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| << | < | > | >> |Indice7 Prefazione di Nando dalla Chiesa LA FORMAZIONE DEL DESIGNER IN ITALIA 13 Una premessa storica 15 Monza e l'università delle Arti decorative 20 Dall'Unità d'Italia alla riforma Gentile 22 Le scuole di arti e mestieri 25 L'età giolittiana e le esposizioni 26 Gli istituti d'Arte 35 Il contesto 35 L'educazione artistica all'apertura degli anni cinquanta 38 L'azione e le proposte dell'Associazione per il disegno industriale (ADI) 44 Gli anni sessanta: il dibattito sulle prime esperienze italiane Un punto di riferimento didattico: la scuola di Ulm 54 Una figura di riferimento: Giulio Carlo Argan e la cultura del progetto 57 Negli Istituti statali d'Arte (ISA) le radici dei corsi superiori (sperimentali?) di Disegno industriale 59 Le sperimentazioni 63 Come nasceranno gli Istituti superiori Industrie artistiche (ISIA) 67 I corsi superiori (sperimentali?) di Disegno industriale 68 Venezia: 1959/1960-1972 Firenze: marzo 1962-1975 79 Urbino: 1962-1973. Il CSAG (corso sperimentale Arti grafiche) 83 Faenza: 1962-1979. Il corso superiore di Disegno industriale e Tecnologia ceramica 86 Roma: 1965-1973 90 Parma: 1967-1973 93 Gli Istituti superiori Industrie artistiche (ISIA) 100 1973 :L'ISIA di Roma 106 1974-1975: L'ISIA di Urbino 112 1975 :!'ISIA di Firenze 122 1979: Faenza 129 Come si è formato e si forma il designer 130 Il design nelle facoltà di Architettura 142 Le scuole private 147 Alle Accademie di Belle Arti progettazione artistica per la piccola impresa 155 Postfazione di Giuseppe Furlanis 161 Bibliografia 173 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 13Non è certo facile tracciare, sia pur per brevi cenni, l'articolato e complesso percorso che si è trovata ad affrontare in Italia, il "bel paese del disegno industriale", la formazione del designer, questo progettista che - a dirla con un fiorentino - l'architetto e sempre ironico critico Giovanni Klaus Koenig, è «un pipistrello, mezzo topo e mezzo uccello». Nel 1991, una raccolta postuma di suoi saggi sul design, che riprende la definizione degli anni sessanta, viene intitolata proprio così: Il design è un pipistrello mezzo topo e mezzo uccello: storia e teoria del design. Funzionalità e produzione-creatività: certo non è impresa semplice coniugare il binomio, e allo stesso tempo inseguire il continuo evolvere dell'insieme di specificità e valenze che imporrebbero una flessibilità difficilmente consentita dai vincoli dell'istituzione scuola. Decenni dopo, l'architetto e designer torinese Claudio Germak, docente al Politecnico piemontese, avrebbe puntualizzato: «Il design è un polipo: curioso, tentacolare, mediatore di bisogni e di saperi». L'originalità delle due definizioni zoomorfe bene illustra quanto sia arduo seguire e dipanare il filo di questo processo formativo. Che si inscrive, non dimentichiamolo, in quel contesto storico-geografico definibile come un ricco mosaico di saperi e di esperienze che fanno dell'Italia un luogo unico al mondo per densità e qualità della produzione artistica. Questa densità di esperienze artigianali è alla base del successo dei cosiddetti distretti industriali che, nonostante l'accezione di "industriali", si sono configurati come sistemi locali di imprese di piccole dimensioni che operano in un medesimo ambito merceologico. Un modello economico, quello dei distretti, particolarmente flessibile che per anni ha favorito il successo del made in Italy che ora, anche per effetto dell'attuale crisi economica, rivela non pochi limiti. [...] Grave è l'assenza di progetti di riforma che permettano di attuare modelli formativi capaci di raccogliere le sfide del nostro tempo e che siano in grado di interpretare, con coscienza critica, le possibili trasformazioni economiche, sociali, culturali [...]. Distretti industriali [al cui successo, NdA] sebbene sia stato scarsamente documentato e ancor meno valorizzato, un contributo rilevante [...] è stato offerto, nel tempo, dalla formazione artistica e in particolar modo dalle scuole d'arte applicata [...], veri e propri animatori culturali che hanno favorito un costante aggiornamento delle tecniche e dei linguaggi estetici. Un ruolo, il loro, che non ha trovato una giusta considerazione nella recente riforma della Scuola Media Secondaria superiore che ha avviato una graduale trasformazione degli istituti d'arte applicata in generici licei artistici. Una scelta che non solo fa perdere a queste istituzioni il loro storico rapporto con il territorio, ma che ancora una volta svilisce il ruolo formativo del saper fare. (Claudio Germak)
Ecco perché si è sentita l'esigenza di proporre una pur breve
introduzione-riflessione su ciò che, a monte, ha generato quel complesso ed articolato
panorama attuale di "luoghi" destinati alla formazione del designer, un panorama
in cui gli ISIA (Istituto superiore Industre artìstiche) - e questa
denominazione-acronimo, sia pure burocraticamente "motivata", come vedremo,
penalizza e tradisce la loro storia e il loro ruolo - hanno giocato e giocano un
ruolo significativo. E, ad exempla, andremo ad affrontare e ad approfondire la
nascita e l'evolversi dell'istituzione fiorentina, senza dimenticare le altre
tre analoghe istituzioni.
MONZA E L'UNIVERSITÀ DELLE ARTI DECORATIVE
In principio c'è Monza, con la sua Università delle Arti decorative, insediata nei corpi di servizio della piermariniana Villa Reale, affiancata a quello straordinario luogo espositivo che sono state le Biennali (poi Triennali) delle arti decorative, mostre internazionali che dal 1923 al 1927 e ancora nel 1930 (IV Esposizione internazionale d'arte decorativa e industriale moderna) racconteranno e testimonieranno la nascita e la crescita di un linguaggio "italiano", a superare i regionalismi. Un luogo di formazione frutto di un virtuoso triangolo per la gestione - ma anche a garanzia - di un'iniziativa educativa ispirata ad un modello di "scuola-laboratorio": i comuni di Monza e Milano e soprattutto quella milanese Società Umanitaria che si era già fatta notare da qualche decennio per il suo particolare approccio alle forme dell'educazione. Un'altra geniale creazione dell'Umanitaria era il titolo della "spalla" della prima pagina de «Il Sole, Giornale del Commercio, dell'Industria, della Finanza e dell'Agricoltura» del 10 novembre 1922: l'iniziativa dell'Università delle Arti Decorative e degli annessi Convitto e Pensionato si collega in parte alle iniziative dell'Umanitaria, dirette a creare istituti di organizzazione per i giovani nei quali l'educazione dell'attività spontanea, lo stimolo all'alta educazione, ogni cura volta alla formazione della personalità umana, possono essere attuati e sperimentati. A Monza, «università» significava, in questo caso, «insieme»: delle diverse scuole e dei diversi livelli in cui era scandita l'università, un unicum, tra le due guerre. Inaugurata il 12 novembre 1922, precorreva la riforma Gentile: la formazione che vi veniva data era caratterizzata da programmi in cui il "disegno" è il filo conduttore e, insieme, il volano decisivo. Sulle sue cattedre, soprattutto nei corsi di più alto livello, prestigiosi nomi dì architetti, artigiani, artisti dd tempo (da Marcella Nizzoli a Edoardo Persico, da Giuseppe Pagano a Raffaello Giolli, da Alessandro Mazzucotelli ad Eugenio Quarti, da Arturo Martini ad Alfredo Ravasco...), tra le più significative figure del "movimento moderno". Interessante come Ugo Ojetti, il critico d'arte del «Corriere della Sera» (e non solo: lo rincontreremo), spezzasse una lancia proprio in favore delle scuole d'Arte applicata e contro gli istituti di Belle Arti e le accademie. «Dare il segno di bellezza ad ogni cosa» si dichiarava sul biglietto d'invito... Scuola unica del genere in Italia: nella previsione di un'affluenza di allievi da tutte le parti del paese, si era aperta anche una specie di collegio annesso alla scuola stessa, «per l'igiene degli allievi e la tranquillità delle famiglie relative». Così, le scuderie ed altre adiacenze della Villa Reale furono trasformate in locali quasi ideali, addirittura una piccola porzione del giardino destinata allo studio all'aria aperta. [...] E i discenti arrivarono non solo da ogni parte d'Italia (ed ecco allora i tre sardi, Salvatore Fancello, Costantino Nivolay, Giovanni Pintori, sbarcati in continente per diventare famosi) ma anche dall'estero (Germania, Svizzera, Lituania, Lettonia). La denominazione di ISIA sarebbe stata assunta ufficialmente solo nel 1929, quando il nuovo programma, elaborato sotto la guida di Giuseppe Bevione, sottolineava come questa sarebbe diventata la scuola artistica e tecnica di più alto livello esistente in Italia, abilitata a rilasciare pubblici titoli di studio. L'ISIA di Monza, comunque, sarebbe sempre stata, nei due decenni in cui ebbe vita, una "palestra", e non una scuola nel senso del Bauhaus: all'ISIA non si elaborarono né teorie né dottrine, ma si sarebbe offerto uno stimolante spazio di lavoro a docenti e discenti. E ci si sarebbe qualificati, come anche Vittorio Gregotti ha avuto modo di sottolineare, come «il principale centro propulsivo di influenza sulla costituzione di nuovi modelli per le arti industriali». E piace sottolineare come a Monza, a differenza che al Bauhaus, si siano affrontate anche la Critica d'arte (cattedra affidata a Giuseppe Pagano), la Storia dell'arte (insegnata da Agnoldomenico Pica), mentre Edoardo Persico vi avrebbe tenuto conferenze sulle problematiche dell'arte contemporanea. Una «scuola all'italiana», secondo l'elogio di Giò Ponti nel febbraio 1939 su «Domus»; qui allievi e maestri «fanno e inventano insieme». E a Monza, proprio dall'anno accademico 1929-1930, tra le otto {poi dieci) specialità di laboratorio si sarebbe aperta quella della tessitura, riservata all'elemento femminile. Vìcecdirettore e organizzatrice la svedese Anna Akerdhal, moglie di Guido Balsamo Stella; a curare il ricamo ecco Anita Puggelli, ma ad insegnare allora a Monza anche la finlandese Aina Cederblom. | << | < | > | >> |Pagina 57Nel primo scorcio degli anni sessanta il ministero della Pubblica istruzione autorizza l'istituzione dei primi corsi per la formazione di progettisti industriali, ma va ricordato come questi corsi superiori (meglio forse sarebbe dire "sperimentali") di Disegno industriale, di fatto corsi post diploma - scuole di alta specializzazione legate anch'esse al territorio - debbano la loro istituzione agli istituti d'Arte e soprattutto alla sensibilità, nonché all'attenzione per il contemporaneo, dei loro direttori, riuniti nell'ANDISA. Quest'Associazione nazionale dei direttori degli istituti statali d'arte si era costituita nel 1962 «per promuovere lo studio dei problemi di carattere didattico e organizzativo» e per «suggerire al Parlamento riforme delle strutture e dell'ordinamento degli istituti e scuole d'Arte». Ma l'interesse degli istituti statali d'Arte ai terni della progettazione per l'industria si era già manifestato in occasione del I° convegno nazionale degli istituti di istruzione artistica organizzato a Firenze nel 1953, quando avevano reso esplìcita la necessità di portare a cinque anni la durata di questi percorsi formativi al fine di allinearli ad altre scuole secondarie. Il convegno era stato organizzato dalla sovrintendenza alle Belle Arti e dal centro didattico nazionale e promosso dal ministero della Pubblica istruzione, consapevole dell'esigenza di "attualizzare" questo settore e prendere in esame le problematiche inerenti la progettazione per l'industria, sempre più significativa e importante sia nella realtà produttiva che dell'industria dei consumi. Presente in quell'occasione anche Argan, il cui preciso e acuto punto di vista sarebbe stato al centro, poi, del I° congresso nazionale dei direttori degli istituti e delle scuole d'Arte, organizzato a Firenze dieci anni dopo, nell'aprile del 1963. Tra i membri del comitato d'onore, oltre ad Angelo Maria Landi, presidente ANDISA, ecco Dino Gentili, presidente della Triennale Emilio Colombo, ministro per l'Industria e il commercio, Giorgio Colarizi, direttore del centro didattico nazionale dell'istruzione artistica e Renzo Camerino, presidente del consiglio di amministrazione dell'istituto d'Arte di Venezia e direttore del corso superiore di Disegno industriale.
Irrimandabile, si sosteneva, una radicale riforma degli insegnamenti e
l'introduzione di materie tecnologiche per supportare l'inserimento
nell'industria degli studenti: ed ecco spuntare appunto il disegno industriale,
strumento, secondo Leonardo Benevolo - che tenne una prolusione ai lavori - per
superare l'equivoco delle "due culture", quella umanistica e quella
tecnico-scientifica. I convenuti si espressero per la non più procrastinabile riforma
dell'istruzione artistica, proprio con l'inserimento del Disegno industriale, e
di insegnamenti che permettessero ai discenti di inserirsi nel mondo produttivo
della piccola e della grande serie. L'auspicio era che l'iter scolastico fosse
quinquennale, scandito in due periodi, triennale e biennale, da concludersi con
un esame di stato.
Nel 1962, quando si era varata la scuola media inferiore unificata, gli istituti d'Arte erano ancora considerati scuole professionali: al termine di tre anni di corso rilasciavano una licenza di Maestro d'arte. Tuttavia, nel corso degli anni sessanta, le iscrizioni a questa tipologia di istituzione aumentano notevolmente e ciò contribuisce non poco a mutare la loro storica fisionomia e a far emergere nuove esigenze. Nel dicembre del 1968 si sarebbe svolto un altro convegno per rilanciare e sostenere la richiesta di una riforma organica degli istituti e, a seguire, altri convegni finché, finalmente, nel 1970-1971, il ministero avrebbe autorizzato l'istituzione di un biennio sperimentale, soddisfacendo così le richieste sia degli studenti che degli insegnanti, allineando di conseguenza la loro condizione a quella dei giovani e dei docenti delle altre scuole superiori. In quel momento proprio in alcuni istituti d'Arte iniziò un'importante sperimentazione didattica: sono gli anni in cui si cercava di definire una vera e propria epistemologia del design, sulla base degli studi di Argan, di Bruno Munari, ma poi soprattutto dei tedeschi Rudolf Arnheim ed Erwin Panofsky, di Max Bill e di Attilio Marcolli. Particolare attenzione era posta agli studi sulla psicologia della forma (Gestalt) e alle testimonianze del Bauhaus: i testi di Itten, Klee, Kandinskij, Moholy-Nagy, Gropius, sono pubblicati a metà degli anni sessanta in lingua italiana. Non meno importanti gli apporti provenienti da nuove prospettive di altre discipline: di Umberto Eco per la semiotica, di Gillo Dorfles per l'estetica, del britannico D'Arcy W. Thompson per la morfologia: uscito già nel 1942 il suo On Growth and Form, di David Katz (la cui Gestaltpsychologie - uscita nel 1948 - è tradotta in italiano nel 1960, come La psicologia della forma) e di Wolfgang Köhler (altro eminente esponente della psicologia gestaltica), nonché di alcuni dei docenti dell'HFG di Ulm, tra cui Anceschi, Maldonado, Zeischegg. A Cantù, il direttore Norberto Marchi chiama all'istituto d'Arte figure di docenti dai profili particolari (come, dal 1968 al 1972, Attilio Marcolli o, l'anno seguente, Alfonso Grassi del gruppo MID, anch'egli trasferito a Monza, dal 1970) e Antonio Barrese. [...] Da segnalare anche le conferenze che tennero all'ISA Andries Van Onck - lo rincontreremo - che avvicinarono la didattica della scuola canturina all'esperienza di Ulm. E a Cantù "passarono" anche Max Bill e Gerrit Rietveld, con cui Van Onck aveva avviato la sua esperienza professionale. Incontri determinanti per la formazione di molti (e dello stesso Furlanis che ce lo testimonia) e che mettono in evidenza il vivace clima culturale che caratterizzava la vita degli istituti d'Arte in quegli anni. La figura di Marchi, da tutti definita poliedrica e dai molteplici interessi, è da ricordare anche perché tra i direttori più impegnati in queste battaglie di innovazione: l'Istituto di Cantù, tra il resto, esemplare perché dotato di efficienti laboratori, era stato prescelto in sede ANDISA come «centro pilota per la riforma dell'educazione artistica», riferimento necessario anche per concretizzare la proposta di accesso all'università degli studenti diplomati in queste istituzioni. Pur non portando poi la sua scuola a caratterizzarsi per la presenza di un ISIA, Marchi sarà il supporter della riapertura a Monza dell'istituto d'Arte, alla fine degli anni sessanta, un centro che, sia pure a livello medio superiore, rappresenterà negli anni settanta-ottanta uno spazio di formazione di alta qualità, in cui la presenza tra i docenti di molti dei più noti artisti e professionisti milanesi garantiva esperienze straordinarie agli allievi. | << | < | > | >> |Pagina 129Ben ha sottolineato Raimonda Riccini come soltanto verso la fine degli anni ottanta si è acceso in Italia un più intenso dibattito intorno alla formazione del designer, e non per nulla è stato l'Istituto universitario di Architettura di Venezia - alle spalle l'ormai chiuso corso superiore di disegno industriale - ad organizzare alcuni seminari sulla didattica del disegno industriale, a cura di Nicola Sinopoli. In quel momento il tema-problema, di fatto, era incentrato sull'opportunità o meno di inserire l'insegnamento del design all'interno dei corsi di laurea di Architettura: e si voleva capire «fino a che punto i prodotti delle diverse scuole operanti potessero dimostrare una loro maturità e una loro autonomia nel quadro complessivo dei prodotti delle scuole di architettura». Sotto esame le scuole di design esistenti, la loro identità didattica e soprattutto (!) se e come la "disciplina" potesse essere all'altezza di entrare nell'università, e specificamente nelle facoltà di Architettura. Ed anche se il suo ingresso avrebbe potuto testimoniare una "modernizzazione e rivitalizzazione" delle facoltà di Architettura, anche in vista dell'imminente integrazione europea. «La scelta dell'inserimento del design nelle facoltà di Architettura in Italia sembrava obbligata [...] Anche questa situazione, comunque, mette in evidenza quale sia stato il grave non soltanto dell'istituzionalizzazione universitaria dell'insegnamento del disegno industriale, ma anche del dibattito culturale attorno a questo tema. Il ritardo dovuto, anche, ad una diffusa visione del design fortemente personalizzata e individualistica (ancora oggi si parla di Maestri, riferendosi ai protagonisti della felice stagione del design italiano). Un dibattito che, Oltralpe e Oltreoceano, si era dipanato lungo tutto il secolo scorso, quando non da prima e l'apertura in molti Paesi di numerose università, il moltiplicarsi di convegni, il consolidamento di istituzioni internazionali come l'Icsid e di associazioni nazionali avevano delineato il profilo del disegno industriale come disciplina o corpus di saperi autonomo». Sempre Riccini ricorda come il confronto veneziano ebbe luogo fra i corsi strutturati all'interno dell'università, scuole private come Domus Academy e proprio gli Istituti superiori di istruzione artistica, oltre alle scuole di specializzazione postuniversitaria, e ai numerosi "storici" del mondo del design, da Fratelli a Maldonado, da Alessandro Mendini a Vittoria.
«Quell'incontro fu uno dei prodromi alla fondazione a Milano del primo corso di
laurea in Disegno industriale presso il Politecnico di Milano, che venne
realizzato in seguito a un impegno diretto dello stesso Maldonado, coadiuvato da
un gruppo di docenti provenienti dalla facoltà di architettura».
Qualche rapido accenno è dovuto allora anche alla formazione del designer nelle facoltà di Architettura, prima che trovasse spazio — non per molto! — e una propria identità nei corsi di laurea in Disegno industriale e successivamente anche in facoltà autonome, nelle facoltà del Design e nei corsi di laurea in Design. La scelta di portare la formazione dei designer a livello universitario è maturata oltre vent'anni fa, grazie soprattutto all'azione di Maldonado e Cesare Stevan, cui si deve la nascita del primo corso di laurea in Disegno industriale in una università pubblica in Italia. Certo, l'attivazione del corso al Politecnico di Milano ha avuto una gestazione molto lunga, accompagnata da dibattiti e convegni: Maldonado aveva coinvolto nella discussione e preparazione molti colleghi, soprattutto dell'area della Tecnologia dell'architettura, e la costruzione del progetto è stata il frutto, anche, di una mediazione accademico-politica, oltre che culturale. Ed è stato attraverso il contatto con l'allora ministro dell'Università e della ricerca scientifica Antonio Ruberti che sarà avviato il processo di trasformazione del progetto in un precìso ordinamento per i percorsi legati al design. Si è già segnalato comunque come a Firenze, e proprio ad Architettura, già nel 1955 era stato istituto da Leonardo Ricci - non senza difficoltà - il primo corso universitario di Disegno industriale, a sostituzione di quello di Decorazione: un insegnamento facoltativo che avrebbe ben presto ottenuto l'autorizzazione ministeriale diventando biennale e inserendosi nel curriculum degli studi architettonici. Una soluzione che Rosselli ritenne tra quelle più «pratiche facilmente attuabili per l'educazione in questo settore», commentando come «in altri paesi [...] si è da tempo seguita una via analoga, affiancando ai corsi di architettura corsi specializzati di disegno industriale». Il corso di Ricci si caratterizzava per un programma in tre punti: a) Evoluzione della forma e del gusto a partire dall'impressionismo fino ad oggi. Analisi delle relazioni tra architettura, pittura, scultura e le cosiddette "arti minori" delle quali l'Industrial Design fa parte, b) Tecnica e ricerca espressiva dei materiali usati, c) Applicazione in un lavoro da parte dello studente. | << | < | > | >> |Pagina 147Da ultimo, quasi chiudendo un cerchio, non si può non ricordare come anche le Accademie di Belle Arti, "storicamente" depositarie della formazione di una figura che, mutati i tempi e i modi, potrebbe essere avvicinata a quella del designer. Non si può dunque non sottolineare come architettura soprattutto - ed anche, pur con altre denominazioni, design e grafica - avesse qui un suo spazio caratterizzato e caratterizzante: ad avviare ad una sia pur particolare e datata cultura del progetto: e ricordiamo il caso di Carlo Scarpa, che si diploma all'Accademia di Venezia nel 1926. Marcello Nizzoli ha invece frequentato le scuole di Belle Arti di Parma; Joe Colombo, prima del Politecnico, l'Accademia di Belle Arti di Brera, così come Enzo Mari e il team del MID design (Barrese, Grassi, Laminarca, Marangoni). Per non dire di Giorgetto Giugiaro, che ha alle spalle una formazione scolastica nel campo delle Belle Arti e del disegno tecnico. Così, in un "quasi ritorno" al passato, pressoché tutte le accademie hanno da qualche tempo attivato dei corsi, e poi dei dipartimenti, di progettazione artistica per la piccola impresa e corsi/scuole di grafica (intesa nella sua accezione più ampia). Da più di un decennio, nel percorso formativo di queste istituzioni, è ripreso l'interesse e l'attenzione per la progettazione artistica: per quelle cosiddette «arti decorative e applicate» la cui strada in Italia, nel Novecento, si è progressivamente unita a quella del disegno industriale e forma ormai, da noi come all'estero, un settore di attività creativa differenziato ma sostanzialmente unitario. Un'apertura dell'offerta formativa che corrisponde, finalmente e di fatto, ad una vocazione dell'"istituzione" Accademia. Per l'Accademia di Brera di Milano la data di inizio è quella del 2000: un percorso iniziato con un progetto fortemente caratterizzato da Ugo La Pietra - che lo coordinerà fino al 2005 -, e che nel tempo si è andato articolando, con la proposizione nel dipartimento di Progettazione e arti applicate, presente oggi anche un biennio magistrale di Fashion design a fianco di quello di Product design. Ma già molti anni prima era stato affidato ad un esponente dell'Arte programmata, Davide Boriani, dal 1977, un corso di Design. Proprio quell'anno, infatti, alcune Accademie di Belle Arti, anche se legate ancora alla tradizione, e poco "permeabili" alle innovazioni, si aprirono a nuovi insegnamenti, a dei corsi speciali, appunto. Si può dunque, forse, ipotizzare che il design entri per le prima volta come vero e proprio insegnamento nelle Accademie di Belle Arti con l'ordinanza ministeriale del 30 luglio 1977 che autorizzava appunto - a partire dall'anno accademico 1977-1978 - l'istituzione di una serie di corsi speciali, elencati nelle tabelle A e B allegate all'ordinanza, tra le quali appunto il design. Più nello specifico, nella tabella A come «corsi speciali» di interesse (alle diverse scuole storiche), ecco i corsi di Teoria e psicologia della forma, Teoria e metodo dei mass media, Tecniche della grafica, Tecniche della Fotografìa, Modellistica e Metodologia della progettazione. La tabella B, invece, nell'indicare i «corsi di interesse specifico», indicava il corso speciale di Design come afferente alla scuola di Pittura. Ed ecco l'avvio in alcune accademie proprio dei corsi di design: incaricati in alcuni casi degli artisti, come nel caso, appena citato, di Boriani a Brera.
All'Accademia di Belle Arti di Roma, invece, l'anno seguente, nel 1978, fu
assegnato ad un architetto, Ernesto Rampelli, il corso speciale di Design, prima
che lo stesso "traghettasse" all'ISIA della capitale. E sempre all'Accademia di
Roma è stato titolare della cattedra di Design, e sino allo scorso anno, Claudio
Vagnoni: con un'interruzione dal 2001 al 2006 perché nominato direttore
dell'Accademia di Frosinone, dove ha potenziato l'indirizzo di Design della
comunicazione e moda. E a tutt'oggi è qui attivo anche il biennio sperimentale,
proprio in Graphic e Fashion design.
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