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Quintessenza del bene o
quintessenza del male? Monsieur de La Palisse direbbe che a fil di logica il
mercato è lo strumento migliore per far circolare le merci. Anzi che le merci e
il mercato - lo dice la parola stessa - sono inscindibili, come la vite e il
bullone, il treno e i binari, il caminetto e il fuoco. L'esperienza storica
dimostra che le cose stanno proprio così. La concorrenza tra i produttori e la
dinamica tra la domanda e l'offerta, sono gli strumenti più efficaci per avere
le merci migliori ai prezzi più convenienti. Non è compito dello Stato entrare
nelle attività economiche, né in tutto, come è accaduto nel socialismo reale, né
in parte, come è awenuto nei paesi capitalisti con le industrie di proprietà
pubblica. Nei confronti del mercato lo Stato ha due doveri imprescindibili. Il
primo è la definizione del contesto normativo entro il quale si devono svolgere
la concorrenza tra i produttori e la dinamica tra la domanda e l'offerta, per
impedire che la riduzione dei costi avvenga a scapito della sicurezza sui luoghi
di lavoro, dei diritti civili, della tutela dei minorenni, dell'ambiente, dei
diritti degli animali, della salute pubblica, ecc. Il secondo è la definizione
degli interessi pubblici da tutelare, privilegiare e difendere mediante un uso
discreto e attento delle leve tariffarie e fiscali. In sostanza, stabilire cosa
non si deve fare e incentivare i fini sociali da perseguire attraverso le
attività economiche e produttive. All'interno di questi limiti e di queste
priorità che garantiscono a tutti gli operatori uguali condizioni e opportunità,
il mercato è lo strumento più efficace per selezionare le merci migliori
qualitativamente e più convenienti economicamente.
Il mercato sarebbe quindi la quintessenza del bene? Se tutta la produzione
umana fosse produzione di merci sì. Ma se merce e mercato linguisticamente hanno
la stessa radice e sono inscindibili, non
tutti i prodotti del lavoro umano sono merci. Il lavoro umano può dare origine a
due tipi di prodotti non paragonabili tra loro: i valori d'uso e i valori di
scambio. I valori d'uso, i beni prodotti per sé e i servizi autogestiti, non
sanno cosa sia il mercato perché non si valutano in base al prezzo. I prodotti
di un orto a gestione familiare hanno sicuramente un costo di produzione più
alto delle verdure comprate al supermercato, ma ciò non impedisce che molti
preferiscano coltivali anziché comprarli. Le ore di un infermiere costano
sicuramente meno di quelle di un professionista che rinunci a una parte del suo
lavoro per accudire un genitore malato, ma la qualità del rapporto umano che si
instaura tra chi svolge un servizio in cambio di denaro e chi lo fa per affetto
non è paragonabile. Il mercato, questa misteriosa entità metafisica, lo sa. Sa
che se certamente vince in termini monetari, in termini qualitativi non può che
perdere. E questo non lo tollera. Non accetta una concorrenza che si svolga al
di fuori del suo dominio, che è il dominio del denaro. Per questo non può che
fagocitare sistematicamente tutti gli àmbiti dell'attività umana che ancora gli
sfuggono. Ogni sacca di resistenza in cui ancora si producano valori d'uso, sia
nei territori su cui già da tempo ha esteso il suo dominio, sia nei territori in
cui ancora non è arrivato, è un'intollerabile provocazione che mette in crisi la
sua onnipotenza. E una divinità non onnipotente non è una divinità. O è
onnipotente o non è. Per questo qualsiasi nicchia al di fuori del suo dominio,
per piccola o insignificante che sia, è intollerabile e va distrutta. «Ma come,
ho conquistato la Cina, con il suo miliardo e passa di abitanti, e non riesco a
piegare la resistenza di quel montanaro? Ma come, ho sconfitto quelli che
pensavano di tagliare la mia mano invisibile mentre moltiplicavano la produzione
di merci a danno dei valori d'uso, e intellettuali incuranti delle fittizie
barriere che ho innalzato tra destra e sinistra riscoprono gli scambi fondati
sul dono e sulla reciprocità? Ma come, ho spostato milioni di persone dalle
campagne alle città, dai paesi del terzo mondo ai paesi dell'occidente
avanzato, facendo luccicare vetrine e tubi catodici e quel cittadino da tre
generazioni ritorna in campagna?».
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La rivincita dell'economia è cominciata negli ultimi decenni del
secolo attraverso la sua internazionalizzazione sempre più spinta. Lo sviluppo
dell'elettronica, dell'informatica e della telematica hanno consentito ai
grandi gruppi industriali e finanziari di decentrare le attività produttive a
livello mondiale sfuggendo al controllo degli Stati e di operare sui mercati
finanziari di tutto il mondo accumulando enormi capitali in grado di esercitare
sulle politiche economiche nazionali un potere superiore a quello dei governi.
La mondializzazione dei mercati ha dato all'economia un potere sempre maggiore
nei confronti della politica e l'ha portata a sconfinare sistematicamente nel
suo dominio. Non essendo soggetto ai limiti che la democrazia impone al potere
politico, il potere economico ha costituito autonomamente i suoi organismi
operativi a livello mondiale (Banca Mondiale, Fondo Mondiale degli Investimenti,
World Trade Organization), li ha fatti riconoscere a tutti gli Stati e
attraverso di essi impone la sua volontà alla politica. I suoi funzionari sono
nominati dai consigli di amministrazione delle società industriali e finanziarie
che controllano l'economia mondiale e non essendo eletti, non devono
sottoporre le loro scelte al gradimento e alla verifica elettorale. Per contro,
tutti i parlamenti e tutti i governi devono sottoporre le proprie scelte di
politica economica al loro gradimento e alla loro verifica, per cui agiscono in
una condizione di libertà limitata. Esercitandosi al di fuori di ogni controllo
pubblico, questo potere agisce sempre in forme impersonali, o attraverso
l'entità metafisica e onnipotente dei mercati, o attraverso l'entità fisica ma
invisibile ai comuni mortali degli organismi internazionali che eseguono le loro
volontà. La scelta di fondo che i mercati, attraverso gli organismi che ne sono
i portavoce, hanno fatto in relazione alle economie nazionali è stata di abolire
tutte le attività economiche e produttive che non rientrino in una logica
mercantile e di abolire insieme ad esse tutte le differenze culturali non
conformi a questa logica. La mondializzazione dei mercati finanziari e delle
attività industriali ha imposto la standardizzazione dei comportamenti umani.
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Se l'economia occupa il territorio della
politica e i fini dell'attività produttiva vengono indicati dai mercati, il
lavoro perde la sua connotazione di attività finalizzata a migliorare le
condizioni di vita degli uomini e si riduce a essere il mezzo per massimizzare
il profitto anche a costo di peggiorarle. La vittoria conseguita dall'economia
sulla politica e la mondializzazione hanno trasformato il mondo in un serbatoio
di risorse e in un deposito di rifiuti, uniformando il comportamento, i valori e
i modi di pensare degli individui, impoverendo insieme alle diversità culturali
le biodiversità, riducendo gli uomini a semplici ingranaggi di un meccanismo
economico e produttivo di cui non controllano più il funzionamento, che li
riduce a passivi esecutori sia nel momento della produzione, sia nel momento del
consumo di ciò che hanno prodotto.
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Ciò di cui c'è bisogno nei paesi
industriali avanzati, proprio in conseguenza del fatto che negli scorsi decenni
l'attività produttiva è stata finalizzata alla crescita del p.i.l., senza
nessuna preoccupazione per le conseguenze ambientali che ne potevano derivare
sia in termini di inquinamento, sia in termini di esaurimento delle risorse,
sono i beni e i servizi che consentono di ridurre l'impatto ambientale dei
processi di produzione e più in generale delle attività umane. Solo
incentivando, attraverso gli strumenti della politica economica, lo sviluppo di
questi beni e servizi è possibile creare un'occupazione quantitativamente
significativa e stabile. Se si continua a perseguire la crescita del prodotto
interno lordo, ovverosia una crescita connotata semplicemente in termini
quantitativi, si aggraveranno sia la crisi ambientale (in entrambi gli aspetti
in cui si manifesta: esaurimento delle risorse e inquinamento), sia la crisi
occupazionale, perché per sostenere la concorrenza internazionale occorrerà
ridurre progressivamente l'incidenza della manodopera sul valore aggiunto. Per
evitare che questi effetti indesiderati si verifichino,
le innovazioni tecnologiche non devono più essere indirizzate ad accrescere la
produttività del lavoro, ma a ridurre il consumo di risorse, le emissioni
inquinanti e i rifiuti dei processi di produzione e dei beni di consumo.
In questo àmbito c'è molto da fare, non solo per riparare i guasti già fatti, ma
per evitare di farne in futuro. Tutto il sistema economico e produttivo deve
essere riconvertito in termini di stringente compatibilità ecologica. Le
conoscenze scientifiche attuali consentono di farlo e poiché, in ultima analisi
la riduzione dell'impatto ambientale dei processi di produzione e dei prodotti
passa attraverso una sempre maggiore efficienza nell'uso delle risorse, la
riduzione degli sprechi che ne deriverebbe non si traduce soltanto in una
riduzione dell'inquinamento e dei rifiuti, ma in una riduzione direttamente
proporzionale dei costi di produzione.
Riducendo gli sprechi e utilizzando meglio le materie prime e l'energia, non
solo si rallenta il loro esaurimento e si riducono le varie forme di
inquinamento, ma si ottengono risparmi economici con cui si possono ammortizzare
i costi d'investimento nelle tecnologie che consentono di usare meglio le
materie prime e l'energia. Un ampio processo di riconversione ecologica
dell'economia richiede grandi quantità di lavoro e libera grandi quantità di
risorse economiche con cui se ne possono pagare i costi. Nei paesi industriali
avanzati non c'è altra strada per accrescere l'occupazione e non ne deriverebbe
un'occupazione purchessia, ma utile e qualificata.
Il compito dei governi non
dovrebbe pertanto ridursi a utilizzare i tradizionali strumenti della politica
economica per rilanciare la crescita quantitativa, ma dovrebbe incentrarsi su un
uso discreto e attento delle leve fiscali e tariffarie, di incentivi e
disincentivi mirati, al fine di indirizzare gli investimenti del sistema
produttivo in direzione delle tecnologie ecologiche, lasciando alla libera
concorrenza il compito di selezionare i mezzi più efficienti e più efficaci per
raggiungere con l'attività produttiva i fini sociali individuati mediante il
confronto e la dialettica politica.
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