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| << | < | > | >> |IndicePremessa 11 Essere presenti a se stessi 13 Etimologia 17 Il linguaggio del corpo Mentire senza tradirsi, scoprire chi mente a noi Cenni sul concetto di Cazzimma 21 Test preliminare 31 Il tipo Pinocchio 33 Il tipo barone di Münchausen 39 Il tipo Ulisse 43 Mentire per ottenere qualcosa 49 Rischi del mentire e assuefazione Elementi del doping 57 Prima regola Enormi 59 Seconda regola Mentire agli altri, non a se stessi 71 Terza regola Negare, negare sempre, negare anche l'evidenza 75 La macchina della verità 77 Fisiognomica del bugiardo 79 Il bisogno insaziabile di verità 83 Mentire alle donne 91 Mentire agli uomini 95 Genitori bugiardi 99 La bugia nell'era di Facebook 101 Test finale 105 Venti aforismi 107 Appendice Un'ambigua storia di bugiardi e di bugie 113 |
| << | < | > | >> |Pagina 11Questo non è un libro da parata: è un libro da guerra. Non ci proponiamo di analizzare la bugia, ma l'atto del mentire. Nulla verrà trattato da un punto di vista storico o filosofico. Nessuna barbosa questione morale verrà posta e tanto meno, dunque, verrà proposta soluzione alcuna. Non siete davanti a un trattato erudito, ma a un manuale che vi permetterà di mentire nel migliore dei modi, e di smascherare chi cercherà di mentire a voi. Come ha affermato Schmidt, "l'attitudine a mentire è il meccanismo chiave dell'evoluzione della nostra specie." Se il gene della bugia verrà scoperto, tanto meglio. Ma che il mentire sia genetico o meno, la questione non cambia: il pensiero occidentale si regge prima di tutto sulla bugia. Essa ne costituisce l'immenso, inamovibile pilastro. La vera domanda, quindi, è un'altra:
se la bugia è così diffusa e naturale, ma tuttavia il fine della
vita — cioè il piacere — viene raggiunto di rado e da pochi, dobbiamo per caso
dedurne che mentire sia inutile?
La risposta è fulminea: no.
Il fatto è che se è vero che tutti mentiamo, pochi sanno
farlo bene. Probabilmente bugiardi si nasce, ma lo si può
anche diventare se si conoscono, e si mettono in pratica (senza falsi pudori),
alcune semplici regole.
La bugia permea la nostra esistenza. In tutte le sue forme, dalle più grette alle più eccelse, il mentire ci accompagna. Mentiamo a noi stessi, agli altri, agli dèi se occorre. Sulla verità, al contrario — tranne i fondamentalisti religiosi, i fanatici di certe strategie calcistiche, e le donne affette da delirio materno — c'è accordo unanime: nessuno la conosce. L'unica speranza di arrivare a una verità, è risalire le bugie controcorrente, fino alla fonte. Quella della bugia è insomma una funzione essenziale, persino educatrice. La menzogna è gioco, è arte, è movimento, vita. Ma è anche un'arma potente, che può garantire la pace, e può scatenare la guerra. | << | < | > | >> |Pagina 13Essere presenti a se stessi è il punto chiave dell'esistenza. A volte siamo confusi, a volte stanchi, a volte avviliti e scontenti. Ma sono tutte cazzate. Siete stanchi? Riposate. Siete confusi? Prendete tempo. Siete avviliti e scontenti? Lasciate andare le cose, e vi accorgerete che quello che accade o si rivela poco importante, o è così grave che rassegnarsi viene naturale. Andatevene a passeggio con la fidanzata o il fidanzato, fatevi massaggiare i piedi, il collo. Godetevi la vita, tanto tutto viene da sé.
Non c'è fretta. Non c'è fretta perché non ci sono né scadenze né
appuntamenti. La vita vista come
prospettiva
è
una presa per il culo.
È bello amare le cose che si fanno, il proprio
lavoro, ma non bisogna dimenticare che anche i sogni vivono
insieme a noi in un eterno presente. Non bisogna slabbrare la
visione dell'esistenza cercando il futuro, perché:
futuro è soltanto una parola. È un'invenzione. Anzi, una bugia.
E questo finalmente ci porta in tema.
Ne parleremo diffusamente più avanti e più indietro, ma
è bene sottolineare subito questo punto decisivo:
la strada, la nostra strada nella vita, non esiste, dobbiamo costruirla.
Inventarla. Dobbiamo inventare un punto di partenza, perché quello possiamo sceglierlo, mentre non possiamo inventarci un arrivo, perché non sappiamo dove e soprattutto quando la nostra strada finirà. Qual è allora la sfida?
La sfida è costruire una strada, quella della nostra vita, noi stessi,
fatta solo di presente.
Una strada infinita, ma fatta di un unico passo che continuamente si
rinnova.
Direte: ma è assurdo! Vero. Per questo mentire è necessario. Perché mentire ingravida la realtà, la mette incinta e le consente di partorire innumerevoli possibilità. È la menzogna buona, costruttiva, piena di risorse. La vita in sé si riduce a una serie, breve, di meccanismi spaventosi. Ma l'uomo mente: inventa la vita oltre la vita, inventa Dio, oppure lo nega (è la stessa cosa), stabilisce di essere solo nell'universo e suo padrone, poi cambia tutto, e spera che vi siano altri, a lui simili o meno, da qualche parte, in una galassia remota. Li va a cercare. Immagina addirittura di vederli arrivare a bordo di astronavi che sembrano dischi. L'uomo inventa la bugia, e nasce la verità. Ci governa l'istinto di sopravvivenza, ma noi rispondiamo inventando l'amore e la solidarietà. Mentiamo, mentiamo a tutto spiano, ma questo distende sotto di noi, sotto i nostri piedi — e dentro di noi — una strada infinita che scorre maestosa nel cuore di un attimo. Il meglio della vita è bugia. "Ti amerò per sempre", è tanto falso quanto indispensabile. La bugia è l'ossigeno della nostra anima. Ma mentire davvero, cioè sapendo che la guerra è persa ma tuttavia combattendola fino all'ultimo respiro, è il più grande atto d'amore verso la verità.
Ed è un immenso atto di coraggio.
Il bugiardo vile cede alla tentazione di credere alle favole
che lui stesso si racconta. Il vero bugiardo no.
Lui sa di mentire. Sa che la bugia è tale. Sa che essa nasconde sotto un velo di creatività tutta la dolcezza, la fragilità, la speranza di ciò che è umano. Naturalmente poi c'è tutto il sottobosco delle piccole bugie quotidiane, che possono essere divertenti, crudeli, inutili, affettuose... Impareremo a districarci in questa fitta e complicata materia. Ma sempre ricordando che per mentire bisogna conoscersi ed essere presenti a se stessi, perché la bugia è un qui e ora. Un qui e un ora da cui spiccare il volo verso l'infinito. Un vero e proprio lawami, per dirla nel linguaggio sufi. Mentire vuol dire fare l'amore con la verità. In una parola: fotterla. | << | < | > | >> |Pagina 21"Ma la bugia ti corre su pel naso... tu ti muti di colore in viso, perché tu hai detto una falsità." Lorenzo Lippi Secondo uno studio italoinglese, pubblicato dalla rivista di psicologia 'Journal of Nonverbal Behaviour', il 20% delle bugie "si accompagna a una particolare enfasi dialettica, ed alla marcata tendenza ad utilizzare metafore". Il bugiardo sarebbe quindi prima di tutto un abile imbonitore. Ma questa affermazione, pur non infondata, non appare del tutto soddisfacente. Le parole vivono comunque nel mondo del razionale, anche se certi loro potenti riflessi investono la sfera inconscia. Ma è lì, nell'inconscio, che dobbiamo andare a stanare bugiardi e bugie. Per compiere questo tipo di indagine dobbiamo calarci nel subliminale, nel mondo sfuggente e affascinante del linguaggio del corpo. Un linguaggio che è impossibile spiegare a parole fino in fondo, ma che con la pratica potremo imparare a conoscere sempre meglio, affinando la nostra capacità di cogliere atteggiamenti, sguardi, movimenti del nostro interlocutore e di decifrarne il più segreto significato. Uno dei grandi archetipi della bugia, e forse il più celebre bugiardo della letteratura (in questa trattatazione tralasceremo la letteratura fandonica alla Gulliver, inutile rispetto agli scopi che ci siamo prefissi), cioè Pinocchio, ha il naso che si allunga. Non è un caso. Il naso è, nel linguaggio del corpo, la sede principale degli scarichi emotivi legati al bugiare. In poche parole, quando una persona ci mente, uno dei gesti che dobbiamo controllare è se si tocca (o si gratta) la punta del naso. Supponiamo che alla domanda: "Dov'eri ieri? Mica sei uscito...?" ci venga risposto: "Ma no che non sono uscito ieri... ero a casa!" Se mentre fa queste affermazioni il nostro interlocutore si gratta il naso, o anche soltanto lo sfiora con un dito, al 90 per cento sta mentendo. Per arrivare alla certezza, al 100 per 100, saranno necessarie delle verifiche. "Capisco, e sei stato a casa tutta la sera...?" "Certo!" Se si tocca di nuovo il naso, la percentuale sale al 95 per cento. Insistiamo, con calma: "Tu non mi mentiresti mai, vero caro/a?" Attenzione: questo è un punto cruciale: la nostra verifica ha abbandonato il contenuto della bugia (cioè la ragione, presunta o vera, per la quale il nostro interlocutore non sarebbe uscito) e si è concentrata sul fatto in sé di mentire o meno. Praticamente stiamo chiedendo al nostro intelocutore non solo se è uscito, ma anche se è una persona sincera. Se lui sorride, e rassicurandoci sulla sua sincerità sculetta sulla sedia, oppure se fa qualche colpetto di tosse, o si schiarisce la voce, ovvero se va indietro col busto o arretra di un passo, non ci sono più dubbi: mente. Ed è un bugiardo. Tenete presente che l'interlocutore potrebbe fare anche tutte queste cose, o alcune di esse, insieme: Sculettare e tossire; arretrare e schiarirsi la voce, o anche — se è seduto — andare indietro col busto (magari mettendosi braccia conserte! ); tossire fin quasi a strozzarsi, e spellarsi il naso con le unghie.
Una simile reazione combinata dovrebbe indurci a
sospendere ogni relazione
con questo soggetto, chiaramente incline alla
menzogna cronica.
Non bisogna farsi illusioni sulla possibilità di curare un bugiardo.
Si può uscire dal tunnel della droga, si può smettere di
bere, ma la bugia, quando è un'inclinazione naturale,
non ha rimedio.
La cosa importante è cogliere questi segni, e poi — facendo le verifiche — stabilire con assoluta certezza se gli scarichi di tensione non siano legati ad altri aspetti del discorso, piuttosto che l'eventuale menzogna in sé. Supponiamo infatti che l'argomento della discussione sia penalizzante per il nostro interlocutore. Prendiamo ad esempio — è un classico — il denaro. "C'erano cinquanta euro, in quel cassetto. Non ci sono più. Li hai presi tu?" "No..." (e tossisce) "Sicuro?" "Certo!" "Dai, diciamoci la verità... Non hai un soldo, e sarebbe umano se tu avessi ceduto alla tentazione di compiere un furtarello!" "Non me la passo affatto così male, io! Ma cosa credi?" (e si tocca il naso). Ecco, in questo caso la questione potrebbe essere tutta da rivedere. Il toccamento di naso, e anche la tosse, esprimono o possono esprimere la tensione provata verso l'argomento "denaro", o la frustrazione per l'essere stati definiti miserabili, e non quella determinata dall'aver detto una bugia. È possibile, nelle situazioni concernenti denaro e potere, che il nostro interlocutore compia un altro gesto analogico: quello di toccarsi con la mano destra la parte sinistra del petto. Si tratta del cosiddetto effetto portafoglio. Un gesto che esprime disagio economico e condizione basale di frustrazione, strutturatosi come codice per l'abitudine di portare il portafoglio nella tasca interna sinistra della giacca. È un gesto tipicamente maschile, il cui corrispondente femminile è quello di toccare la borsa. In situazioni simili, comunque, è da tener presente sempre anche il vecchio adagio escusatio non petita accusatio manifesta. Laddove l' escusatio non petita avvenga, bisognerà assolutamente approfondire.
Ricapitolando, í segni da tener presente per sgamare un mentitore sono:
toccamento (o grattamento) del naso; tosse; schiarimento della voce (anche detto raschiamento); sculettamento (da seduti, ovviamente); arretramento (anche del solo busto); braccia conserte (ma anche gambe accavallate, specie a doppio incrocio, con piede della gamba accavallata che gira intorno a quella di appoggio. Un accavallo tipicamente femminile — chi ha i testicoli ha difficoltà oggettive ad eseguirlo — noto come Accavallo di Troia ). Questi efficacissimi accorgimenti vanno particolarme bene per individuare il bugiardo classico: il tipo Pinocchio. Il tipo barone di Münchausen è invece un po' diverso. Di entrambi parleremo diffusamente, ma intanto possian dire che questo tipo di bugiardo non sí rende conto realmente di mentire, vive in una dimensione mentale estremamente elastica, e potrebbe raccontare le più clamorose balle senza vivere alcuna tensione, e dunque senza dare luogo a scarichi. Il Münchausen si compiace, si diverte. È simpatico, di solito. Ma praticamente è pazzo. Meglio tenerne conto. | << | < | > | >> |Pagina 43Squillino le trombe! Tutti in piedi e in silenzio: entra il Gran Maestro. Il tipo Ulisse è il bugiardo magnifico. Ma anche il bugiardo mostruoso. Politicamente è il limpido caso del bugiardo democristiano: esce pulito e profumato pure dalla cloaca massima. Egli coglie nella menzogna l'aspetto sommamente pratico. La bugia come strumento, come strategia per ottenere un vantaggio concreto, risolvere una situazione, portare a casa la pellaccia. Fondamentalmente Ulisse si nasce, ma penetrando a fondo la sua personalità, c'è molto da imparare. Il segreto di Ulisse è la razionalità. In lui la bugia non ha il carattere puerile che ha nel tipo Pinocchio, del quale non ha certo il carattere sfrontato e insieme timido. Tanto meno è il tipo Münchausen, perché l'Ulisse disprezza le cose inutili, per quanto possano in apparenza essere seducenti. Per lui la vita è una sfida, e la conduce senza esclusione di colpi. La sua bugia, è prima di tutto un inganno, una trappola. Gli Ulisse sono pericolosissimi. E quando ci si ritrova davanti un tipo Ulisse, bisogna stare con gli occhi aperti (o almeno con l'occhio aperto, lezione che come è noto Polifemo imparò troppo tardi, e a sue proprie spese). Ulisse esordì giovanissimo, praticamente da quando venne al mondo. Normalmente si crede che fosse figlio di Laerte, re di Itaca, e di Anticlea (figlia tra l'altro del celeberrimo lestofante Autolico... buon sangue non mente), ma il padre era in realtà Sisifo. Il mito racconta di Autolico e Sisifo, coppia di noti ladri che viveva sul Parnaso; e Autolico, nonno materno di Ulisse, vantava a sua volta natali molto illustri dal momento che suo padre era il dio Hermes, protettore, non a caso, proprio dei ladri. Una delle prime e più famose bugie di Ulisse fu quella di fingersi pazzo per non andare in guerra. Alcuni pensano che Ulisse non volesse partire per Troia per la sfavorevole profezia di un oracolo, o perché era da poco diventato padre di Telemaco, ma non è così. Ulisse è semplicemente il più grande Cazzi Miei della storia universale. Era uno che puntava sempre e solo al profitto, alla semplificazione, all'evitamento degli ostacoli. Non c'è cosa che egli abbia fatto, che non sia o abbia per sfondo una menzogna. Tralasciando quella fin troppo conosciuta del cavallo che distrusse Ilio, soffermiamoci invece su un'altra sua qualità come bugiardo: il tipo Ulisse è straordinariamente abile a sgamare le vostre bugie. È Ulisse che con un artificio scova Achille (miseramente vestito da donna tra le figlie di Licomede). Ulisse si limitò a far suonare alle trombe squilli di guerra, e Achille, come un babbeo, immediatamente si strappò di dosso gli abiti femminili e si presentò all'adunata. Per avere un'idea del brutale pragmatismo del tipo Ulisse, pensiamo alla storia della povera Ifigenia. Agamennone cercò di salvare la figlioletta, dicendo che sua moglie Clitennestra non avrebbe mai acconsentito a permettere che Ifigenia fosse sacrificata. Era comprensibilmente restio a praticare il sacrificio alla dea. Ulisse allora finse di adirarsi, e di salpare per Itaca, lasciando l'impresa. Intervenne Menelao e alla fine si decise di prelevare Ifigenia, ma dicendo alla madre che dovevano condurla in Aulide per darla in sposa ad Achille in persona. Fu Ulisse a prendersi il mostruoso incarico di mentire alla madre di Ifigenia. Achille, invece, rimase disgustato quando apprese che il suo nome era stato usato, a sua insaputa, per porre in atto un inganno così meschino, il cui fine era uccidere una povera fanciulla. Del tipo Ulisse non ci si può fidare. Non si può dire propriamete che sia cattivo, ma è sicuramente spietato. Cinico. È capace di una certa lealtà nei confronti degli amici, ma il suo amore per la menzogna come sfida all'esistenza è troppo forte. Come si comporti in amore, è fin troppo noto. È un gran cornificatore, uno con una faccia di bronzo eccezionale (tra l'altro Ulisse visse appunto nell'età del bronzo, e l'espressione "faccia di bronzo" fu coniata dal dio Vulcano proprio in riferimento a lui), uno che fondamentalmente ti dà ragione, ma che sistematicamente ti fa fesso. Però vederlo all'opera è un piacere. Da lui si apprendono le qualità fondamentali del perfetto bugiardo. La capacità di improvvisare, l'audacia, l'opportunismo, la memoria, la fantasia, e molte altre. Il Maestro di bugia deve essere molto versatile. Spudorato ed egocentrico. Nessuna tipologia meglio di quella di Ulisse ne mette a fuoco il profondo individualismo. Il bugiardo è un individualista, uno che non ci sta. Uno che combatte fino all'ultimo, che non si arrende nemmeno quando tutto è perduto. Perché quando la realtà per così dire finisce, lui ne fabbrica di nuova. A patto di avere un sistema nervoso a prova di bomba, -.cor il bugiardo magnifico è in grado di gestire qualunque situazione. È uno che ha capito fino in fondo che la vita non ha alcun senso, e non ha paura di guardare il nulla dritto nelle palle degli occhi. | << | < | > | >> |Pagina 59La bugia è all'origine stessa del mondo. Tutti i racconti della cosmogonia sono evidentemente falsi, come falsi sono — dichiaratamente — i racconti che tessono il credo religioso. Certo, si tratta di metafore, però questo non ci deve distrarre del tutto dal fatto che l' inclinazione delirante a sfuggire alla realtà, ai suoi enigmi, ai suoi limiti, alle sue insidie inspiegabili, è antichissima. E ha, come abbiamo accennato, un preciso ruolo nell'evoluzione della nostra specie. Non a caso lo stesso Darwin, studiando il comportamento degli animali, intuì per primo che essi mentono. Mentono fingendosi morti, mimetizzandosi, e in mille altri modi. Le sue conclusioni sul fatto che "anche l'uomo ha in sé l'istinto di mentire, dunque mentire è giusto", furono però (ma guarda...) censurate dalla Chiesa. Solo l'Imam di Istanbul si levò in sua difesa, ma Roma lo mise prontamente in cattiva luce bollandolo come bugiardo. Nella vita quotidiana — a qualunque latitudine, e sin dalla notte dei tempi — si finge allegramente di credere all'impossibile. Si è avvezzi a convivere con le corbellerie più sfrenate. Per tirare avanti, per far vivere la fantasia, ma anche per migliorare il mondo, in un certo senso, per comprenderlo meglio. Ma bugie erano quando vennero concepite, e bugie restano. Questo non va dimenticato. Non del tutto.
Il cammino tra le
fesserie,
comincia da bambini, con le favole. Racconti meravigliosi, ma che contribuiscono
a formare dentro di noi quel sentimento di simpatia per tutto ciò che vero non
è:
La gioventù è il momento poi in cui mentire è necessario, oltre che lecito.
È l'età fisiologica delle illusioni. Le scariche ormonali favoriscono la menzogna, ed è in genere in quell'età che si intravede il futuro bugiardo cronico (nei vecchi manuali di psichiatria, la bugia cronica veniva eloquentemente chiamata "sindrome napoletana", o semplicemente "napoletana"). E infine siamo così pronti per diventare adulti bugiardi, contenti di esserlo.
Però come in tutte le cose, c'è chi eccelle e chi è destinato a rimanere per
sempre un dilettante.
In mezzo a una simile sarabanda infernale di bugie sembrerebbe impossibile orientarsi, ma non è così. E anzi la Storia ci insegna la regola aurea: le bugie devono essere enormi. Non sono quelle migliori, che resistono al tempo (anzi quelle ben congegnate vengono quasi sempre scoperte), ma sono quelle più grandi, le più clamorose, quelle che sorpassano l'impossibile, ad affermarsi. Una delle più longeve e colossali, è che la scienza spieghi le cose. In realtà si tratta di un dogma di tipo religioso, astutamente travestito. La scienza descrive, senza dare spiegazione di un bel nulla. In realtà, la Matematica e la Fisica, che si fregiano ufficialmente del titolo di "esatte" (ma ovviamente non lo sono neanche loro), poggiano se non altro su una regola fissa. La stabilì Galileo (e la vulgata vuole, alquanto allusivamente, che questo avvenne in un notte di plenilunio): una legge fisica è tale se l'esperimento che la dimostra può essere ripetuto infinite volte, in maniera sempre uguale, sempre dando il medesimo risultato. In realtà però è impossibile saperlo con certezza, perché nessuno può ripetere un esperimento infinite volte. Ma altre discipline, in testa la Medicina, hanno finito per trovare posto nel catalogo delle scienze solo quando il sapere quantitativo è stato separato da quello qualitativo da un confine netto. Preciso. Come si è fatto, per esempio, con la Partizione di India e Pakistan. Ed è quando le cose sembrano chiare e sicure, che dobbiamo drizzare le antenne. Infatti si tratta di una clamorosa balla. Una cosa è la caduta dei gravi, un'altra l'aspirina. Facciamo un esempio: se io prendo in mano una penna, e la lascio cadere, la penna cadrà. Mi ci posso giocare qualsiasi cosa (può darsi che facendolo infinite volte non accada, ma tanto non lo sapremo mai). Ma se do un' aspirina a uno col mal di testa, non solo non sono certo che gli passerà, per quanto non è affatto escluso che gli verrà un' emorragia (un caso su 250, in caso trattamento sistematico). E magari che morirà. "Il vaccino va fatto!", "Il vaccino non va fatto!", sono affermazioni abituali per i medici. Uno la vede in un modo, uno in un altro. Ma l'affermazione dei medici più incredibile, che rappresenta la più clamorosa e sfacciata presa per il culo dei pazienti, è la seguente: "Ho visto gente che sembrava morta, vivere cent'anni. E altra che schiattava di salute, schiattare davanti ai miei occhi all'improvviso". È qui, in questa frase in fondo sincera, che la balla medica appare in tutta la sua sconvolgente chiarezza. E allora io, da te, che cosa ci vengo a fare? Praticamente è l'ammissione di non aver capito niente, contrabbandata come apoteosi della propria esperienza e saggezza clinica. È l'ammissione che tutto il resto sono balle. Balle per sentire le quali si pagano normalmente, e senza discutere — nonché senza ricevuta fiscale — cifre inconcepibili. | << | < | > | >> |Pagina 113Faust è giovane e bello, e ha capelli ricciuti. Dino Campana, La Notte (14) Il momento in cui iniziamo a raccontare la storia di Carletto, coincide con quello in cui lui stesso si accorse di esistere. Quello, cioè, in cui mentì per la prima volta. Fu allora che sentì l'odore della pelle sudata della sua anima, mentre con una magica dissolvenza incrociata l'infanzia si sfumava alle sue spalle e una misteriosa, nuova realtà prendeva forma. Carletto si affacciava timidamente sulle sfumate ambiguità e sulle complicate geometrie dell'adolescenza: la camera di lancio che l'avrebbe proiettato nell'età adulta. Quei due mondi, così diversi, convissero in lui per un breve periodo. Il primo era fatto di giorni vasti e spensierati, dove le ore scorrevano placide come onde lunghe in alto mare. Le sue giornate non incontravano altro confine che quello segnato dalla "buonanotte" di sua madre, suggello delle sue diurne fatiche di bambino e lasciapassare per i fecondi e inquietanti territori della notte. Seduto sulle ginocchia di suo padre era stato chiamato a riflettere sull'insegnamento delle favole, e pian piano si sentiva sempre più vicino a un ideale di perfezione che sentiva di dover raggiungere. Era il tempo in cui le cose possedevano una qualità straordinaria, una sorta di segreta gioia di essere scoperte. E Carletto la ricambiava con una curiosità inesauribile verso tutto ciò che lo circondava. Il mondo gli piaceva talmente, che non aveva mai desiderio di guardarsi allo specchio. Sua madre lo pettinava al mattino e tanto bastava a consegnarlo alla vita sicuro di sé. Non aveva ancora un linguaggio da adulto, e guardava le "cose di dentro" senza saper dar loro un nome. Così, non potendo restare intrappolato nelle reti delle parole, i suoi pensieri avevano la forza e la semplicità di sentimenti. Come ogni bambino, Carlo era libero. Non conosceva l'ansia né la fretta, ma sapeva che ogni mattino sorge il sole. Che avrebbe fatto colazione e poi sarebbe andato a scuola. A ritorno avrebbe trovato pronto da mangiare, e dopo avrebbe dovuto fare i compiti, e poi avrebbe potuto giocare tranquillo, e godere del pomeriggio fino all'ora di cena. Non avrebbe saputo distinguere un giorno della settimana dall'altro, ma la domenica la sentiva dentro. La domenica aveva una luce tutta sua, inconfondibile. Come quella dell'ultimo giorno di scuola. Fino a quando non aveva avuto parole per dire tutto questo, aveva potuto viverlo. Finché un giorno, sua madre, dopo cena, quando Carletto si apprestava ad andare a coricarsi, non fece quella strana domanda: "Hai sonno?". Carletto guardò suo padre, e suo padre, sollevando gli occhi dalla Settimana enigmistica, sorrise inarcando significativamente il sopracciglio. Improvvisamente Carletto intuì che era sulla soglia del mondo misterioso. Il mondo degli adulti. Si appiattì sul divano come una pelle di leone, affilò gli occhi (che in realtà gli si chiudevano dalla stanchezza), e mormorò: "Sonno? Io? Neanche un po'..."
"Allora puoi rimanere alzato con noi a vedere il film",
flautò sua madre inforcando gli occhiali, e si voltò verso la Tv.
Fu un brivido. Un brivido vertiginoso di conoscenza. Un'iniziazione. E un gran prurito al naso. Da quella sera, con una piccoia bugia piazzata al momento giusto, Carletto era riuscito a varcare il confine delle nove della sera. Si sentì come se andasse ad esplorare luoghi misteriosi, da visitare con la dovuta prudenza. Fino a quel momento aveva creduto di sapere perfettamente cosa fosse male e cosa bene. Lavarsi le mani prima di mangiare, vincere la paura del buio, fare il proprio dovere di figlio e di scolaro, erano il Bene. Il resto, compresa la voglia di restare alzato, era il Male. Aveva undici anni, e frequentava la prima media. Molte cose, da quella sera fatidica, cominciarono a cambiare rapidamente. Se durante la settimana aveva dato prova di essere un ragazzetto a modo, il sabato pomeriggio poteva montare in salone il tavolo da ping-pong ed invitare i compagni di classe (che adesso non chiamava più col nome di battesimo, come alle elementari, ma per cognome). Sua madre sarebbe arrivata dopo un po' a portare la merenda e, soprattutto, sarebbe venuta a portare la coca-cola. Prima la coca-cola era un tabù:
"Non puoi bere la coca-cola. La coca-cola fa male. Specie ai bambini."
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