Copertina
Autore Greg Pahl
Titolo Biodiesel
SottotitoloColtivare una nuova energia
EdizioneMuzzio, Roma, 2006, Energie 12 , pag. 240, cop.fle., dim. 14x21x1,7 cm , Isbn 978-88-7413-135-8
OriginaleBiodiesel: growing a new energy economy [2005]
TraduttoreElina Lo Voi
LettoreGiorgia Pezzali, 2006
Classe ecologia , scienze tecniche , energia
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Indice

    Prefazione di Bill Mc Kibben                  7

    Introduzione                                  9

1.  Rudolf Diesel                                19

2.  Il revival degli oli vegetali                31

3.  Biodiesel 101                                49

4.  Gli utilizzi molteplici del biodiesel        69

5.  Europa, leader mondiale                      89

6.  Gli altri paesi europei                     113

7.  I paesi extraeuropei                        133

8.  Le politiche Usa sul biodiesel              159

9.  Guardando in avanti                         181

    Organizzazioni e risorse on-line            199

    Glossario                                   205

    Mettiamo in moto l'energia pulita           211

    Il punto di vista di Coldiretti
    sui biocarburanti in Italia                 211
    di Stefano Masini

    Ipotesi di sviluppo del biodiesel in Italia:
    criticità e prospettive                     219
    di Ercole Amato

    Produzione di biodiesel da Jatropha curcas:
    sviluppo di un processo innovativo          227
    di Stefano Banini, Stefano Binotti,
    Gaetano Zarlenga (CUEIM),
    Daniela Rossi (ISRIM),
    Enrico Vincenti (Studio Vincenti)


 

 

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Pagina 9

Introduzione


Stiamo uscendo fuori dall'era del petrolio. E questo è innegabile. Quello che non si sa è quando.

Ad ogni modo, il problema immediato non è che siamo già all'asciutto. Il pericolo più vicino è che cosa accadrà quando la domanda supererà l'offerta: un forte aumento dei prezzi, seguito da un folle aumento dei prezzi. I recenti aumenti della benzina negli Stati Uniti come in Europa, che hanno toccato vertici mai sfiorati in precedenza, sono solo un assaggio di quello che ci aspetta in un futuro piuttosto prossimo.

Il problema più grosso è che, anche adesso, la domanda annuale di petrolio ammonta a quattro volte il volume delle nuove riserve scoperte (che hanno avuto il loro picco nei tardi anni '60 e nei primi anni '70). E per di più, la maggior parte dei molto pubblicizzati "enormi" giacimenti trovati recentemente può dare solo pochi giorni di respiro al mercato mondiale del petrolio, che consuma attualmente oltre 84 milioni di barili al giorno.

Inoltre, con la domanda che continua ad aumentare, la produzione di uno dei giacimenti più grandi al mondo diminuisce ogni anno del 4-5%, mentre si ipotizza che l'intera produzione mondiale di petrolio raggiunga il suo massimo entro il 2010.

Prima o poi, la curva in crescita del grafico della domanda incrocerà quella in discesa dell'offerta. Quando succederà, avremo raggiunto il cosiddetto tipping point, e cioè il punto critico in cui la situazione comincia a rovesciarsi. Il caos assoluto che ne deriverà per l'economia mondiale è così terribile da non potersi quasi immaginare. Ma è meglio consentirci uno sguardo più tranquillo, perché per la data in cui questo scenario si realizzerà davvero noi saremo già usciti dalla dipendenza dal petrolio.

E questo avverrà ben prima di quanto tanta gente non immagini.

Gli esperti, come sempre, si dividono su quando si possa situare il tipping point. Una delle previsioni più ottimistiche, sostenuta dal Dipartimento per l'Energia degli Usa, ritiene che la produzione di petrolio non cali prima del 2037. Molti osservatori tuttavia ritengono che si tratti di una previsione eccessivamente ottimistica, specialmente se si considera il forte aumento della domanda da parte di paesi come la Cina, che nel 2003 ha superato il Giappone come maggiore consumatore di petrolio. Il famoso geologo Colin Campbell, esperto in campo petrolifero, stima che l'estrazione globale toccherà il suo massimo nel 2010. Il geofisico Kenneth Deffeyes dice che la data della massima produzione è già passata, ed è stata nel 2004.

Mentre queste previsioni suonano vagamente allarmistiche, lo scandalo recente che ha coinvolto il gigante petrolifero Royal Dutch/Shell, con il conseguente taglio del 22% (4,35 miliardi di barili) nelle riserve stimate della compagnia petrolifera, è stato visto da alcuni esperti industriali come la punta dell'iceberg di una rappresentazione sovrastimata delle riserve. Se questi calcoli sono fuorvianti come alcuni sospettano, noi siamo in procinto di partire per un viaggio dagli esiti piuttosto incerti.

Quanto a chi crede di avere ragione a proposito della datazione esatta del punto di non ritorno sulle riserve di petrolio, la maggior parte di coloro che adesso sono di mezz'età probabilmente vivranno abbastanza da vederne le conseguenze. Possono augurarsi di non vederle. E per quel che riguarda le generazioni più giovani, beh, sono poco fortunate.

Circa i due terzi di tutte le riserve mondiali accertate di petrolio si trovano negli undici paesi che hanno dato vita all'Opec, ovvero all'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio: Algeria, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Quatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Venezuela. Il fatto che la maggior parte di questi si trovi in un Medio Oriente sempre più instabile non appare particolarmente rassicurante. E il fatto che, prima le nazioni europee, che avevano gestito un potere coloniale, e più recentemente anche gli Stati Uniti siano stati coinvolti in numerose guerre in quella regione, nel tentativo di proteggere il flusso del petrolio, è ancora più inquietante e non depone bene per il futuro.

La figura 1, un grafico dell'Ufficio dei trasporti del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, mostra dove sono localizzate le restanti riserve mondiali.

Gran parte dell'economia globale è così dipendente dal prezzo del petrolio che ogni suo aumento significativo si traduce in enormi problemi.

L'aumento rilevante dei prezzi previsto per quando raggiungeremo il "punto di non ritorno" comporterà una ricaduta indiscutibile anche sui prezzi del cibo, e sarà un autentico disastro per un mercato della produzione e della distribuzione dei beni alimentari che va progressivamente globalizzandosi.

Il risultato sarà che milioni di persone, in particolare nei paesi del cosiddetto terzo mondo, quasi certamente moriranno di fame. Anche i prezzi di molti altri beni aumenteranno drammaticamente. Tutto ciò provocherà una grave crisi economica a livello mondiale, disoccupazione di massa, diffusa instabilità politica, e come conseguenza molti conflitti internazionali. Si può quindi ipotizzare che la società industrializzata come noi la conosciamo possa collassare, addirittura prima di essere decimati dalle conseguenze del riscaldamento globale causato dall'uso dei combustibili fossili.

Questo secondo scenario, il cui pericolo è stato segnalato da anni dagli ambientalisti e dagli scienziati, sembra diventare via via sempre più concreto. Secondo il World Resources Institute, i cinque anni più caldi registrati dalle rilevazioni storiche delle temperature si collocano negli ultimi sei anni. E adesso non sono solo gli ambientalisti ad essere preoccupati.

Nel febbraio del 2004, è arrivato ai media uno studio segreto del Pentagono che l'amministrazione Bush aveva cercato di mettere a tacere.

Lo studio mette in guardia sulle possibili conseguenze degli improvvisi cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale e offre una visione terrificante di una catastrofe globale dovuta a guerre e a disastri naturali con un costo di milioni di vite umane. Sempre secondo questo studio, la minaccia del riscaldamento globale sulla stabilità politica mondiale supera di gran lunga quella del terrorismo. Il rimescolamento economico globale avverrà per colpa dei prezzi del petrolio o a causa del riscaldamento del pianeta? In ogni caso, siamo nei guai.

C'è qualche speranza di evitare una prospettiva tanto drammatica? Può darsi, ma il tempo corre. In effetti, forse oggi è già tardi. Se così fosse, noi non ne possiamo avere alcuna certezza matematica se non quando sarà comunque troppo tardi per porvi rimedio.

Purtroppo alcuni dei paesi che hanno lavorato perché gli Stati Uniti firmassero il protocollo di Kyoto del 1997 – che taglia i gas responsabili dell'effetto serra – hanno cominciato a pensare che, in assenza di progressi significativi, sarebbe forse il caso di "prepararsi al peggio".

Sfortunatamente, molti politici – soprattutto in America – sono ancora scettici e si oppongono a ridurre le emissioni di gas serra, affermando che "questo danneggerebbe l'economia del paese" o che "costa lavoro". Quello che dimenticano questi politici con la testa sotto la sabbia come gli struzzi, è che se passa lo scenario del "caso peggiore" a proposito del riscaldamento globale, il danno economico spaventoso che ne conseguirebbe è assai peggiore di qualunque possibile costo derivato dall'allinearsi agli obiettivi degli accordi di Kyoto. Questo atteggiamento è una forma di stupidità che mette a repentaglio tutti noi, ed è particolarmente irritante per quei milioni di persone che in tutto il mondo (persino negli Stati Uniti) vedono gli Usa come i maggiori consumatori d'energia, nonché come i maggiori inquinatori. Secondo l'Energy Information Administration, gli Stati Uniti sono un paese che a fronte di un 4,5% della popolazione mondiale, consuma circa il 25% dell'energia globale e rilascia circa il 25% delle emissioni totali di anidride carbonica del pianeta.

Senza una partecipazione degli Stati Uniti attiva, costruttiva, adeguata ad affrontare questi nodi critici, il resto della comunità mondiale è effettivamente in difficoltà.

È necessario un grandissimo sforzo cooperativo da parte di tutta la comunità che popola il pianeta per emanciparci dall'odierna dipendenza dai combustibili fossili, e in particolare dal petrolio.

Molte strategie alternative che trattano varie forme di energia rinnovabile, incluso il solare, l'eolico e il geotermico, stanno guadagnando popolarità. Ma allo stato attuale della tecnologia non è possibile usare queste fonti per alimentare una quota significativa di veicoli.

"E se anche la tecnologia consentisse una maggiore efficienza energetica, come mai prima d'ora, bisogna considerare che le macchine e tutti gli altri mezzi di trasporto contano come minimo per il 30% dell'uso di energia in tutto il mondo e per il 95% del consumo globale di petrolio", afferma il Worldwatch Institute nel suo rapporto annuale del 2004.

Oltre il 90% del consumo globale di petrolio se ne va per i trasporti!

Questo dato statistico ci conduce dritti al nocciolo del problema. Alcuni suggeriscono che si possa usare gas naturale compresso (CNG) come sostituto del petrolio. Ma questo vorrebbe dire, come minimo, una forte spesa per riconvertire i veicoli. Purtroppo il gas naturale, per quanto fornisca una combustione più pulita, è comunque un combustibile fossile, e il suo prezzo si va rialzando man mano che le relative riserve si vanno rimpicciolendo alla stessa velocità di quelle petrolifere.

Le celle a combustibile a idrogeno vengono considerate la soluzione finale per il settore dei trasporti. Ma l'idrogeno viene prodotto dall'elettrolisi dell'acqua, e l'elettricità richiesta per alimentare a idrogeno tutte le macchine degli Stati Uniti richiederebbe quattro volte la capacità attuale della rete nazionale (sfortunatamente la rete attuale conta sulle fonti di energia non rinnovabile per il 91% della sua potenza).

Per di più, non ci sono le infrastrutture né per la produzione né per la vendita di tutto l'idrogeno che occorrerebbe. Il passaggio all'idrogeno è, nella migliore delle ipotesi, piuttosto lontano.

Nel frattempo, esiste un combustibile liquido che è rinnovabile e che può essere utilizzato per moltissimi veicoli senza alcuna modifica ai motori. Questo combustibile è il biodiesel.

Per moltissimi anni, tanto in Europa che negli Stati Uniti, agricoltori, ambientalisti e sostenitori delle fonti rinnovabili hanno promosso l'uso del biodiesel come alternativa quanto meno per una parte del mercato del diesel classico derivato dal petrolio. Ma è stato in seguito all'attacco alle torri gemelle dell'11 settembre del 2001 che molti americani hanno cominciato a comprendere le implicazioni della loro sopravvalutazione del petrolio – e specialmente del petrolio del Medio Oriente – e i costi pesanti che comporta, in termini economici, politici e militari. La campagna militare guidata dagli Usa in Afghanistan, e la successiva invasione dell'Iraq, con i suoi terribili strascichi, ha aumentato l'urgenza di un movimento teso a liberare l'America dalla sua dipendenza pressoché totale dai combustibili derivati dal petrolio.

Mentre si mettono a punto diverse strategie per stimolare questa transizione, il biodiesel è una delle alternative più interessanti e al momento delle meno pubblicizzate degli Stati Uniti.

Nella maggior parte dell'Europa, la gente è generalmente a conoscenza dell'esistenza del biodiesel grazie al sostegno dei governi, ma molti americani invece sono rimasti sorpresi dalla sua apparizione improvvisa, dopo essere rimasto in ombra per tanto tempo.

Mentre altre fonti d'energia rinnovabile – solare, eolico, etanolo e celle a combustibile – hanno provveduto ad attirare una certa attenzione da parte dei media, un gruppo di coltivatori di soia del Midwest e altri imprenditori hanno tranquillamente creato una produzione e delle infrastrutture per il biodiesel. Nel contempo un certo numero di agenzie, sia federali che statali, insieme ad alcune organizzazioni autonome ne hanno testato e valutato le prestazioni, ponendo le basi per un nuovo settore industriale di energia sostenibile. Partendo da lì, l'impresa biodiesel ha avuto una crescita significativa, tanto in termini di capacità di produzione che per numero di centri di rivendita in tutto il paese.

Malgrado questa crescita tuttavia molti hanno solo un'idea vaga di rosa sia il biodiesel, e di questi ancor meno capiscono che può essere usato per qualcosa di più della semplice alimentazione di macchine o di pick-up che sono già a gasolio.

Ma esattamente che cos'è il biodiesel, e perché sta creando tante aspettative? Innanzitutto, è importante comprendere che per quanto la parola diesel faccia parte del nome, il biodiesel puro non contiene neanche in minima parte derivati dal petrolio o di altri combustibili fossili di qualunque tipo.

Il biodiesel ricade sotto la categoria di biomassa, che si riferisce a materia organica come colture, residui di colture, legname, rifiuti animali e non, eccetera, che vengono usati per produrre energia.

Più specificatamente, i biocombustibili, che sono una sottocategoria della biomassa, comprendono tre combustibili liquidi derivati da colture: l'etanolo (che di solito deriva da alcol di granaglie), il metanolo (di solito derivato dal legno) e per l'appunto il biodiesel.

Tecnicamente si tratta di un acido grasso esterificato, che può essere virtualmente ricavato, con un processo chimico piuttosto semplice, da un olio vegetale di qualunque origine, come (ma non solo) quello di soia, grano, mais, semi d'uva e colza, semi di cotone, arachidi, semi di girasole, avocado e semi di senape. Ma il biodiesel può essere ricavato anche dall'olio da cucina riciclato o da grassi animali, e ci sono stati degli esperimenti promettenti sull'uso delle alghe.

E il processo è così semplice che il biodiesel può essere ricavato da chiunque, anche se i prodotti chimici che servono per quest'operazione (solitamente una soluzione alcalina e il metanolo) comportano un po' di cautela; inoltre, le risorse iniziali necessarie sono completamente rinnovabili e possono essere prodotte localmente.

Mentre i combustibili fossili si sono formati in milioni di anni (e si stanno riducendo rapidamente), per creare il biodiesel sono sufficienti pochi mesi.

La fonte d'energia contenuta nel biodiesel è l'energia solare, catturata dalle piante durante il processo di fotosintesi, tanto che alcuni l'hanno chiamato "energia solare liquida". Le piante coltivate per farne biodiesel andrebbero a bilanciare le emissioni di anidride carbonica originate dalla sua combustione, eliminando così il fattore principale che contribuisce ai riscaldamento globale.

Per di più il carburante che ne deriva è di gran lunga meno inquinante del diesel ricavato dal petrolio, è persino più biodegradabile dello zucchero, ed è meno tossico del sale. Dato che proviene da raccolti e colture nazionali, riduce la necessità di importazioni dall'estero, e al contempo sostiene l'economia locale. Non stupisce quindi che il biodiesel desti tanto entusiasmo, specialmente fra le associazioni degli agricoltori: sarebbero loro stessi a coltivare il combustibile che gli serve, in senso letterale.

Mentre negli Stati Uniti il biodiesel è appena comparso sulla scena, in Europa ha ricevuto un'accoglienza calorosa come possibile carburante per i veicoli (e per il riscaldamento) grazie a specifici incentivi finanziari da parte dei vari governi volti a sostenerne l'uso. In Germania, ad esempio, dove i motori diesel costituiscono il 40% delle automobili, ci sono più di 1800 stazioni di rifornimento di biodiesel con un prezzo competitivo rispetto al diesel tradizionale perché sono sostenute da incentivi di detassazione e da sussidi per l'energia alternativa. Negli Stati Uniti, in confronto, dove solo l'1% dei veicoli è diesel e il sistema fiscale non offre alcun incentivo, le stazioni di rifornimento che offrono biodiesel sono solo poco più di 300. (In Italia solo una piccola quota di 200.000 tonnellate annue è esente da accise, ndt).

L'allargamento dell'Unione europea del maggio 2004 offre un terreno ideale per potenziare e perseguire la produzione e l'uso del biodiesel nei paesi che sono appena entrati; c'è un ottimo potenziale per le industrie in molte altre nazioni del mondo.

Questo libro tratta della grande crescita del biodiesel e della sua capacità di stendere un tappeto rosso sulla via della transizione dai combustibili fossili a un ampio numero di fonti rinnovabili d'energia.

Il volume si divide in quattro parti. Nella prima si comincia con una panoramica su quelli che sono i fondamenti del biodiesel. Faremo un viaggio nel tempo e torneremo nel diciannovesimo secolo per scoprire le apparecchiature che l'hanno reso possibile, e cioè i motori diesel; apprenderemo qualcosa sul loro instancabile inventore, Rudolf Diesel, e sulla sua visione sui combustibili rinnovabili che viene realizzata solo adesso. Poi torneremo velocemente agli anni '70 per vedere come e perché si è sviluppato il biodiesel. Ci infileremo nel suo processo di produzione per vedere da quante (a volte strambe) materie prime può essere ricavato, e verificheremo il suo impatto ambientale. Nell'ultima parte ci soffermeremo sugli attuali motori e macchinari diesel e sugli svariati usi del biodiesel come combustibile.

Nella seconda sezione di questo volume andremo in giro per l'Europa, leader nella produzione mondiale di biodiesel, per vedere come Germania, Francia e Italia insieme ne producano 18 volte più degli Stati Uniti, e come abbiano fatto a conquistare questa posizione di traino. Visiteremo inoltre le altre nazioni europee che si affannano per espanderne la produzione industriale e faremo il punto degli sviluppi più interessanti. Poi ce ne andremo per il mondo a scoprire altri progetti affascinanti, dall'India, all'Australia, al Giappone, al Brasile.

Impareremo anche qualcosa sui principali operatori dell'industria odierna del biodiesel e daremo uno sguardo al complesso mondo delle politiche che la regolano negli Usa. Ascolteremo poi un po' di esperti riguardo a come loro usano il biodiesel, e ci occuperemo anche di che cosa ci fa tanta gente in tutto il paese con questo tipo di combustibile rinnovabile.

Infine, prenderemo atto dello stato attuale dell'industria e ci porremo alcune questioni chiave con cui bisogna confrontarsi se si vuole avere successo. Presteremo attenzione anche alle obiezioni di alcuni osservatori riguardo alla sua crescita eccessiva. Ed infine, consulteremo una sfera di cristallo insieme ad alcuni industriali per tentare di prevedere quali sono i luoghi in cui le imprese di biodiesel potrebbero in futuro diventare trainanti.

Per quanto il biodiesel non rappresenti la soluzione unica per tutti i nostri problemi di approvvigionamento di energia, può essere una delle componenti che concorrono a tirarci fuori dal nostro stato di dipendenza quasi assoluta dai combustibili fossili, allo stesso tempo in grado di creare lavoro sostenendo l'agricoltura, riducendo le emissioni pericolose, in direzione di un'energia più sicura.

Il biodiesel, accompagnato da un insieme di strategie per l'energia rinnovabile, e da un aumento deciso dell'efficienza energetica, potrebbe coprire in futuro le nostre necessità di approvvigionamento in maniera appropriata. Per poter raggiungere questo obiettivo però, dobbiamo accorciare rapidamente i tempi di approdo a una nuova economia dell'energia ora che siamo ancora in tempo.

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