Copertina
Autore Osho
Titolo La mente che mente
SottotitoloCommenti al Dhmmapada di Gautama il Buddha
EdizioneApogeo, Milano, 2004 [1997], , pag. 234, cop.fle., dim. 135x210x15 mm , Isbn 978-88-503-2289-3
OriginaleThe Dhammapada - The Way of the Buddha by Osho [1979]
LettoreCorrado Leonardo, 2004
Classe religione
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Indice

Prefazione
Buddha: un uomo libero e felice                       1

Primo discorso
Siamo ciò che pensiamo                                9

Secondo discorso
Una sedia vuota                                      31

La prima domanda
    Amato Maestro, una sedia vuota una hall silenziosa
    una introduzione al Buddha - quanta eloquenza!
    Che cosa rara!                                   31

La seconda domanda
    Amato Maestro, si tratta di questa sensazione che
    percepisco come se fosse sempre stata presente,
    ma non appena la sento, sembra remota...
    di che si tratta?                                36

La terza domanda
    Amato Maestro, qual è il tuo hobby?              40

La quarta domanda
    Amato Maestro, questa mattina, quando ti sei rivolto
    a noi chiamandoci: «Miei amati bodhisattva», in quel
    momento ho avuto la sensazione che fosse
    effettivamente così, che fosse vero. Ma in seguito,
    perfino la possibilità che noi, un giorno, si possa
    diventare bodhisattva, è sembrato un sogno...    42

L'ultima domanda
    Amato Maestro, di recente la stampa ha pubblicato
    una valanga di assurdità su di te e su ciò che accade
    nel tuo ashram. La cosa mi ha in un certo qual modo
    infuriata, perché esiste una distanza remota
    dalla realtà dei fatti. Le lettere di risposta
    a quegli articoli non sono state pubblicate. Certo,
    so che questo non ti tocca minimamente. È questo il
    momento in cui Gesù dice di offrire l'altra guancia?
                                                     44
Terzo discorso
    Vero o Falso                                     51

Quarto discorso
    Semplice fortuna, immagino!                      75

[...]

 

 

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Pagina 1

PREFAZIONE

Buddha: un uomo libero e felice


Gautama il Buddha non predicò una religione, né insegnò una filosofia intesa come sistema di pensiero. Ciò che fece fu molto più semplice e, al tempo stesso, estremamente più complesso: diede all'umanità una pratica in grado di liberare dall'infelicità che pare contraddistinguere il nostro esistere, spiegando al tempo stesso i motivi di tale infelicità e i meccanismi che la reiterano nel tempo e la tramandano di generazione in generazione.

A causa di una certa malformazione mentale, l'Occidente ha recepito il messaggio del Buddha in maniera distorta, sfigurandolo, vuoi perché radicato in valori diversi, vuoi perché incapace di uscire da abitudini mentali acquisite, vuoi perché immerso in quella ignoranza di cui Buddha parla, e alla quale egli riconduce l'esistenza e il generarsi di qualsiasi male.

Buddha si limita a osservare l'evidenza dei fatti: tutto ciò che esiste, se considerato in base alle apparenze esteriori, è intaccato dall'illusione. Essa si manifesta agli uomini come transitorietà: 'anicca', il cui significato è 'niente dura', tutto è impermanente, e pertanto là dove si insiste a usare nomi e a parlare di 'essere' sarebbe molto più corretto parlare di 'divenire', se non lo si fa, ci si abitua e ci si identifica con qualcosa che non esiste e che ci porterà inevitabilmente a soffrire ogni volta che la vita afferma se stessa per ciò che è. E la verità è questa: tutto scorre, la vita è un fluire, ogni cosa muta incessantemente - la vita diviene morte, la morte diventa vita - voler fissare in quel flusso una solida dimora significa porgere il fianco a una sofferenza immane, inevitabilmente, ovvia, evidente.

Intellettualmente è facile capirlo, oggi, visto che la fisica moderna è giunta alle stesse conclusioni: la materia non ha alcun 'mattone' fondamentale, di fatto essa è solo un modo di essere dello Spazio, la cui esistenza, il cui significato è ancora tutto da stabilire.

Per ignoranza, tuttavia, da un punto di vista esistenziale, noi insistiamo nel voler essere un io, e questo significa appunto voler fissare una dimora stabile in quel fluire; ecco perché la nostra vita è sofferenza: 'dukkha', un senso di imperfezione e di incompletezza che ci accompagna, poiché sentiamo di essere 'separati dall'amato e legati a qualcosa che non amiamo'. Ed ecco il susseguirsi di frustrazioni, di angosce, di traumi, prodotti da una persistente ricerca di completezza e di felicità nella direzione sbagliata, in quanto crediamo che qualcosa di esterno a noi dovrebbe, potrebbe finalmente acquietarci, renderci felici.

Il sommarsi di sofferenze, l'esperienza del dolore, incitano a ricercare altrove, dando al tempo stesso una lucida e chiara coscienza di tale e tanta illusorietà. Se non si conosce una via d'uscita, tale stato diventa patologico: si precipita in una coazione a ripetere che spinge a ricercare esperienze che confermino i presupposti su cui fondiamo la nostra vita, autocreando così ciò che temiamo maggiormente. Infatti, proiettando un futuro fatto di negazioni e paure, in funzione di un passato in cui abbiamo vissuto nell'insoddisfazione, di certo 'ciò che pensiamo' si avvererà! Ecco quindi la prima evidenza su cui Buddha mette l'accento: 'Siamo ciò che pensiamo...".

È a questo punto che il Buddha, le sue intuizioni e il suo esercizio della consapevolezza risultano preziosi. Per questo motivo, licenziare la sua analisi della vita e dei meccanismi della mente come 'estremo pessimismo' è fuorviante: significa essersi fermati alla superficie di quello che Buddha dice ed intende trasmettere, ma è proprio questo che è accaduto, e che spesso si tende ancora a fare.

In realtà, una volta messa a fuoco l'evidenza dei fatti della vita; proprio ponendo l'accento sull'esperienza di sofferenza che la negazione di una certa Legge Universale implica, facendo leva sul fallimento che accompagna il voler cogliere il frutto della vita nel mondo esteriore, Buddha invita a cambiare rotta, a rivolgersi a se stessi per ricercare in sé - e oltre il sé che crediamo di essere quell'elemento immutabile, o 'radice' delle cose che, egli dice, esiste ed è raggiungibile: 'In verità esiste un non nato, non causato, non creato, non formato. Se non vi fosse, non sarebbe possibile in questo mondo l'emergere di un nato, di un causato, di un creato, di un formato. Ma dal momento che esiste un non-nato, non-causato, non-creato, non-formato, è possibile sfuggire da questo mondo di nati, causati, creati, formati'.

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Pagina 6

L'uomo non deve essere aiutato a conseguire un adattamento, ad accontentarsi, ad adattarsi a uno stato di minore infelicità, di minore ansia, di minore angoscia. L'uomo ha bisogno di beatitudine, ha bisogno di qualcosa per cui vivere, e di qualcosa per cui morire, ma tutto questo non può essere un valore arbitrario, non deve essere un significato ipotetico, artificiale. Esiste una dimensione reale, di pienezza e di beatitudine, che si può conseguire: quello è il principio della vera religiosità. Essa si fonda sul tuo desiderio di raggiungere le vette, di giungere alla piena fioritura del tuo potenziale. È una scienza dell'attuazione del Sé possibile, non solo: quello è il vero destino dell'uomo' (Osho, 'commenti al Dhammapada'), ed è a quel destino che Osho ha dedicato l'intera esistenza, assommando nuove intuizioni a quanto il Buddha aveva già donato all'umanità.

La verità, infatti è questa: solo giungendo alla stessa pienezza del Buddha si può essere vettori di quella stessa verità. Pertanto, leggendo il commento di Osho, in cui ha ritradotto in parole comprensibili all'uomo contemporaneo ciò che Buddha disse, si comprenderà quale e quanta grandezza ognuno di noi possiede, ma che la mente comune, immersa nella sua cacofonica confusione, non riesce a cogliere. E a quel punto, si capirà anche come la semplice lettura delle parole di Buddha può risultare fuorviante, perché fatta con una mente abituata alla logica che non può fare altro se non riportare tutto a se stessa, a quanto le è conosciuto, abbassandolo di livello, sminuendone la portata vitale.

Con Osho e i suoi commenti, diventa pressoché impossibile farlo: il flusso delle immagini incalza, le metafore sono attuali, il paradosso evidente, e l'essenza di tanto parlare educa nel senso letterale del termine: fa affiorare quella natura intima e nascosta alla nostra stessa percezione, il cui contatto è l'unico scopo che ha sempre spinto coloro giunti in contatto con la verità della vita, o 'Legge antica e inamovibile', a parlare, per comunicare il vero destino cui ogni essere umano è di fatto chiamato.

Le metafore, con cui ogni Maestro è costretto a vestire il proprio linguaggio, diventano così ciò che esse sono in realtà: dita che indicano la luna. La distorsione diventa difficile, non si riesce più a leggere alla lettera: con dolcezza e fermezza, ci viene costantemente ricordato che proprio il nostro attaccamento alla mente impedisce di leggere, rende ciechi, genera una tenebra che va vista e compresa, altrimenti la realtà e la verità della vita non entreranno mai nel nostro cuore. Essere consapevoli è la via, e questo richiede costanza e determinazione: a questo invitano le parole del Buddha, ma per evolvere in quel senso, occorre lasciar cadere tutto ciò che abbiamo accumulato, in termini di sentito dire, di impressioni, di sensazioni. Occorre abbandonare tradizioni e ideologie, disimparare ciò che ci è stato inculcato in tanti anni di educazione... occorre muoversi con cuore deciso, determinato, fermo e inflessibile. Per questo è vitale leggere, oggi come ieri, l'esperienza cui il Buddha invita, nelle parole e soprattutto nell'essere di qualcuno che ha percorso quel sentiero, giungendo a toccare le vette altrimenti invisibili, oscurate dalle nebbie del nostro processo di pensiero, per questo, è consigliabile leggere Osho, ascoltare ciò che egli ha da dire. E il messaggio è sempre lo stesso: come Buddha egli chiama alla vera vita: 'Anche tu puoi raggiungere le stesse vette dell'essere. Svegliati! Alzati! Incamminanti! Quel viaggio può iniziare qui e ora! Adesso!'

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