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| << | < | > | >> |IndiceNota breve di presentazione 5 1. Dove si comincia a discutere del giurista, ma si finisce col confrontarsi su questioni filosofiche e sull'arte 7 2. Dove si parla di università, e dunque di insegnamento e di ricerca nel diritto, ma non solo 33 3. Dove si prende a parlare dell'istruzione scolastica, e si finisce a discorrere di questioni napoletane, legalità, etica, ideologie, valori costituzionali, partiti, concorsi universitari 65 4. Dove si discute di Politica e Governo, e si arriva a chiarire il ruolo delle Corti costituzionali, ma anche a concordare sull'incostituzionalità di un partito-azienda 99 5. Dove si prova a discutere di informazione, comunicazione, tentazione di notorietà ed ascensori sociali 119 6. Dove si discute, un poco, di Giustizia, e molto di giustizia. Con qualche digressione 141 7. Dove partendo da considerazioni sul delitto Moro, si discute di riforme, e della proposta di trovare nella Costituzione gli argomenti per passare dal ventesimo al ventunesimo secolo 173 8. Dove si dibatte di persona ed individuo, e si concorda che l'una comprende l'altro, e ne si traggono larghe conseguenze, per esempio in tema di proprietà privata e di impresa, finendo ad analizzare i rischi della democrazia 195 Appendice Documento 1: G. Palma "Oltre l'emergenza rifiuti". Articolo inedito 219 Documento 2: G. Palma La "stabilità" delle istituzioni e l'agonia della politica di maggioranza. Articolo inedito 223 Documento 3: G. Palma È tempo di recupero di vecchie reminiscenze storiche? Articolo inedito 227 |
| << | < | > | >> |Pagina 7FORTE Vorremmo cominciare questi dialoghi parlando di ciò che entrambi siamo, e vogliamo essere, e cioè del giurista: chi è? Qual è il suo compito? Che ruolo ha nella storia e nella dimensione umana? PALMA Innanzitutto, introduco un'osservazione, direi quasi banale. Qui si dimostra ancora una volta come davvero gli esami non finiscano mai! Un allievo che mi domanda quale idea abbia in proposito. Certamente si tratta di idee che vanno maturate in percorsi di studio, lunghi molti anni. È, cioè, quel percorso il quale consente, quasi sempre, che dal semplice tecnico del diritto si passi al giurista. Questa è la maturità che ognuno di noi dovrebbe raggiungere. Il giurista, in quest'epoca, assume a mio avviso un ruolo certo non inferiore a quello dei giuristi antichi, ma addirittura rinforzato, acquistando una dimensione mai conosciuta in passato. La civiltà si sta complicando sia storicamente che sociologicamente. Basterebbe al riguardo un'osservazione semplicistica: nel mondo antico c'erano alcuni grandi pensatori, giuristi a pieno titolo, ma che riuscirono più facilmente a imporre certi comportamenti di vita agli altri, dei quali l'istruzione era quasi inesistente, per cui il loro influsso è stato molto più facile. Oggi, invece, ci troviamo in una civiltà in cui (per fortuna!) un po' di cultura si è diffusa e dove tutti non vogliono aderire ad un obbligo sol perché la classe alta lo imponga, ma pretendono di averne consapevolezza. E questo, secondo me, vale maggiormente per quella parte di popolazione meridionale: nulla si dà più per scontato, ammesso che ciò sia avvenuto in passato; non perché sia sancito un divieto significa che esso sia razionale, proficuo, utile. Allora, il diritto si complica a sua volta, perché "rendersi conto" da parte di un soggetto significa che questi voglia conciliare il divieto con i propri interessi; costui si adegua ad un certo comportamento nella misura in cui quell'obbligo, quel dovere imposto per norma, per legge, possa conciliarsi o risultare vantaggioso anche per i propri interessi. In parole semplici, la gente ha iniziato a ragionare, per cui i conflitti tra i vari interessi sociali rendono il diritto sempre più complesso, con la conseguenza che si debba tener conto di quantità di varianti e di coordinate. E assistiamo di fatto ad un aumento enorme della produzione normativa, legislativa; se vogliamo porci in una tonalità più dogmatica, sai bene che, come ho già sostenuto, l'amministrazione completa l'opera del legislatore, per cui non esegue soltanto, ma attua. Tutto ciò, per effetto di quelle varianti che ogni soggetto ed ogni gruppo pongono come base per una preliminare valutazione sul se aderire spontaneamente ad una determinata norma. Se questo è vero, non basta più compiutamente assolvere ad un ruolo di mero tecnico del diritto. Questo, anzi, comporta un frazionamento delle specializzazioni, come avviene per altre scienze, nelle quali ciascuno studioso conosce soltanto il proprio orticello. Il giurista, viceversa, dovrebbe essere colui che fa palpitare il cuore della cultura giuridica di un popolo, dandole, cioè, un senso profondo, senza impostarla in base all'individuazione di obblighi specifici, ma giungendo al punto da configurare un obbligo generale di condurre una vita senza danneggiare gli altri. D'altronde, la legalità è proprio questo: assumere un costume di vita personale senza mai superare il confine di questa essenza, vincolando in modo arbitrario le esistenze altrui. Volendo rivolgere l'attenzione alla Legalità (con la L maiuscola), all'unisono con la mia cultura di fondo, ebbene, se il senso profondo è di non danneggiare gli altri, anzi, entro certi limiti, di migliorare i rapporti sociali, ecco che da qui nasce il senso di comunità, di collettività (anticamente il senso di tribù) che, a mio avviso, costituisce ideologicamente le fondamenta di una nazione o, meglio, le fondamenta di un popolo tenuto insieme da un vincolo statuale.
Il giurista pertanto non è una sorta di filosofo puro, ma è pur
vero che il maestro del diritto non può non far parte anche della categoria dei
filosofi pratici. Senza una visione filosofica, secondo me, il mero divulgatore
del diritto non raggiunge mai il livello del giurista, del giusperito.
FORTE La solleciterei ad entrare un po' più nello specifico, analizzando, ad esempio, quali sono i compiti propri del giurista, a prescindere dalla sua condizione personale e dal modo con il quale le persone stanno insieme; probabilmente, si potrebbe considerare uno schieramento di valori ai quali alcuni possono aderire ed altri no, e in questo quadro ci potremmo domandare qual è il vero compito del giurista, cioè cosa ci si aspetta da lui.
Il giurista è chiamato, per esempio, ad osservare, a conoscere e quanto più
possibile, a tentare di comprendere la realtà che
lo circonda? È chiamato a dare delle interpretazioni di ciò che è
già accaduto e, quindi, a conoscere quanto più possibile il passato, a
comprendere le specificazioni o gli aiuti di conoscenza
che provengono da altre scienze con le loro metodologie? È
chiamato ad utilizzare il c.d. metodo scientifico che dal XVII
secolo è invalso nelle scienze pure o appartenendo all'area più
speculativa delle scienze umane, può in qualche modo anche prescindervi?
PALMA Indubbiamente il giurista (contrariamente a quanto si possa
pensare da parte di coloro che, per esempio, conoscono la disciplina del
traffico, se ci si limita a quel livello) fa parte dell'una e
dell'altra area; appartiene anche a quella della tecnica, perché vive nella
realtà e tenta nei limiti del possibile di orientarla.
FORTE Potremmo dire della ragion pratica.
PALMA Se vuoi, della Ragion Pratica; del resto poc'anzi ho parlato della filosofia pratica. D'altro canto, sempre che non ci si voglia limitare al confine di una tecnica normativa, il giurista fa parte anche di coloro che operano speculativamente, partendo dal reale esistente; egli scruta ed avverte intorno a quali nuovi valori ruota l'umanità, oggi sempre più in ristrettezze economiche, ma questo lo vedremo in seguito.
Tu sai che negli anni '80, a proposito della programmazione,
parlavo dell'economia della capsula. Proprio per questa ragione,
non è più utile assumere un atteggiamento meramente passivo,
lasciarsi portare dal continuo rifluire della vita pratica; occorre
invece che tutti ragionino su cosa fare e su cosa risulti prioritario; d'altro
canto, decidere cosa sia effettivamente importante,
non lo si può fare se non alla luce di determinati valori.
FORTE Questo ha molto sapore politico.
PALMA Un momento! Vi è una contraddizione! Da un lato gli interessi
postacquisitivi sono in aumento (negli ultimi tempi, secondo
me, c'è un rallentamento) e dall'altro si ha un'economia che non
si dispone più nella sua dimensione reale a soddisfare tutto. Come
fai a selezionare? Ecco che muovendo dai valori e predisponendo
una lente adeguata si può scorgere come alcuni bisogni sono destinati a cadere,
mentre altri sono destinati comunque ad essere
soddisfatti. Altrimenti la civiltà non avrebbe un progresso. Quindi, il giurista
completo muove dalla realtà, ne asseconda l'evoluzione che è anche scientifica,
ma deve avere dei valori di base; egli deve, cioè, cominciare ad intuire quali
possano essere i valori intorno ai quali disporre anche l'azione spettante ai
politici.
FORTE E un'intuizione questa?
PALMA No, rappresenta probabilmente una deduzione frutto di un
esame molto approfondito. Quando definisci o stai per definire
dei valori, non sai quanto sia dovuto ad una indagine preliminare della realtà e
quanto viceversa sia frutto della tua mente. È
sempre difficile. Ecco perché parlo ancora di un filosofo pratico. Potresti
obiettare, come hai già fatto, che si tratta di politica, anche se con la "P"
maiuscola. In proposito ricorderei una
definizione di De Gasperi, che veramente andrebbe condivisa
dagli attuali praticanti della politica: il politico pensa alle elezioni future,
mentre lo statista alle generazioni future. D'altra
parte (io me ne guardo bene) della possibile invasione di campo nell'ambito
della politica non mi preoccuperei e ciò per due
ragioni: innanzitutto c'è una lenta progressiva (per ora non ancora allarmante)
deriva alla tecnocrazia; in secondo luogo, se la
politica è, nel sistema democratico, appannaggio di tutti, non
scorgo nulla di anormale che anche il giurista possa onestamente praticarla.
FORTE Ma questo non significa essere solo giuristi, vuol dire essere
politici, o comunque entrare in una sfera più ampia. Se io mi rivolgessi ad un
giovane che oggi comincia la sua esperienza giuridica e dovessi dargli
istruzioni o consigli, lo dovrei forse avvertire che si sta preparando a essere,
alla fine, un politico?
PALMA Forse non sono stato molto chiaro. Siamo partiti dal fatto che il giurista non deve solo spiegare la tecnica minuta, ma è suo compito andare verso la sistematica. Mi è parso, allora, che ridurre a sistema il diritto di una nazione e di un popolo rechi un valore aggiunto. Ma tale valore aggiunto che cos'è se non un rapportarsi, sia pure implicito, tacito, delle volte anche inavvertito, a dei valori intorno ai quali si coagula il sistema? Io parlo di politica con la P maiuscola, cioè di gestione degli interessi, in altri termini di "politeia". | << | < | > | >> |Pagina 99FORTE Oggi è 23 febbraio, sabato mattina, altra giornata splendida, quasi di primavera anticipata. Questo lavoro sembra proprio trovare la sua atmosfera nel bel tempo.
PALMA Per la verità, l'atmosfera è data dallo studio, nel quale riesco
frequentemente ad incontrare me stesso.
FORTE Infatti, ci troviamo nello studio dove credo siano stati concepiti alcuni degli studi principali del professore Palma. Quindi, per molti aspetti vi è una continuità di pensiero e, da osservatore, testimonio che l'ambiente trasuda di questa fatica annosa. Oggi proveremo a trattare alcune tematiche connesse alla Costituzione. Non che fino a questo momento non se ne sia parlato, anche perché alla Carta, ovviamente, può farsi riferimento in relazione a pressocché tutti gli aspetti della vita associata.
Stamane, però, potremo concentrarci maggiormente su alcune tematiche
costituzionali relative alla complessità delle relazioni umane, tra le quali la
politica – non so se lei è d'accordo – è tra le più difficili.
PALMA Certo, la politica è la scienza non esatta, ma che impone dedizione e spirito missionario.
FORTE Essere un gran politico è un compito improbo; non solo vi è
una grave responsabilità, ma è un'incombenza difficile anche
per le scelte che si devono assumere, nella consapevolezza delle conseguenze che
possano derivare da simili decisioni. Insomma, non è un mestiere da consigliare
a tutti, anche se molti lo guardano con approccio più banale.
PALMA Innanzitutto, come sembra che abbia già precisato, il vero
politico è sempre uno statista e pertanto è portato a pensare alle generazioni
future, a meno di non voler ridursi – ed è questo
il senso profondo – ad un ruolo di mero gestore, più o meno preparato, di
situazioni che la vita pone all'attenzione quasi ogni
giorno. Viceversa, il politico dovrebbe possedere la capacità di
intuire, al di là di queste contingenze, come la vita possa evolvere e, quindi,
quale possa essere l'adeguamento progressivo
della sua azione nei confronti delle mete più lontane. Siamo abituati a chiamare
politici un po' tutti, ma alcuni sono solo degli
amministratori, magari valenti, ma non certamente politici.
FORTE Sotto questo aspetto propongo la distinzione, più che tra
amministratori e politici, tra questi ultimi e uomini di governo, con
ciò significando che l'attività di governo e quella politica, pur
essendo contigue, non sono identiche, con la conseguenza che
chi si occupa professionalmente bene dell'una non è detto che
svolga altrettanto bene anche l'altra.
PALMA Si pone al riguardo una distinzione di ruoli, in quanto siamo abituati ad includere tutti in una sola categoria. La prima questione che si pone riguarda la crisi attuale (che si condensa nell'espressione, da me condivisa fino a un certo punto, di antipolitica; a mio avviso, infatti, è solo la reazione alla cattiva politica e quindi assume un significato diverso) che è dovuta al fatto che la maggioranza degli uomini di governo appartengono proprio a questa categoria di amministratori di cui ho parlato, per cui a stento risolvono i problemi anche gravi, drammatici, però contingenti; ciò che manca infatti è l'altra categoria, quella, cioè, cui appartengono coloro i quali anche nella soluzione del problema quotidiano tendono ad imprimere sviluppi ulteriori; in altri termini, non si trovano disarmati una volta superata la contingenza. In un mio recente lavoro – non pubblicato sempre per quei famosi inconvenienti tecnici di cui ho parlato in altre occasioni – ho sostenuto che occorre andare oltre l'emergenza. È evidente che l'emergenza, in un modo o in un altro, sarà risolta, ma con questo non ritengo che la crisi attuale, ad esempio quella che colpisce le istituzioni regionali campane, si risolverà con il superamento magari del problema dell'immondizia. Si ha la sensazione – che ci proviene dalle scale antiche della cultura dello stato liberale, quello prefascista – che la politica possa nutrire un'illimitata possibilità di azione e di tanto la ragione è manifesta: all'epoca non v'era alcuna norma rigida che dovesse guidare o suggerire l'azione politica. Anche per modificare lo Statuto era sufficiente una legge del Parlamento, per cui si procedeva navigando a vista, diciamo così!
Di conseguenza, si riteneva che la potenzialità dell'azione
politica avesse scarsi limiti. Addirittura qualche Autore sosteneva che l'unica
cosa che non potesse operare la legge era cambiare il sesso degli uomini. Era
una vecchia locuzione, ma molto significativa per indicare l'immaginazione
incontrollata.
FORTE Cioè, come una sorta di limite naturale a potenzialità creative ampie
quanto l'esperienza umana.
PALMA Invece, probabilmente forse anche in modo inconsapevole,
la progressiva tecnicizzazione della vita – evoluzione che purtroppo posso non
condividere per ragioni sentimentali, ma è così – farà sempre più peggiorare la
situazione. D'altronde, l'immenso numero di popolazione che vive sul globo, non
potrebbe riuscire a sopravvivere se non servendosi sempre più delle invenzioni
scientifiche e dei progressi tecnologici. Inconsapevolmente, quindi, anche
l'azione politica finisce per trovare delle
linee parzialmente rigide nelle quali deve confluire.
FORTE In altri termini vi sono dei percorsi, magari da scegliere, ma
comunque devono essere dati. La scelta politica non è più, insomma, libera, ma
sempre più discrezionale...
PALMA Quindi, inconsapevolmente, si deve tornare all'epoca delle Costituzioni, anche se appare eccessivo parlare del diritto romano. Del resto, anche nella Rivoluzione Francese vi furono Dichiarazioni, ma non Costituzioni come le intendiamo in tempi a noi più vicini. Le Costituzioni inconsapevolmente, adeguandosi in questo fluire di una vita sempre più mentalmente limitata, proprio perché la tecnologia pone dei confini non sempre superabili, hanno imposto un sistema di valori che non possono – poi preciserò – essere superati mediante una mera azione politica. Quindi, la politica, nel momento in cui si avvia ad immaginare la propria azione, deve comunque riflettere quei valori. Se, poi, ritiene che la vita ha proseguito per un ulteriore tratto, in questo caso non sarà la mera politica, ma il potere costituente, stando l'ideologia democratica, ad apportare le necessarie correzioni e modificazioni. Questo è il presupposto preliminare su cui impostare un'azione politica completamente diversa da quella che si sarebbe potuta intraprendere nella precedente epoca storica. Non è affatto vero che la politica sia rilevabile soltanto dopo essere confluita nei percorsi istituzionali prestabiliti (ad esempio, penso ad una legge che si ponga in contrasto con la Costituzione o al comportamento del singolo, che potrebbe essere sanzionato penalmente laddove non rispetti i valori costituzionali), ma questa deve cominciare ad orientarsi già nella fase preparatoria, onde individuare i valori, la relativa portata ed il sistema che li regge insieme, il quale finisce per il complicarsi sempre più, perché la Costituzione, come sai, non rappresenta un insieme di principi slegati, ma si svela sempre più come una rete di valori per cui, soddisfacendo qualcuno, si deve impedire che venga danneggiato l'altro. Anche sotto questo profilo potrebbe essere sollevata la questione di costituzionalità di una norma. D'altra parte, il sistema democratico consiste anche in questo. Vi sono anche sanzioni sociali: se, ad esempio, il programma di un partito muove completamente in direzione contraria all'indirizzo di quei valori, la sanzione potrebbe essere quella di non votarlo. Ecco dove la collettività, secondo la nostra Costituzione, è detentrice della sovranità. Si potrebbe trattare di un potere meramente materiale, ma non è così. D'altra parte, occorre convincersi che ognuno ha una scintilla di sovranità che, messa insieme alle altre, contribuisce a formare la sovranità dello Stato. Le ideologie indubbiamente hanno avuto anche aspetti positivi; molte di queste, infatti, si concretizzarono, sia pure transattivamente, in valori che la Carta tuttora contiene. Quindi, nella fase di preparazione hanno avuto notevole influenza. Dove invece si è registrato il fallimento è stato in seguito, cioè quando, ritenendosi ancora liberi nella loro azione, i politici hanno reso negletto il vigore della Carta Costituzionale. Costoro non avevano interesse a formare dei programmi che non fossero puramente descrittivi, perché il loro programma politico lo rinvenivano nei valori della loro ideologia. Attualmente la Costituzione si sta riscoprendo e ciò anche per una esigenza reale; cioè esaurendosi le ideologie e dovendosi ricercare nuovi valori, finalmente si è capito che questi erano già stati prefissati nella Carta, sessant'anni prima.
Quindi, oggi i programmi devono riflettere la quintessenza e
lo spirito di quei valori, perché sono democratici proprio in questa misura.
Allora, forse capiremo la situazione attuale in cui i
partiti sembrano copiarsi reciprocamente. Esiste, cioè, una quasi totale
coincidenza di visioni, perché probabilmente si lasciano ispirare da valori
comuni.
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