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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 1. La lepre 15 2. Bilancio consuntivo 22 3. Sistemazioni 28 4. Erbe 35 5. L'arresto 40 6. Il commissario 43 7. Il presidente 52 8. L'incendio della foresta 62 9. Nella palude 77 10. In chiesa 86 11. Il nonno 95 12. Kurko 100 13. Il corvo 108 14. Il sacrificatone 116 15. L'orso 128 16. Il pranzo 138 17. Il fuoco 142 18. A Helsinki 150 19. La sbornia 157 20. L'umiliazione 170 21. Una visita 177 22. Il Mar Bianco 182 23. Al governo 193 24. Epilogo 196 |
| << | < | > | >> |Pagina 15Sull'automobile viaggiavano due uomini depressi. Il sole al tramonto, battendo sul parabrezza polveroso, infastidiva i loro occhi. Era l'estate di San Giovanni. Lungo la strada sterrata il paesaggio finlandese scorreva sotto il loro sguardo stanco, ma nessuno dei due prestava la minima attenzione alla bellezza della sera. Erano un giornalista e un fotografo in viaggio di lavoro, due persone ciniche, infelici. Prossimi alla quarantina, erano ormai lontani dalle illusioni e dai sogni della gioventù, che non erano mai riusciti a realizzare. Sposati, delusi, traditi, entrambi con un inizio d'ulcera e una quotidiana razione di problemi di ogni genere con cui fare i conti. Avevano appena finito di litigare per decidere se era meglio rientrare a Helsinki o passare la notte a Heinola. Poi non si erano più rivolti la parola. Ostinatamente chiusi in se stessi, attraversavano lo splendore di quella sera estiva immersi nei loro pensieri, la testa tra le spalle, senza nemmeno accorgersi di quanto vi fosse di squallido in quel loro correre. Viaggiavano indifferenti, stanchi. Su una collinetta illuminata dal sole un leprotto tentava i suoi primi balzi e, nell'ebbrezza dell'aria estiva, si era fermato di colpo in mezzo alla strada, ritto sulle zampe posteriori: il disco rosso del sole lo incorniciava come un quadro. Il fotografo, che era al volante, lo vide sulla strada, ma il suo cervello intorpidito non reagì abbastanza in fretta da evitarlo. Una scarpa impolverata premette forte il pedale del freno, ma troppo tardi. L'animale, terrorizzato, spiccò un salto e andò a sbattere con un tonfo sordo contro un angolo del parabrezza, sparendo poi in un baleno nella foresta. - Ehi, abbiamo preso sotto una lepre, disse il giornalista. - Maledetta bestia, meno male che non ha rotto il parabrezza. Il fotografo fermò e fece marcia indietro fino al punto dov'era accaduto l'incidente. Il giornalista scese dall'automobile. - La vedi?, domandò in tono apatico il fotografo. Aveva aperto il finestrino, senza però spegnere il motore. - Cosa?, gridò il giornalista dalla foresta. Il fotografo accese una sigaretta e si mise ad aspirare a occhi chiusi. Solo quando cominciò a bruciargli la punta delle dita si riscosse. - Dài, andiamo, non ho tempo da perdere per una stupida lepre. Il giornalista avanzava distrattamente nella radura, arrivò ai bordi di un piccolo campo, saltò il fosso e si mise a scrutare nel verde scuro del prato. Il leprotto era là, in mezzo all'erba. Aveva la zampa posteriore sinistra rotta che penzolava tristemente dal ginocchio e doveva soffrire davvero molto, dal momento che non tentò di scappare neppure quando vide che l'uomo si stava avvicinando. Il giornalista prese in braccio il leprotto atterrito. Spezzò un rametto e glielo fasciò stretto alla zampa con il suo fazzoletto strappato in bende. La lepre nascondeva la testa tra le zampette anteriori, il cuore le batteva cosí forte da farle tremare le orecchie. Dalla strada, ormai lontana, si senti il rombo rabbioso di un motore, due colpi stizziti di clacson e un grido: - Vieni, dài! Non arriveremo mai a Helsinki, se ti metti a vagabondare per la foresta! Ti arrangerai a tornartene da solo, se non ti spicci a venire. Il giornalista non rispose. Teneva fra le braccia il piccolo animale. Apparentemente, oltre alla zampa, non aveva altre fratture. A poco a poco la bestiolina si calmò. Il fotografo scese dalla macchina. Scrutò furioso in direzione della foresta, ma del collega neanche l'ombra. Imprecò, accese una sigaretta, si rimise a passeggiare nervosamente sulla strada. Dalla foresta sempre nessun segno di vita. Allora gettò via il mozzicone, lo schiacciò, e gridò: - Restatene pur lì, idiota, ti saluto, va' al diavolo! Il fotografo rimase ancora un momento in ascolto, poi, non ricevendo risposta, sali imbestialito in macchina, diede un colpo di acceleratore, innestò brutalmente la marcia e partì. La ghiaia stridette sotto le ruote. Un attimo dopo l'automobile era sparita. Il giornalista, lepre in braccio, sedeva sul ciglio del fosso. Sembrava una vecchia donna assorta nei suoi pensieri, con il lavoro a maglia abbandonato in grembo. Il rumore dell'auto era svanito. Il sole tramontava. Il giornalista adagiò la lepre sul prato; temette un attimo di vederla scappare all'istante, ma la lepre rimase accovacciata sull'erba e, quando l'uomo la riprese in braccio, non mostrò più alcuna paura. - E così siamo rimasti qui, disse alla lepre. | << | < | > | >> |Pagina 124Il racconto di Kaartinen fu lungo e piuttosto fuori dall'ordinario.L'uomo raccontò di essere cresciuto in un ambiente molto religioso: i suoi pii genitori avevano deciso di farlo diventare pastore. Terminato il liceo, il ragazzo fu mandato a iscriversi alla facoltà di Teologia dell'Università di Helsinki. Quegli studi però non soddisfacevano la sensibilità del giovane: lui non credeva alla dottrina luterana, come avrebbe dovuto, era tormentato dal dubbio, lo studio delle religioni gli sembrava estraneo alle sue convinzioni. Lo spaventava il pensiero di dover un giorno, in preda allo scetticismo, predicare la parola di Dio davanti a dei parrocchiani. Fu così che, senza curarsi dei sentimenti religiosi dei suoi genitori, interruppe gli studi teologici e si iscrisse all'Istituto magistrale di Kemijärvi. Anche là ebbe a che fare con la religione luterana, ma la presenza di Gesù Cristo non si faceva sentire come a Helsinki. Kaartinen divenne maestro elementare. Già all'Istituto magistrale quel giovanotto, nella cui mente sensibile mulinavano le più strane visioni del mondo, si diede alla ricerca del suo io interiore attraverso la letteratura. Si appassionò al tolstoismo, e, quando la sua influenza, con l'andar del tempo, si affievolì, incominciò a studiare le religioni asiatiche, tra le quali il buddismo fu quella che più lo suggestionò. Progettò persino un viaggio in Asia, nei luoghi di culto di quella religione, ma, siccome i suoi genitori non approvavano assolutamente la dottrina indù, e pertanto non gli scucivano i soldi per il viaggio, i sentimenti religiosi di Kaartinen nei confronti di quel mondo svanirono per necessità di cose. Durante il suo primo e unico incarico di insegnante, Kaartinen si interessò all'anarchismo: prenotò per la biblioteca della scuola di Liminka alcune opere sull'argomento, in lingua francese, e le studiò con l'aiuto di un vocabolario. Poi, mise in pratica quelle nuove idee quel tanto che bastò a spingere il consiglio direttivo della scuola a esonerarlo dall'insegnamento già a partire dal trimestre di primavera. Nell'estate che seguì, l'ex insegnante abbandonò le sue idee anarchiche, dimostratesi fatali, e si dedicò con entusiasmo all'approfondimento delle radici del carattere e della cultura finlandese. S'immerse nella lettura di decine di opere, scritte con il sublime scopo di mettere in risalto il sentimento nazionale; le letture dell'estate terminarono nel tardo autunno con l'esame della preistoria del popolo finlandese. Più Kaartinen si familiarizzava con il mondo spirituale dei suoi antenati, più si convinceva di aver finalmente trovato quello che da anni andava febbrilmente cercando: aveva trovato la fede dei suoi avi, la vera religione di un vero finlandese. Kaartinen espose a Vatanen, col calore della passione, la religione che praticava ormai da molti anni. L'uomo parlava, incantato, degli spiriti della foresta, del dio del tuono, degli gnomi, delle pietre sacre, degli sciamani delle foreste vergini, degli incantesimi, dei sacrifici. Illustrò a Vatanen le usanze religiose del passato, i rituali, confessò di aver adottato lui stesso i riti sacrificali dei suoi antenati. Trasferitosi al Nord come maestro di sci, Kaartinen aveva contribuito ad arricchire la cultura religiosa del popolo finnico con elementi lapponi e seguiva tutte quelle usanze quando si trovava solo nella foresta. In città, diceva, la pratica religiosa era impossibile. Kaartinen raccontò di aver scolpito con la sega a motore, sulla riva di un laghetto alle sorgenti del Ruscello-del-Cacchio, il suo dio-pesce, un palo totemico che andava ad adorare fuori dalle stagioni turistiche. Nel bel mezzo di quel suo luogo sacro aveva costruito un altare di pietra, sul quale sacrificava abitualmente degli animali vivi, che potevano essere una cornacchia presa con la rete, o una pernice bianca catturata con la trappola, alle volte perfino un cucciolo comprato a Ivalo. Adesso avrebbe voluto sacrificare un vero, libero animale della foresta, la lepre di Vatanen, e siccome Vatanen non aveva voluto vendergliela, a Kaartinen non restava che una possibilità per placare i suoi dei: scippare la lepre al suo padrone. Kaartinen affermò che, attualmente, conduceva una vita molto equilibrata. Sentiva che i suoi vecchi dei erano contenti di lui e che non esistevano altri dei: Kaartinen augurava a Vatanen la stessa pace spirituale, gli propose persino di sacrificare insieme la lepre agli dei. Dopo aver ascoltato quella lunga autobiografia religiosa, Vatanen disse che poteva dimenticare l'incidente, ma fece giurare a Kaartinen che d'ora in avanti si sarebbe tenuto alla larga dalla lepre, specialmente per quel che riguardava le questioni religione.
La sera stessa, Vatanen tornò tranquillamente
in sci in compagnia della sua lepre, dal
Ruscello-del-Cacchio alla capanna delle Gole-Ansimanti,
senza più pensare allo strano mondo di Kaartinen. Nel cielo
splendeva una pallida falce di luna, le stelle brillavano
di una luce opaca nella gelida sera. Questo era il suo
mondo, qui poteva vivere in pace. La lepre saltellava
silenziosa sulla pista, davanti allo sciatore, come una
guida. Vatanen canterellava per lei.
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