Copertina
Autore Nico Orengo
Titolo La curva del Latte
EdizioneEinaudi, Torino, 2002, Supercoralli , pag. 216, dim. 140x220x22 mm , Isbn 978-88-06-16180-4
LettoreAngela Razzini, 2002
Classe narrativa italiana
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Pagina 3

Rimbombò come un grido di guerra. Come uno di quelli che si allargavano sulle pagine di Pecos Bill, lanciati dai sioux o dai comanche. Dapprima sembrò prendere la via del cielo, in direzione del Gran Carro, poi se ne tornò giú a fuoco d'artificio sopra i pini della Miruna, aprendosi come una scheggia di granata verso la Punta della Nave, quella di Begliamino e oltre.

Un grido violento e straziante che sembrò scuotere la piatta del mare e le fronde degli ulivi e le stelle appese in cielo. Einbow. Un grido che tuonò anche di una interna, faticata gioia. Poi si spense senza eco e la notte tornò bellissima e normale, una notte di primo settembre con l'aria ancora dolce di gelsomino e oleandro, di profumo di vigna carica di rossese. In quel silenzio che l'onda corta si stava riprendendo a carezze sugli scoglietti di Mamante, si chiuse una persiana e una voce incolore disse:

- È nato.

Se nessuno accennò, nei giorni, nei mesi successivi, a quel grido, molti invece sembrarono notare, dopo quella sera, strani avvenimenti. Per esempio giú a Latte la fontana della Benella si era messa a buttar acqua solo al pomeriggio: come se alla mattina, e proprio quando la gente se ne arrivava con fiaschi e secchielli, qualcuno dall'alto, verso il Gran Mondo, mettesse un piede o un tappo alla fonte. A Piematún invece era seccato un grappolo su due nelle vigne del vermentino: sembrava quasi che una lingua di fuoco sí fosse messa a contare come in una filastrocca della maestra Canzani «tu si, tu no». Giú ai Balzi Rossi ci fu, e solo lí, un'invasione di meduse che impedí ai pescatori, per almeno una settimana, di mettere i gozzi in mare; mentre, senza che fosse piovuta una sola goccia d'acqua, cominciarono a sbucare funghi nel sottobosco di Hanbury, oltre la via romana.

Ne parlavano al bar del Ponte, dal barbiere, in ferramenta. Parlavano del raccolto dimezzato di Petrini, della possibilità che qualche furbo, di sicuro un calabrotto, stesse succhiando, per i suoi garofani o per i carciofi o i crisantemi, acqua dalla Benella. Parlavano di quei cestini di funghi davvero buoni, davvero tanti, che avevano messo a seccare e avrebbero chiuso in burníe, sott'olio, con i pomodori. Discutevano i pescatori che si erano consigliati con la capitaneria di Imperia e Monaco su quell'assalto di meduse in un mese non piú caldo e della loro forma, quasi un becco di gallo soffiato a Murano, cosi insolita, mai vista. E si chiedevano, consultando il Chiaravalle e Frate Indovino, che mese fosse mai quello e se fosse passata una cometa o se oltre il Golfo del Leone fosse accaduto qualcosa di vulcanico, se dall'Africa ci fosse stato sentore di una tempesta magnetica.

Ma nessuno di loro accennò a quel grido, a quell'«einbow» urlato al cielo e caduto senza un tonfo. Come se nessuno l'avesse sentito, o non osassero dire che c'era stato.

E furono in molti a udirlo. Ma, per ragioni diverse, allora non osarono confessarlo. Perché i piú erano dove non era il caso che fossero, o in compagnia di persone con cui era pericoloso o illecito o indelicato che fossero.

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Pagina 49

Martí ne aveva viste troppe in quegli anni, per poter accettare anche i cinghiali. I tedeschi gli avevano ucciso un fratello, i genitori erano saltati sulle mine, giú in pineta, mentre andavano a far legna. Tanta solidarietà dal Partito ma al momento, per esempio, di entrare in dogana gli era stato preferito Sebastiano, un «quadro», gli avevano detto, che veniva da Bordighera e aveva avuto rapporti con i maquis di Nizza, e che lí in frontiera poteva tornar utile per i collegamenti con la Francia ed eventuali problemi di espatrio clandestino. Martí aveva sparato anche lui in Val Roja e dunque chiedeva riconoscenza. Lo aveva detto in Sezione, piú volte, che gli dessero un impiego in Comune o alle Poste. Ecco, a lui piaceva stare all'aria aperta, gli sarebbe andato bene fare il postino giú a Grimaldi: aveva giusto salvato una bicicletta dall'occupazione, murandola in un sottoscala. Avrebbe potuto girare i paesi. Non lo avevano aiutato neanche in quel caso lí. Il posto era finito a Efisio. E questo Martí poteva accettarlo, ma Efisio era sciancato, stava a malapena in equilibrio sulla bici e la posta rimaneva quasi sempre in ufficio. Non lo potevano mettere dietro un bancone? Libero gli aveva detto di pazientare. E lui aveva pazientato. C'era disorganizzazione generale, e poi il Pci doveva star coperto, non fare paura, occupare discretamente alcuni posti-chiave «sul territorio». Cosí, persa ogni speranza in un impiego, aveva ripreso a coltivare un po' di fasce magre, d'ulivi, calendola, ginestre, un po' di orto, mentre Angela continuava a far la levatrice, saltuariamente, perché tutti sembravano esser diventati sterili, e andava a fare qualche ora giú al ristorante da Ettore.

Martí non avrebbe lasciato passare i cinghiali, gliel'avrebbe fatta pagare cara.

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Pagina 64

Libero aveva grande stima della maestra Canzani. Era uno spirito intellettuale non conformista. Certo non una democristiana, anche se manifestava simpatie per De Gasperi. Non la si poteva definire una compagna, ben prima di Kruscev aveva detto che Stalin era da condannare. Bisognava considerarla uno spirito libero, una che se la prendeva con i francesi e gli inglesi per il Canale di Suez, ma anche con i carri armati russi che entravano a Budapest.

Forse era un po' anarchica o soltanto scettica, anche se il suo impegno nell'educare i bambini veniva considerato esemplare da tutto il paese. A Libero piacevano la sua dialettica e la sua cultura, e quando voleva mettere a fuoco un'idea o provarne la resistenza andava a trovarla, portandole un mazzo di fiori o dei rami. Perché la maestra Canzani aveva un vero culto per i fiori.

- Libero, diciamocelo, il fatto che la Jolanda si sia tenuta il bambino, oltre ad essere un atto d'amore è anche un gesto coraggioso, no?

Libero aveva posato il mazzo di rose sull'acquaio in cucina e si stava bevendo, con poca soddisfazione, una tazza di tè. La maestra era andata a cercare un vaso e gli parlava andando e venendo dalla sala alla cucina.

- Quel vostro Togliatti lí vi sta facendo diventare dei borghesi. E voi, tra Fanfani e il Bonomi con la Coldiretti e la Federconsorzi, siete messi male in città e in campagna.

- Abbiamo la responsabilità di una democrazia, uscita da una lotta di liberazione antifascista, dalla Resistenza.

- Si, si, ma quella mica l'avete fatta da soli, voi comunisti.

Era meglio tornare al discorso sulla maternità di Jolanda. E Libero disse: - I comportamenti individuali, lei mi insegna, sono importanti. Quello di Jolanda è...

Libero non trovava o non voleva darne la definizione.

- Un cattivo esempio, un esempio di immoralità, un esempio rivoluzionario... si può definire in modo diametralmente opposto. Dipende dall'occhio che guarda e dalla testa che possiede quell'occhio.

- Diranno che è l'immoralità comunista, liberi costumi.

- Jolanda è una compagna? - chiese la maestra.

- I suoi genitori erano socialisti. Lei è sempre venuta alle nostre feste. Ha sempre preparato le coccarde. Ma una storia cosi non è che piaccia alle nostre donne dell'Udi, è vero. Siamo pur sempre un paese...

- Il paese si terrà lo scandalo, allora, - disse la maestra Canzani. - E quando capirà che magari è una scelta personale o un trauma a cui dare solidarietà fraterna, allora, forse, sarà un paese migliore.

Sì, forse aveva ragione lei, pensò Libero, però non era cosí semplice, di mezzo c'era una guerra, fredda quanto si voleva, ma infida.

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Pagina 113

Libero, seduto in un angolo, ascoltava infastidito. Quelle continue beghe fra socialdemocratici e socialisti, fra socialisti e comunisti, gli facevano rimpiangere il temPo in cui i nemici erano i nazi e i fascisti, e quelli che erano dalla stessa parte non dovevano esibire troppe sfumature, linee programmatiche. Erano tutti compagni di lotta. Eppure anche allora bastava passare dal terreno ai Comandi e i rapporti si facevano subito piú complicati.

Nella sua visione pacifica e lineare della vita, Libero vedeva un solo partito non borghese, un partito dei lavoratori, un partito della sinistra, unito e forte. E si chiedeva perché non doveva essere possibile. Non voleva dirselo, ma la risposta forse era perché esistevano uomini come Ercole: agitatori insoddisfatti, che cercavano lo scontro in nome di un uomo nuovo, di una società perfetta. Uno cosí non era mai vissuto in campagna, non era andato a pesca o a caccia. Ma forse lui la stava facendo troppo semplice, come uno che non aveva studiato tanto, che si trovava naturalmente dalla parte dei piú deboli. E poiché i forti e gli oppressori aumentavano, forse anche l'aggressività di Ercole era necessaria. Ma quella era una spirale che non gli piaceva.

Libero venne scosso dai suoi pensieri da una frase di Ercole: - Per fortuna abbiamo anche una buona notizia, clamorosa, una notizia che ha costretto il compagno Longo a fermarsi a Mosca. Scoppierà domani su tutti i giornali del mondo. Compagni, il Partito chiede tutto il vostro impegno per supportarla...

Libero si fece piú attento. Cosa stava per accadere?

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Pagina 126

Il compagno Ercole era furibondo. Andava su e giú per lo stanzone imprecando coloritamente.

- Questo è disculo. Questo è un complotto. Possibile che non appena si ottiene un successo a livello internazionale, qui, in questo buco del mondo, ci cada addosso una simile tegola? Abbiamo le regionali in vista con i socialdemocratici che van per conto loro, Nenni e i suoi che tentennano, Pertini che come al solito fa di testa sua, e noi? Noi fabbrichiamo mostri. Sì, perché adesso la favola che gira è che i comunisti creano dei mostri. Se non ci diamo da fare, tra un po' la gente vedrà mostri dappertutto, fabbricati dai comunisti con i raggi dello Sputnik.

Ercole guardava in faccia i compagni, uno per uno. E ognuno si sentiva trafitto e in colpa. Dentro di sé ora erano indecisi se maledire quella sfera che continuava a girare sulle loro teste.

- Dalla Curia sono partite direttive, - continuava Ercole. - Moltiplicare rosari, messe, far uscire le Madonne per le strade contro i comunisti e le loro macchinazioni diaboliche. Hanno mobilitato tutte le associazioni religiose. Bisogna controbattere, compagni, o si va incontro a una disfatta.

Ercole era stato chiaro. Ma cosa fare? Gli uomini della cellula di Latte guardavano Libero e Libero disse che una soluzione andava trovata, che ci avrebbe pensato. Una soluzione razionale. Aveva già attivato un vecchio canale riservato e nel prossimi giorni aspettava la visita di un compagno di Marsiglia.

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Pagina 176

Lo avevano soprannominato Balabin non perché fosse un re del tango o di mazurca ma perché possedeva un equilibrio da stambecco, e i piú maligni dicevano: anche le corna. Balabin passava le sue giornate in piedi sulla prua o sulla poppa del suo gozzo, la Santalucia, su e giú per la costa, tra Ventimiglia e Ponte San Luigi, a ispezionare i fazzoletti di terra. Golosamente si annotava i punti panoramici, strade e sentieri di collegamento con l'Aurelia. Abbinava i lotti ai piccoli proprietari, ne scandiva fortune e sfortune, parentele, età. Poi sognava di strappar rose, garofani, ginestre, mimose e sostituirle con villette, studiò, alberghi e financo condomini. Sognava mille finestre e balconi affacciati sul mare come tanti occhi bisognosi di libertà, di una visione senza confini, con il premio, chissà, di vedere un mattino presto là in fondo in fondo galleggiare, come un'«ile flottante», la Corsica.

Balabin sapeva che il suo sogno a portata di sguardo era possibile, ma richiedeva pazienza. Comunque era importante, per quando i tempi fossero stati maturi, farsi trovare preparato. Cosi Balabin, quando era a terra, beveva un pastis con chiunque, neri, bianchi, rosa o rossi che fossero, tanto sapeva, e quella era stata la sua prima sicurezza, che molti di loro, al di là dei latrati in piazza, al mercato dei fiori o in Consiglio comunale, si sarebbero trovati con i loro grembiulini nella Loggia della Città Vecchia a discutere con i fratelli di Mentone e di Nizza.

E se a forza di pastis gli succedeva di andare via ubriaco, sapeva che, come in mare c'erano correnti di largo e di terra, cosi oltre la riva c'eran gli odori di casa: e lui aprendo il naso sapeva che dal bar inseguendo la buganvillea arrivava al gelsomino e dal gelsomino poteva spostarsi al fico e dal fico infilare il nauseabondo degli oleandri per poi afferrare l'aspro della lantana e precipitarsi finalmente nel letto, dove c'era e non c'era la Cinzia, che aveva conoscenze, come amante del sindaco.

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