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| << | < | > | >> |IndiceIL GIORNO DELLE GEMELLE 7 Massimiliano 11 anni, Roma INTRODUZIONE 11 HOW WAS TO LIVE THAT DAY 19 Londra 7 luglio 2005 DISLESSIA FAMILIARE 23 I mondi paralleli di genitori e figli UN POMERIGGIO A GROUND ZERO 37 Novembre 2001 LE BANDIERE DI CONCOREZZO 49 Inverno 2002-Primavera 2003 LE GUERRE DI GRETA 59 Primavera-Autunno 2003 MORIRE PER TREPUZZI 69 12 novembre 2003 L'INVASIONE DI ALBENGA 79 Autunno 1994-Primavera 2007 MA ANCHE I GENITORI SONO VULNERABILI 91 Intervista a Rona Dolev, ricercatrice scozzese DISEGNARE L'11 SETTEMBRE 6 ANNI DOPO 111 Incontro con una quarta elementare di Giove Umbria MALEDETTO TELEGIORNALE 119 Incontro con una quinta elementare di Marina di Pietrasanta, Toscana I COLORI DELLA PAURA 127 Intervista con Magda Di Renzo, responsabile di un Servizio di psicoterapia infantile di Roma APRITE LE ORECCHIE, ASCOLTATE I BAMBINI 133 Intervista ad Anna Perez, 40 anni di psicoterapia infantile BIBLIOGRAFIA 140 CRONOLOGIA 141 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Era il mio primo giorno di scuola elementare, sono arrivato a casa con Sara, la mia tata, mi sono buttato sulla poltrona e ho acceso la tv perché volevo vedere «Dragonball». Ho visto questa cosa, ho provato a cambiare canale ma c'erano sempre questi due palazzoni, uno era pieno di fumo e mentre guardavo ho visto qualcosa, all'inizio non è che si capiva bene che era un aereo, che piombava addosso a quell'altro. A quel punto però mia madre si è agitata un casino, mi ha detto «Max alzati di lì, adesso la televisione la devi lasciare a me», però invece si è messa a telefonare a tutte le sue amiche e tutti i suoi amici e gli diceva «accendete la tv, sono cascate le torri gemelle!». Io non è che capissi tanto, ero piccolo, avevo appena sei anni, qualcosa ho chiesto, volevo capire cosa era successo a queste gemelle, ma lei non mi ha risposto, diceva solo «stai buono, aspetta un attimo, non è il momento». Allora io sono andato a portare a spasso il cane. Poi quando sono tornato, c'era sempre questa cosa in tv e allora me ne sono andato in camera mia a giocare con i pupazzetti. I giorni dopo a scuola le maestre ne hanno parlato un pochino in classe, non tanto con noi però, discutevano molto tra di loro. Qualcosa ci hanno spiegato, ma era una cosa difficile da capire, io per esempio all'inizio credevo che gli aerei fossero cascati, non pensavo mica che l'avessero fatto apposta. Qualcuno me l'ha detto, ma io non capivo proprio perché farlo. Anche adesso, sì lo so che l'hanno fatto perché ce l'avevano con l'America, ma farsi esplodere per uccidere così tante persone, a me sembra una cosa da scemi. Poi in classe ci hanno chiesto se volevamo disegnare quel che era successo e ho fatto queste due torri grigie con tutto il fumo e il fuoco. Non è che mi sia venuto tanto bene però, io non sono tanto bravo a disegnare. Dopo, quando ero più grande, e avevo sette o otto anni ho capito cos'era stato. Anche se in realtà non è che so ancora bene se quelli lì, mi pare fossero due afgani, avessero minacciato i guidatori col coltello per obbligarli a buttarsi contro le torri o se invece guidavano loro l'aereo. Comunque io quella volta lì non ho avuto paura, certo mia mamma era così agitata, ma non è che mi sia spaventato per davvero. Anche quando c'è stata la storia di Madrid, che sono esplosi 50 treni con su tutta la gente che andava a lavorare e io non avevo capito che c'entrava con le due torri, perché credevo che l'avesse fatta Saddam Hussein, non mi faceva così impressione. Ma dopo, per Londra, allora sì che ho avuto paura. Non volevo più prendere la metropolitana, soprattutto non volevo che la prendesse mio padre. Perché molto spesso io ho più paura per gli altri che per me stesso, soprattutto per papà, penso che gli possa succedere qualcosa mentre io non ci sono. E io a quel punto credevo davvero potessero fare qualcosa anche qui, su tutti i Telegiornali dicevano che Roma era la città a maggior rischio, infatti ci hanno anche provato, alla stazione Termini hanno intercettato la telefonata di uno che voleva farsi esplodere. Poi a Londra avevano messo una bomba nel loro Mp3 e un'altra nella lattina della Coca cola, voleva dire che allora lo possono fare con qualsiasi cosa. Quei giorni lì ho anche sognato che andavo ad aprire alla porta e c'era uno che si faceva esplodere davanti a me. La verità è che questa cosa non finirà, come la guerra in Iraq. Perché poi è la stessa cosa, anche il terrorismo fa sempre parte della guerra, è sempre un bombardare anche se non lo fanno dall'alto. Anzi è peggio, perché se lo fai con gli aerei ammazzi meno gente, magari una bomba finisce che so su un terreno disabitato, invece se ti fai esplodere hai già un piano, vai proprio dove ci sono tante persone, è un gesto molto più brutto. Morte e distruzione, questo è la guerra, e si fa per motivi stupidi che non si riescono a risolvere con le parole. Noi in casa la pensiamo tutti così, e per questo abbiamo anche messo la bandiera della pace attaccata al balcone, non che servisse a molto però era un simbolo, aveva anche tanti bei colori e era giusto comprarla perché bisogna sempre incitarla la pace. Alla manifestazione no, non ci sono andato, perché volevo andare al cinema a vedere il Signore degli anelli, era appena uscito l'episodio delle Due Torri. Però c'è stato un periodo che guardavo abbastanza spesso il telegiornale perché volevo sapere come andava a finire. Poi adesso ho smesso, si vedono sempre le stesse cose, guerra, bombe, persone uccise. Il Tg è così, fanno vedere solo morte, soldi e politica. Non è che ti dicono mai cosa si dovrebbe fare. Credo che non lo sappiano nemmeno loro, perché l'unica cosa sarebbe ucciderli tutti questi qui che mettono le bombe, ma è una cosa che non si fa, che non si deve fare, sarebbe la cosa più brutta del mondo. È come la pena di morte, è sempre sbagliata, anche Saddam bisognava lasciarlo in prigione, magari per tutta la vita, ma non impiccarlo in quel modo. È per questo che non finirà, anzi io penso che adesso ci siano ancora più probabilità che mettano delle altre bombe, proprio perché quando i sospetti sono al minimo, quando si comincia a dire che non succederà più, è allora che loro colpiscono. Come è successo a Madrid o a Londra. | << | < | > | >> |Pagina 11Sono passati sei anni. Le librerie si sono riempite di libri, i cinema di film, le strade, anche se non là dove tutto è cominciato, continuano a riempirsi di bombe. Forse è arrivato il momento di chiedersi quanto, come sono cambiate le nostre vite. Magari per una volta guardando, ascoltando chi proprio quel giorno si affacciò sul mondo per vederlo andare in pezzi tra le fiamme. La piccola Greta che voleva sapere se «quelli là sono nostri nemici» o il suo coetaneo Antonio, anche lui cinque anni appena compiuti, che indicava lo schermo gridando «quelle cose nere, guarda papà, sono persone che si stanno buttando perché hanno paura di bruciare!». Sappiamo poco o nulla della vita dei bambini. Quelli di cui stiamo parlando, figli, nipoti, estranei o vicini di pianerottolo, hanno passato i loro ultimi compleanni accanto ad adulti che, dalla televisione o nei bar, borbottavano sulla guerra che è di nuovo tra noi, litigando spaventati su chi mai fosse dalla parte giusta e chi, invece, da quella sbagliata. I piccoli ascoltavano, non visti, molto di più di quanto avremmo voluto, senz'altro più di quanto abbiamo capito. A Los Angeles o a Parigi, di sicuro a New York, Londra e Madrid, ma anche sulla porta di casa nostra. Perché non basta un oceano a scansare l'orrore, quando sotto gli occhi di tutti, in salotto o in sala da pranzo, duecento bambini muoiono nella loro scuola che salta per aria in un paesino di cui non sapevamo nemmeno il nome. E se è vero quello che afferma Magda Di Renzo, c'è da spaventarsi sul serio. «Negli ultimi cinque o sei anni i bambini hanno vissuto in un contesto sempre foriero di notizie di violenza, e l'impatto è stato forte proprio su ciò che permette loro di costruirsi una personalità. Così forte da incidere sul loro sviluppo – sostiene infatti la direttrice del Servizio di psicoterapia dell'età evolutiva dell'Istituto di ortofonologia di Roma –. L'11 settembre ha segnato una linea di demarcazione tra un prima e un dopo, nell'inconscio collettivo e nei bambini, perché è a loro che tutto quel che è accaduto, e sta accadendo, arriva con maggior potenza, checché se ne dica».
[...]
Quando io insisto nel cercare di capire come, questi sei anni stiano cambiando il modo di affrontare la vita di chi è stato costretto a crescerci dentro, la risposta di Magda Di Renzo, con mia sorpresa, è proprio questa. «Se vogliamo prendere il modello di comportamento che meglio esprime la tematica che stiamo esaminando, dobbiamo parlare del bullismo e dei suoi contenuti, ovvero chi la violenza la fa e chi invece la subisce. A cui del resto si aggiunge sempre una schiera di spettatori, la massa silenziosa che non fa nulla. Una volta il bullismo era un fenomeno legato all'adolescenza, adesso è una realtà anche nelle scuole elementari. Perché ciò che è accaduto in questi anni ha riempito i bambini, senza che avessero il tempo di elaborare le immagini o le parole della violenza – sostiene infatti la direttrice del Servizio di psicoterapia dell'età evolutiva di via Tagliamento –. Le paure dei bambini, ad esempio, sono aumentate gradualmente negli ultimi dieci anni. Ma poi, dopo l'11 settembre e quel che ne è seguito, c'è stata una crescita esponenziale dei disagi e delle aggressività non elaborate. Io metto in relazione queste due realtà perché mi sembra che oggi non ci sia più per loro un luogo da poter immagine come sicuro, tranquillo. Forse non solo per loro».
Eppure ben pochi ne parlano e ne scrivono. Forse perché il
mondo dei bambini rimane un pianeta poco esplorato, al di fuori,
s'intende, di chi se ne occupa per professione e vocazione. O forse
perché accostare i due termini, infanzia e terrorismo, spaventa troppo. «Io
penso che ci sia una grande resistenza nel nostro sistema culturale a
confrontarsi con i temi negativi, con le ombre, con l'aggressività. E quando si
parla di infanzia questo rifiuto è totale – è la
risposta della Di Renzo –. È qualcosa che è cominciato tanto tempo
fa, è il tentativo di preservare il mondo dei bambini, di edulcorare
tutto per loro e attorno a loro». Ma sicuramente è anche il frutto
della grande distanza che separa la vita degli adulti da quella dei loro
figli, nipoti o scolari. E che questo libro vorrebbe cercare di accorciare
almeno un po'.
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