Copertina
Autore Maria Pace Ottieri
Titolo Abbandonami
Edizionenottetempo, Roma, 2004, , pag. 168, cop.fle., dim. 140x200x11 mm , Isbn 978-88-7452-035-0
LettoreGiovanna Bacci, 2004
Classe narrativa italiana
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Pagina 7

È seduto in camicia e mutande lunghe di fronte a un tavolino pieghevole giallo, l'ultimo ancora in vita di un set di tavolini da dinner-tv regalo di Natale di una cugina norvegese, a pochi metri dalla televisione, con la testa china su una pila di fogli bianchi sui quali disegna a penna stilografica figure sottili, eleganti, stralunate. Di tanto in tanto alza per un momento lo sguardo sullo schermo e lo riabbassa sul personaggio apparso intanto sul foglio, un tennista dalle braccia lunghissime e filiformi, con un sorriso implicito, una donna con enormi seni e lunghi contorti capelli da medusa.

"Oggi qualcosa si può anche trovare con duecento euro, ma non sarà mai di questa fattura, non di questa finezza, signori," sta dicendo il venditore di Rete Elefante. "È un tappeto vero, ha attraversato ottant'anni di storia, stramerita attenzione, signori, certo è un tappeto nomade, non è nobile, non omaggia il vostro salone, ma gli dà un'anima, un orgoglio, una fierezza". Tom segue per ore le televendite, ipnotizzato dai modi grottescamente persuasivi e dal gorgoglio della erre del venditore.

"Che cosa ti piace di questo programma?" gli chiede Lea, in camicia da notte, con un bicchiere d'acqua in mano, sulla strada del ritorno dalla cucina alla camera da letto, meccanicamente beffarda. "Sssh, fammi sentire. Comunque te lo dico: la sua utilità, imparo molto da questo venditore, è straordinario," risponde Tom con il suo disarmante e irritante candore.

Lea si è rituffata sotto le coperte, ha letto qualche pagina di un romanzo dell'unico scrittore somalo esistente, ha spento la luce e si è addormentata non appena la testa ha toccato il cuscino. Il sonno degli ingiusti, lo chiama Tom, capace di schiacciare sotto un plumbeo coperchio le malefatte del giorno, tanto immobile e silenzioso da indurlo a scuoteda a volte nel cuore della notte per controllare che respiri.

Tom invece considera abbandonarsi al riposo un cedimento, un'imperdonabile debolezza che ruba il poco tempo prezioso della vita e interrompe il ritmo vorticoso che imprime alle sue giornate. La notte ingaggia con il sonno un accanito braccio di ferro: gira inquieto per le stanze, rilegge qualche pagina dei Promessi sposi o del Padrino, i libri che tiene sul comodino da dieci anni, si sveglia, apre il frigorifero, riaccende la televisione, si butta sul letto vestito. Lea si accorge del suo arrivo quando nei suoi sogni si insinua il barrito di una sirena di nave, prima lontano, sullo sfondo, poi piú vicino e perentorio, fino a spaccarli dall'interno, come bolle di sapone, lasciandola in balia di un rantolo che nel buio dei suoi occhi chiusi disegna la perfetta circonferenza di un cerchio. Ormai sveglia, sferra col calcagno un calcio laterale, Tom mugola: "Scusa, scusa," con il tono rapido e sfuggente del sonnambulo, e si gira dall'altra parte per cancellare in fretta la colpa. Dal sonno interrotto nasce un nuovo respiro, soffice e regolare. Lea si concede di allentare il muscolo del piede, fino a quel momento teso e vigile come una sentinella, ma ecco che a metà del cerchio il respiro di Tom si impenna di nuovo in un suono duro, puntuto, un cigolio stridente di mobile spostato. Un altro calcio secco, rabbioso di Lea e Tom scatta in piedi d'un balzo, è l'alba, la sua breve notte è già finita.

Qualche ora piú tardi, al risveglio, facendo scivolare il piede sulle lenzuola, Lea si accorge che Tom non c'è piú. Lo cerca nel bagno, dove il caldo umido del vapore e le chiazze d'acqua per terra rivelano un passaggio recente o nella camera del figlio, perché sa che gli piace infilarsi nel suo letto ancora tiepido, quando è uscito per andare a scuola. Sulla porta del salotto, come uno sceriffo di un villaggio del West di fronte al cancello aperto della sua unica cella, ha un moto di stizza: sparse sul pavimento ci sono pagine di giornale gonfie di vapore, soffici piume abbandonate dal corpo nella muta. Tom sarà introvabile fino a sera, inghiottito dal vortice della città.

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Pagina 23

"Hai fatto fuori tu quel mezzo chilo di taralli?" si sente chiedere Tom dalla voce contratta di Lea alzando ignaro il telefono.

"Taralli? Che cosa sono?"

"Fai finta di niente? Sono biscotti pugliesi a forma di anello, salati e cotti al forno, erano nel cesto del pane, nascosti sotto a un tovagliolo, li ho cercati dappertutto, puoi averli fatti fuori solo tu..."

"Non so di cosa parli, ma ti richiamo, ora ho gente, sono occupato, scusa..."

"Troppo comodo, mi ascolti adesso," insiste Lea. "Sono, erano taralli siriani, una rarità, li ho trovati da un fornaio che sta dall'altra parte della città e tu li ingolli cosí, in un boccone, senza nemmeno sapere che cosa sono?"

"Ne parliamo dopo, ho dei signori davanti a me," cerca di concludere Tom, inespugnabile, diligente, a suo agio nella colpa.

Di fronte alle aggressioni di Lea è come un indigeno privo di anticorpi contro il virus sconosciuto dell'influenza portato dai bianchi. Il corpo solido, massiccio, saldo sulle gambe da rugbista, lascia che il ciclone si sfoghi, che fiacchi a poco a poco la sua forza e passi oltre.

La scomparsa dei taralli siriani è solo il cavallo di Troia con cui Lea sfonda le linee e penetra in territorio nemico, là dove Tom crede di aver raggiunto le retrovie, per poi schierare in campo assai piú consistenti truppe di rimproveri.

A che vale ingollare un intero pacchetto di taralli siriani o svuotare una scatola di praline di cioccolato appena arrivate dal Belgio, in preda a una voracità generica, indeterminata, pronta a placarsi con qualunque altro cibo, purché in quantità smisurata? Il fatto che Tom inghiotta tutto ciò che incontra di commestibile sul suo cammino è solo il peccato veniale, l'aggravante è compierlo senza piacere, sottraendo l'occasione di soddisfare un desiderio preciso a chi saprebbe farlo.

Alla segreteria telefonica Tom ha lasciato questo messaggio: "Se sono cotti al forno, non li ho mangiati io quei cosi, perché la mia ultima dieta, come puoi verificare personalmente, esclude proprio pasta, pane e dolci da forno".

C'è sempre una dieta appesa al calendario, sulla parete accanto alla finestra, una lingua bianca e mobile che sventola al primo refolo d'aria. A Tom basta sapere che è lí per convincersi della sua efficacia, ma Lea lo vede lievitare sotto i suoi occhi come fosse la sua ostilità a gonfiarlo.

Basta una mezza frase, un consiglio lanciato a caso da un amico come un bastone a un cane, un trafiletto redazionale sul giornale, perché Tom ci si tuffi a capofitto, subito pronto a far progetti sugli abiti da restringere. La sua capacità di illudersi e autoingannarsi è inesauribile, l'esperienza su di lui non ha presa, scivola come su un corpo insaponato, tanto da far sospettare che l'impermeabilità sia il risultato di una precisa strategia per lasciar campo libero alle illusioni.

Ha cominciato, molti anni fa, col passare in rassegna il filone delle diete tecniche, da farmacia, dai nomi perentori di Kilo-Kalo, Drink and Slim, Weight Watcher, per concludere che esigevano una dose di costanza e precisione lontane dalla sua portata. Fra le tante diete che gli venivano proposte e caldeggiate, ha creduto di eleggere come la piú affine al suo temperamento monoteistico, quella dell'unico ingrediente "a volontà", facendo cadere la scelta, dopo attente riflessioni, sul minestrone. Quando poi, già alla seconda settimana, la porzione da un chilo al giorno cominciava a non bastargli piú, ha capito che l'escalation sarebbe stata inarrestabile e che la fregatura si annidava proprio in quel "a volontà" dove aveva sperato di riscattare il sacrificio della varietà.

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Pagina 55

Da qualche anno Tom si è buttato nel lavoro con lo zelo del neofita. Vuole recuperare il tempo perduto nelle incertezze e nelle indecisioni sulla strada da prendere.

Quando l'immaginazione ha preso a rallentare la sua corsa sfrenata riducendo il ventaglio delle possibilità, Tom è tornato nella sua città e ha colto al volo la prima occasione che gli si è presentata: sostituire per qualche mese la moglie dello zio jugoslavo nel suo negozio di antiquariato, un'elegante goletta abituata a navigare in mari tranquilli e sicuri. I mesi sono diventati anni, ma all'apparenza niente è cambiato rispetto ai tempi della prudente e sobria gestione della zia che nel tempo si era conquistata una solida fama in città. I clienti abituali del negozio sono rimasti gli stessi, vecchie signore eleganti con gambe magre da stambecchi e tailleurs severi come divise militari, figli arrivati, stretti nelle camicie dai polsini croccanti, al seguito di mogli bionde e sode come vitelle che cercano oggetti raffinati per le loro case mai sazie, regali di nozze o "di prestigio", per sdebitarsi delle prestazioni di professionisti sulla cresta dell'onda. Ma a un occhio attento non può sfuggire la presenza di una nuova e variegata popolazione. Nell'ora che dal tardo pomeriggio scivola nel buio della sera, le delicate seggiole Luigi Filippo e i presuntuosi divani biedermaier si popolano di mariti abbandonati, ragazze sole, manager stanchi usciti dai loro uffici, venditori ambulanti africani a fine turno, musicisti di strada, artisti, galleristi, un'imprevedibile ciurma che si affolla come nella taverna di un porto, in attesa che il capitano li chiami a bordo per mollare gli ormeggi e puntare la prua al vento. Quanto a passaggio, la bottega di Tom, come gli piace chiamarla, non ha nulla da invidiare a quello di un bar alla moda che unisca in sé le caratteristiche di un circolo ricreativo, di un raffinato ed eclettico museo e di un ospitalissimo salotto e questo per Tom è quello che conta: il festoso andirivieni di persone, meglio se ozioso e libero da transazioni commerciali, il telefono che suona petulante, gli appuntamenti che si moltiplicano con la febbrile vitalità dei fermenti lattici, la vivacità e il calore dell'atmosfera e il numero e la varietà di persone attirate dalla sua vorticosa forza centripeta.

Chiunque conosca Tom sa quanto la sua natura oblativa e votata all'eccesso sia piú adatta all'economia arcaica del dono, che a una meschina trattativa destinata a concludersi alla pari, ognuno con il proprio simmetrico tornaconto e quanto suoni stridente definire Tom un commerciante.

"Tu pensi proprio come un africano" gli ha detto Hassan, il decano dei venditori senegalesi in città, che tutte le sere ripone le sue merci sotto a uno dei divani del negozio, per poi riprenderle la mattina dopo. Pensava proprio come le donne del suo villaggio che avevano ricevuto dai bianchi i soldi per aprire una buvette e arrotondare i magri bilanci familiari con la vendita della birra di miglio fatta in casa. Dopo un anno però, gli stessi bianchi finanziatori le avevano costrette a chiuderla, senza che loro riuscissero a spiegarsene le ragioni. La buvette era sempre piena e faceva tutti contenti: gli uomini che vi si ritrovavano a bere e le loro mogli che finalmente li avevano sotto gli occhi e non dovevano piú correre a cercarli nei villaggi vicini. Il fatto che nei fumi della birra dimenticassero di pagare e che i conti fossero irrimediabilmente in rosso, era ai loro occhi un dettaglio del tutto irrilevante.

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Pagina 91

Il meglio di sé Tom lo dà agli amici. È l'amico per eccellenza, quello che tutti vorrebbero avere, sensibile, attento, capace di generosità inattese, di squisite premure, di caldo sostegno nei momenti difficili.

Da ore al telefono, sta cercando di aiutare l'amica parigina Juliette a risolvere un problema: trovare lo sperma di un uomo nero esaurito in tutta la Francia. È sposata a un africano sterile che si è risolto dopo molti anni a ricorrere all'inseminazione artificiale a patto che venga rispettata la mescolanza di colori. La sollecitudine di Tom è inversamente proporzionale al grado di vicinanza, trova del tutto naturale spedire tre volte all'anno all'amico Eliahu un pacco di vestiti scelti sulle bancarelle dei mercati o tra i suoi diventati troppo stretti, ma sarà difficile che riesca a portare da casa un pacco di roba da lavare in tintoria. Lea lo ritroverà mesi dopo nel cofano della macchina, un mucchio di stracci che servono ad attutire i colpi degli oggetti trasportati.

Se ci sono degli amici a cena, a qualunque ora della notte, Tom scatterà in piedi e li accompagnerà a casa in macchina, uno a uno. Se hanno la macchina, li scorterà fino al parcheggio. "Non ti pare un eccesso di zelo?" brontola Lea al suo ritorno. "Tutta questa educazione è sospetta, potresti almeno dividerla piú equamente e aiutare anche me a mettere a posto". Ma che divertimento c'è nel compiere un piccolo dovere scontato di fronte all'irresistibile piacere di sorprendere gli amici con un'imprevedibile e squisita gentilezza?

Quando un amico ha un aereo, alle sei del mattino, Tom si offre immediatamente di andarlo a prendere sotto casa alle quattro e mezzo, salvo arrivare un'ora dopo, facendolo morire d'ansia sotto al portone, senza che il malcapitato, imbavagliato dalla gratitudine, possa nemmeno prendersi la soddisfazione di sfogare la rabbia accumulata.

Tom si annette nuovi amici come un imperatore nuovi territori, è un piromane dell'amicizia, accende fuochi senza curarsi delle conseguenze, ma avere una maggiore capacità di previsione e anticipare possibili cattive sorprese frenerebbe il suo naturale e insopprimibile slancio verso gli altri. È attratto specialmente e in ugual misura dai cinici e dagli inermi. Ai primi appartengono gli amici di successo, quelli che non hanno saltato tappe e si sono costruiti famiglie e carriere, hanno comprato case, barche, grandi macchine e grandi cani, persone soddisfatte eppure arroccate nell'ispida difesa dei loro privilegi.

Degli altri fanno parte invece gli amici in cui Tom riconosce i segni inconfondibili di una qualche fatica di vivere: l'inadeguatezza psicologica, la difficoltà di aderire alla realtà, una naturale goffaggine, un eccesso di qualche tipo.

Gli piace, a volte, spiazzare entrambi trattando i cinici come inermi e gli inermi come cinici, con il suo sguardo nuovo da indigeno, riesce a cogliere al di là delle apparenze, l'amara malinconia del manager e la grinta omicida dell'inerme.

Ciò che accomuna gli uni e gli altri è spesso l'antipatia, tratto di carattere per cui Tom ha una particolare debolezza. Scova e capisce gli antipatici con la sicurezza con cui un ex-balbuziente smaschera al volo i suoi simili dalla rigidità delle labiali. E se anche Tom fosse un ex-antipatico che ha fatto dell'estroversione e della simpatia la sua professione?

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Pagina 122

"Ora che siamo marito e moglie, possiamo finalmente ricorrere a giusto titolo alla terapia di coppia," ha dichiarato Tom la sera, con la sua migliore voce propositiva.

"Sei come gli Stati Uniti, prima distruggi un paese con i bombardamenti e poi ne finanzi la ricostruzione," ha obiettato Lea.

Si è informato, c'è uno psicologo molto bravo dalle parti della Fiera. Ha aggiustato i cocci del matrimonio Zamperla, una coppia di amici d'infanzia, un buon lavoro, un ottimo lavoro se dopo il trattamento hanno addirittura avuto un altro figlio!

"Per me è scomodissimo, sono tre ore buttate..." protesta Lea.

"Ti passo a prendere io alle diciassette e diciassette, no anzi alle diciassette e tredici, meglio qualche minuto prima, l'appuntamento è alle diciassette e trenta". Per guadagnare la fiducia mille volte tradita dell'interlocutore, Tom traduce la scansione del tempo da numeri in parole, vuole offrire un risarcimento preventivo o rendere piú efficace la beffa? Nel suo sistematico ritardo ripone la stessa carica ossessiva del puntuale nell'arrivare in largo anticipo, una forma di pignoleria capovolta come se tra i modelli da tradire il disertore fosse irrimediabilmente attratto dai piú convenzionali. Lo fa per compiacersi di smentirli senza alcun rimpianto?

Lo studio è al terzo piano di un palazzone in stile marino, con lunghi balconi ornati di tende svolazzanti, di colori diversi ad ogni piano. C'è una vaga aria di vacanza anche nella strada, vuota e silenziosa, che taglia blocchi di palazzi uguali, separati tra loro da freschi giardini condominiali e grandi cancelli. Tom ha finito con l'arrivare a prendere Lea cinque minuti prima dell'inizio della seduta e dopo un furibondo slalom in moto nel traffico dell'ora di punta (Lea ha avuto piú di una volta la certezza di perdere le gambe schiacciate tra le macchine), ora sono in forte ritardo. L'ascensore è stretto, nella fretta hanno preso quello di servizio, una scatola di alluminio che li costringe a salire schiena contro schiena, in un silenzio teso e imbarazzato.

Piú la buccia del loro legame si inspessisce, piú si svuota dall'interno, come un frutto che per crescere si nutra del fiore che lo ha annunciato, fino a inghiottido.

Nello studio, una piccola stanza con una scrivania di legno scuro, quasi nero, due sedie, qualche mensola e un divano letto appoggiato al muro, campeggia un manifesto della mostra di Modigliani, lo stesso che Tom ha appeso nel loro salotto e Lea ha tolto pochi giorni dopo per antipatia verso i manifesti.

Siedono sulle due sedie, uno di fianco all'altra, di fronte allo psicologo che, tra un silenzio e l'altro, chiede loro di presentarsi e di dire ciascuno le ragioni che li hanno portati a chiedere il suo aiuto.

Comincia Lea e descrive se stessa e Tom e il loro incastro segreto, poco visibile all'esterno, ma forte, anche se tortuoso, anzi proprio per questo, è piú difficile svitare una vite infilata storta e ossidata dal tempo di una bene inguainata nel suo buco. Viene il turno di Tom: "E lei? Mi vuol raccontare un po'di sé e di che cosa l'ha spinta a venire qui?" chiede di nuovo lo psicologo con voce atona.

Tom resta in silenzio, un momento, un lungo momento, cinque minuti, dieci, forse di piú. Lea ha fatto a tempo a contare le strisce del parquet sul pavimento e anche i libri sulla libreria, fingendo di leggerne i titoli, con un impercettibile movimento della testa da sinistra a destra.

Lo psicologo tiene gli occhi bassi sul suo taccuino, facendo ogni tanto qualche segno rapido sulla pagina.

Quando il silenzio di Tom ha ormai saturato la stanza, la sua voce profonda dice: "Non mi viene in mente niente".

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