Autore Christiane Nüsslein-Volhard
Titolo L'incanto degli animali
SottotitoloBellezza ed evoluzione
Edizioneil Saggiatore, Milano, 2020, La Cultura 1329 , pag. 120, ill., cop.fle., dim. 13,3x19x1 cm , Isbn 978-88-428-2666-8
OriginaleSchönheit der Tiere: Evolution biologischer Ästhetik
EdizioneMSB Matthes & Seitz Berlin, Berlin, 2017
TraduttoreLuisa Nera
LettoreCristina Lupo, 2020
Classe natura , evoluzione , biologia , zoologia , scienze naturali












 

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Indice


PARTE PRIMA  Evoluzione ed estetica

Evoluzione                                          13

Bellezza                                            24

Ornamenti                                           31

Estetica                                            36

Comunicazione                                       43

Riconoscimento del disegno                          50


PARTE SECONDA  L'origine dei colori e dei disegni

Colori                                              57

La pelle                                            63

La creazione del disegno                            73

Le cellule pigmentate                               80

Il pesce zebra                                      88

Evoluzione della bellezza                          100


Ringraziamenti                                     113
Bibliografia                                       115


 

 

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Il genere umano riconosce la bellezza dei colori, dei disegni e dei canti degli animali allo stesso modo in cui apprezza opere d'arte, dipinti o composizioni musicali. Gli esseri umani creano opere d'arte per i loro simili, ma che significato hanno, invece, le meravigliose creazioni della natura, gli ornamenti del corpo degli animali, i suoni che emettono e la varietà di colori e forme delle infiorescenze? Come si formano, a chi e a che cosa servono?

La biologia non utilizza la categoria della bellezza per descrivere gli organismi. Il ricercatore rigoroso evita di applicarla a forme, colori e suoni, poiché tale categoria dipende dall'osservatore ed è legata a sensazioni soggettive suscitate da qualità non misurabili degli oggetti considerati belli. E tuttavia la bellezza delle piante e degli animali, così come noi la percepiamo, svolge in natura una funzione simile a quella svolta dall'arte e dalla cultura per l'umanità.

Sin dai tempi preistorici gli esseri umani si sono ornati di piume e pellicce di cui per natura sono privi, ottenendo così una varietà di colorazioni attraverso metodi e manufatti artificiali. Gli altri animali non ne sono capaci ma in cambio, a seconda delle loro condizioni di vita, esibiscono forme e colori che - come tra gli esseri umani - vengono riconosciuti dai compagni di specie e permettono la comunicazione. Questo saggio illustrerà brevemente come si siano prodotti questi colori e disegni e quale funzione svolgano nella vita sociale degli animali. A tal fine saranno esaminati a fondo solo pochi casi esemplificativi, poiché da un lato il numero degli esempi sarebbe in potenza infinito e dall'altro le nostre conoscenze in materia non sono sempre approfondite. Colori e disegni non rappresentano una priorità per i ricercatori, poiché sembrano attributi non essenziali, al contrario di altre caratteristiche quali per esempio la struttura degli arti o il funzionamento degli organi. Colori e disegni, inoltre, compaiono abbastanza tardi nello sviluppo individuale dell'animale e le loro trasformazioni sono spesso sottratte all'osservazione diretta. Come gli insetti - i coleotteri, le mosche, le farfalle - sviluppino i propri colori ci è noto in modo un po' più preciso, ma per quanto riguarda i vertebrati, molto resta ancora senza spiegazione. Anche se nei mammiferi e negli uccelli colori e disegni si presentano in una fase più tarda dello sviluppo, la loro predisposizione avviene a livello embrionale, nel segreto del ventre materno o nell'uovo. Attualmente siamo invece bene informati sui pesci, e perciò alla fine del volume verrà illustrata in maggior dettaglio la formazione del tipico disegno a righe del pesce zebra.

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Evoluzione

Charles Darwin avanzò la tesi che, come gli esseri umani, anche gli animali valutano ornamenti e melodie in base alle loro sensazioni soggettive e alle loro esperienze cognitive. Tali valutazioni possono condurre allo sviluppo di caratteristiche attraenti che non sono vincolate a uno scopo, ma sono piuttosto scelte a piacere e sono ben distinte dalle altre caratteristiche fisiche che conferiscono vantaggi evolutivi.

Darwin è il fondatore della biologia moderna, che è moderna nel senso che spiega i tratti caratteristici di piante e animali attraverso processi naturali, senza ricorso a fattori trascendenti. Nella biologia di Darwin non c'è posto per un Creatore. La sua teoria dell'evoluzione gettò le fondamenta della nostra attuale comprensione della natura e rivoluzionò radicalmente la visione del mondo ottocentesca.

Da giovane Darwin affrontò un viaggio intorno al mondo che durò cinque anni; tenne occhi e orecchie ben aperti, esaminò rocce e montagne, osservò e raccolse piante, animali e fossili con smisurata curiosità e interesse penetrante. Molto di ciò che costituiva allora la varietà del mondo naturale è nel frattempo svanito. Tuttavia Darwin aveva un accesso molto più diretto alla natura e un contatto con essa più ravvicinato di quanto non possiamo avere oggi e la scoperta e, anche se da tempo le cose non stanno più così, la descrizione di piante o animali nuovi occupava un posto assai importante nella biologia dell'epoca.

Il fatto che non solo le formazioni geologiche si modificano nel corso del tempo, ma che vi è un'evoluzione anche in ambito biologico divenne chiaro a Darwin grazie a tre esperienze cruciali fatte durante quel viaggio. Scoprì infatti:


- la parentela tra i piccoli armadilli viventi e i giganteschi armadilli fossili dell'America Latina;

- la divisione in sottospecie geografiche della specie della Rhea americana (nandù), un uccello simile allo struzzo;

- le relazioni di parentela tra le forme peculiari delle specie animali e vegetali presenti sulle isole vulcaniche Galapagos e le specie corrispondenti che abitavano il continente sudamericano, dalle quali derivavano chiaramente.


Poco tempo dopo quel viaggio Darwin formulò l'ipotesi che la selezione naturale fosse il meccanismo attraverso il quale avviene la trasformazione delle specie; gli furono però necessarie molte altre ricerche e informazioni aggiuntive per arrivare finalmente alla pubblicazione, nel 1859, del suo capolavoro: L'origine delle specie per selezione naturale. In quel libro Darwin descriveva come il vantaggio biologico degli individui meglio adattati di altri conduca gradualmente, nel corso di milioni di anni, al cambiamento dell'organismo, all'insorgere di nuove specie e all'estinzione di altre. La teoria dell'evoluzione per mezzo della selezione naturale non è mai stata invalidata ed è anzi stata confermata pienamente dall'analisi molecolare dei geni.

Una specie è un complesso di organismi che si riconoscono tra loro e si accettano come partner sessuali dando vita a prole fertile. L'evoluzione, la capacità della specie di mutare, si produce a partire da due caratteristiche universalmente condivise dagli esseri viventi:


VARIABILITÀ: gli individui di una specie non sono mai del tutto identici e differiscono leggermente gli uni dagli altri in varie strutture fisiche, così come nei comportamenti. Queste variazioni emergono per caso e senza un obiettivo, e tuttavia sono spesso ereditabili. Vale a dire che anche alcune caratteristiche individuali possono essere trasmesse alle generazioni successive e, se si dimostrano vantaggiose, prevalgono;

SOVRABBONDANZA: essenzialmente per conservare una popolazione è sufficiente che ci siano due discendenti per coppia. Tuttavia in natura vengono generati molti più discendenti e spesso molti più di quanti non ne possano sopravvivere. Così viene compensata la perdita della prole che non riesce a raggiungere l'età fertile. Se non vi fossero queste morti prima dell'età fertile, la popolazione crescerebbe esponenzialmente, in modo proporzionale al numero degli individui che la formano. Di solito però tale crescita eccessiva non ha luogo perché la popolazione viene ridotta da condizioni ambientali avverse, come la presenza di predatori, oppure da circostanze sfavorevoli alla sopravvivenza come un clima rigido o torrido, la scarsità di cibo, la siccità.


Darwin propose la tesi che, nel vasto numero dei discendenti, sopravvivessero quelli cresciuti meglio e attrezzati a prevalere sull'ambiente circostante. La variabilità fa sì che, al mutare in qualsiasi senso delle circostanze ambientali, gli individui meglio adattati guadagnino un vantaggio di sopravvivenza. Se per esempio le temperature si abbassano, gli animali con la pelliccia più folta saranno quelli meglio attrezzati, se viceversa le temperature si alzano, saranno avvantaggiati quelli con un manto più rado. Accade così che gli individui meglio adattati abbiano maggior successo nella lotta per la sopravvivenza e che alla fine si impongano all'interno della popolazione avendo una progenie più numerosa. Poiché i mutamenti adattativi sono ereditabili, la costituzione media di una popolazione di individui, cioè di una specie, muterà necessariamente nel corso delle generazioni. Questo principio fu chiamato da Darwin «selezione naturale».

In un volume successivo, Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, pubblicato nel 1868, Darwin spiegò il principio della selezione degli animali domestici e delle piante coltivate. Il gusto soggettivo dell'allevatore o dell'orticoltore ha un ruolo decisivo nella selezione di piante e animali. È sorprendente la rapidità con cui, una volta scelti in base a criteri rigorosi gli esemplari destinati alla riproduzione, tale selezione possa produrre particolari varianti di razze canine o varietà di rose dotate di qualità molto diverse che corrispondono all'ideale di bellezza dell'allevatore. Gli individui selezionati con queste pratiche sono molto particolari e riescono a sopravvivere solo in un ambiente protetto: animali domestici, fiori da giardino e piante da appartamento avrebbero ben poche speranze di successo in un ambiente selvatico.

Con la sua teoria dell'evoluzione Darwin spiegò in modo plausibile innumerevoli fenomeni biologici fino a quel momento di difficile comprensione. Dimostrò anche che la parentela genetica delle specie basata su antenati comuni chiarisce senza difficoltà il «sistema della natura» di Carlo Linneo (Systema Naturae, 1735). Tale sistema cercava di ordinare le specie animali e vegetali in classi e gruppi in base a criteri morfologici. A quel tempo gli scienziati di solito ascrivevano le somiglianze tra le specie e il sistema della natura al piano di un Creatore. La teoria di Darwin, invece, riconduceva le somiglianze all'esistenza di antenati comuni: «Ogni vera classificazione è genealogica [...] il legame nascosto, che i naturalisti sono andati inconsciamente cercando [è] la comune discendenza, e non già qualche ignoto piano di creazione». La celebre, unica illustrazione inclusa nell' Origine delle specie raffigura proprio questo concetto: si tratta di un albero genealogico che in realtà somiglia più a un cespuglio con molti rami laterali. Le cime più alte dei rami raffigurano le specie ancora viventi, raggruppate per affinità, mentre le diramazioni laterali che si interrompono rappresentano le specie che si sono estinte e costituiscono più del 99% del totale. I punti di biforcazione rappresentano le specie intermedie, anche quelle non più esistenti. Se tutte le specie che si sono succedute fino a oggi venissero riportate in vita, si ripresenterebbero anche le forme intermedie estinte e questo consentirebbe una classificazione univoca basata su una comune origine e sulle sue modificazioni. Le specie possono continuare a esistere quasi immutate per lunghi periodi della storia geologica: ne sono esempio animali quali i celacanti, gli storioni, i Limulidi, ma anche piante quali le felci e le Araucarie. Tuttavia nel corso della storia geologica le specie possono anche andare incontro a trasformazioni profonde e nuove specie possono fare la loro comparsa per divisione, per esempio in seguito a una separazione geografica, come i famosi fringuelli delle Galapagos, già descritti anche da Darwin, o i Ciclidi dei grandi laghi africani.

Gli antenati delle specie oggi viventi non sono quindi specie diverse esistenti ancora oggi, ma piuttosto antenati comuni, ormai estinti. L'uomo per esempio non deriva dallo scimpanzé, ma condivide antenati comuni con questa specie. Tutti gli organismi oggi viventi sono discendenti di forme che si sono affermate nel corso dell'evoluzione. Gli animali (Metazoi) derivano da una forma originaria dalla quale, nel corso della storia della Terra, si sono separati i grandi rami del regno animale. Ai tempi di Darwin, e molto a lungo anche dopo di lui, si è continuato a discutere se e in che misura lo stile di vita di un organismo possa produrre modificazioni ereditarie mirate, e se anche le esperienze e le conoscenze siano passibili di essere consegnate durevolmente alle generazioni successive, contribuendo quindi alla modificazione delle specie. Darwin però postulava, a ragione, che le variazioni fossero casuali, arbitrarie e senza scopo, anche se la causa delle variazioni, la logica e i fondamenti molecolari dell'ereditarietà erano a quel tempo ancora del tutto ignoti. Gregor Mendel arrivò a formulare le sue celebri leggi dell'ereditarietà studiando le caratteristiche distintive di alcune piante (piselli) e le rese pubbliche nel 1866, tuttavia esse passarono inosservate per oltre trent'anni e ci vollero alla fine ancora più di due decenni perché venissero collegate alla teoria dell'evoluzione di Darwin. I cromosomi erano noti, ma solo all'inizio del XX secolo la teoria cromosomica dell'ereditarietà fu dimostrata da Theodor Boveri e le leggi di Mendel in seguito furono applicate agli animali nei lavori di Thomas Hunt Morgan. Oggi sappiamo che la struttura dei geni, l'acido desossiribonucleico (DNA), rappresenta una crittografia, un codice delle caratteristiche del vivente. Le variazioni genetiche, o mutazioni, sono basate su cambiamenti del DNA causati dagli inevitabili errori di decodifica che avvengono nel corso della replicazione del DNA, durante la divisione cellulare, e che possono avere ripercussioni sul funzionamento dei geni. La maggior parte delle mutazioni o non hanno effetto sull'organismo o ne hanno uno minimo, sono cioè neutre.

Alcune mutazioni sono dannose e determinano una minore capacità di sopravvivenza dell'individuo. In rari casi, tuttavia, le mutazioni si rivelano vantaggiose in determinate condizioni ambientali. Le variazioni ottenute grazie alla selezione artificiale, per esempio rose dal fiore più pieno, le zampe corte dei bassotti o il pelo bianco dei conigli albini, risalgono perlopiù a mutazioni che causano il decadimento funzionale di un gene, mentre i cambiamenti implicati nell'evoluzione delle specie, e che risultano per esempio in un pelo più lungo o più corto, più chiaro o più scuro, sono dovuti ad alterazioni minori della funzione di un certo gene. Le specie evolvono quindi nel corso di numerose generazioni attraverso molte piccole mutazioni genetiche. Al giorno d'oggi non sussiste più alcun ragionevole dubbio circa la correttezza della teoria dell'evoluzione di Darwin.

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Le cellule pigmentate

Ci sono quindi due meccanismi distinti per realizzare la colorazione degli animali: o un certo tipo di cellule pigmentate è già presente nella pelle oppure altre particolari cellule pigmentate sopraggiungono in essa e vi si distribuiscono. Come abbiamo visto il primo è il caso degli artropodi, per esempio gli insetti, che producono i colori nelle cellule cutanee e li cedono alla cuticola extracellulare. Nel secondo caso, quello dei vertebrati, le cellule pigmentate si distribuiscono nell'ipoderma al di sopra della muscolatura. Nei vertebrati a sangue freddo, come pesci, anfibi e rettili, tali cellule producono una varietà di colori e forme; gli uccelli e i mammiferi, invece, posseggono solo un tipo di cellula, gli scuri melanociti, che rilasciano il loro pigmento a peli e penne.

Nei pesci, negli anfibi e nei rettili, vi sono varie cellule pigmentate dai colori diversi - i melanofori, gli xantofori, gli eritrofori e gli iridofori - distribuiti in strati sovrapposti; nello strato più basso si trovano i neri melanofori sopra i quali si dispongono gli iridofori che riflettono o diffondono la luce, ai quali si sovrappongono gli xantofori dalle tonalità gialle o aranciate e gli eritrofori di colore rosso. Gli strati superiori gialli o rossi assorbono la luce azzurra mentre quelli inferiori dei melanofori assorbono tutto lo spettro. La riflessione dei raggi da parte degli iridofori collocati in posizione mediana produce tonalità argentate, verdi e azzurre. Queste cellule si dispongono in un ordine meravigliosamente raffinato: il loro sovrapporli nelle diverse formazioni genera una molteplicità di colori differenti. I disegni risultano dalle variazioni in questi tre strati, a loro volta dovute alle diverse possibili forme, disposizioni e colorazioni di queste cellule. In linea di principio quindi i disegni si formano come mosaici costituiti da singole cellule in cui gli strati superiori lasciano intravedere le cellule sottostanti.

I gialli xantofori e i neri melanofori sono cellule molto ramificate e dotate di numerosi allungamenti grazie ai quali si collegano tra loro, mentre gli iridofori sono ordinati in strati piuttosto compatti, a volte densi al punto da riflettere completamente la luce e quindi creare una colorazione argentata o bianca. I pigmenti sono presenti in queste cellule all'interno di organelli specializzati. Negli iridofori gli organelli, dei quali le cellule sono quasi interamente composte, contengono strutture cristalline. Gli organelli di colore nero dei melanofori possono muoversi all'interno della cellula, mutando così l'intensità della sua colorazione. Questo fenomeno produce un cambiamento di colore. Quando nei melanofori tali organelli, detti melanosomi, si radunano al centro della cellula, il tessuto cellulare appare chiaro, quando invece si distribuiscono ai margini della cellula, esso appare scuro. Tale moto determina il cambiamento di colore nel camaleonte e in molte rane e pesci che mutano la propria colorazione a seconda dell'umore o per confondersi con il colore dello sfondo. In quest'ultimo caso l'ambiente visivo viene percepito e imitato, un processo misterioso, perché non si tratta solo di distinguere tra chiaro e scuro, ma di uniformarsi a un disegno e alla granularità dello sfondo. I pesci ciechi sono sempre scuri, quelli malati o addormentati sono chiari.

Il cambiamento di colore caratterizza anche alcuni molluschi come il polpo e la seppia. In questi casi le cellule sono piccole sacche a forma di lente colme di pigmento, collegate esternamente a muscoli disposti radialmente che, contraendosi, distendono il contenuto colorato delle cellule facendo scurire la pelle. Questi cambiamenti di colore, utili sia per mimetizzarsi che per intimidire, sono determinati da impulsi nervosi e possono prodursi istantaneamente.

Durante il periodo riproduttivo i pesci spesso diventano di un giallo o di un rosso brillante, il che indica che anche gli xantofori e gli eritrofori possono causare un cambiamento di colore, fenomeno ancora poco studiato. Anche in questo contesto il cambiamento di colore può avvenire in un istante. Negli uccelli e nei mammiferi il fenomeno del cambiamento di colore non avviene, poiché i colori sono contenuti in una struttura priva di vita, come il manto o le penne. Questi animali possono però presentare i colori del manto o del piumaggio in modi molto diversi a seconda dell'umore, tenendoli aderenti al corpo, ripiegati, rizzati o distesi.

Diversamente da quanto accade per esempio negli insetti, nei vertebrati le cellule pigmentate non si originano nella pelle, cioè non vi sono presenti fin dall'inizio, ma la raggiungono in seguito, durante lo sviluppo dell'animale. Da dove arrivano? Nei vertebrati le cellule pigmentate derivano dalla cresta neurale, struttura che è un'innovazione sopraggiunta all'incirca 500 milioni di anni fa nel corso dell'evoluzione dei cordati. La cresta neurale è formata da un gruppo di cellule che nell'embrione si dispongono nella zona dorsale, lungo il tubo neurale. Queste cellule hanno due caratteristiche che le distinguono dalle altre:


- sono multipotenti e cioè possono differenziarsi in svariati tipi di cellule;

- si spostano nel corpo a grande distanza dal luogo in cui si sono generate rifornendo di cellule specializzate gli organi più svariati.


Il contributo della cresta neurale al corpo dei vertebrati è stato studiato soprattutto dall'embriologa francese Nicole Le Douarin. Dopo aver scoperto che le cellule delle quaglie si distinguono da quelle dei polli per una particolare struttura del nucleo, con trapianti di creste neurali ottenne da embrioni di entrambe le specie delle chimere che le consentirono di individuare quali strutture venissero create dalle cellule della cresta neurale. Le cellule della cresta neurale contribuiscono soprattutto alla formazione delle strutture del capo, ovvero le ossa del cranio e della mascella, i denti, le corna, il becco e le branchie. È così che i cordati privi di testa, dotati in origine di una struttura molto semplice, trovarono nuovi modi per assumere cibo e catturare prede. Sempre dalle cellule della cresta neurale si origina il sistema nervoso periferico, che innerva gli organi e la pelle collegandoli al sistema nervoso centrale formato dal cervello e dal midollo spinale. Anche tutte le cellule pigmentate della pelle dei vertebrati in sostanza derivano dalla cresta neurale, che quindi ha avuto un ruolo importante nell'evoluzione che ha portato i vertebrati a diventare animali grandi e colorati.

Nelle prime fasi dello sviluppo embrionale dei mammiferi e degli uccelli, i precursori delle cellule pigmentate originate dalla cresta neurale migrano al di sotto della pelle dalla zona dorsale del corpo verso quella ventrale. I follicoli dei peli e delle penne vengono così forniti di cellule pigmentate che rilasciano il colorante scuro o rosso alla cheratina delle strutture in formazione. Negli animali domestici come cavalli, mucche, maiali, cani e gatti sono note varianti di colorazione determinate geneticamente nelle quali la migrazione delle cellule pigmentate o non avviene o avviene solo in misura limitata. Gli animali possono allora essere del tutto privi di melanociti, quindi interamente bianchi, oppure mostrare pezzature o macchie bianche che compaiono di preferenza in zone alle estremità del corpo come i piedi, la testa o la punta della coda. Sono stati identificati molti geni la cui mutazione provoca tali schiarimenti locali derivanti da una migrazione incompleta delle cellule della cresta neurale. Anche negli esseri umani sono note varianti di questo genere.

I fondamenti genetici della colorazione nei mammiferi vengono studiati soprattutto sul topo da laboratorio. In questo animale sono stati finora individuati un centinaio di geni che influenzano il colore del manto, della pelle e degli occhi. Molti tra tali geni, però, hanno funzioni complesse che riguardano anche altri aspetti vitali, cosa che ne ha reso più difficile lo studio. Anche i processi di migrazione delle cellule della cresta neurale sono difficili da seguire negli animali vertebrati tradizionalmente utilizzati nella ricerca embriologica, cioè i polli o i topi, poiché l'embrione si sviluppa nell'uovo o nel corpo materno ed è quindi sottratto all'osservazione diretta. Per questo motivo fino a non molto tempo fa si sapeva ancora poco di come le cellule pigmentate derivanti dalla cresta neurale arrivassero alla pelle contribuendo alla colorazione e alla formazione dei disegni che ornano molti animali.

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Il pesce zebra

Negli ultimi trent'anni il Danio rerio (pesce zebra) si è rivelato essere un modello ideale per la sperimentazione in molti campi della ricerca biologica e medica. È un piccolo pesce gregario che vive nei caldi bacini d'acqua dolce dell'Asia ed è da tempo molto apprezzato per gli acquari. I pesci zebra depongono uova piuttosto grosse, che all'inizio sono del tutto trasparenti e quindi consentono di seguire direttamente le prime fasi dello sviluppo dell'embrione vivo fino alla sua trasformazione in larva di pesce capace di nuotare. Questa caratteristica rende il pesce zebra un oggetto di studio particolarmente adatto (ancor più dei polli e dei topi) in molti ambiti della ricerca sulle prime fasi dello sviluppo dei vertebrati. È inoltre un animale relativamente facile da manipolare geneticamente e le sue varianti mutate per la perdita o modifica della funzione di un gene vengono utilizzate per identificare le molecole implicate in processi specifici nel corso dello sviluppo dell'organismo.

Per quel che riguarda il nostro tema, il pesce zebra interessa per il suo bel disegno vivace caratterizzato da righe orizzontali blu e dorate. Le righe sono presenti in entrambi i generi e sono chiaramente funzionali al riconoscimento intraspecifico e alla formazione dei banchi. Il disegno del pesce zebra è tipicamente formato dai tre tipi di cellule dell'ipoderma: i melanofori più all'interno, gli xantofori più in superficie e in mezzo gli iridofori. I melanofori sono presenti solo nelle righe scure. Gli xantofori e gli iridofori sono diffusi, in forme diverse, sia nelle righe chiare che in quelle scure. Nelle righe scure gli iridofori formano una rete rada al di sopra dei melanofori, dando così origine al colore blu iridescente. Gli xantofori a forma stellata, con i loro estesi prolungamenti, si dispongono al di sopra della rada rete di iridofori. Nelle righe chiare un fitto strato di iridofori è ricoperto di xantofori a stella dai prolungamenti più corti che sono intensamente colorati. Il vivo contrasto nella colorazione delle righe è prodotto da una sovrapposizione molto precisa di questi cromatofori. La tonalità argentata iridescente viene inoltre rafforzata dai numerosi iridofori distribuiti sulle zone visibili delle scaglie. Il pesce zebra ha righe anche sulle pinne anali e caudali, quelle pettorali sono invece prive di colore; nelle altre pinne, come pure nelle scaglie e sul dorso, i cromatofori si mescolano tra loro. Le larve semitrasparenti che escono dall'uovo pochi giorni dopo la fecondazione hanno una colorazione modesta e un disegno che dapprincipio consta solo di sottili righe di cromatofori disposti lungo il dorso, i fianchi e il ventre. Sul dorso le larve sono di una delicata tonalità giallastra. Nel pesce zebra è possibile osservare la migrazione delle cellule nell'animale vivente e filmarla in timelapse, marcando le cellule interessate con un colorante per renderle visibili.

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