Copertina
Autore Piero Ottone
Titolo Piccola filosofia di un grande amore: la vela
EdizioneLonganesi, Milano, 2001, Il cammeo 372 , pag. 146, dim. 140x210x17 mm , Isbn 978-88-304-1917-9
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe mare , sport
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Indice


I      Perché si va a vela                    7

II     Perché un viaggio sia un viaggio      23

III    La vita in barca è bella              32

IV     L'arte del comando                    43

V      Le colonne d'Ercole non esistono      57

VI     I vagabondi del mare                  78

VII    Contro la vita comoda                 92

VIII   Tempeste, naufragi, tragedie         105

IX     Galateo in barca, ma non solo        123

X      Il mare è sogno                      137

 

 

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Pagina 7

I


Perché si va a vela



La navigazione a vela gode di buona stampa. «Vai a vela? Beato te»: chi sa veleggiare è oggetto di invidia. Gli altri, quelli che vanno in motoscafo, assicurano che andrebbero volentieri a vela se ne fossero capaci, o se ne avessero il tempo. Il silenzio, la pace: si immagina che la vela sia il nirvana, la distensione, o quello che si chiama, facendo un uso errato di parola straniera, il relax. Qualcuno, più raffinato, dice che l'andare a vela consente di entrare in armonia con la natura. E infatti: chi è invitato a una gita di qualche ora su una barca a vela, in una radiosa giornata d'estate, con un bicchiere di gin and tonic in mano, dimentica gli affanni della vita, e chiede di essere invitato alla prossima crociera. Poi è invitato davvero, e allora viene la delusione. Pace? Silenzio? Armonia con la natura? Suvvia, non scherziamo. L'andare a vela è bello. Ma è tutta un'altra cosa.

Esporrò in queste pagine la piccola filosofia di una passione, che è la mia, e cercherò di spiegare perché si va a vela, evitando di dire, spero, troppe sciocchezze, e ben sapendo che ogni passione, in ultima analisi, è inspiegabile, perché è irrazionale: altrimenti non sarebbe una passione, ma una scelta deliberata.

Certamente la pace, il silenzio, gli elementi naturali hanno la loro parte, sono veri anche quelli, ma si va a vela per altre ragioni, e comincerò a parlare della vela partendo da tutto l'opposto, dalla burrasca, dalla tempesta, cioè dalle esperienze peggiori. Chi va a vela, se è una persona normale, cerca di evitarle. (In un pomeriggio tranquillo, davanti ad Alassio, il bollettino diede l'annuncio di una burrasca forza 7/8 a capo Corso, e l'amico che era con me mi implorò di andare a capo Corso. Evidentemente non era una persona normale.) Però il cattivo tempo, i tempi duri sono una possibilità, chi va a vela sa che potrà trovarcisi. Come se la caverà? Come reagirà? La barca può subire avarie, può perdere l'albero o il timone, perché il mare è capace di tutto, ma il punto debole, l'anello debole della catena non è la barca, è l'elemento umano. Il punto debole siamo noi, insomma. Sapremo fare le cose giuste al momento giusto? Potremo resistere alla fatica, alla stanchezza? Non lo sapremo fino a quando non avremo fatto l'esperienza. Per questo il marinaio teme la tempesta, e la teme ogni marinaio, anche il più esperto, non solo quello della domenica; eppure quasi quasi, nel subconscio, la desidera, spera di trovarcisi, per scoprire finalmente che cos'è quel che teme.

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Pagina 19

Ci siamo però avvicinati, credo, alla spiegazione giusta. Sono infatti convinto che la vera ragione per cui si sceglie di andare a vela sia la ricerca di un altro modo di vivere, diverso da quello cui siamo abituati, un modo di vivere in cui tutte le nostre reazioni sono diverse, e più intense. Ed è per questo che ho definito la burrasca il momento culminante, il momento della verità. Nella burrasca ogni nostra facoltà è sollecitata al massimo: la prestanza fisica, la resistenza alla fatica, il sangue freddo, l'abilità, la capacità di previsione; e l'arte di infondere fiducia nelle persone intorno a noi. Ma tutto questo, che nella burrasca è vero al massimo, vale per ogni momento della vela, non foss'altro per il fatto che la burrasca, come ho ampiamente spiegato, è sempre possibile. Credo insomma che quando si va a vela si viva a un altro livello di intensità, nel bene e nel male: siamo più contenti quando siamo contenti, più impaurii quando siamo impauriti, più coraggiosi quando siamo coraggiosi. Tutto di più. Ecco perché si va a vela.

Ma non basta. Occorre un'altra componente per spiegare questa scelta: ed è l'attrazione per il mare.

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Questo è, diremo così, lo stato di grazia, il massimo dei piaceri. Ci sono i momenti di piacere nella vita sulla terraferma, e ci sono andando per mare; certo molto intensi, questi ultimi, sovente più intensi di quelli terrestri, anche se ora non è il caso di stendere una graduatoria. Poi ci sono, quando si viaggia su una barca a vela, i periodi che definirò di ordinaria amministrazione: i turni di timone e di guardia, i pasti, il riposo (si è sempre pronti a dormire, forse perché si è stanchi, forse perché si conduce una vita sana). Ma la vita a bordo, quando si veleggia per vari giorni di seguito, ha una caratteristica curiosa: si dimentica quel che si è fatto. Perché? Non per la monotonia delle giornate in mezzo al mare: che non sono affatto monotone, giacché si lavora sulle vele, che si ammainano o si riducono o si sostituiscono, secondo i casi; e si mangiano di volta in volta cose diverse, si dicono cose diverse. E allora? Propongo una spiegazione più originale: si dimentica quel che si è fatto perché, a bordo, si dimentica se stessi; nel senso che si perde la autoconsapevolezza. Si cambia una vela, e non si pensa, mentre lo si fa: sto cambiando una vela. La si cambia, e basta. Non si è self-conscious, consapevoli di sé. Non è, questa, una bella conquista?

Si dimentica se stessi perché si è proiettati verso l'esterno. Verso lo spettacolo della natura, in primo luogo: che però non si vive come qualche cosa da guardare, come succede quando siamo a terra, ma come un universo di cui si fa parte (immagino che gli animali vivano la natura allo stesso modo). Non si «pensa» a quel che si vede: lo si «sente» come parte di sé.

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Pagina 42

E allora: perché si va per mare?

Forse è ingenuo dirlo, forse è anche un po' ridicolo. Ma attraverso la sofferenza si migliora.

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Pagina 140

Il mare, per me, è soprattutto mistero, e ogni tentativo di svelarlo è inane, è una profanazione. Il mare riempie di stupore. Cangiante, immateriale, di colore sempre diverso, inafferrabile, è e non è. Che cos'è quel suo movimento continuo, che cosa sono le onde? Le vediamo mentre passano maestose sotto i nostri occhi; le seguiamo con lo sguardo mentre vanno a infrangersi sulle rocce, incessanti, giorno e notte, disegnando lungo la costa, in lontananza, l'orlatura di spuma: affascinanti perché misteriose, inspiegabili. Non furono scelte, nella simbologia antica, come rappresentazione dell'eternità?

È anche misteriosa la possibilità di avventurarsi sul mare; su questo elemento che cede al contatto con la mano, immateriale, eppure sostiene i nostri corpi, sostiene navi immense. Come è possibile galleggiare, navigare? Gli scienziati, per rispondere, fanno enunciazioni, escogitano leggi fisiche. Ma per me il mare resta mistero. Quando navigo sulla mia piccola barca, sono più o meno al livello della superficie marina. Se mi chino oltre il bordo, se protendo il braccio, la mano affonda nel mare, che oppone solo una lieve resistenza: eppure la barca galleggia, viaggia sul mare, percorre migliaia di miglia. Perché?

Soprattutto, il mare è immensità. Ed ecco la risposta a quel quesito che mi ero posto, quando osservavo che la terra vissuta dal mare è, verità inoppugnabile, cosa diversa dalla terra vista da chi è sulla terra. Mi ero chiesto: perché ogni luogo, anche il più familiare, appare diverso, e più bello, più suggestivo, quando lo si raggiunge dal mare? Mi ero chiesto: perché Portofino, quando arrivo dal mare, è un luogo diverso dalla Portofino che raggiungo a piedi, o in automobile?

Questa è dunque la risposta: perché la terra, vista dal mare, altro non è che lo sfondo di un'immensità che la rende magica; altro non è che lo scenario di un'immensa recita. Così diventa sogno: e forse è questa la ragione ultima, rivelata nelle ultime righe dell'ultima pagina come si fa nei romanzi, del mio grande amore per la vela, che mi porta sul mare.

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