirsi in presenza di cetacei nel loro ambiente naturale 225 Glossario 229 Bibliografia 241 Principali enti: organizzazioni e istituti stranieri e italiani interessati alla ricerca e alla conservazione dei mammiferi marini 251 Breve cronologia della ricerca sui mammiferi marini in Italia 253 Indice analitico 257 |
| << | < | > | >> |Pagina 11Questo libro è stato scritto con un precipuo desiderio: far conoscere al pubblico i Mammiferi marini del Mediterraneo, e, per mezzo di questa conoscenza, farli apprezzare e amare. Ma che bisogno c'era — si potrebbe obiettare — forse che balene, delfini e foche non sono già abbastanza amati dal pubblico? A noi sembra di no. A meno che non si voglia considerare affetto la sistematica distruzione di questi esseri meravigliosi che in ogni momento viene compiuta dall'uomo in tutti i mari, primo fra tutti il Mediterraneo. In realtà non di affetto si tratta, ma di vero odio. Odio per le foche e per i tursiopi che fanno uno strappo in un tramaglio per andarsi a prendere qualcuno dei pochi pesci che abbiamo lasciato nel mare; odio per i capodogli e le stenelle che arrecano al pescatore l'enorme fastidio di andare a finire annegati e indesiderati nelle reti, attirando sul suo capo il vituperio degli ambientalisti; odio da parte di chi vuole trasformare in ricchezza personale o di parte le risorse comuni del mare — siano esse una bella spiaggia oppure un tonno — e in tale intento viene intralciato dagli importuni mammiferi marini; odio, infine, da parte di chi scarica in mare rifiuti tossici a migliaia di tonnellate, e poi si ritrova l'indice puntato dai cadaveri di decine di delfini spiaggiati nei pressi dello stabilimento. In tutti i mari del mondo i mammiferi marini stanno attraversando un periodo di grandi e crescenti difficoltà, tutte causate dal pessimo uso che l'uomo ha scelto di fare del mare. Mentre nazioni ricche come la Norvegia e il Giappone hanno rinfoderato gli arpioni per cacciare balene che non si sono ancora del tutto riprese dalla caccia sconsiderata di cui furono oggetto fino a circa la metà di questo secolo, sono sempre più numerose le nazioni povere, come per esempio il Perù, le Filippine e Sri Lanka, che si stanno ingegnando a ricavare dalla carne di delfino quelle proteine che il mare non è più in grado di fornirgli sotto forma di pesce. E in un mare che ogni giorno diviene più impervio e invivibile, quei cetacei che riescono a sfuggire all'insidia delle centinaia di migliaia di chilometri di reti, usate per la pesca di qualsiasi pesce sia mai esistito, devono fare i conti con molteplici sostanze altamente tossiche. Alcune di queste, come i pesticidi e gli organoclorurati, si infiltrano subdolamente nell'ambiente marino e nella catena alimentare, e vengono ingerite dal piccolo cetaceo fin dalla prima sorsata di latte materno. Come ci si può immaginare, il Mediterraneo costituisce un caso speciale di questo tetro scenario, con le sue coste così popolate, le sue risorse marine così sfruttate da millenni, le sue acque così insozzate da generazioni di amministratori disinteressati e corrotti. Quali speranze abbiamo di raddrizzare la situazione, di rivedere il mare riprendere la sua antica vitalità sotto l'influsso di una corretta gestione delle sue risorse? Non molte davvero; forse ci resta soltanto la carta della rabbia, dell'indignazione della gente di fronte a uno sfacelo così diffuso e così colpevole. Ma l'indignazione può essere alimentata solo dalla conoscenza e dall'informazione. E allora se la gente impara a conoscere questi animali che fortunosamente ancora sopravvivono nei mari del nostro Paese, a riconoscerne l'aspetto e le particolarità esteriori, ad appassionarsi alle loro abitudini, e soprattutto a comprendere i loro problemi, forse soltanto così riusciremo a fare in modo che coloro che oggi reggono le sorti della terra e del mare la smettano di dare ascolto soltanto a chi vorrebbe delfini e foche morti e dimenticati. Il nostro augurio, infine, è che questa auspicata consapevolezza ci aiuti tutti a conseguire un difficile ma necessario obiettivo: conciliare un onesto e illuminato uso delle risorse del mare da parte della nostra specie – come del resto abbiamo sempre fatto fino a ieri – con la sopravvivenza e la prosperità di tutti i suoi abitanti: a cominciare dai protagonisti di questo libro, le balene, i delfini e le foche del Mediterraneo. | << | < | > | >> |Pagina 15La guida è suddivisa in quattro parti: I. Generalità sui Mammiferi marini e in particolare sui Cetacei; II. I Mammiferi marini del Mediterraneo; III. Guida pratica all'identificazione; IV. Appendici. La prima parte costituisce un'introduzione alla materia, qui presentata con l'intento di aiutare il lettore non specialista a compiere un primo giro di orizzonte e a comprendere la particolare natura di questi inconsueti Mammiferi. Essa fornisce una breve descrizione dei Mammiferi marini, con particolare attenzione ai Cetacei, che rappresentano la quasi totalità dei Mammiferi marini del Mediterraneo. Viene qui presentato un elenco completo delle specie attuali dei Cetacei e un'infarinatura sulle principali caratteristiche anatomiche, biologiche, fisiologiche, ecologiche e comportamentali di balene e delfini. La seconda parte della guida, alla quale fa da cappello un cenno sulle caratteristiche oceanografiche del Mar Mediterraneo, comprende la descrizione di tutte le specie regolari, occasionali e accidentali di Mammiferi marini osservate in questo mare; le specie accidentali sono state trattate con dettaglio inferiore a quelle regolari e occasionali. Ogni descrizione delle principali specie, corredata da una tavola a colori, una cartina di distribuzione e uno spettrogramma dei suoni più tipici (se disponibile), è suddivisa nei seguenti punti principali: classificazione, etimologie, nomi in altre lingue, nomi italiani obsoleti, descrizione, note biologiche, stato di conservazione e riferimenti bibliografici essenziali (comprendenti, per brevità, soltanto il lavoro più recente e completo sulla specie e i titoli più significativi sulla sua presenza nel Mediterraneo). Per le specie più frequenti sono state illustrate le prede preferite, scelte tra le specie più rappresentative dei principali gruppi sistematici a cui appartengono. Le cartine di distribuzione sono state compilate in base alle conoscenze disponibili al momento della pubblicazione della guida, che sono abbastanza precise in certe aree del Mediterraneo, e piuttosto vaghe in altre; occorre pertanto tener presente, allo stato attuale delle conoscenze, che esse hanno solo valore indicativo, e che il loro scopo è di aiutare il lettore a farsi un'idea delle caratteristiche generali della distribuzione di ogni specie nel Mediterraneo. Per quanto riguarda il Mar Nero, non è stato possibile reperire nella letteratura scientifica alcun riferimento utile a descrivere le particolarità distributive delle specie in esso presenti; per tali specie abbiamo pertanto dovuto limitarci a indicare in quel mare una presenza diffusa e generalizzata. La terza parte consiste in una guida pratica all'osservazione dei Cetacei, con un compendio di nozioni sulle tecniche di osservazione e di rinvenimento dei Cetacei in mare, sulle tecniche di intervento sui Cetacei spiaggiati o in difficoltà, e con chiavi analitiche per l'identificazione della specie, sia in mare che su una spiaggia, illustrate e corredate da una tavola comparativa dei crani, particolarmente studiate per un osservatore non specialista. Infine, in appendice, vengono riportati: l'elenco bibliografico (suddiviso in due parti: una bibliografia più generica, comprendente titoli rilevanti in fatto di cetologia generale e mediterranea, e una lista dei testi citati in calce alle descrizioni delle singole specie); il glossario; l'indice analitico; alcuni indirizzi utili al cetologo dilettante; infine, una lapidaria cronologia della ricerca cetologica in Italia. | << | < | > | >> |Pagina 17Nel corso della loro breve ma travolgente storia evolutiva, che li vide invadere quasi tutte le nicchie ecologiche del pianeta spodestandone i Rettili, più volte i Mammiferi hanno tentato la colonizzazione del mare. Ciò è abbastanza comprensibile: il mare, che occupa più di tre quarti della superficie terrestre, si presentava ai Mammiferi allora emergenti come un contenitore di risorse praticamente illimitato, in aperto contrasto con la situazione sulle terre emerse, dove la competizione tra specie simili si era fatta di certo in molti casi esasperata. I Mammiferi, tuttavia, plasmati dall'evoluzione per un'esistenza tipicamente terragnola, non sono particolarmente adatti alla vita in mare. Con le loro quattro zampe nuotano male; non possono vivere in permanenza sott'acqua, come fanno i pesci, perché con i loro polmoni sono in grado di respirare soltanto per mezzo dell'ossigeno atmosferico; la pelliccia che li copre, e che solo in aria li protegge in maniera adeguata dagli sbalzi termici dell'ambiente, in acqua non funziona a dovere; infine, le fasi delicate e particolarissime della riproduzione, cioè il parto e l'allattamento, che già di per sé, nelle migliori condizioni, sembrano un miracolo della fisiologia animale, incontrano difficoltà ancora maggiori nel mezzo liquido, in un ambiente così alieno e ostile. Ciò malgrado, avvenne ugualmente che alcuni gruppi di Mammiferi presero la via del mare. Forse la pressione selettiva a colonizzare quest'ambiente nuovo, svariate decine di milioni di anni fa, era sufficiente a far vincere le oggettive difficoltà anatomiche, fisiologiche e di comportamento che tale ambiente comportava; forse fu anche la straordinaria plasticità evolutiva di questi Vertebrati a consentire il raggiungimento di risultati cosí notevoli in tempi relativamente brevi. Alcuni Mammiferi mantennero con il mare un rapporto limitato, periodico, soprattutto legato alla ricerca del cibo, e rimasero assai simili ai loro più stretti parenti terrestri; altri, invece, si adattarono progressivamente a un'esistenza integralmente acquatica, impararono anche a riprodursi nell'elemento liquido e mutarono completamente di aspetto. I Mammiferi marini comprendono infatti specie appartenenti a molti gruppi differenti e filogeneticamente lontani. Tra i Carnivori sono rappresentate le famiglie degli Ursidi e dei Mustelidi e l'intero gruppo dei Pinnipedi: tutti - chi più chi meno - ancora legati in qualche modo alla terraferma. L'ordine dei Sirenii e quello dei Cetacei, al contrario, sono oggi composti da specie rigorosamente acquatiche, in prevalenza marine, che si sono talmente bene adattate alla vita nell'elemento liquido da non poterlo più abbandonare. L'Orso polare, Ursus maritimus (Phipps 1774), è il meno marino di tutti. Malgrado le indiscusse doti di acquaticità di questo plantigrado, che non esita a gettarsi in mare e a compiere lunghe nuotate, soprattutto per andare a caccia di Foche, il considerarlo "marino" sembrerebbe più che altro una pignoleria di chi vede nei ghiacci della banchisa, su cui l'Orso vive, semplicemente mare solidificato. In sostanza l'Orso polare è in tutto assai simile agli altri orsi più terrestri, si riproduce e dorme all'asciutto e il suo mezzo principale di locomozione rimane la deambulazione su substrato solido. Di gran lunga più acquatici dell'Orso polare sono i Pinnipedi — che comprendono le Foche, le Otarie (in figura, Zalophus californianus) e il Tricheco, per un totale di 34 specie — nei quali l'equilibrio tra terra e mare è decisamente spostato in favore di quest'ultimo. Questi Mammiferi passano infatti in mare gran parte dell'anno, senza bisogno di toccar terra e compiendo anche estese migrazioni, e si nutrono esclusivamente di pesci, calamari e altri esseri squisitamente acquatici, che cacciano con straordinaria agilità. La terraferma serve loro soprattutto per la riproduzione, che avviene in una precisa stagione. Qui, su spiagge particolarmente favorevoli, convergono spesso in imponenti quanto temporanei assembramenti chiamati colonie, dove i maschi lottano per contendersi le femmine e il territorio, e le femmine partoriscono e allattano il loro piccolo. Un poco più acquatica dei Pinnipedi è la Lontra marina, Enhydra lutris (Linnaeus, 1758): un Mustelide che nasce e muore tra le grandi praterie sommerse della grande alga Macrocystis, che prospera lungo le coste del Pacifico nordorientale e del Mare di Bering, cibandosi di invertebrati del benthos e di piccoli pesci. Talvolta, per breve tempo e con notevole goffaggine, la Lontra marina si tira in secco su uno scoglio a lisciarsi il pelo; ma qui termina il suo comportamento terrestre. I Sirenii, cioè il Dugongo (in figura Dugong dugon) e i Lamantini (detti anche Manati), costituiscono un piccolo gruppo di miti erbivori acquatici lunghi dai 2.5 ai 4.5 m. Lontani parenti degli Elefanti, i Sirenii prediligono le calme acque lagunari, costiere e fluviali dei Tropici, nelle quali si muovono nuotando pigramente con il loro corpo a forma di siluro, sempre alla ricerca delle piante sommerse di cui si cibano. Privi di arti posteriori, con una coda allargata sul piano orizzontale a due lobi (Dugongo) o a lobo unico (Lamantini), e con le mammelle ascellari, i Sirenii devono il loro nome alla loro supposta somiglianza con le leggendarie sirene. Un tempo esisteva anche un grande Sirenio subartico, la Ritina di Steller (Hydrodamalis gigas Steller, 1774), lunga forse oltre 7.5 m, abitante delle acque costiere del Mare di Bering. Scoperta nel 1741, purtroppo solo 27 anni più tardi era definitivamente scomparsa, vittima di una caccia spietata da parte dei navigatori del tempo. Ma i veri dominatori del mare tra i Mammiferi sono i Cetacei, la cui eccezionale plasticità evolutiva e capacità di adattamento hanno generato, in oltre 50 milioni di anni, circa un centinaio di specie conosciute (di cui 78 oggi esistenti), capaci di sfidare costantemente, dalla nascita alla morte, le multiformi insidie e le mille difficoltà della vita in mare aperto. I Cetacei sono, tra tutti i Mammiferi, forse i più modificati e i più specializzati. In questo libro si parla soprattutto di loro: sia perché essi costituiscono la quasi totalità dei Mammiferi marini del Mediterraneo, sia perché la loro storia rappresenta uno dei capitoli più affascinanti della zoologia dei Mammiferi in particolare, e dei meccanismi dell'evoluzione in senso più generale. Alla Foca monaca (Monachus monachus Hermann, 1799), l'unica specie di Mammifero marino mediterraneo che non appartenga all'ordine dei Cetacei — ormai divenuta dovunque cosí rara da essere oggi considerata una delle dodici specie di Mammiferi più minacciate di estinzione del pianeta — dedicheremo invece un capitolo a se stante. | << | < | > | >> |Pagina 187Innanzitutto, l' identificazione certa della specie a cui quell'animale appartiene. Perché è così importante conoscere la specie? Il motivo è molto semplice: ogni specie ha caratteristiche differenti, e pertanto l'individuazione e la descrizione di tali caratteristiche hanno un senso solo se si possono rapportare a quella particolare specie. In altre parole, tutte le osservazioni che compiremo serviranno soprattutto a dirci in qual modo si differenziano le varie specie di Cetacei che vivono nei nostri mari. Che valore ha compiere delle osservazioni senza conoscere la specie alla quale si riferiscono? Sarebbe un'operazione inutile, un po' come compiere uno studio sulle caratteristiche dei vini di una cantina ben fornita e bene assortita, in cui però delle bottiglie sono state perse tutte le etichette. Per nostra fortuna il compito di identificare i Cetacei osservati è particolarmente facilitato in Mediterraneo, perché in questo mare le specie sono poche, e quelle poche sono per di più in genere facilmente distinguibili l'una dall'altra. Occorre tuttavia conoscerne bene le differenze, e sapere cosa osservare. Una volta identificata la specie abbiamo compiuto il passo più importante, ma soltanto il primo passo. L'osservazione va infatti completata con una serie di altre importanti informazioni, quali la località in cui è stato compiuto l'avvistamento, a sua volta corredata da: data e ora dell'avvistamento, descrizione delle condizioni meteorologiche del momento, numero di esemplari di cui era composto il branco, presenza o assenza di piccoli, particolari comportamenti osservati, ecc. Questa ultima parte del processo di osservazione viene descritta in un paragrafo più avanti, "Raccolta e inoltro dei dati" (pag. 202). [...] Come trovare i Cetacei In genere, quando si va per mare, in balene o in delfini ci si imbatte per caso. Può capitare di guardare distrattamente la superficie, e all'improvviso il nostro occhio capta un movimento diverso da quello solito delle onde che ci stanno davanti, oppure un'increspatura anomala. Di colpo la nostra attenzione si risveglia, mettiamo a fuoco quel tratto di mare improvvisamente diventato interessante, e se si tratta di Cetaceo, prima o poi ricomparirà. Oppure sono i Cetacei a trovarci – soprattutto se si tratta di delfini – per venire vicino alla barca a giocare sull'onda di prua. Il più delle volte, tuttavia, la loro casuale vicinanza passerà totalmente inosservata. Sembra infatti un controsenso, eppure questi grossi, spesso colossali abitanti del mare sono dei maestri nel nascondersi. Moltissimi diportisti italiani, tanto per fare un esempio, sono straconvinti che Balenottere e Capodogli non esistano abitualmente nei nostri mari perché non ne hanno mai visto uno, malgrado chissà quanti sono passati di sotto il loro naso. La prima regola dunque, è: se vogliamo trovare i Cetacei, dobbiamo cercarli. Essenziale è che le condizioni del tempo siano buone: in assenza di vento e di onda lunga, con il mare liscio come una tavola, sarà ben difficile che nelle ore diurne un Cetaceo rompa la superficie nel raggio di un miglio senza che l'attento osservatore se ne accorga; se incece il mare è mosso o anche soltanto increspato, le nostre probabilità di avvistamento diminuiscono in maniera drastica. Possiamo influire sulle nostre probabilità di incontro anche con la scelta dei luoghi in cui compiere le nostre ricerche. Basta guardare le cartine di distribuzione per rendersi conto di quanto poco omogenea sia la distribuzione delle varie specie di Cetacei nei mari italiani. Ci sono zone dove i Cetacei sono rari, a qualsiasi specie appartengano, e altre dove invece sono più abbondanti; ci sono zone dove sono abbondanti alcune specie, e rare altre. All'interno di ogni zona, la probabilità di compiere avvistamenti sarà poi influenzata dalla profondità, dalla distanza dalla costa, dalle condizioni oceanografiche, dal livello di degrado di origine antropica, dall'intensità della pesca, e via dicendo. Supponiamo comunque di aver scelto una zona di mare nota per la sua abbondanza di Cetacei, e di trovarci nelle condizioni meteorologiche ideali, con mare tranquillo. Come possiamo accrescere al massimo la probabilità che i Cetacei presenti non ci sfuggano?
Occorre abituarsi innanzitutto a far scorrere lo sguardo ritmicamente lungo
l'orizzonte, in maniera quasi inconscia. Meglio se possiamo suddividerci con due
o tre compagni l'arco dell'orizzonte, per coprire meglio il mare che ci sta di
fronte. Memori delle usanze degli antichi balenieri che mandavano una vedetta
sulla gabbia di maestra per avvistare la preda, mettiamoci più in alto possibile
sulla barca: l'orizzonte si allarga, e vediamo meglio il mare vicino
all'imbarcazione. Nella difficile arte di trovare i Cetacei, inoltre, è di
grande aiuto avere ben presente nella mente una serie di "immagini di ricerca":
in altre parole, conoscere a priori le forme degli oggetti che ci aspettiamo di
avvistare, e confrontare di continuo, in maniera semi conscia, quello che
vorremmo vedere con quello che stiamo effettivamente vedendo: un soffio
all'orizzonte più scuro del cielo sullo sfondo, un dorso nero, una pinna, una
coda a ventaglio, uno spruzzo di spuma bianca. Con un po' di esperienza
impareremo anche a distinguere il movimento degli oggetti galleggianti – piccole
boe di segnalazione e oggetti alla deriva – che appaiono e scompaiono rimanendo
sempre nello stesso punto e senza cambiare forma, con il movimento di un delfino,
il cui dorso buca la superficie dotato di velocità propria e poi scompare
rimpicciolendosi, per poi riapparire in un luogo chiaramente spostato dal precedente.
Spesso i Cetacei si avvistano da lontano perché stanno "lavorando" in superficie un
branco di pesci, nel qual caso molto probabilmente ci saranno stormi di uccelli di
mare (berte, sterne o gabbiani) che volteggiano schiamazzando. In questa prima fase
di ricerca è meglio non usare il binocolo perché a occhio nudo si copre un angolo
maggiore. Il binocolo, invece, che terremo comunque a portata di mano magari
appeso al collo, ci serve appena abbiamo messo l'occhio su qualcosa di interessante,
che vogliamo vedere meglio. In mare, soprattutto su una barca piccola, è meglio non
dotarsi di un binocolo troppo potente, perché l'immagine diviene troppo instabile.
L'ideale è un binocolo con 7 o al massimo 8 ingrandimenti, e con un giusto
compromesso tra luminosità e peso.
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