Autore Joyce Carol Oates
Titolo Il collezionista di bambole
SottotitoloRacconti neri
Edizioneil Saggiatore, Milano, 2018, La Cultura 1166 , pag. 272, cop.rig.sov., dim. 15,5x21,5x2 cm , Isbn 978-88-428-2468-8
OriginaleThe Doll-Master [2016]
TraduttoreStefania Perosin
LettoreGiovanna Bacci, 2018
Classe narrativa statunitense , noir












 

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Indice


Il collezionista di bambole                    9

Soldato                                       37

Incidente con arma da fuoco. Un'indagine      71

Equatoriale                                  127

Grande Madre                                 193

Mystery, Inc.                                227


 

 

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Pagina 9

Il collezionista di bambole




                                                                per Ellen Datlow



«Puoi tenerla in braccio. Ma non farla cadere.»

La mia cuginetta Amy scandì le parole con solennità. E solennemente mi porse la sua amata bambola.

Era una bambola, vestita da bambola, con un piccolo top con gli anatroccoli rosa e un paio di stivaletti rosa ai suoi minuscoli piedini di bambola. E un pannolino bianco, appuntato con una spilla da balia argentata.

Una soffice bambola paffuta con il volto placido di un bebè, morbidi ditini flessibili e braccia e gambette paffute che, fino a un certo punto, si potevano anche piegare.

I suoi capelli da bebè erano sottili e biondi e ricci, e gli occhi da bebè erano di marmo celeste, e si aprivano e si chiudevano se la inclinavi avanti e indietro. Una specie di brivido d'apprensione ti attraversa sempre quando guardi un neonato da vicino, perché temi che possa farsi male, e io provai proprio questa sensazione nei confronti di Baby Emily, anche se sapevo che si trattava soltanto di una bambola...

Mia cugina Amy aveva tre anni, ciò significa che era più piccola di me di undici mesi. Così ci avevano detto. Un compleanno è un evento importante in famiglia, a detta dei nostri genitori.

Amy era la figlia della sorella più piccola di mia madre, cioè di mia zia Jill. Mamma mi aveva spiegato che Amy era mia cugina.

Ero un po' geloso, qualche volta. Amy si esprimeva meglio di me e agli adulti piaceva parlare con lei, meravigliandosi delle sue «abilità linguistiche». Questo mi faceva stare male, perché nessuno si meravigliava delle mie.

Arny era una bambina piccola, più bassa di me. Più piccola di me in tutto e per tutto.

Era strano - ma gli amici delle nostre madri lo trovavano «tenero» - vedere una bimba piccola come Amy occuparsi di una bambola in quel modo. Preoccupandosi e affannandosi proprio come sua madre faceva con lei.

Addirittura fingendo di «dar da mangiare» a Baby Emily con un minuscolo biberon pieno di latte. E di «cambiare» a Baby Emily il pannolino.

Tra le gambette paffute, Baby Emily era sempre liscia e pulita. Non c'era verso che Baby Emily sporcasse il pannolino.

Non ricordavo di aver mai sporcato il mio, di pannolino. Non riesco a ricordarmelo nemmeno ora. Mi sono addirittura convinto di non aver mai usato pannolini, ma con ogni probabilità è sbagliato e irrazionale. Perché ero un neonato (maschio) come tutti gli altri. Se nei miei pigiamini, di notte specialmente, ci sono stati «incidenti» - così li chiamava mia madre -, io proprio non me lo ricordo.

Non ricordo nemmeno di essere mai stato allattato. Penso di aver sempre bevuto il latte dal biberon.

Ma è passato tanto tempo. È normale non ricordare.

Puoi tenerla in braccio. Ma non farla cadere. Furono queste le parole di Amy e io me le ricordo. Contenevano l'eco familiare di quelle di una madre adulta.


***



Fu una terribile sorpresa in famiglia quando Amy passò a miglior vita. All'inizio dissero che Amy «andava in clinica a fare degli esami». Poi dissero che Amy «rimaneva in ospedale per qualche giorno». Poi dissero che Amy «non sarebbe tornata a casa».

In tutto questo tempo non mi portarono all'ospedale a trovare Amy. Mi dissero che mia cugina sarebbe tornata a casa presto: «Potrai vederla dopo, tesoro. Prima di quanto credi».

E: «Tua cugina è molto stanca ora. Tua cugina ha bisogno di dormire e riposare, per tornare a essere forte come prima».

In seguito, ho saputo che mia cugina aveva una rara malattia del sangue. Una specie di leucemia, fulminante per i bambini.

Quando dissero che mia cugina non sarebbe tornata a casa, io non dissi nulla. Non feci domande. Non piansi. Rimasi impassibile quando per caso sentii mia zia che lo diceva a mia madre. Mi chiesi se restare impassibile fosse una cosa buona o cattiva. Almeno ti lasciano in pace.

Se piangi cercano di consolarti. Ma se rimani impassibile ti lasciano in pace.

Fu allora che rubai Baby Emily dalla stanza di Amy. Andavamo spesso a casa di mia zia, e mentre mia madre e mia zia stavano piangendo insieme io andai in camera di Amy e presi Baby Emily dal letto di mia cugina, dove la bambola stava insieme ad altre bambole meno interessanti e ad altri peluche che sembravano buttati lì da qualcuno che non aveva nemmeno rifatto il letto come si deve.

Ero sicuro che i miei genitori non sapessero di Baby Emily, del fatto che l'avessi rubata e portata a casa con me, nascondendola sotto la giacca. Ma qualche tempo dopo capii che probabilmente lo sapevano, così come lo sapeva mia zia. Semplicemente non mi dissero niente. Non mi punirono.

Per molto tempo si parlò soltanto di Amy. Se entravo in una stanza mentre un gruppo di persone stavano chiacchierando, subito s'interrompevano. Gioiosi volti di adulti si giravano verso di me: «Ciao, Robbie!».

Ero troppo piccolo per pensare al fatto che una rara malattia del sangue avrebbe potuto essere «genetica», cioè trasportata dal sangue di generazione in generazione.

Qualche anno dopo cercai la parola leucemia su internet. Eppure, la questione non mi fu del tutto chiara.

Quando ero solo con Baby Emily piangevamo, perché ci mancava Amy. Non perché Amy era morta, ma perché se n'era andata.

Però avevo la bambola di Amy. Stringevo Baby Emily nel letto e questo mi faceva stare meglio, almeno un po'.

Quando avevo cinque anni, mentre ero all'asilo, Baby Emily sparì dalla mia stanza.

Ero così sconvolto! Cercai sotto il letto e nell'armadio e in tutti i cassetti, e poi in ognuno di questi posti di nuovo, e sotto le coperte e ai piedi del letto, ma Baby Emily era sparita.

Corsi da mia madre piangendo. Le chiesi dove fosse finita, dato che a quel punto la bambola di mia cugina non era più un segreto. Mia madre mi disse che mio padre «non pensava fosse una buona idea» giocare con le bambole alla mia età. Le bambole sono per le femmine, disse. Non per i maschi. «Papà ha pensato fosse meglio portartela via, prima che ti "affezionassi" troppo.» Parlò con aria colpevole, e anche se c'era una nota di tenerezza nella sua voce, niente le avrebbe fatto cambiare idea, non le importava quanto piangessi né quanto fossi arrabbiato, né dei calci e delle spinte. Mia madre non cambiò idea, perché mio padre non lo avrebbe accettato. «Dice che è stato fin troppo paziente con te e che è tutta colpa mia.»

Al posto di Baby Ernily, tanto dolce e placida e profumata di gommapiuma, mio padre aveva imposto a mia madre di comprarmi un «gioco d'azione» - uno degli ultimi e più costosi modelli - un robot-soldato delle forze speciali della Marina degli Stati Uniti, armato fino ai denti, che si poteva muovere in lungo e in largo per la stanza, alimentato da una batteria.

Non li perdonerò mai, pensai. Ma, soprattutto, non avrei mai potuto perdonare lui.


La prima delle bambole ritrovate fu Mariska.

«Prendila. Ma non farla cadere.»

Il mio Amico parlò a bassa voce, in tutta fretta. Guardandosi intorno per controllare se qualcuno ci stesse osservando. Spesso andavo e tornavo da scuola a piedi evitando l'autobus, dove c'erano dei ragazzini più grandi di me che mi prendevano in giro. Casa dei miei si trovava in cima a Prospect Hill, sovrastava la città e si affacciava sul fiume spesso avvolto nella nebbia. La scuola media distava circa un chilometro e mezzo da casa e si raggiungeva scendendo giù per la collina, percorrendo una strada che sapevo a memoria. Spesso prendevo delle scorciatoie attraverso vialetti e giardini tra i quali mi muovevo rapidamente, furtivo come una creatura selvatica. Il nome di questa strada era Catamount Street e dietro si snodava uno stretto viottolo che procedeva in parallelo, una volta superati un recinto di legno mezzo marcio, qualche bidone della spazzatura e cumuli di rifiuti.

Il mio Amico mi disse: Se eviti il contatto visivo loro non ti vedono.

Nessuno mi ha mai visto. Questo perché mi muovevo veloce e furtivo. E se mi vedevano da lontano, vedevano solo un ragazzo anzi un ragazzino - con il volto sfocato.

Il mio Amico era molto alto. Più alto di mio padre. Non avevo mai guardato il mio Amico in faccia (perché lui me lo proibiva), ma avevo la netta sensazione che il mio Amico avesse l'aspetto appuntito e scaltro di una volpe e fosse agile proprio come una volpe, e per star dietro al mio Amico, che era piuttosto impaziente, ero costretto praticamente a correre.

«Prendila! Nessuno ti sta guardando.»

Mariska era una bellissima bambola di porcellana molto diversa da Baby Emily. Mariska aveva la pelle di porcellana color burro e sulle sue gote c'erano due ombre vermiglie di fard. Indossava gli abiti tradizionali di una contadinella dell'Est Europa: camicetta bianca, gonna a ruota e grembiule, calzettoni bianchi di cotone e stivali. I lunghi capelli biondi erano raccolti in due trecce e aveva una boccuccia di rosa e occhi azzurri con fitte ciglia bionde. Era strano toccare la pelle di Mariska, che era una pelle di porcellana dura e compatta tranne dove si era crepata e rotta.

Le braccia di Mariska erano spalancate in un gesto di stupore, come se si stesse chiedendo perché una bella bambola bionda così ben vestita, con le sue trecce e gli occhi azzurri, fosse caduta dalla ringhiera di una veranda per finire nel fango - i capelli sporchi, la gonnellina sporca e strappata e i calzettoni bianchi sudici. Le gambe erano scomposte in una strana angolazione, sembrava che la sinistra si fosse attorcigliata all'altezza dell'anca.

Camminando con il mio Amico lungo il viottolo dietro Catamount Street, tra gli assi marcescenti di una recinzione, vedemmo Mariska.

Il mio Amico mi strinse la mano fino a farmi male.

È il nostro premio! È quello che aspettavamo. Muoviti! Prendila! Nessuno può vederti.

Era un pomeriggio buio minacciato dal temporale. Tremavo di freddo e di eccitazione. Perché il mio Amico mi aveva raggiunto da dietro, senza preavviso. Spesso non vedevo il mio Amico per giorni, anche per una settimana. Poi il mio Amico arrivava. Ma io non potevo guardarlo in faccia.

Non so dire con certezza quando il mio Amico arrivò nella mia vita per la prima volta. Di sicuro prima di Mariska, che arrivò quando ero in terza media.

Casa di Mariska era una di quelle brutte case in fondo alla collina. Non ci viveva una sola famiglia, ma tante. Perché era in affitto, diceva mia madre.

Alcune persone vivevano ai piedi della collina, diceva mia madre. Erano persone che non vivevano in cima alla collina come noi.

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Soldato


Mi hanno consigliato: Non leggere le lettere.

Mi hanno avvertito: Leggere le lettere potrebbe essere un errore fatale.

Eppure io non sono un codardo. Mi offende che qualcuno possa pensare che io sia un codardo e voglia proteggermi dalla posta indirizzata a Brandon Schrank.

Perciò la posta si accumula. Il mio «team legale» (così si chiama) non ha ancora deciso che farsene della valanga di lettere che mi hanno scritto. Mi piacerebbe leggerne qualcuna, credo. Perché ho bisogno di amici. E i nemici non mi fanno paura.


Zio T. mi ha detto: Sei un eroe per la tua razza. Qualcuno vorrà trasformarti in martire ma si fotta.


La maggior parte delle lettere sono indirizzate a Brendan Schrank c/o Tribunale della Contea di Glassboro. Ovviamente Schrank è scritto in tutti i modi possibili e anche Brendan almeno la metà delle volte diventa Branden o Brennen.

Ci sono anche molte email (così dicono), ma non arrivano a me perché non ho più un account di posta elettronica. Non ho più neanche una pagina Facebook. Quando sei in custodia cautelare non puoi usare il computer, non puoi nemmeno avvicinarti al tuo portatile. Questa censura è cominciata all'inizio di aprile, quando mi hanno arrestato la prima volta. Quando sono stato rilasciato su cauzione, l'avvocato che mi è stato assegnato d'ufficio mi ha detto di stare lontano dai «social media», almeno per un po'.

«Non sarà così per sempre, Brandon. Ma al momento è la cosa più saggia da fare.»

E mi ha detto: «Ci sono molte persone malate là fuori, Brandon. Dobbiamo prenderne le distanze».


All'inizio, prima del processo, era arrivata soltanto qualche sporadica lettera indirizzata a Brandon Schrank che l'avvocato non mi aveva mostrato. Durante le settimane del processo le lettere erano aumentate di giorno in giorno, perché la tv e i media online avevano richiamato l'attenzione nazionale sul caso di un uomo, senza precedenti penali in età adulta, che aveva sparato e ucciso per autodifesa; così alla fine del processo, secondo la stima del mio avvocato, erano arrivate sotto la sua custodia almeno un migliaio di lettere, che erano state trasportate dentro ad alcuni scatoloni dal tribunale in un «posto sicuro» in campagna, in modo che i suoi assistenti dell'ufficio della Pubblica Difesa potessero smistarle.

Il processo era stato annullato, perché dopo ventidue giorni di testimonianze e tre di delibera per la giuria, il presidente della giuria aveva comunicato al giudice che si era ormai giunti a un «punto morto». E così, Brendon Schrank era stato rilasciato. Un gran sollievo ma anche un supplizio, perché l'accusa aveva dichiarato che ci sarebbe stato un secondo processo, e che di nuovo sarei stato costretto a stare nel carcere maschile della Contea di Glassboro per tutta la sua durata, sopportando ancora l'umiliazione di essere considerato un rabbioso assassino razzista.

In Prigione, prima del processo, ero stato rinchiuso in un reparto dove c'erano solo uomini come me (bianchi), per via dell'odio razziale che mi era stato scatenato contro. Non avevo avuto un compagno di cella. E non mi erano state assegnate guardie nere né ispaniche, per paura che potessero molestarmi e farmi del male.

Il mio difensore d'ufficio aveva insistito su questo punto, dato che mi erano arrivate molte minacce di morte. (E anche a lei, dato che aveva accettato di difendermi.) Non ero contento del fatto che l'avvocato avesse insistito anche per mettere Brendon Schrank sotto sorveglianza, adottando misure anti-suicidio, perché questo significava che la luce non poteva mai essere spenta, ma abbassarsi soltanto, e che non solo una guardia doveva controllarmi ogni dieci minuti dallo spioncino della porta, ma avevo anche un monitor perennemente puntato su di me.

Avevo provato a protestare, perché non volevo che le radiazioni indebolissero le mie ossa! Non volevo che questo monitor, che non si poteva spegnere e dal quale non potevo nascondermi, attivasse cellule tumorali nel mio sangue.


Caro Branden Schwank,

ei un essere spregevole. La cosa più disgustosa è stato il modo in cui te ne sei stato li in tribunale con le mani giunte in «prechiera» in modo che la giuria ti vedesse & pensasse che sei Cristiano & non lo spregevole assassino di un indifeso ragazzo Nero.

Che Dio abbia pietà della tua anima malvagia, di certo non vivrai a lungo.


Avevo allontanato in fretta la lettera, che pareva scritta da un ragazzino arrabbiato, con la sua penna a sfera. Mi ero sentito avvampare e avevo un ronzio nelle orecchie.

Questa lettera mi era arrivata all'inizio di maggio, prima del processo, prima che il «team legale» decidesse di non mostrarmi più niente.


È stata autodifesa, erano in cinque. Temevo per la mia vita.

Quante volte l'ho giurato. Quante volte ho fatto questa dichiarazione. Subito, ai poliziotti sulla scena del delitto e poi di nuovo alla stazione di polizia, e di nuovo al mio avvocato difensore e ai funzionari in tribunale e molte altre volte da allora, tanto che di notte, nel sonno, mormoro ancora: È stata autodifesa, erano in cinque. Temevo per la mia vita.

Non erano ragazzini né uomini - una via di mezzo -, eppure erano più alti di me, si esprimevano in modo volgare e avevano il volto contratto in una smorfia di disprezzo nei miei confronti - nei confronti della mia pelle bianca.

Frocio bianco, frocio bianco del cazzo.

Vuoi vedere che cosa ti combiniamo, frocio bianco del cazzo? Ti faremo strillare come un maiale.

Ovviamente sono scappati quando ho sparato il primo colpo - sono scappati tutti tranne quello che stava sopra di me e mi stava aggredendo. Per lui ormai era troppo tardi.

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Mystery, Inc.


Sono felice! Alla fine, dopo molte false partenze, ho scelto l'ambientazione giusta per il mio bibliomystery.

La Mystery, Inc. è una libreria antica e bellissima che si trova a Seabrook, nel New Hampshire, una cittadina con una popolazione residente annuale di meno di duemila abitanti che si affaccia sull'oceano Atlantico, a sud di New Castle.

Per chi ancora non avesse visitato questa leggendaria libreria, un gioiello del New England, si trova su High Street, sul porto, in un quartiere storico di Seabrook dove sorgono brownstone ristrutturati, costruiti nel 1888. Qui ci sono gli studi di un architetto, di un avvocato e di un dentista; ci sono botteghe e boutique - di articoli in pelle e gioielli d'argento fatti a mano, e i negozi di Tartan Shop, Ralph Lauren ed Esquire Bootery. Al numero 19 di High Street c'è una vecchia insegna consunta, nera e dorata, che cigola al vento sopra al marciapiede:

LIBRERIA MYSTERY, INC.
Libri antichi e nuovi, mappe, mappamondi e oggetti d'arte
dal 1921

La porta d'ingresso, laccata di rosso scuro, non si trova al livello della strada, ma diversi gradini più in alto; ci sono un'ampia scalinata di pietra e un parapetto nero in ferro battuto. Per questo motivo, se si vuol dare un'occhiata alle vetrine dal marciapiede, si è costretti a guardare all'insù.

La Mystery, Inc. si sviluppa su quattro livelli, con un bovindo per piano, scenograficamente illuminati quando la libreria è aperta di sera. Al primo piano, i libri sono esposti sul bovindo (evidentemente) per dare un certo risalto ai titoli di copertina: si tratta di edizioni in pelle dei grandi classici del diciannovesimo secolo come La pietra di luna e La donna in bianco di Wilkie Collins o Casa desolata e Il mistero di Edwin Drood di Charles Dickens e Le avventure di Sherlock Holmes di A. Conan Doyle, di fondamentali romanzi gialli del diciannovesimo secolo di Raymond Chandler, Dashiell Hammett, Cornell Woolrich, Ross Macdonald e Patricia Highsmith, e di una manciata di celebri americani, inglesi e scandinavi contemporanei. C'è anche un titolo che non ho mai sentito nominare: Il caso della donna sconosciuta. Storia di uno dei misteri più intriganti del XIX secolo, in un edizione che sembra avere già qualche decina d'anni.

Entrando alla Mystery, Inc. provo una fitta d'invidia. Ma è soppiantata, subito dopo, da un sentimento di ammirazione, perché solo le persone meschine sono invidiose.

L'interno della Mystery, Inc. è ancora più bello di quanto mi aspettassi. Le pareti sono rivestite da pannelli in mogano, con mensole per i libri che vanno dal pavimento fino al soffitto; gli scaffali più alti sono accessibili attraverso scale scorrevoli di legno laccato, provviste di ruote d'ottone. Il soffitto è decorato da eleganti mattonelle di stagno battuto; il pavimento in parquet è ricoperto di piccoli tappeti. Essendo un collezionista di libri - e anche un libraio - mi accorgo immediatamente del fatto che i libri sono posizionati in modo da incuriosire il cliente senza però sopraffarlo; mi accorgo che sono stati disposti con intelligenza, in modo da catturare lo sguardo; il cliente si sente subito il benvenuto, come nelle librerie di una volta, con le poltrone in pelle e i divani sparpagliati in giro. Qua e là, appoggiati alle pareti, ci sono armadi con le ante di vetro, senza dubbio chiusi a chiave, che contengono prime e rare edizioni. Provo una fitta d'invidia, perché nessuna tra le mie librerie di gialli, appartenente a quello che io considero il mio modesto impero di librerie di gialli nel New England, ha la classe della Mystery, Inc., nemmeno ci si avvicina.

Oltretutto, le vendite online della Mystery, Inc. rappresentano il problema più grande per un libraio come me, le cui sorti dipendono molto da queste vendite...

Ho astutamente programmato il mio arrivo alla Mystery, Inc. mezz'ora prima della chiusura, che di martedì è alle sette di sera, un orario in cui solitamente è difficile trovare la libreria affollata. (Credo che ci siano pochi altri clienti - ne vedo solo uno al primo piano.) In questa stagione invernale il sole tramonta presto, intorno alle 17.30. L'aria è fredda e umida, e le lenti dei miei occhiali si sono appannate; le sto pulendo energicamente quando una commessa dai capelli rossodorato, lunghi fino alle spalle, si avvicina per chiedermi se sto cercando qualcosa in particolare. Io le rispondo che sto solo dando un'occhiata, e la ringrazio. «Anche se mi piacerebbe conoscere il proprietario di questo meraviglioso negozio, se fosse qui.»

La giovane donna gentile mi dice che il suo datore di lavoro, il signor Neuhaus, è in negozio, ma si trova al piano di sopra, nel suo ufficio; se sono interessato a qualche libro da collezione o a qualche pezzo d'antiquariato, però, può andare a chiamarlo...

«Grazie! In effetti sono interessato, ma per il momento vorrei dare un'occhiata in giro.»

Che abitudine bizzarra, per un negozio, essere così aperto al pubblico. Alla Mystery, Inc. potrebbe esserci merce preziosa del valore di centinaia di migliaia di dollari; ma la porta non è chiusa a chiave e chiunque può entrare dalla strada in negozio, anche quand'è praticamente vuoto, con in mano una ventiquattrore in pelle e sul volto un amabile sorriso.

Il fatto che io sia un gentiluomo di certo aiuta. Sembro un collezionista di libri o comunque un appassionato.

La giovane donna torna tranquillamente davanti al suo computer, in cassa, e io sono libero di gironzolare. Ovviamente, eviterò gli altri avventori.

Mi stupisce che i piani siano connessi tra loro con una scala a chiocciola e non con una pratica scala tradizionale; c'è un piccolo ascensore sulla parete di fondo che non mi tenta affatto, perché soffro un po' di claustrofobia. (Essere stato rinchiuso da un sadico fratello maggiore in un armadio polveroso, da bambino, è sicuramente all'origine di questa fobia, che sono riuscito a tenere nascosta alla maggior parte dei miei conoscenti, inclusi i dipendenti delle mie librerie, a cui piaccio, almeno credo, proprio perché sono il classico uomo schietto, diretto e ragionevole, privo di questo genere di nevrosi ossessive!) Al primo piano della Mystery, Inc. ci sono i libri americani; al secondo piano gli inglesi, quelli in lingua straniera e gli holmesiani (che occupano l'intera parete di fondo); al terzo piano le prime e rare edizioni, e i libri rilegati in pelle; al quarto piano le mappe, i mappamondi e le opere d'arte connesse al disordine e al caos, agli omicidi e alla morte.

Sono certo che l'ufficio di Aaron Neuhaus sia qui, al quarto piano. Immagino grandi finestre affacciate sull'Atlantico, lì vicino, e un ufficio con splendidi mobili e pareti rivestite in legno.

Ho nostalgia della mia vecchia abitudine di rubare libri - quand'ero uno studente squattrinato e li desideravo più di ogni altra cosa. Il brivido del furto... e poi una ricompensa speciale, un libro! Per anni, in effetti, i miei beni più preziosi sono stati proprio quei libri rubati nelle librerie di Manhattan, sulla Fourth Avenue. Non avevano alcun valore, se non la soddisfazione che mi dava il fatto di averli rubati. Ah, che bei tempi senza telecamere di sorveglianza!

Ovviamente, ci sono telecamere di sorveglianza ovunque alla Mystery, Inc. Se riuscissi a portare a termine il mio piano, dovrei anche riuscire a rimuovere e a distruggere i nastri; altrimenti non importa, tanto la mia immagine resterà sul nastro solo per poche settimane, e poi verrà distrutta. In realtà mi sono travestito un po': questi grandi baffi sono finti, e questa montatura di plastica nera è molto diversa da quella degli occhiali che porto di solito.

Prima dell'orario di chiusura, alla Mystery, Inc. ci sono solo pochi altri clienti, e sono intenzionato a trattenermi più a lungo di loro. Ce ne sono uno o due al primo piano; un individuo solitario al secondo, che perlustra gli scaffali di Agatha Christie; una coppia di mezza età al terzo, in cerca di un regalo di compleanno per un parente; un uomo più anziano al quarto, che osserva le opere d'arte appese ai muri - riproduzioni d'incisioni tedesche su legno del quindicesimo secolo, intitolate La morte e la sirena, La danza della morte e Il trionfo della morte - macabre litografie di Picasso, Munch, Schiele, Francis Bacon - riproduzioni di Saturno che divora i suoi figli, Il sabba delle streghe e Il Cane interrato nella rena di Goya. (È un vero peccato non poter conversare con questo gentiluomo, il cui gusto del macabro nell'arte sembra molto simile al mio, a giudicare da com'è assorto nella contemplazione delle Pitture nere di Goya!) Ammiro il fatto che Aaron Neuhaus riesca a vendere opere d'arte così costose anche in bassa stagione, nel suo negozio fuorimano a Seabrook, nel New Hampshire. È una cosa eccezionale.

Quando scendo di nuovo al primo piano, la maggior parte di questi clienti se n'è andata; l'ultimo sta pagando in cassa. Per guadagnare tempo, mi siedo su una delle poltrone in pelle, vecchia e consunta, e così comoda che sembra fatta apposta per il mio posteriore, non per quello di Aaron Neuhaus, potrei giurarci. Vicino a me c'è un armadio con le ante di vetro che contiene le prime edizioni dei romanzi di Raymond Chandler - praticamente una miniera d'oro! Mi prudono le mani accanto a libri come questi.

Sto cercando di non amareggiarmi. Sto cercando semplicemente di essere competitivo - così fanno gli americani!

Ma la verità fa male: nemmeno una delle mie sei librerie di gialli è così ben fornita e accogliente come la Mistery, Inc.; almeno due dei negozi aperti di recente sono illuminati da brutte luci al neon che mi fanno venire il mal di testa e mi riempiono d'angoscia. Quasi nessuno dei miei clienti ha l'aspetto facoltoso dei clienti della Mystery, Inc. e i loro gusti in materia di romanzi gialli sono più che prevedibili, si limitano ai bestseller; nei miei negozi non ci sono né scaffali dedicati a Ellery Queen, né armadi di vetro con le prime edizioni di Raymond Chandler, né una parete dedicata alla letteratura holmesiana. Nelle mie librerie migliori ci sono poche prime edizioni e pochi libri antichi - e di sicuro nessuna opera d'arte! E non sono nemmeno in grado di assumere commessi affascinanti, cortesi e svegli come questa giovane donna. Forse perché posso permettermi di pagarli solo poco più del salario minimo, e anche per questo motivo non si fanno nessuno scrupolo ad andarsene da un giorno all'altro.

Dalla mia comoda poltrona è appagante ascoltare l'amichevole conversazione tra il cliente e la giovane commessa, che si chiama Laura. Se dovessi acquisire la Mystery, Inc. certamente terrei anche la giovane e attraente Laura nel mio staff; se necessario la pagherei anche un pochino di più, per impedirle di andarsene.

Appena Laura si libera, le chiedo di poter dare un'occhiata a una prima edizione di Addio mia amata di Raymond Chandler. Lei apre l'armadio e con estrema cura estrae il libro - la data di pubblicazione è 1940, la copertina è in ottime, se non perfette, condizioni, e il prezzo del libro è 1200 $. Ho un tuffo al cuore: anch'io possiedo una copia di questo romanzo di Chandler, che ho pagato molto meno qualche anno fa; al momento, in uno dei miei negozi migliori, oppure online, potrei venderlo anche a 1500 $...

«Molto affascinante! Grazie! Ho qualche domanda, però. Mi chiedevo se fosse possibile parlarne con...»

«Vado a chiamare il signor Neuhaus. Vorrà sicuramente fare la sua conoscenza.»

È ovvio. Nelle piccole librerie indipendenti come questa, i proprietari sono sempre disposti a incontrare clienti come me.

Cerco di fare un calcolo veloce: quanto chiederebbe la vedova di Aaron Neuhaus per questa proprietà? Quanto valgono gli immobili a Seabrook? Il New Hampshire ha risentito della recente e lunga crisi che ha colpito il New England, ma Seabrook è una ricca località costiera, la cui popolazione quadruplica d'estate, perciò la libreria potrebbe valere circa 800 000 $... Ho fatto alcune ricerche, so che Aaron Neuhaus è l'unico proprietario e non ha alcun mutuo. È sposato, senza figli, da più di trent'anni; con ogni probabilità la vedova erediterebbe l'immobile. Per esperienza, so che di solito le vedove tendono a vendere in fretta le proprietà; messe a dura prova dalle responsabilità legali e finanziarie che derivano dalla morte dei mariti, desiderano liberarsi di certi fardelli, specialmente se non se ne intendono particolarmente di affari e finanza. Una vedova sconvolta può anche prendere decisioni molto avventate, soprattutto se non ha figli o amici che la sappiano consigliare.

Sto stringendo tra le mani, con aria sognante, la prima edizione di Raymond Chandler, senza neanche guardarla. Mi frulla in testa questo pensiero: Devo avere la Mystery, Inc. Sarà il fiore all'occhiello del mio impero.

[...]

Vendite online. Sono proprio queste vendite a interferire maggiormente con le mie. Chiedo educatamente a Neuhaus quanto dei suoi guadagni provenga dalle vendite online.

E Neuhaus sembra sorpreso dalla mia domanda. È troppo personale? Troppo... professionale? Spero che dia la colpa all'ingenuità di Charles Brockden.

La sua risposta è curiosa: «Nel caso di inutili e splendide opere d'arte, proprio come nel caso dei libri, gli affari vanno bene o male in base a un algoritmo sconosciuto e imprevedibile».

È una risposta straordinaria, anche se piuttosto evasiva. Suona in qualche modo familiare, eppure non riesco a ricordarmi perché. Sto sorridendo ad Aaron Neuhaus senza alcun motivo, senza sapere cosa rispondere. Inutili... splendide... algoritmo...

Aspettando che il cappuccino sia pronto, Neuhaus butta un altro ceppo sul fuoco, spingendolo con un attizzatoio. Che bizzarro gargoyle, sul manico! Un malefico folletto che ride, d'ottone ossidato. Neuhaus me lo mostra sorridendo: «L'ho preso a una svendita a Blue Hill, nel Maine, qualche estate fa. Curioso, no?».

«In effetti sì.»

Mi chiedo perché Aaron Neuhaus abbia mostrato proprio a me quel volto demoniaco.

Quanta invidia sto provando in questo sanctum sanctorum accogliente e magnificamente arredato! Soffro pensando ai miei uffici, a quanto siano semplici e scialbi, senza niente di sacro. Vecchi computer, luci al neon dappertutto, mobili senza alcun fascino ereditati dai precedenti proprietari. Spesso nelle mie librerie gli uffici sono anche adibiti a magazzino e stipati di schedari, scatoloni, persino scope e spazzoloni, secchi di plastica e scalette, con un gabinetto in un angolo. Pile di libri dappertutto, che risalgono dal pavimento come stalagmiti. Che vergogna sarebbe per me se Aaron Neuhaus ne vedesse uno!

Perciò penso: Non cambierò nulla in questo posto meraviglioso. Anche quelle penne stilografiche sulla scrivania saranno mie. Semplicemente, mi trasferirò qui.

Aaron Neuhaus si rende conto di quanto il suo ospite sia curioso e pieno d'ammirazione, ed è felice di parlare di tutto ciò che gli appartiene. L'orgoglio del libraio, anche in considerazione delle fortunate circostanze della sua vita, non ha niente a che fare con il suo ego - gli fa piacere parlarne proprio come gli farebbe piacere ammirare un paesaggio, per esempio l'oceano dalla finestra. Accanto al grande e spietato dagherrotipo di Poe ci sono altre fotografie più piccole del surrealista Man Ray, che ritraggono figure femminili nude in pose bizzarre e scomode. Alcune di loro sono a torso nudo, senza testa - forme scultoree pallide e immobili. Chi guarda non può fare a meno di chiedersi, non senza un certo disagio: sono esseri umani o manichini? Sono cadaveri di donne? Neuhaus mi dice che le fotografie di Man Ray vengono dalla serie Tresor interdite degli anni trenta: «La maggior parte di questi lavori sono inaccessibili, appartengono a collezionisti privati che non concedono prestiti nemmeno ai musei». Accanto alle opere eleganti e sinistre di Man Ray ci sono immagini molto diverse, crude e scabrose, scattate dal fotografo americano Weegee sulle scene del crimine tra gli anni trenta e quaranta: ritratti impietosi di uomini e donne in situazioni critiche, malmenati, sanguinanti, arrestati e in manette, uccisi a colpi di pistola e riversi sulla strada, come un elegante gangster disteso a faccia in giù in una pozza di sangue.

«Weegee è il più spietato degli artisti, ma è un grande artista. La cosa più straordinaria di questa sua arte "giornalistica" è la totale assenza del fotografo dalle opere stesse. È impossibile capire che cosa pensi l'artista, se mai ha un'opinione sua, di questa gente dannata...»

Man Ray, si. Weegee, no. Detesto la mancanza di raffinatezza, nell'arte e nella vita; ma naturalmente non lo dico ad Aaron Neuhaus, perché non voglio offenderlo. Quest'uomo è entusiasta come un bambino mentre mostra i suoi tesori a un potenziale acquirente.

In uno degli armadi in vetro di Neuhaus c'è la straordinaria collezione completa dei numerosi volumi del celebre criminologo inglese William Roughead - «Ogni volume è autografato da Roughead»; insieme a copie rilegate di Dime Detective, Black Mask e una copia di The Black Lizard Big Book of Pulps. Neuhaus mi dice, come se non lo sapessi, che si tratta di celebri riviste in cui grandi scrittori come Dashiell Hammett e Rayrnond Chandler hanno pubblicato i loro racconti.

In realtà, sono moltQ più interessato alla collezione di libri di Neuhaus appartenenti all'«Età dell'oro del giallo»: prime edizioni autografate di John Dickson Carr, Agatha Christie e S.S. Van Dine, tra gli altri. (Alcuni libri devono valere più di 5000 $ ciascuno, credo.) Neuhaus confessa di essere molto restio a vendere la sua prima edizione del 1888 di Uno studio in rosso, con la copertina di carta originale (valutata 100 000 $); o una prima edizione autografata del Ritorno di Sherlock Holmes (valutata 35 000 $); e ancor più restio a vendere la prima edizione del Mastino dei Baskerville, con dedica e autografo, e bellissime illustrazioni di Holmes e Watson (valutata 65 000 $). Mi mostra anche uno dei suoi beni «dal valore inestimabile»: la copia rilegata del numero di febbraio del 1827 del Blackwood's Magazine, contenente il famigerato saggio di Thomas de Quincey L'assassinio come una delle belle arti. Ma, cosa ancora più incredibile, possiede anche la prima edizione completa in quattro volumi (1974) dei Misteri di Udolpho (valutata 10 000 $). Il fiore all'occhiello della sua collezione, che non venderà mai, dice, a meno che non si ritrovi povero e disperato, è la prima edizione del 1853 - con la copertina originale in tessuto e la foto color seppia formato cabinet dell'autore -- della Casa desolata di Charles Dickens (valutata 75 000 $), autografata da Dickens con mano ferma e decisa, con un inchiostro che non è quasi per nulla sbiadito!

«Ma qui c'è qualcosa che le piacerà particolarmente, "Charles Brockden".» Neuhaus sogghigna, estraendo con estrema cura un libro molto antico, rivestito di plastica, con la rilegatura sfilacciata e sbiadita e le pagine pesantemente ingiallite: Wieland ovvero la trasformazione. Una storia americana, del 1798, di Charles Brockden Brown.

Eccezionale! Ci si aspetterebbe di vedere un libro così prezioso soltanto chiuso a chiave all'interno di una collezione speciale di una biblioteca universitaria, a Harvard per esempio.

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