Copertina
Autore Flann O'Brien
Titolo La miseria in bocca
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2000 [1987], Universale Economica 1221 , Isbn 978-88-07-81221-7
OriginaleAn Béal Bocht / The Poor Mouth
EdizioneThe Dolmen Press Ltd, Dublin, 1941
PrefazioneGianni Celati
TraduttoreDaniele Benati
LettoreRenato di Stefano, 2000
Classe narrativa irlandese
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Indice


    PREFAZIONE

  9 Tentativo di omaggio a Flann O'Brien
    di Gianni Celati


    LA MISERIA IN BOCCA

 39 Prefazione alla prima edizione

 41 Premessa

 43 Capitolo primo
    Perché parlo - La mia nascita - Mia
    madre e il Vecchio Grigio - La nostra
    casa - La valle in cui sono nato - Le
    brutte condizioni di vita dei gaelici
    nei tempi andati

 53 Capitolo secondo
    Una puzza tremenda in casa nostra - I
    maiali - L'arrivo di Ambrogio - La
    vita dura - Mia madre Þ in pericolo -
    L'idea di Martin - Siamo sani e salvi
    - La morte di Ambrogio

 61 Capitolo terzo
    Vado a scuola - "Jams O'Donnell" - La
    sovvenzione di due sterline - I maiali
    tornano in casa - Il piano del Veccbio
    Grigio - Manca uno dei nostri maiali -
    Il grammofono e lo shanachee, ovvero
    raccontatore

 75 Capitolo quarto
    Il viavai di Gaeligores - L'universitÓ
    gaelica - Una sagra gaelica in
    campagna da noi - I signori di Dublino
    - Il riso va a finire in pianto

 91 Capitolo quinto
    A caccia sulle Rosses - Le bellezze e
    le meraviglie di quella regione -
    Ferdinando O'Roonassa lo shanachee -
    La mia camminata notturna - Lo spirito
    malefico mi dÓ la caccia - Sono al
    sicuro da ogni pericolo

109 Capitolo sesto
    Divento uomo - Febbre matrimoniale -
    Io e il Vecchio Grigio sulle Rosses -
    Mi sposo - Morte e altre sventure

117 Capitolo settimo
    Sitric il miserabile - Fame e sfortuna
    - A caccia di foche sullo Scoglio -
    Una notte di tempesta - L'uomo cbe non
    fece ritorno - Alloggio tra le foche

129 Capitolo ottavo
    I tempi duri - L'epoca del diluvio di
    Corkadoragha - Maeldoon O'Poenassa -
    Il Picc= dell'Affamato - Lontano da
    casa - Pene e stenti a non finire -
    Sono in punto di morte - Fine del
    viaggio - Rigagnoli di whiskey - Di
    nuovo a casa

143 Capitolo nono
    Scontento della mia ricchezza - In
    cerca di stivali in città - La mia
    camminata notturna - Il Gattomarino
    a Corkadoragha - Uno sbirro in casa
    nostra - Il colpo di grazia della
    sventura - Incontro un familiare -
    Conclusione della mia storia

 

 

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Pagina 43 [ inizio libro ]

1.
Perché parlo - La mia nascita - Mia madre e il Vecchio Grigio - La nostra casa - La valle in cui sono nato - Le brutte condizioni di vita dei gaelici nei tempi andati

Sto registrando i fatti che si trovano in questo documento, perché sono ormai giunto alle soglie della vita futura - allontanaci dal male, o Signore, e impedisci al maligno di mettermi gli occhi addosso - e perché di soggetti come noi s'è perso lo stampo. Veramente è cosa giusta e doverosa lasciare ai posteri la testimonianza di come ce la spassavamo ai tempi nostri, perché di soggetti come noi s'è perso lo stampo e una vita così, in Irlanda, non la farà più nessuno.

O'Coonassa è il mio cognome in gaelico, di nome faccio Bonaparte e l'Irlanda è la mia piccola terra natìa. Non posso mica ricordarmi il giorno che sono nato e neanche i primi sei mesi che ho passato su questa terra. Anche se non me lo ricordo, però, è indubbio che ero vivo, perché se non fossi stato vivo allora, non lo sarei nemmeno ora, e noi tutti sappiamo che negli esseri umani, come in qualsiasi altra creatura vivente, il comprendonio si sviluppa a poco a poco.

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Pagina 61

3.
Vado a scuola - "Jams O'Donnell" - La sovvenzione di due sterline - I maiali tornano in casa - Il piano del Vecchio Grigio - Manca uno dei nostri maiali - Il grammofono e lo shanachee, ovvero raccontatore

Avevo sette anni quando mi mandarono a scuola. Ero piccolo, secco e magro. Portavo delle braghe di lana greggia, ma nient'altro, né sopra né sotto. Molti bambini si dirigevano a scuola con me quel mattino, tutti quanti con le braghe ancora sporche di cenere. Alcuni non erano neanche capaci di camminare e strisciavano per la strada. Molti venivano da Dingle, altri da Gweedore e un altro gruppo era galleggiato via mare dall'isola di Aran. Eravamo tutti forti e vigorosi, quel primo giorno di scuola. Una bella piota di torba sotto le ascelle e via. E con quale baldanza procedevamo!

Il maestro si chiamava Osborne O'Loonassa. Era un tipo alto, sparuto, cupo e malaticcio, con gli occhi duri e arcigni che sporgevano dalla pelle giallastra. La fronte era solcata da segni di una rabbia feroce che gli stavano lì come i capelli in testa, e pareva non gli importasse un fico secco di nessuno.

Entrammo tutti nell'edificío scolastico, una baracca piccola e poco godevole, in cui la pioggia colava lungo i muri e ogni cosa era umida e molliccia. Ci mettemmo tutti a sedere su delle panche senza dire una parola per paura del maestro. Lui lanciò un'occhiata velenosa per la stanza, finché il suo sguardo non si posò su di me, per fissarmi. Per Giove! Non mi piaceva neanche un po' l'aria con cui mi stava esaminando. Poco dopo puntò il suo lungo dito giallastro verso di me e disse:

"Phwat is yer nam?"

Non capii nulla di ciò che disse, perché non conoscevo le lingue foreste e il gaelico era il mio unico mezzo d'espressione e l'unica forma di protezione contro le difficoltà della vita. Rimasi lì a guardarlo, ammutolito dalla paura. Lo prese allora una gran collera, che parve espandersi come una nuvola gonfia di pioggia. Timidamente scrutai gli altri ragazzi intorno a me. Qualcuno alle mie spalle sussurrò:

"Vuol sapere il tuo nome."

Il mio cuore sobbalzò di gioia a questo suggerimento e fui grato a colui che me l'aveva dato. Rivolsi uno sguardo educato al maestro e gli risposi:

"Mi chiamo Bonaparte, figlio di Michelangelo, figlio di Peter figlio di Owen, figlio della Sara di Thomas, nipote della Maria di John, nipote di James, figlio di Dermot... "

Non avevo ancora finito di pronunciare il mio nome per intero, e neanche per metà, che il maestro emise un violento latrato e col dito mi fece cenno d'avvicinarmi. Poi afferrò un remo. L'ira l'aveva ormai sommerso come l'acqua di un'alluvione, e lui impugnò il remo con grande ímpegno lavorativo. Lo sollevò al di sopra della spalla, e lo calò con forza, sferzando l'aria e assestandomi una gran botta sul cranio. Per il colpo svenni, ma prima di perdere completamente i sensi, lo sentii urlare:

"Yer nam," disse, "is Jams O'Donnell!"

Jams O'Donnell? Quando ripresi i sensi, quelle due parole mi ronzavano ancora negli orecchi. Mi ritrovai disteso su un fianco, con le braghe, i capelli e tutto il corpo imbrattati di sangue che usciva a rigagnoli dalla ferita che il colpo di remo mi aveva aperto nella zucca. Quando i miei occhi ripresero a funzionare, vidi un altro marmocchio in piedi, a cui pure era stato chiesto il nome. Evidentemente non aveva tratto alcun insegnamento dalla bastonata che avevo preso io e di furbizia non doveva averne troppa, poiché prese a snocciolare il suo vero nome esattamente come avevo fatto io. Il maestro brandì il remo di nuovo e giù botte da orbi, finché non lo vide perdere i sensi e stramazzare al suolo come un fagotto, tutto insanguinato. E mentre lo bastonava, eccolo daccapo a urlare:

"Yer nam is Jams O'Donnell!"

Continuò a suonarle a tutti quanti, appioppando a ognuno il nome di Jams O'Donnell. Nessun bambino della contrada si salvò la zucca, quel giorno. Naturalmente, nel pomeriggio, molti non riuscivano nemmeno a camminare e dovettero essere riportati a casa dai parenti. Il peggio fu per quelli che la sera dovevano tornare a nuoto fino all'isola di Aran, roba da stringere il cuore, poveretti, non avevano mangiato un boccone né bevuto un goccio di latte sin dal mattino.

Quando giunsi a casa, mia madre stava facendo bollire le patate per i maiali. Gliene chiesi un paio per pranzo e le buttai giù con un pizzico di sale. La brutta situazione che avevo trovato a scuola continuava a impensierirmi, così decisi d'intetrogare mia madre.

"Donna," le dissi, "ho sentito che da queste parti si chiamano tutti Jams O'Donnell. Se è così che va, è tutta una roba ben strana e anche quell' O'Donnell non scherza mica, con tutti i bambini che ha!"

"Ci hai proprio ragione," disse lei.

"Ci avrò anche ragione," dissi, "ma questa ragione, io non la capisco mica."

"Se è così che va," disse, "cosa aspetti a ficcarti in testa che da queste parti ci vivono i gaelici e che i gaelici non possono sfuggire al loro destino? Lo han sempre detto e scritto che tutti quanti si beccano una bella legnata il primo giorno di scuola, perché non capiscono l'inglese e non sanno pronunciare il loro nome, e siccome sono gaelici fino al midollo, nessuno ha un briciolo di rispetto per loro. È sempre così il primo giorno di scuola, sempre la stessa storia: punizione, vendetta e sempre quella bega di Jams O'Donnell. Ahiahi! Non credo che gli toccherà mai niente di buono ai gaelici, ma sempre e solo un mucchio di guai. Anche il Vecchio Grigio, ai suoi bei tempi, è stato picchiato e chiamato Jams O'Donnell."

"Donna," le dissi. "Quello che dici ha dell'incredibile. Penso proprio che a scuola non ci tornerò più, per quel che mi riguarda ho già imparato abbastanza."

"Così piccolo e già così furbo," commentò.

Da quel giorno non ebbi più alcun contatto col mondo dell'istruzione e un grande beneficio ne trasse la mia zucca gaelica, che non venne più stangata.

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Pagina 78

[...] Ecco come questa allegra brigata di studiosi, oggi chiamati Gaeligores, arrivò a Corkadoragha per la prima volta. Siccome viaggiavano sempre con dei piccoli taccuini neri in mano, dovettero vagare a lungo per le campagne prima che la gente capisse che non erano degli sbirri ma persone per bene che si sforzavano d'imparare il gaelico dei nostri antichi antenati. Col passar degli anni, costoro divennero sempre più numerosi e in poco tempo tutta la zona ne pullulava. Si giunse al punto che l'arrivo della primavera non era più preannunciato dalla prima rondine, ma dal primo Gaeligore che si vedeva in giro. E quando arrivavano, portavano sempre felicità, denaro e gran baldoria. Piacevoli e divertenti erano queste persone, che Dio le benedica, perché di soggetti simili s'è perso lo stampo.

Era già una decina d'anni, o giù di lì, che venivano dalle nostre parti, quando notammo che il loro numero era in diminuzione e che quelli che ci erano rimasti fedeli avevano preso alloggio a Galway e a Rannafast, mentre a Corkadoragha venivano soltanto durante il giorno. Naturalmente ogni sera si portavano via un bel po' del nostro miglior gaelico, ma in compenso lasciavano giù qualche soldino a quei poveri diavoli che erano rimasti ad aspettarli e che per almeno mille anni avevano tenuto in vita, proprio per loro, la lingua gaelica. La gente stentava a capire la situazione: se era vero, come si diceva da sempre, che più uno era a corto di beni terreni (e lo stesso valeva per la santità dello spirito) più il suo gaelico si faceva perfetto, e siccome noi si viveva fra le altre calamità in una miseria di prima scelta, perché questi signori avevano cominciato a interessarsi al gaelico strano e imbastardito che si parlava da altre parti? Il Vecchio Grigio discusse la questione con un distinto Gaeligore che aveva incontrato.

"Perché," disse, "ci stanno lasciando i nostri studiosi? E per quale altra località? Pensano forse che con tutti i soldi che ci hanno lasciato negli ultimi dieci anni, la fame sia scomparsa da queste campagne e che quindi il nostro gaelico sia andato in declino?"

"Non credo che Padre O'Laoghaire abbia mai usato in nessuna delle sue opere la parola 'declino'," osservò cortesemente il Gaeligore.

Il Vecchio Grigio non fece alcuna obiezione a questa frase, ma è probabile che fra sé e sé qualcosina se la sia detta.

"'Se la filò di corsa dalla porta', voi usate questa espressione?" disse il Gaeligore.

"Se lo scordi, giovinotto!" disse il Vecchio, lasciandolo con la questione irrisolta nella zucca.

A dispetto di tutto ciò, il Vecchio riuscì ugualmente a risolvere il problema. Gli venne spiegato - non si sa da chi, probabilmente da uno che conosceva un po' di gaelico e che si trovava da quelle parti - gli venne spiegato cos'era che non andava, o andava storto o alla rovescia, nell'avere a Corkadoragha il centro dei loro studi. A quanto pareva:

l. La tempesta, da quelle parti, era troppo tempestosa.

2. Il putridume, da quelle parti, era troppo putrido.

3. La miseria, da quelle parti, era troppo miserabile.

4. La gaelicità, da quelle parti, era troppo gaelica.

5. La tradizione, da quelle parti, era troppo tradizionale.

Capito come stavano le cose, il Vecchio passò un'intera settimana pensando e ripensando all'intera faccenda. Comprese che gli studiosi stavano rischiando la vita per le vomitate costanti del cielo dispettoso e che non potevano nemmeno ripararsi in casa della gente per la puzza terrificante dei maiali. Alla fine della settimana, gli sembrò che la soluzione migliore fosse quella di avere anche da noi un'università, come quelle che c'erano nelle Rosses e nel Connemara. Meditò intensamente per un'altra settimana, e alla fine ebbe tutto chiaro in testa: avremmo organizzato una grande sagra gaelica a Corkadoragha, in modo da raccogliere i fondi per l'università. La sera stessa, andò a trovare alcune persone influenti di Letterkenny per organizzare la sagra in tutti i minimi particolari; prima che facesse giorno, era già sull'isola di Great Blasket a occuparsi della stessa cosa, e nel frattempo aveva spedito lettere importanti a Dublino, usando l'impiegata dell'ufficío postale come amanuense. In Irlanda non vi fu mai nessuno che si diede tanto da fare per la causa gaelica come il Vecchio Grigio quella notte; che l'università venisse poi costruita sulla terra appartenente al Vecchio, terra che fra l'altro fu venduta a un prezzo assai elevato, non fece molta meraviglia. La sagra stessa si svolse sul suo terreno, e lui incassò l'affitto di due giorni per il modesto appezzamento su cui avevano montato il palco e la piattaforma. Se i soldi cadono, diceva spesso, vedi di farli cadere nelle tue tasche; e quando ce li hai in tasca, che crepi l'avarízia!

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Pagina 84

[...] Quando fu avvistata la prima auto, molti poveri rimasero terrorizzati: se la batterono a gambe levate urlando a squarciagola e si nascosero dietro le rocce, da cui poi rispuntarono con fare audace quando s'accorsero che non c'era niente da temere in quei macchinari di nuova foggia. Il Vecchio Grigio diede il benvenuto ai raffinati gaelici di Dublino e offrì loro del latte cagliato in segno di rispetto e come pozione ricostituente dopo le fatiche del viaggio. Poi si ritirarono per discutere tutti i particolari della cerimonia e per eleggere il comitato della sagra. Al termine, l'assemblea fu informata che Margheritina Gaelica era stato eletto Presidente, Gatto Avido Vicepresidente, Caso Dativo Sindaco, Vento Occidentale Segretario e il Vecchio Grigio Tesoriere. Dopo un'ulteriore seduta, durante la quale vennero discusse altre questioni, il Presidente e altri pezzi grossi balzarono sul palco e alla presenza della plebe diedero inizio alla Grande Sagra di Corkadoragha. Il Presidente mise sul tavolo davanti a sé un orologio giallo, si ficcò i pollici nel panciotto all'altezza delle ascelle e pronunciò questa orazione nel più autentico spirito gaelíco.

"Gaelici! È con grande piacere del mio cuore gaelico che oggi mi trovo qui con voi a parlare gaelico, in questa sagra gaelica, nel punto centrale dell'area di lingua gaelica. Devo forse dirvi che sono un gaelico?! Ebbene sì, sono gaelico dalla cima della testa fin sotto la pianta dei piedi, davanti e didietro, sopra e sotto. E anche voi siete tutti veri gaelici. Siamo tutti veri gaelici di vera stirpe gaelica. Chi è gaelico, sarà per sempre gaelico. Io stesso, dal giorno in cui sono nato, non ho detto una parola, non una sola, che non fosse in gaelico - come voi d'altra parte - e non ho mai fatto altro che parlare della lingua gaelica, e il soggetto di ogni mio discorso è sempre stato il gaelico. Sissignori, se vogliamo essere veri gaelici, dobbiamo discutere costantemente il problema della rinascita gaelica e la questione della gaelicità. Inutile avere la lingua gaelica, se dobbiamo usarla per parlare di argomenti non gaelici. Chi parla gaelico ma dimentica di parlare del problema della lingua, non è un vero gaelico; una condotta simile non è di alcun beneficio alla causa della gaelicità, anzi, significa che costoro si prendon gioco del gaelico, insultano gli stessi gaelici. Non c'è niente al mondo di altrettanto bello e altrettanto gaelico quanto i gaelici autenticamente tali che parlano nel più gaelico dei gaelici della vera lingua gaelica. Dichiaro quindi gaelicamente aperta questa sagra. Viva i gaelici e lunga vita alla lingua gaelica!"

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Pagina 129

8.
I tempi duri - L'epoca del diluvio di Corkadoragha - Maeldoon O'Poenassa - Il Picco dell'Affamato - Lontano da casa - Pene e stenti a non finire - Sono in punto di morte - Fine del viaggio - Rigagnoli di whiskey - Di nuovo a casa

In un modo o nell'altro, la vita se ne andava, lasciandoci lì a sprofondare nella miseria, talvolta con una patata da metter sotto i denti e altre volte con la bocca piena solo di dolci parole gaeliche. Per quanto riguardava il clima, le cose continuavano a peggiorare. Ogni anno ci sembrava che la pioggia si facesse sempre più insistente e di tanto in tanto capitava che qualche poveraccio finisse annegato in terraferma per il volume d'acqua e vomito celestiale che s'abbatteva su di noi; chi non sapeva nuotare, di quei tempi, non si sentiva sicuro nemmeno a letto. Fiumi in piena scorrevano davanti alla porta di casa, e benché tutte le patate ci venissero spazzate via dai campi, è anche vero che in cambio si potevano trovare al mattino mucchi di pesci sui cigli delle strade. Coloro che riuscivano a raggiungere sani e salvi i loro letti all'asciutto, immancabilmente l'indomani si ritrovavano sommersi dall'acqua. Certe notti, poi, si sentivano passare canoe provenienti dalle Blasket e i pescatori lamentarsi dei magro bottino se per caso nelle loro reti non era rimasto impigliato neanche un maiale o un lattonzolo di Corkadoragha. Si diceva che una notte O'Sanassa fosse venuto a nuoto dallo Scoglio per rivedere la sua terra natìa; ma chissà poi che il visitatore non fosse semplicemente una foca. Inutile dire che gli abitanti del posto divennero un tantino nervosi in quel periodo; la fame e altre sventure li assalirono, e rimasero a mollo per tre mesi. Molti di loro furono addirittura contenti di andarsene al Creatore e coloro che rimasero a Corkadoragha dovettero accontentarsi sempre di meno e ancor meno di meno. Un giorno sottoposi la questione al Vecchio e con lui intavolai una discussione sull'argomento.

"Secondo voi, gentilissimo," dissi, "c'è una qualche speranza che si torni di nuovo all'asciutto?"

"Non saprei, dolce figliolo," disse. "Ma se questa pioggia continua così, ho idea che presto i poveracci di queste zone dovranno farsi crescere una membrana fra le dita simile a quella delle anitre, se vorranno continuare a muoversi nell'acqua. Questa vita non è fatta per gli esseri umani, figliolo."

"Ma voi pensate davvero che i gaelici siano esseri umani?" domandai.

"Così si dice, o nobile cuore, anche se però non si è mai avuta conferma. D'altra parte, non siamo cavalli e neanche galline, e nemmeno foche, né fantasmi; eppure, a dispetto di tutto ciò, sembra davvero incredibile che anche noi si faccia parte del genere umano. Ma naturalmente si tratta solo di un'opinione."

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