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| << | < | > | >> |Pagina 17La Finlandia intera entrava nella stagione estiva. Le acque si erano liberate, gli umani risvegliati. Il sole splendeva raggiante, una brezza leggera turbinava nell'aria. Dalle parti di Lestijärvi, in campagna, una madre di famiglia sfornava brioche alla cannella, a Kokkola, sulla costa, un automobilista ubriaco provocava un incidente mortale. Insomma, era cominciata l'estate.Quel mattino Seppo Sorjonen, taxista dipendente, aveva accompagnato un cliente dal centro di Helsinki a Otaniemi. Si sentiva sudaticcio, la macchina era ancora impregnata dell'odore delle corse notturne. Da qualche tempo la claudicante signorina Irmeli Loikkanen era diventata un po' troppo assillante. Sorjonen era stufo. Pensava come sarebbe stato bello andarsene in campagna, guidare senza meta su strade dritte in mezzo alla natura, le delicate sfumature di verde nei boschi in quella bella giornata estiva. Ma, ahimè, un taxista dipendente non è padrone della propria vita. E' alla mercé delle circostanze quotidiane. Deve andare dove vuole il cliente. Sorjonen sentiva già la bile accumularsi dentro, sì, era proprio così, un taxista non ha voce in capitolo sul suo lavoro, è costretto a ubbidire non solo al proprietario della licenza e della macchina, ma anche ai vari passeggeri che si susseguono. I vigili e i parcheggiatori sono subito pronti a intromettersi nell'esercizio del suo mestiere. In agguato ai margini della strada c'è la sgargiante segnaletica, una giungla di direzioni obbligatorie e divieti di sosta, sotto la cui muta minaccia si è costretti a guidare. Sono ben poche le professioni in cui si ha così tanta gente sul groppone. A Otaniemi Sorjonen prese la direzione di Tapiola. Aveva intenzione di fare un salto al chiosco della piazza di Tapio, bersi una gassosa e poi infilarsi sulla tangenziale Ovest per tornare a Helsinki attraversando il magnifico paesaggio marino. Il suo posteggio si trovava nel quartiere di Hakaniemi, un postaccio. Da lì certe volte gli capitavano dei clienti tali da ritenersi fortunati di arrivare sani e salvi alla fine della corsa. Svoltando in via Tapiontori ebbe un sussulto: in mezzo alla strada, fermo a gambe divaricate, c'era un uomo attempato di eccezionale statura, vestito in abito grigio. Del tutto indifferente al traffico circostante, era concentrato sulla sua cravatta, le cui estremità sventolavano come variopinti stendardi nella brezza che veniva dalla piazza. Aveva l'aria della persona perbene. Doveva essere sulla settantina. I suoi capelli grigi ondulati brillavano di riflessi argentei al sole. Il volto era forte e segnato, il naso e la bocca pronunciati. La fronte corrugata, si affannava con le sue dita impacciate a far apparire sulla cravatta un nodo degno del nome.
Sorjonen fu costretto a fermarsi, visto che l'uomo gli
ostruiva la strada. Abbassò il finestrino e rimase ad
aspettare che lo spilungone portasse a termine la sua
impresa, chiedendosi divertito perché mai si ostinasse tanto
a volersi annodare la cravatta nel bel mezzo di una via
trafficata. Dietro il suo taxi si era già formata una lunga
coda di macchine. Ma che fretta c'era, si poteva anche
aspettare che il signore finisse il suo nodo.
Dà una certa sensazione di leggerezza non sapere chi si è, da dove si viene e dove si va. Taavetti Rytkönen, sessantotto anni, si trovava esattamente in quella situazione. Era in viaggio, ma non aveva la minima idea di fosse diretto né ricordava da dove venisse. Era appena uscito dalla filiale di Tapiola della Banca Nazionale, dove aveva dimenticato il suo portafoglio e la sua carta d'identità, ricordandosi tuttavia di infilare nella tasca interna i soldi che aveva prelevato alla cassa. Non era una somma da poco: i biglietti da mille marchi legati da un elastico formavano una mazzetta di un centimetro e mazzo. Per quale ragione avesse prelevato tutti quei soldi non se lo ricordava e, in quel momento, gli sfuggiva anche il fatto di averli prelevati. Dopo aver girovagato per i vicoli e le piazze di Tapiola sforzandosi di ricordare cosa ci facesse lì, aveva cominciato a innervosirsi e a spaventarsi. Aveva allentato il nodo della cravatta. E se si fosse dimenticato anche il suo nome? Taavetti... Taavetti Rytkönen, eccolo! Meno male. Che sollievo ricordarsi il proprio nome. Era arrivato in una vasta piazza piena di macchine parcheggiate. Il luogo gli sembrava vagamente familiare. La cravatta gli pendeva floscia sul petto fuori della giacca. Irritato, se l'era strappata via e si era avviato verso la zona di Otsalahti. Dopo poco si era accorto di avere un aspetto un po' trasandato e aveva deciso di rimettersi la cravatta. Facile a dirsi. Com'è che si faceva? Dov'era che si dovevano infilare le estremità di quel dannato pezzo di stoffa per fare un appropriato nodo doppio? Ricordarselo era diventato un assillo.
E così adesso Taavetti Rytkönen era lì fermo in
mezzo alla strada che lottava con la sua cravatta.
Ora il nodo era troppo grosso, ora nella posizione
sbagliata. Infuriato, si chiedeva chi diavolo avesse
inventato quello stupido obbligo che spingeva centinaia di
milioni di uomini a legarsi al collo tutte le
mattine quell'inutile straccio prima di andare al
lavoro. Se uno non aveva la cravatta voleva dire che
guadagnava meno di quello che si era arreso a quell'idiozia.
La cravatta non era che una perenne fonte di tormenti e
fastidi e, per di più, aveva un aspetto assolutamente
ridicolo. Che assurdità! Perché non andavano in giro con
delle banderuole sul cappello, già che c'erano? Ma un
gentiluomo, si sa, non si mostra in pubblico senza cravatta.
Seppo Sorjonen cominciava a preoccuparsi della fila che si allungava sempre più dietro il suo taxi. Scese dalla macchina e si avvicinò al signore dall'abito grigio. "Posso esserle d'aiuto?" Taavetti Rytkönen si dimostrò grato. Piegò la testa indietro e, con un'espressione rassegnata, lasciò che il taxista portasse a termine l'operazione del nodo. "E' che non c'è uno specchio qui, senza specchio è un po' difficile... non ci si può vedere il collo." Così si giustificava Taavetti Rytkönen, uomo della vecchia guardia. Quando il nodo della cravatta fu finalmente a posto, salì senza tante cerimonie nel taxi e si sistemò comodamente sul sedile posteriore. Sollevato, chiuse gli occhi. "Dove vuole che andiamo?" chiese Sorjonen. "Avanti.» Partirono. La lunga fila di macchine poté finalmente diradarsi. Sorjonen lanciò un'occhiata al suo cliente attraverso lo specchietto retrovisore. Aveva l'aria di una persona rispettabile, era solo incerto sulla destinazione. Con l'infallibile occhio clinico del taxista, Sorjonen concluse che l'anziano poteva essere giusto un po' bizzarro, ma difficilmente era uno che cercava di fare il furbo. Rimase così ad aspettare. Taavetti Rytkönen non riusciva a decidere in che posto potesse avere motivo di andare. L'autista, che lo fissava attraverso lo specchietto retrovisore, cominciava a innervosirlo. "Vada pure dove le pare", concluse all'improvviso. Sorjonen si inserì nel traffico e, seguendo l'ispirazione del momento, imboccò la Terza circonvallazione in direzione nord. Poi, visto che il suo passeggero non obiettava, si prese la libertà di continuare fino a Pitäjänmäki e Konala. Arrivati lì, tornò a chiedere se erano sulla strada giusta e a quale indirizzo esatto volesse andare. Rytkönen rispose seccato: "Certo che è la strada giusta, sono tutte giuste!" Sorjonen cominciò ad avere dei dubbi. Non era che il vecchio lo stesse prendendo in giro facendosi portare a caso attraverso la periferia della città? Chiese di nuovo al cliente di indicargli l'indirizzo esatto, spiegando che gli avrebbe permesso di arrivare più in fretta a destinazione. Taavetti Rytkönen si innervosì. Che diavolo importava all'autista la sua destinazione? Riteneva che un libero cittachno finlandese avesse pieno diritto di andare in taxi fino in capo al mondo, se voleva. L'autista aveva il suo compito, che era quello di guidare. E dunque che guidasse, erano su quattro ruote e con il pieno di benzina, no? E se anche la benzina fosse finita, bastava fermarsi alla prima stazione di servizio. | << | < | > | >> |Pagina 64Poi cercò nell'elenco il numero di un tecnico odontoiatra e fissò un appuntamento per Rytkönen. Il tecrúco accettò di ricevere il cliente in giornata quando Sorjonen spiegò che si trattava di un'urgenza: un anziano consigliere agrimensore aveva perso la sua dentiera e non poteva mangiare che pappe e minestre.Nel pomeriggio il tecnico riempì la bocca di Rytkönen con un'enorme massa di pasta per calchi e gli ordinò di serrare la mascella. Rytkönen rimase seduto lì sulla sua poltrona, con un'espressione tetra e le mascelle immobilizzate. Nell'attesa il tecnico intrattenne il cliente parlando del più e del meno. Per la Festa della Mamma aveva regalato a sua moglie una macchina per fare il pane. Un acquisto utile, nulla da dire, solo che lei l'aveva voluta portare nella loro casetta di campagna. Nulla da dire neanche su questo, era bello avere il pane appena sfornato il week-end. "L'unico problema è che non c'è l'elettricità in campagna, e la macchina è diventata una dannata rottura di scatole. Consuma un sacco di corrente per far cuocere quei maledetti panini. In un primo tempo ho installato un generatore sotto il balcone della sauna. Ma il rumore disturbava la mia dolce metà. Ogni volta che facevano il pane, si sentiva un baccano terribile e si consumava un mucchio di benzina. Allora ho cominciato ad alimentare quell'aggeggio infernale con delle batterie. Ne uso quattro: due rimangono in campagna e le altre due le riporto in città per la ricarica. Insomma, il pane riusciamo a farlo, ma è tutto un teatro. Ci pensi, ci accolliamo sempre due batterie da portare in campagna e altre due da riportare indietro. Preferirei di gran lunga comprare un sacco pieno di pane ogni settimana, ma oramai che abbiamo quel trabiccolo... E' che a mia moglie piace tanto fare il pane in casa." Rytkönen annuiva con la testa. La pasta nella bocca gli impediva di esprimere una più elaborata presa di posizione sulle tribolazioni causate dalla macchina per fare il pane. Il tecnico gli fece vedere i campioni di colore dei denti. Rytkönen scelse un bianco brillante. Gli pareva che ci volesse almeno qualcosa di nuovo e abbagliante nel suo fisico decrepito. Il tecnico disse che la protesi sarebbe stata pronta per la prova la settimana dopo. Poi ci volevano ancora due o tre giorni per adattarla.
Rytkönen pretendeva i suoi denti nuovi il più
presto possibile, preferibihnente domani. Il tecnico
gli spiegò che in tal caso avrebbe dovuto fare degli
straordinari e non era sicuro di volerlo. Doveva andare in
campagna per sostituire le batterie della macchina per il
pane. Rytkönen promise di pagare il doppio, se avesse avuto
la sua dentiera rapidamente. Questo risolse la questione.
E del resto è sempre così a questo mondo. Il denaro dei
ricchi è più efficace di quello dei poveri, che raramente
risolve questioni. Se un povero tenta di usare il denaro
per ottenere qualcosa, normalmente lo perde.
Del resto è per questo che è povero.
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