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| << | < | > | >> |Pagina 9Dublino, 29 marzo 1967 Come in tutti gli edifici governativi, l'interno della sala d'attesa del Ministero della Previdenza Sociale era scialbo e poco accogliente. Le pareti erano tricolori: la metà inferiore «verde governo», come lo chiamavano tutti a Dublino; la metà superiore color crema, o forse di un bianco parecchio ingiallito; la striscia in mezzo, larga un paio di centimetri, rossa. Per sedersi ci si doveva accontentare di un paio di panche di legno stile banchi da chiesa, tutte sfregiate da iniziali e date. Dal centro dell'alto soffitto pendeva il lampadario, un filo lungo due metri con al fondo una grande boccia di vetro opaco. L'esterno della boccia era coperto di polvere, l'interno era ingiallito e punteggiato di cacche di mosca. «Gli sta bene» disse la donna fissando il globo. «Come? A chi è che gli sta bene, Agnes?» chiese l'amica con dolcezza. «A quelle». Indicò il lampadario. «Alle mosche... gli sta bene». Marion alzò gli occhi verso il globo. Per un paio di minuti, entrambe fissarono la luce. «Gesussanto, tesoro, chi ti capisce è bravo... in che senso gli sta bene?» Era perplessa, e non poco preoccupata per la salute mentale di Agnes. Il dolore è il padre di tutte le stranezze. Agnes indicò di nuovo il lampadario. «Si sono andate a ficcare in quella specie di boccia, giusto? E poi non sono riuscite a uscire, si sono cacate sotto e sono schiattate. Gli sta bene, no?» Marion osservò di nuovo il globo, la bocca mezza aperta, cercando di capire cosa passava per la testa all'amica. Agnes, nel frattempo, si era messa di nuovo a esaminare il locale; l'orologio sulla parete ticchettava. Spostò lo sguardo sull'unica altra persona presente: un uomo senza una gamba che un po' si reggeva da solo e un po' si appoggiava allo sportello. Stava facendo domanda per il sussidio di disoccupazione. Era un «pigliatutti», un guardiano notturno nel cantiere di un edificio in costruzione. Lo avevano appena licenziato perché un gruppo di ragazzini si era intrufolato nel palazzo, mandando in frantumi le finestre. L'impiegata stava telefonando al suo ex datore di lavoro per assicurarsi che fosse stato cacciato e che non se ne fosse andato di sua volontà. Agnes tentò di immaginare cosa si provava a perdere il posto. Lavorando in proprio, a lei non era mai capitato. «'Fanculo». Marion ruppe il silenzio. «A chi?» chiese Agnes. «Alle mosche» indicò la donna. «'Fanculo alle mosche, hai ragione, per tutta la vita non fanno altro che scacazzare dappertutto. Gli sta bene! Oddio, Agnes, questo qui ce n'avrà ancora per molto? Mi scappa da pisciare, tra un po' scoppio!» Fece una smorfia di sofferenza. L'amica guardò sopra le spalle dell'uomo. L'impiegata stava riagganciando proprio in quel momento. «Ha quasi finito. Senti, c'è un gabinetto là fuori, all'ingresso, vacci pure, io me la caverò. Dai!» Marion si precipitò fuori dalla sala d'attesa. Nello stesso istante, l'impiegata tornò allo sportello. «Allora, Mr O'Reilly. Ecco il suo libretto. Dovrà iscriversi allo sportello 44, presso l'ufficio competente di Gardiner Street, venerdì alle 9.30, okay?» L'uomo guardò il libretto e poi di nuovo lei. «Venerdì? Ma oggi è lunedì. Il bastardo non ha voluto pagarmi e io sono al verde». La ragazza assunse un atteggiamento di impeccabile professionalità. «Questo è un problema che riguarda voi due, Mr O'Reilly. Dovrà cavarsela da solo. Venerdì, 9.30, sportello 44». Il tizio però non se ne andava. «E io che faccio fino a venerdì?» La ragazza ne aveva avuto abbastanza. «Non m'interessa cosa farà. Di certo non potrà rimanere qua fino a venerdì. Ora basta, se ne vada». «Ma quello è uno stronzo» disse l'uomo. La ragazza arrossì. «Basta così, Mr O'Reilly». Ma Mr O'Reilly ancora non aveva finito. «Se t'avevo pure l'altra gamba, gliele davo di santa ragione, a quello stronzo, garantito!» La ragazza chinò la testa con fare rassegnato. «Mr O'Reilly, se avesse avuto l'altra gamba» sbottò «avrebbe acciuffato quei ragazzini e adesso non sarebbe qui, dico bene?» E chiuse le ante dello sportello sperando che l'uomo sparisse. O'Reilly chiamò a raccolta le forze, infilò la scheda nel taschino interno, ripose gli occhiali in un astuccio con la chiusura a clip e si sistemò la gruccia sotto l'ascella. Mentre si avviava verso l'uscita, sbottò: «Sei una stronza pure tu!» Aprì la porta della sala d'attesa proprio mentre Marion stava per rientrare. «Quella è una stronza» le disse e, con insospettabile rapidità, si diresse verso l'atrio. Marion lo seguì con lo sguardo per un momento e poi si rivolse ad Agnes. «Che è successo?» le chiese, tornando a sedersi accanto a lei. L'amica fece spallucce. «Non lo so. Tu hai fatto?» «Sì». «Tutto a posto, allora?» «A meraviglia. Gesussanto, la carta igienica che usano qua dentro ti scortica il sedere!» «Dici quella specie di stagnola ammuffita?» «Sì, è come pulirsi il culo con un sacchetto di patatine». «Già». «Be', che stavi aspettando?» «Aspettavo te. Andiamo». Le due donne si avvicinarono allo sportello. Agnes suonò il campanello. Nessuno squillo. «Riprova» disse Marion. Agnes riprovò. Ancora niente. Marion bussò alle ante. Da dietro si sentì uno scalpiccio. «Arriva qualcuno» mormorò Agnes. Poi, come se stesse per mettersi a cantare, si schiarì la voce con un colpo di tosse. Lo sportello si aprì: era la ragazza di prima. Senza nemmeno alzare gli occhi, spalancò un registro e, sempre a testa bassa, chiese: «Nome e numero di previdenza sociale?» «Non ce l'ho» replicò Agnes. «Non ha un nome?» Adesso l'impiegata aveva alzato gli occhi. «Ma certo che ce l'ha» si intromise Marion. «Si chiama Agnes, come sant'Agnese, Agnes Browne». «Non ho un numero di previdenza sociale». «Tutti ce l'hanno, signora!» «Be', io no!» «Suo marito lavora?» «No, non più». «Allora è iscritto alle liste di disoccupazione?» «No». «Perché no?» «È morto». Ora la ragazza era ammutolita. Guardò Agnes, poi Marron. «Morto?» Le donne annuirono. L'impiegata però non voleva darsi per vinta. «Ha il libretto della pensione di reversibilità?» «No, non ce l'ho, è per questo che sono qui». «Ah, ma allora si tratta di un'iscrizione?» Adesso che aveva afferrato il problema, si sentiva sollevata. Prese un modulo da sotto lo sportello. Le amiche si scambiarono uno sguardo, un'espressione terrorizzata attraversò il viso di entrambe. Pensavano che rispondere alle domande del modulo sarebbe stato una specie di esame. Agnes non era preparata a una prova del genere. L'interrogatorio iniziò. «Allora, nome e cognome?» «Agnes Loretta Browne». «Browne con la E?» «Sì, e Agnes con la E, e anche Loretta con la E». La ragazza la guardò, le era venuto il dubbio che la stessero prendendo per i fondelli. «Nome da ragazza?» «Ehm, Reddin». «Bene. Nome di suo marito?» «Nicholas Browne e, prima che me lo chieda, il nome da ragazza di mio marito non lo conosco». «Mi basta Nicholas Browne. Professione?» Agnes guardò prima Marion, poi l'impiegata, e alla fine disse con dolcezza: «Il morto». «Ma no, da vivo, che lavoro faceva da vivo?» «Era un lavapiatti». «E dove lavorava?» Agnes guardò di nuovo il viso inespressivo dell'amica. «In cucina?» azzardò, sperando che fosse la risposta giusta. «Certo che lavorava in cucina, ma dov'era questa cucina? In un albergo?» «È ancora un albergo, vero, Marion?» Lei annuì. «Insomma, in quale albergo?!!» La ragazza era esasperata, cominciava a digrignare i denti. «Al Gresham Hotel di O'Connell Street, cara» rispose Agnes in tono confidenziale. Questa era facile. L'impiegata scribacchiò la risposta e proseguì con le domande. «Dunque, com'è morto suo marito?» «Un ranger» rispose Agnes. «Gli ha sparato?» chiese l'altra, incredula. «È stato ammazzato?» «Da chi?» Agnes glielo domandò come se avesse scoperto qualcosa di cui lei stessa era all'oscuro. «Dal ranger, suo marito è stato ucciso da un ranger?» Agnes era perplessa. Rimuginò un istante, poi un'illuminazione le rischiarò il viso. «Ma no, tesoro! Da un Ford Ranger, è stato investito da un Ranger, il fuoristrada!» La ragazza fissò di nuovo le due donne, dopodiché scartò l'ipotesi che si trattasse di una candid camera. Queste qui sono solo due cretine, si disse. «Un incidente automobilistico... capisco». Riprese a scribacchiare. Le due donne furono felici di vedere che stava compilando l'ultima riga. Ma poi l'impiegata girò il modulo dall'altra parte, passando a una nuova sfilza di domande. La loro delusione era tangibile. La ragazza se ne accorse e, nel tentativo di allentare la tensione, disse: «Dev'essere stato un brutto colpo». Agnes rifletté per un istante. «Sì, altroché, poco ma sicuro che lui non se l'aspettava!» La ragazza percorse la stanza con lo sguardo, chiedendosi se, tutto sommato, non ci fosse davvero una telecamera nascosta da qualche parte. Ancora una volta, decise di no. «Bene, allora, andiamo avanti. Dunque, quanti figli ha?» «Sette». «Sette? Una bella famiglia cattolica!» | << | < | > | >> |Pagina 17Negli anni Sessanta Dublino era – ed è tuttora – un agglomerato di quartieri: c'era la zona commerciale, quella del mercato, la zona residenziale e i casermoni popolari (ormai quasi scomparsi). La zona commerciale era divisa in due settori: quello a sud e quello a nord. A sud, la principale via dello shopping era Grafton Street, mentre a nord i fiori all'occhiello erano Henry Street e Moore Street. Una passeggiata avrebbe fugato ogni dubbio su quale delle due fosse la parte ricca della città. La cattedrale più imponente è a sud, l'Ufficio Disoccupazione più grande a nord; il Parlamento a sud, l'Ospedale Comunale e le case popolari a nord. In un bar a nord, una tazza di tè, un panino e una focaccina costano quanto un caffè a sud. La Liffey è la linea di demarcazione tra le due, e perfino lei conosce la differenza tra l'una e l'altra, dato che ammassa rifiuti e liquami sulla sponda settentrionale. A soli dieci minuti a piedi a est di O'Connell Bridge e ad altri tre minuti a piedi a nord del fiume, c'era St Jarlath's Street. L'intera area circostante, i circa due chilometri quadrati del Jarro, prendeva il nome da quella via. Malgrado negli anni Cinquanta e Sessanta ospitasse circa sedicimila persone, nel Jarro si conoscevano praticamente tutti. Di giorno era un via vai ininterrotto di ambulanti, carrozzine e carretti, giacché gli uomini e le donne del posto costituivano il novanta per cento dei commercianti di Moore Street e George's Hill. Inoltre il Jarro forniva forza lavoro sia al mercato del pesce sia a quello delle verdure, mentre il resto degli uomini abili erano portuali, barrocciai o disoccupati. Agnes Browne era una delle commercianti più conosciute e amate di Moore Street. Adorava il Jarro. Era felice di uscire ogni mattina alle cinque dal suo appartamento nella James Larkin Court, col tavolo pieghevole e i cavalletti caricati sulla carrozzina. Quando girava l'angolo all'estremità del vicolo cieco in cui viveva e si trovava di fronte al colore di Jarlath's Street, il volto le si apriva in un sorriso. Fingeva che il bucato steso alla miriade di finestre su entrambi i lati della strada fosse un arcobaleno di bandiere sventolate in suo onore, ogni giorno per un motivo diverso: una volta era una stella del cinema, quella dopo un'eroina di guerra, o addirittura la prima astronauta irlandese che tornava a casa tra gli applausi e le acclamazioni degli amici. Al quinto isolato di St Jarlath's Street, nel punto in cui la via incrociava Ryder's Row, Agnes si incontrava con la sua migliore amica e collega, Marion Monks. Marion era una donna minuta, aveva capelli chiari, viso tondo e lenti spesse come fondi di bottiglia, che facevano sembrare i suoi occhi due minuscoli piselli neri. E dato che al peggio non c'è mai fine, sfoggiava non uno, e nemmeno due, ma ben tre nei marrone scuro in fila sotto il mento. Su ciascuno spuntava un rigoglioso ciuffo di peli, per cui pareva che la poverina avesse la barbetta di una capra. Una sera al bingo si guadagnò il soprannome di «Kaiser», quando le si ruppe il ponte degli occhiali ma riuscì lo stesso a concludere la serata tenendo una lente con una mano davanti all'occhio sinistro e scrivendo con l'altra mano. Insieme, le due «ragazze» spingevano le carrozzine per St Jarlath's Street, dividendosi la sigaretta che Agnes sgraffignava dal pacchetto di Rosso. Era sposata con Rosso Browne da tredici anni e mai una volta il marito le aveva offerto una cicca, perciò, ogni santa mattina da tredici anni, lei si serviva da sé. Prima di giungere al fondo attraversavano la strada e facevano una puntatina alla chiesa di St Jarlath, dove Agnes aveva sposato Rosso e Kaiser aveva sposato Tommo Monks, un uomo alto il doppio di lei, un vero duro, a quanto si diceva tra i portuali. Nessuno avrebbe mai osato mettersi contro di lui, eppure certe sere lo si vedeva tornare a casa con passo malfermo, ubriaco e frignante, preso a borsettate in testa dalla moglie per aver osato definire la suocera «quella cara vecchia culona». Arrivate davanti alla chiesa si fermavano, Marion consegnava ad Agnes ciò che rimaneva della cicca, e saliva la scalinata. Socchiudeva con delicatezza la porta e gridava: «Buongiorno, Dio, sono io, Marion!» La messa delle cinque del mattino era in pieno svolgimento. Del gruppo formato da una trentina di persone solo chi non era del posto si girava, mentre i frequentatori abituali avevano fatto il callo a quell'urlo. Il sacerdote non batteva ciglio, sapendo che Marion aveva i suoi motivi per non andare a messa. Era il suo modo di pregare, ecco tutto. Assisteva alla stessa scena ogni mattina, da otto anni che si trovava lì, e sapeva che sarebbe andata avanti così con o senza di lui. Dopodiché la donna tornava sui suoi passi e le ragazze giravano l'angolo, completando la passeggiata di dieci minuti che le separava dal mercato e dalle loro dodici ore di lavoro quotidiano. A Moore Street si può comprare quasi tutto, con la sfilza di negozi che ci sono, ma sui banchi si concentrano in prevalenza frutta, fiori, verdure e pesce. Agnes e Marion vendevano, giustappunto, frutta e verdura. Per rifornirsi si trattenevano al mercato all'ingrosso fino alle sei e mezza, ma dedicavano solo pochi minuti alla scelta della merce: ormai i commercianti sapevano bene di dover dar loro i prodotti migliori se non volevano pagarne le conseguenze. Il resto del tempo lo impiegavano chiacchierando, mettendosi in pari con i pettegolezzi e risolvendo i reciproci problemi, perché lì, nelle prime ore di un'alba dublinese, si riusciva a trovare il rimedio al rachitismo e la cura per un taglio infetto, o magari si scopriva il segreto per far correre più veloce un levriero strofinandogli sulle zampe uno straccio imbevuto di trementina. Poi, dopo una tazza di tè caldo e una fetta di pane tostato al Rosy O'Grady's Market Café, le due signore si recavano al lavoro, con le carrozzine ancora vuote. Più tardi ci avrebbe pensato Jacko, il fattorino, a consegnare le cassette di frutta e verdura col carretto trainato da un cavallo.
Giunte a Moore Street, le ragazze andavano ai «magazzini comunali». Erano
capannoni antidiluviani, costruiti ad uso specifico dei commercianti in modo che
di notte potessero mettere da parte le derrate da vendere il giorno
successivo. Un magazzino costava cinque scellini al mese.
Agnes e Marion ne avevano affittato uno in due e dividevano la spesa versando
ciascuna due scellini e sei pence.
Tra le sette e le sette e mezza, durante l'allestimento dei
banchi lungo la strada, Moore Street si trasformava in un
alveare operoso. Se il tempo era inclemente, si montavano dei tendoni per
mantenere all'asciutto uomini e merci. Dalle sporte e dalle cassette si tiravano
fuori verdura e frutta, e si lucidavano le mele; ai fiori del giorno prima
veniva accorciato il gambo per dar loro un aspetto più fresco, e i pescivendoli
strofinavano da cima a fondo le lastre
di marmo in attesa dell'arrivo del camion da Howth. Alle sette e mezza, Moore
Street era un giardino che partiva
dall'elegante Henry Street e dalla sua esplosione di fiori
da tutto il mondo – rose, crisantemi, garofani e gigli – per
inoltrarsi verso Parnell Street sfoggiando una gran varietà
di frutta e verdura – dagli avocado alle fragole di stagione – e concludersi con
i pescivendoli, relegati alla fine della
strada, dove tutti potevano vederli ma a nessuno arrivava
il lezzo. Quel rito si ripeteva ogni santo giorno, puntuale
come un orologio svizzero, colorato come le elezioni americane, chiassoso come
un matrimonio italiano e sicuro come una scopata al ballo liscio!
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