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| << | < | > | >> |Pagina 3- ... l'ora di andare. Alzati.Il padre lo strattonò sul gomito che sporgeva dalle lenzuola. Era presto, molto presto. Marco guardò verso le persiane: la luce sulla piazza era ancora accesa. - Vestiti pesante. Fa freddo... - gli disse il padre, mentre usciva dalla stanza. Marco sbadigliò, il letto era caldo. Gli spiaceva alzarsi e lasciare lí i suoi sogni. Anche quelli tristi. Ma la giornata sarebbe stata lunga. E piú lunga ancora se avesse fin da subito contribuito a peggiorare l'umore del padre. S'infilò le calze. i pantaloni, il maglione e andò in cucina. Il padre stava riempiendo una borsa con pane, salame, una bottiglia di vino e una d'acqua. Marco guardò i fuochi. Erano spenti. Guardò la sua tazza piena di latte. Disse: - È freddo -, poi si morse la lingua, girando le spalle al padre. - Mettici dello zucchero, ti riscalderà. Non perder tempo. Marco bevve il latte in piedi guardando oltre il bordo della tazza, verso l'angolo della cucina dove c'erano il fucile e la cartucciera. Non gli piacevano i fucili. Non gli piaceva la caccia. Lui aveva paura dei cinghiali. E non gli importava niente che i cinghiali entrassero per le fasce a mangiare patate o ranuncoli. Al padre la caccia piaceva. E odiava quei cinghiali che gli entravano nei coltivi e nell'orto. - Non perdiamo tempo. Hai finito di bere? Prendi la giacca.
Marco raccolse lo zucchero sul fondo della tazza con il
dito e andò a staccare la giacca di cuoio dal chiodo.
Uscirono, padre e figlio, in un'aria di cartavetro. Il
padre si tirò su il bavero e il figlio si chiuse i bottoni.
Era notte, era un buio spesso di blu. Cominciarono a salire
verso Ciabauda, il padre portava lo zaino in spalla e teneva
il fucile sotto l'ascella. Marco gli camminava dietro,
cercando di allontanare il torpore che ancora l'avvolgeva e
trattenere il tepore del letto intorno allo stomaco, dove
gli si era fermata, come un grumo, la scodella di latte.
L'alba sul mare tardava. Era inverno, mancava poco a Natale. Pensando a Natale Marco ebbe un brivido. Il primo Natale loro due da soli, senza la madre. Chissà se poteva fare ugualmente il presepe in cucina e il pino in sala. Chissà se il padre gliel'avrebbe permesso. Magari avrebbe voluto che fosse un giorno come un altro, simile a quelle domeniche in cui non salivano piú alla messa e lui se ne andava a lavorare come nei giorni qualsiasi. - Allunga un po' il passo, dài... Marco s'affrettò, cercando di non inspirare troppa aria, sapeva ancora tanto di notte e terra umida. Per non pensare al cinghiale si sforzò di ricordare dove fosse la scatola del presepe. Era la madre a custodirla. Ogni anno era lei a riporre nel cotone il bambino, il bue e l'asinello, ad avvolgere nella paglia i pastori e i re magi, a proteggere le piccole palle di vetro per l'albero e il puntale con la stella. Era lei che a metà dicembre portava la scatola in cucina e ripuliva le piastrelle vicino al piano del putagè che avrebbe ospitato la piccola processione di pastori e pecorelle verso la capanna di legno. Quest'anno no. Non sarebbe piú stato cosí. Marco provò a pensare come sarebbe stato.
- Fai attenzione a dove metti i piedi.
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