Copertina
Autore Piergiorgio Odifreddi
Titolo Divertimento geometrico
SottotitoloLe origini geometriche della logica da Euclide a Hilbert
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003, Nuova didattica Scienze , pag. 272, cop.fle., dim. 147x220x17 mm , Isbn 978-88-339-5714-2
LettoreCorrado Leonardo, 2003
Classe matematica , logica , geometria
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

  7      Prefazione

         Divertimento geometrico


 11      Introduzione storica

         Dimostrazione, 12
         Platone e Aristotele, 12
         Assiomatizzazione, 13
         Costruibilità, 15
         Equivalenza logica, 16
         Rigore informale, 17
         Aritmetizzazione, 18
         Kant, 20
         Purezza di metodi, 21
         Indipendenza e consistenza relativa, 22
         Insolubilità, 27
         Formalizzazione, 28
         Metamatematica, 30

 33 1.   Assiomatizzazione

    1.1. L'impianto del primo libro di Euclide, 33
    1.2. La dimostrazione di Euclide del teorema
         di Pitagora, 36
    1.3. Il resto del primo libro di Euclide, a ritroso, 37

 51 2.   Costruibilità

    2.1. Operazioni sugli angoli, 51
    2.2. Quadratura di poligoni, 52
    2.3. Quadratura di lune, 54
    2.4. Costruzione di poligoni regolari, 62

 66 3.   Equivalenza logica


 69 4.   Rigore informale

    4.1. Uguaglianza di area per poligoni, 70
    4.2. Esistenza di una misura di area per poligoni, 76
    4.3. Algebra di segmenti, 83
    4.4. Teorema di Pappo, 88
    4.5. Teoria della similitudine, 97
    4.6. Una nozione di misura di area per poligoni, 104
    4.7. Misura di area per figure qualunque, 11O

116 5.   Aritmetizzazione

    5.1. Geometria analitica, 116
    5.2. Punti e rette, 118
    5.3. Distanze e segmenti, 121
    5.4. Automorfismi e isometrie, 123
    5.5. Angoli e triangoli, 137
    5.6. Separazione del piano, 143

145 6.   Purezza di metodi

    6.1. Il postulato delle parallele, 145
    6.2. La negazione del postulato delle parallele, 154

162 7.   Indipendenza e consistenza relativa

    7.1. Punti e rette, 164
    7.2. Distanze e segmenti, 171
    7.3. Angoli, 174
    7.4. Riflessioni e triangoli, 176
    7.5. Separazione del piano, 186
    7.6. Allargamento di prospettiva, 187

189 8.   Insolubilità

    8.1. Punti costruibili, 189
    8.2. Criteri di insolubilità, 194
    8.3. Trisezione dell'angolo, 199
    8-4. Poligoni regolari non costruibili,202
    8.5. Quadratura del cerchio, 204

205 9.   Formalizzazione

    9.1. Incidenza, 206
    9.2. Ordine, 207
    9.3. Congruenza, 213
    9.4. Il teorema dell'angolo esterno, 223
    9.5. Parallele, 226
    9.6. Continuità, 227
    9.7. Metro e goniometro, 233

240 10.   Metamatematica

    10.1. (In)dipendenza all'interno dei gruppi di assiomi,
          240
    10.2. Il piano senza una striscia, 246
    10.3. La geometria del taxi, 248
    10.4. La geometria di Moulton o della rifrazione, 253
    10.5. Continuità, 259
    10.6. Categoricità, 262

265 Bibliografia

267 Indice analitico

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

Prefazione


Diceva Newton che per vedere lontano bisogna salire sulle spalle dei giganti: ovviamente in senso figurato, cioè studiando le loro opere. Niente di meglio, dunque, per imparare la geometria, che affrontare i monumentali Elementi di Euclide e i cristallini Fondamenti di Hilbert, che a duemila anni di distanza fra loro hanno sistematizzato l'argomento secondo i canoni di rigore delle rispettive epoche.

Quando dunque, nell'ormai lontano autunno del 1991, mi sono trovato a insegnare un corso sui Fondamenti della Matematica, ho deciso di rivolgermi a questi due capolavori della storia del pensiero, rileggendoli alla luce della mia esperienza personale di logico: concentrandomi, cioè, sulle problematiche che Hilbert stesso aveva inaugurato nel suo libro, e scoprendo con una certa sorpresa le origini stesse della mia disciplina.

Naturalmente, benché il contenuto della matematica sia atemporale, lo stile nel quale essa viene presentata non può che risentire dello spirito dei tempi. Infliggere gli Elementi, e in misura minore anche i Fondamenti, agli studenti costituirebbe dunque un pericoloso anacronismo, e rischierebbe di provocare lo stesso deleterio effetto che i classici della letteratura o della filosofia hanno su di essi.

Fortunatamente, in matematica la rilettura dei classici non richiede la loro lettura: basta che qua1cun altro se ne sobbarchi la fatica, e racconti poi i risultati agli studenti come i genitori fanno con le fiabe per i loro bambini. Questo libro, che già nel titolo rivela un proposito di «calviniana leggerezza», contiene appunto la mia rilettura degli Elementi di Euclide e dei Fondamenti di Hilbert ad usum delphini, cioè per uno studente tipo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 11

Introduzione storica


Lo studio della Geometria, nelle sue varie forme, ha costituito una parte essenziale (e, per secoli, l'unica accettabile) della matematica. Non stupisce, dunque, che proprio nell'affrontare problemi da essa scaturiti e nel tentativo di risolverli si siano introdotti per la prima volta nuovi metodi e nozioni che sono poi diventati patrimonio comune della matematica.

Come si deduce dal sottotitolo del libro, il nostro interesse qui non sta nel trattare sistematicamente una o più parti della Geometria, ma nell'isolare alcuni momenti del suo divenire che hanno interesse da un punto di vista fondazionale: momenti in cui i problemi furono geometrici soltanto per accidente storico, e le soluzioni richiesero innovazioni di natura generale o logica.

I titoli dei capitoli sono stati scelti per suggerire affinità con lo sviluppo della Logica Matematica, in particolare di quelle parti di essa che si sono interessate allo studio dei fondamenti. La conoscenza di tale sviluppo non è però necessaria: anzi, il nostro scopo è appunto quello di mostrare a chi non lo sa (e ricordare a chi lo sa) che le nozioni basilari della Logica Matematica sono scaturite da problemi concreti di matematica vera, e che questi ne costituiscono ancora la migliore illustrazione.

Più in generale, nell'era di vuoto pubblicitario nella quale ci tocca vivere, non solo umanamente ma anche matematicamente, e che ha come fine lo sviluppo e non il progresso, rivolgere uno sguardo alla storia ci insegnerà sia come i cambiamenti profondi si presentino a un ritmo secolare e non settimanale, sia dove stiano le radici e le giustificazioni delle «novità» di oggi.

Incominceremo, in questa introduzione, a tracciare in maniera informale lo sviluppo storico del nostro discorso, che svilupperemo poi in maniera tecnica nei corrispondenti capitoli del libro.


Dimostrazione

Come il suo stesso nome ricorda, la Geometria (da geo, «terra», e metrein, «misura») fu agli inizi agrimensura. Come tale essa riunì una serie di osservazioni che furono scoperte dagli Egizi e dai Babilonesi in modo empirico. Alcune di tali osservazioni erano corrette, ad esempio la formula per il volume del tronco di piramide quadrata (nota agli Egizi), o il teorema di Pitagora (noto ai Babilonesi); altre però erano errate, ad esempio il fatto che l'area di un quadrilatero di lati a, b, c, e d fosse (a+c)(b+d)/4 (come credettero gli Egizi), o che la circonferenza di un cerchio misurasse tre volte il diametro (come credettero i Babilonesi).

La scoperta del fatto che le «intuizioni» matematiche potevano giocare brutti scherzi provocò uno stimolo interno alla giustificazione dei risultati matematici. Uno stimolo esterno derivò dal mutamento politico, quando la democrazia greca sostituì il totalitarismo babilonese ed egiziano: un intellettuale greco non poteva certo accettare di buon grado la soluzione oracolare di un problema, seguita da un «e scoprirai che è così», come nel Papiro di Mosca (che riporta la formula, già citata, per il volume del tronco di piramide quadrata), o da un «questo è il procedimento», come in molte tavolette cuneiformi.

Talete di Mileto (640-546 a.C.), uno dei sette saggi dell'antichità, essendo a conoscenza dell'inesattezza di alcuni dei risultati degli Egizi e dei Babilonesi, introdusse dunque il concetto di dimostrazione, e iniziò uno sviluppo logico (probabilmente intuitivo) della geometria. La sistematizzazione della geometria piana continuò attraverso Pitagora di Samo (580-500 a.C.), e si concluse con gli Elementi di Ippocrate di Chios (440 a.C.) che, sebbene perduti, si ritiene coprissero i primi quattro libri degli Elementi di Euclide (300 a.C.).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13

Assiomatizzazione (Capitolo 1)

I tempi erano ormai maturi per un trattamento della geometria piana in forma rigorosa, secondo il modello assiomatico introdotto da Eudosso (408-355 a.C.), il più grande matematico dell'antichità dopo Archimede (e inventore del metodo di esaustione e della teoria delle proporzioni), e sistematizzato da Aristotele.

Euclide, basandosi sugli Elementi di Ippocrate, produsse i libri I-IV dei suoi Elementi. Questi (che non si limitarono alla geometria, piana e solida, ma inclusero anche le teorie dei numeri e delle proporzioni) divennero il testo sacro della matematica greca, e conobbero una fortuna editoriale rivaleggiata soltanto dalla Bibbia (nelle sue diverse versioni), a testimonianza della secolare attrazione degli opposti estremismi (pensiero razionale e fede).

Per quanto riguarda la deduzione, Euclide è esplicito nel separare le assunzioni dai teoremi. In ciò egli segue Aristotele, che vide chiaramente che «non tutto può essere dimostrato, perché questo porterebbe ad un regresso infinito» (Metafisica).

Euclide separa anche, da un altro punto di vista, logica e matematica. In particolare, le assunzioni sono divise in assiomi logici (detti anche nozioni comuni) e postulati matematici. Anche qui Euclide segue Aristotele, che distinse le verità comuni a ogni scienza deduttiva da quelle proprie di una particolare scienza.

I postulati geometrici di Euclide sono solo cinque, ancora in accordo con Aristotele, secondo il quale «le scienze basate su poche assunzioni sono le più esatte» (Metafisica). La loro genesi si può facilmente immaginare: il libro I si conclude con il teorema di Pitagora (e il suo inverso), e si può leggere all'indietro come lo sviluppo dei risultati necessari a permettere la dimostrazione che Euclide aveva in mente (metà delle proposizioni precedenti sono usate nella dimostrazione). Questo procedimento di derivazione dei postulati (dalla soluzione di un problema) è caratteristico dell'assiomatizzazione matematica, ed è contrapposto al procedimento detto di rigore informale (vedi capitolo 4).

Anche le nozioni comuni sono cinque, una delle quali (3: cose uguali rimangono uguali se vengono loro sottratte cose uguali) era stata citata esplicitamente da Aristotele come esempio di verità logica.

Per quanto riguarda la sintassi, Euclide non separa invece nozioni definite da nozioni indefinite. Così egli cerca di definire punti e rette, con definizioni che non definiscono nulla (un punto è ciò che non ha parti, una retta è ciò che ha solo lunghezza). Č interessante notare che proprio tali definizioni erano già state criticate come insoddisfacenti da Aristotele, nella sua discussione su punti e rette. Egli aveva esplicitamente avvertito che è compito dei postulati e degli assiomi enunciare le proprietà essenziali delle nozioni indefinite.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 30

Metamatematica (Capitolo 10)

Nel suo libro, Hilbert non soltanto introdusse un sistema di assiomi che permise di ricuperare Euclide rigorosamente, ma compì un salto di qualità: il sistema di assiomi divenne un oggetto di studio a sé stante, e l'interesse si spostò dai teoremi del sistema ai teoremi sul sistema.

Così facendo, Hilbert pose sulla carta tutta una serie di problemi per sistemi assiomatici che sarebbero diventati classici nella metamatematica posteriore:

- indipendenza, esemplificata dalla storia del postulato delle parallele;

- consistenza (esiste un modello), corrispondente al passaggio dalla considerazione dell'Essere-come-Essere di Aristotele all'Essere-come-Possibilità di Kant, e necessaria in seguito all'abbandono della richiesta di «verità» degli assiomi (che forniva automaticamente un modello privilegiato, e dunque la consistenza);

- completezza (ogni modello soddisfa le stesse proprietà), per giustificare ragionamenti sulle figure come quelli di Euclide: ciò che vale in un modello, vale in tutti i modelli;

- categoricità (c'è un solo modello di una data cardinalità, a meno di isomorfismi), per assicurare che gli enti (non definiti esplicitamente) di cui si parla siano almeno definiti implicitamente (a meno di isomorfismo).

Le ultime due proprietà furono introdotte, rispettivamente, da Veblen nel 1904, e da Edward Huntington (1874-1952) nel 1902.

Tali problemi hanno generato il bisogno di una gran quantità di modelli: un modello di tutti gli assiomi ne dimostra la consistenza (relativa), un modello di tutti gli assiomi meno uno dimostra l'indipendenza di quest'ultimo dai rimanenti, un isomorfismo tra due modelli qualunque (della stessa cardinalità) dimostra la categoricità, e dunque anche la completezza (una teoria può però essere completa senza essere categorica). In particolare, si scoprirono varie geometrie, ad esempio geometrie finite, non-archimedee, non-desarguesiane, ecc.

Per quanto riguarda le geometrie euclidea e iperbolica, i sistemi assiomatici di Hilbert si rivelarono (previa introduzione di coordinate, cartesiane nel primo caso e di Beltrami nel secondo) categorici, e dunque ammettenti essenzialmente un solo modello. In particolare, l'isomorfismo dei modelli di Beltrami-Klein e di Poincaré risultò essere non una fortunata coincidenza, ma una necessità intrinseca della geometria iperbolica.

Per quanto riguarda la consistenza, le geometrie euclidea e iperbolica sono, come abbiamo visto, equiconsistenti. Il modello analitico di Hilbert della geometria euclidea ridusse la consistenza della geometria a quella dell'analisi. Il problema della consistenza dell'analisi divenne noto come il secondo problema di Hilbert, ed è stato uno stimolo per le maggiori ricerche logiche di questo secolo: tentativi rivolti alla sua soluzione, almeno parziale (ad esempio, la consistenza dell'aritmetica) risultarono nel programma di Hilbert, nei teoremi di Gödel, nella teoria della dimostrazione di Gentzen, nell'indipendenza dell'Ipotesi del Continuo di Cohen, e nel lambda-calcolo polimorfo di Girard.

Il libro di Hilbert si può dunque a ben diritto considerare, oltre che un punto di arrivo di uno sviluppo assiomatico della geometria, anche come un punto di partenza della moderna metamatematica.

| << |  <  |