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| << | < | > | >> |Indice5 La stagione d'oltremare 31 La frontiera africana 59 Tra conquiste, riconquiste e «pacificazioni» 117 Il posto al sole 153 La costruzione dell'impero 177 Profughi 185 Foto simbolo 186 Cronologia 190 Letture consigliate 191 Referenze fotografiche |
| << | < | > | >> |Pagina 5La stagione d'oltremareLa corsa vertiginosa all'accaparramento delle migliori terre africane da parte delle potenze europee - che il «Times» di Londra, con espressione efficace, avrebbe consegnato alla storia col nome di scramble for Africa - si consuma nel volgere di soli trent'anni. E' sufficiente infatti confrontare una carta dell'Africa del 1880 con una del 1914 (data in cui può considerarsi conclusa la fase espansionistica) per rendersene conto: sono questi gli anni della cosiddetta età dell'imperialismo che nel dominio coloniale trova la sua forma più compiuta. La spartizione del continente è stata fatta risalire a una molteplicità di cause legate a motivi di carattere politico, economico, come pure a esigenze strategiche, a preoccupazioni di prestigio, o al trasferimento oltremare dei conflitti e delle rivalità politiche europee - come riflesso della politica dei blocchi di forze che si instaura in Europa dopo la guerra del 1870 - ma anche alla soddisfazione di ambizioni meramente personali. E' infatti l'iniziativa privata di Leopoldo Il del Belgio nella ricca regione mineraria del Congo a innescare la miccia di una contesa che assume presto i caratteri della sfida, soprattutto fra le due maggiori protagoniste del rush coloniale, la Gran Bretagna e la Francia, una sfida che la presenza di altri competitori, primo fra tutti la Germania, avrebbe ulteriormente acuito. Ma le ragioni del brutale rapporto fra l'Europa e l'Afríca vanno ricercate soprattutto nella necessità, da parte del capitalismo monopolistico europeo, sorto nell'ultimo quarto del XIX secolo, di assicurarsi nuove fonti di materie prime e mercati riservati per l'esportazione di capitali che lo ponessero al riparo dal rischio di crisi come la «grande depressione» del 1873, quando l'accentuarsi della concorrenza e il ristagno dei mercati avevano portato a un generale rallentamento dell'espansione economica e industriale. In quest'ottica è possibile comprendere l'aggressiva competizione per la spartizione del continente africano, dove le occupazioni territoriali diventano la premessa indispensabile allo sfruttarnento economico; occupazioni che la debolezza economico-militare africana e la frammentazione delle strutture di potere locali contribuisce a facilitare. In questo articolato insieme di motivazioni alle spinte espansionistiche europee resta di difficile collocazione il caso italiano che emerge, al contrario, per la sua atipicità di tempi, modi e giustificazioni, e che ha generato miti non riscontrabili nell'esperienza coloniale di altri paesi. | << | < | > | >> |Pagina 8[...] «Le colonie - si dichiara esplicitamente nella "Nuova Antologia" del 15 novembre 1884 - sono una valvola di sicurezza, per gli stati, contro le agitazioni interne, ora sovrattutto che queste agitazioni volgono principalmente a danno degli ordinamenti sociali, della proprietà, del capitale».
Oltre sette milioni di persone lasciano l'Italia tra il
1881 e il 1900, nondimeno l'Africa rappresenterà sempre una
meta meno che marginale: fino al 1927 le comunità piú
consistenti continuano a registrarsi nelle colonie di piú
antico insediamento italiano, ma in mano a potenze
straniere: quelle inglesi e francesi dell'Egitto,
dell'Algeria e della Tunisia. Il censimento del 1931
registrerà appena 2.400 residenti italiani in Eritrea e
1.500 in Somalia, di fatto svuotando di significato il mito
del colonialismo demografico e «proletario» che, da Crispi a
Giolitti e fino a Mussolini, sarebbe divenuto il cardine
della propaganda coloniale italiana.
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