Copertina
Autore Nico Orengo
Titolo Gli spiccioli di Montale
SottotitoloRequiem per un uliveto
EdizioneEinaudi, Torino, 2001 [1992], I coralli 156 , pag. 62, dim. 135x210x6 mm , Isbn 978-88-06-15886-6
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe narrativa italiana
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Pagina 3

Telefona Guido Davico: un suo lontano parente, il pittore Bertello, ha bisogno di una presentazione per una mostra che deve fare. Telefona, subito dopo, Bertello: combiniamo di vederci martedi pomeriggio.

A colazione vado al Monferrato con Paolo Conte, parliamo del suo libro, Le parole, uscito da Allemandi, dove ha raccolto tutte le canzoni. Lo porto alla «Stampa», deve dettare un pezzo sul sax. C'è già Andrea, mi parla del suo progetto. Mi chiede se gli faccio un libro sull'acquarello. Chiede: «Fai ancora gli acquarelli?»

Chissà dove è finita la scatola in mogano di Winsor & Newton... Mentre la cerco nella memoria gli rispondo di sí, che li faccio ancora e che gli farò volentieri un piccolo libro sull'acquarello. Martedí, mentre porto Vladimiro all'asilo incontro Danila Cremona. Mi ricorda che devo lasciarle la nota per la mostra di Italo che faranno i Riccio a «Le immagini». Le prometto, mentendo, che già l'ho pronta, che ho solo da batterla a macchina.

Alle 13,30 vado da Bertello. Ha uno studio in via Madama Cristina; era, ai primi del Novecento, di Ugo Gheduzzi, con un grande camino-scultura di Antonio Rubino. Il pavimento è a listelli di legno larghi, le vetrate, ampie, sono protette da tende bianchissime e il sole si smorza in luce tiepida.

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Pagina 15

L'acquarello è un'impressione profonda che vive in superficie e trasparenza: lí sul tavolo, nella grande sala con il camino, avevo riempito ciotole bianche d'acqua, bicchieri con matite di pietra di Gibilterra, pennelli di martora, Winsor & Newton, c'era anche il numero 7, amato dalla regina Vittoria, il Manuale pratico di acquarello di Ettore Maiotti, pubblicato dalla Fabbri. E, distesi, i fogli Fabriano.

I godets di colore erano tanti. Ricordo che c'era il blu Anversa, il blu oltremare, il blu Winsor; c'era il giallo limone, l'aureolina, la lacca di garanza, il cremisi di alizarina, la malva permanente, il giallo di Napoli, il verde di Prussia, la terra di Siena, il rosso di Venezia, il verde oliva.

I pallini dei cacciatori impiastricciavano i vetri con gocce di rosso indiano, l'umido non avrebbe consentito sovrapposizioni veloci di colori, come sarebbe accaduto sulla Piana di Latte, sotto il sole dell'ultimo lembo di sud provenzale. Forse non era lí a Cherasco il luogo dove provare quell'acquarello. Se era giusta la distanza non lo era il clima, intriso a lacrime di sangue.

Ma era anche giusta la distanza? Una perdita, una ferita, o una storia, va vista da lontano?

Bisogna stare ai margini del suo palcoscenico, stare fisicamente in un luogo altro che, seppur al presente, ne costituisca già la memoria?

Per scrivere il «giardino incantato» di quando abitavo natura e stagioni, avevo dovuto subirne il distacco e le parole si erano fatte sature di quella distanza, di quella impossibile continuità. Se fossi ancora vissuto in Liguria, nel Ponente, sulla Piana di Latte, o a Mortola, forse non avrei scritto una parola, non sarei stato costretto a tradurre in parole le zigurelle che colorano gli scogli di Punta Beniamin, né le mormore che girano sui fondali di Mamante, o i voli dei beccafichi sulla via romana, o quelli dei rondoni che arrivano assetati, esausti, da Bonifacio sugli uliveti di Mentone.

Il distacco, quella ferita, mi aveva fatto scrivere. A Torino, fra orari di lavoro, assenza di stagioni, ero tornato a pescare i pampani nei pomeriggi immobili del caldo d'agosto, avevo cercato i magazzini dei fiori, alla sera, quando ridendo, scherzando, uomini e donne preparavano i mazzi per il mercato di Ventimiglia e Sanremo; avevo cercato le storie dei giardinieri di sir Hanbury, nascoste fra i sentieri di Mortola.

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Pagina 32

«Aquarelles extra-fines, boites de 22 demi-godets, Winsor & Newton, fabricant des meilleurs matériaux pour artistes peintres depuis 1832». Cosi recitava la dicitura sulla scatola di cartone che avevo comprato da Bianco & Marzano. Dentro, secondo le indicazioni di Bertello, c'era il Vandyke Brown, Row Umber, Burnt Umber, Sepia, Raw Sienna, Yellow Ochre, Cadmium Yellow Pale, Cadmium Lemon, Sap Green, Winsor Emerald, Viridian, Cobalt Blue, French Ultramarine, Indigo, Cadmium Red, Vermilion, Alizarin Crimson, Carmine. Rimanevano due scomparti vuoti. I pennelli Da Vinci erano uno del 10 e uno, in pelo di bue, molto grande, del 28. Mi sembrava sgraziato, sarebbe andato bene per dipingere una seggiola o una porta. Io volevo stare in dimensioni piú minute. Mi illudevo di poter dominare uno spazio ristretto, come lo scrivere un racconto invece di un romanzo. In un racconto tutto è essenziale, in un romanzo si può, si devono fare digressioni. Il racconto e come una stanza, ci deve essere un letto, un armadio, una sedia, una lampada, un quadro. Il romanzo è come una casa, ha bisogno di cantine, di sottoscala, di soffitte, corridoi: è lí che circola l'aria del romanzo, il tono.

Fisicamente sono nella stessa situazione di qualche anno fa. Sono seduto al tavolo dello studio. Do le spalle alla Piana di Latte. È marzo. Sul mercato di Mentone sono apparse le prime fave, alla pescheria dell'Océan ci sono sardine e coquilles Saint-Jacques, ricci, ostriche. Da Ugo a Grimaldi si mangia la capra con i fagioli. I limoni profumano piú della mimosa e piú della ginestra. Le giornate hanno preso un colore azzurrino, ma all'orizzonte c'è un muro di umidità grigio. Ci vorrebbe un po' di Mistral per asciugare il mare e trasformarlo in un grande pesce argentato e guizzante.

Quel pennello del 28 non mi piace. Già non mi era piaciuto nel negozio di Bianco & Marzano fra le dita della minuta signora bionda. M'era parso eccessivo, qualcosa di lontano dall'eleganza dell'acquarello, estraneo all'idea di un'arte da impressione e, perché no, da passeggio.

Telefono a Bertello, per saperne di piú, non risponde. Lo dico ad Adriano, maitre dell'albergo Eden, gran dilettante di pittura, cinematografia, musica, testimone di una belle-époque in Costa Azzurra, morta con gli anni Cinquanta e il boom della Seicento.

Anche lui non ama i pennelli grandi. In Riviera, mi dice, li usa Porcheddu. Lui è per quelli sottili, lavora sul foglio asciutto, in piccolo formato. Vorrebbe arrivare, anche lui, alle poche, definitive, pennellate. Ma quel momento non è ancora arrivato.

Gli racconto di Cézanne. Negli ultimi mesi della sua vita parlava con un ulivo, aveva con lui una preghiera quotidiana. Gli dico che, diventato ulivo, poteva disegnare, senza staccare il pennello dalla tela, quell'ulivo e tutti gli ulivi del Mediterraneo, come l'anima eterna della pianta-ulivo.

«E noi che siamo umani?» chiede, sorridendo, Adriano.

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