|
|
| << | < | > | >> |Indice3 Prefazione di Carla Rocchi 7 Abbandono 11 Accattonaggio (con animali) 14 Adozione 17 Anagrafe canina 20 Animali in via di estinzione 23 Bastardo 26 Bau-beach 28 Bioetica animale 31 Buoni e cattivi 35 Buoni della strada 37 Caccia 42 Cani: conduzione 45 Canili 50 Catena 52 Circo 55 Code 57 Collari (elettrici e satellitari) 6o Deiezioni canine 62 Domesticazione 65 Disturbo della quiete pubblica 68 Empatia 72 ENPA 75 Eutanasia 78 Fauna selvatica 81 Gatti randagi 86 Gatti di proprietà 90 Inconvenienti condominiali 92 Levrieri 95 Maltrattamento 100 Mordere 103 Mutua per animali 106 Onnivoro coscienzioso 109 Parole canine 111 Passaporto (per cani, gatti e furetti) 114 Pellicce 116 Rabbia 119 Randagismo 122 Razze 126 Rinunciare (a un cane) 130 Scuola 133 Sessanta giorni 135 Smaltimento 138 Sperimentazione animale 142 Spiaggiamento 145 Testamento 147 Toxoplasmosi 150 Vaccinazioni 154 Vegetariano 157 Viaggiare con gli animali 164 Zanzara-tigre 168 Zoo 171 Zooantropologia 174 Zoofilo 181 Appendice normativa e modulistica 215 Note 217 Riferimenti bibliografici |
| << | < | > | >> |Pagina 68...una cagnetta brutta e piccola, in gravidanza avanzatissima, venne verso di me; non era un animale glorioso, e certamente era piena di cuccioli casuali, i quali non saranno poi stati conservati in vita; ma essa venne verso di me, per quanto le fosse difficile, mentre eravamo soli, e alzò gli occhi dilatati dalla preoccupazione e dall'interiorità, e chiese il mio sguardo, — e nel suo c'era davvero tutto ciò che va al di là del singolo, non so dove, nel futuro o nell'incomprensibile; andò a finire che essa ebbe un pezzo di zucchero del mio caffè, ma come per caso, celebrammo, per così dire, la messa insieme; l'azione in sé non era altro che dare e prendere, ma il senso e la gravità e la comprensione fra noi erano sconfinate.
Rainer Maria Rilke,
Lettera a Marie Taxis del 12 febbraio 1912
Un uomo e una cagna 'celebrano la messa insieme' — usando le parole del grande poeta — in un momento magico di condivisione emozionale: e "la gravità e la comprensione fra noi erano sconfinate". Gli animali domestici, in particolare il cane e il gatto, ci offrono la possibilità di sviluppare quella particolare capacità che va sotto il nome di 'empatia' e che costituisce il presupposto di qualsiasi relazione sociale. Una prima definizione ci è offerta da R.D. Hinshelwood: "Quando si parla di mettersi nei panni di un altro, si intende proprio l'empatia, ma si descrive anche un processo di inserimento di una parte di sé, della propria capacità di autopercezione, all'interno di un'altra persona... un aspetto importante di questa intrusione all'interno di qualcun altro è che non esiste una perdita di realtà, né una confusione d'identità". Una seconda definizione, ancora più efficace, è quella di uno dei pionieri dell'economia, Adam Smith: "Uno scambio di posto nella fantasia con chi soffre". Ma ciò che si realizza nell'intreccio di sguardi tra il poeta e la cagnolina gravida è qualcosa di più. È polarità del diverso, illuminata dall'intelletto d'amore; è forma autentica di conoscenza (gnosi): quando lo strumento di conoscenza, l'empatia, si fonde magicamente e quasi sacralmente con chi conosce e chi viene conosciuto. In realtà l'empatia non è affatto una prerogativa dell'essere umano, ma è condivisa con molte altre specie di mammiferi. Celebre il caso riportato dal primatologo Frans De Waal di una scimmia bonobo, di nome Kuni, che allo zoo Twycross in Inghilterra soccorse uno storno incapace di volare, tenendolo con una mano e risalendo la cima dell'albero più alto, per lanciarlo al di là del recinto. Verificato che il povero uccellino era caduto a breve distanza dal recinto, Kuni si precipitò a sorvegliarlo, per proteggerlo dalla curiosità dei suoi simili, sino alla fine della giornata, quando ripresosi in forze fu in grado di riguadagnare il volo. Il comportamento di Kuni costituisce un eccellente esempio di empatia interspecifica, vale a dire la capacità di immedesimarsi ("con chi soffre") in una specie diversa dalla nostra. L'uomo è l'animale parlante per definizione; ma la supremazia della parola ha ridotto nei secoli altre capacità. "Ho sentito dire: senza il linguaggio siamo come cani" ha osservato criticamente Elémire Zolla nel saggio Il presupposto. "Ma la nostra vita e quella del cane si sovrappongono puntualmente per molta parte. Del cane condividiamo corpo, istinti, calcoli, paure, amori, fedeltà, ardimenti, tristezze e perfino in parte la percezione del mondo, anche se quella del cane è più estesa. Tutta questa parte puramente 'canina' della vita è sottratta nella sua essenza al linguaggio, che pure ci soccorre, spesso ci esalta con eloquenza e poesia, ma del pari ci inganna, dandoci da credere che sia capace di descrivere punto per punto un'esperienza che lo sovrasta in misura quasi sconfinata. Sarà sempre fuori d'ogni idioma il momento in cui la comunicazione diventa veramente stretta, quando le labbra si serrano e lo sguardo trasmette sull'istante la notizia: gli occhi parlano più della bocca". Solo di recente è stato individuato il fondamento neuro-fisiologico dell'empatia, grazie alla localizzazione nella corteccia premotoria dei neuroni specchio, la cui attività sta alla base del riconoscimento delle intenzioni e delle emozioni altrui, e che si rivela determinante nello sviluppo infantile e adolescenziale. La prossimità di un animale domestico — che impegna quotidianamente a riconoscere il suo stato d'animo, soprattutto attraverso la decodificazione del linguaggio non verbale — diventa una insostituibile palestra d'allenamento, unico strumento possibile per penetrare nell'alterità animale e allargare il 'cerchio di compassione'. "Ci siamo evoluti per stabilire relazioni profonde con altri esseri umani" conclude Marco Iacoboni nel suo libro I neuroni specchio — come capiamo ciò che fanno gli altri. "La nostra consapevolezza di questo fatto può, e dovrebbe, avvicinarci sempre di più gli uni agli altri". Ma perché limitarsi agli esseri umani? Piuttosto: esseri viventi... | << | < | > | >> |Pagina 106Alcuni dicevano che la balena di Leblon non era ancora morta ma che la squartavano da viva e la sua carne era venduta al chilo, perché la carne di balena era buonissima da mangiare, e costava poco, erano queste le voci che correvano per la città di Leme. E io pensai: maledetto sia colui che la mangerà per curiosità, posso perdonare solo chi ha fame, la fame atavica dei poveri. Altri, al culmine del ribrezzo, dicevano che anche alla balena di Leme, seppure ancora in vita e ansimante, si tagliavano via i suoi chili di carne per venderli. Come poter credere che non si aspetti nemmeno la morte prima che un essere vivente mangi un altro essere vivente? Non voglio credere che qualcuno possa disprezzare così tanto la vita e la morte, nostra creazione umana, e che mangi voracemente, solo perché è una prelibatezza, ciò che sta ancora agonizzando, solo perché costa meno, solo perché la fame umana è grande, solo perché in realtà siamo tanto feroci come un animale feroce, solo perché desideriamo mangiare quella montagna d'innocenza che è la balena, così come mangiamo l'innocenza cantante di un uccello. Io allora dicevo con ribrezzo: piuttosto che vivere in questo mondo preferisco la morte.
Clarice Lispector,
La scoperta del mondo
Quasi tutti gli animali sono per loro sventura commestibili. Oltre alle specie che più spesso finiscono nei nostri piatti, l' homo sapiens mangia la balena e il delfino, l'orso e il cervo, la scimmia e il cane; nella civilissima e sensibile Italia si consuma senza troppi scrupoli la carne di cavallo, l'unico animale considerato d'affezione, che giunto alla fine della sua esistenza il proprietario spesso fa abbattere e destina a una macelleria equina, perché l'eutanasia è troppo costosa. L'unica alternativa è quella proposta dai vegetariani? La figura dell'"onnivoro coscienzioso" viene delineata in un recente e quanto mai interessante saggio scritto da Peter Singer e Jim Mason, Come mangiamo: gli autori — entrambi vegetariani — pongono in evidenza le conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari. Se la decisione di diventare vegetariani rimane ancora patrimonio di una minoranza dell'umanità (si calcola intorno al 3%, anche se questa percentuale pare destinata ad aumentare), la possibilità di correggere la nostra dieta quotidiana in una direzione che — pur continuando a mangiare la carne — possa migliorare le condizioni di vita degli animali allevati è in realtà alla portata di ciascuno di noi. Più precisamente cosa significa diventare un O.C. — un onnivoro coscienzioso? 1) L'O.C. evita di mangiare carni di animali provenienti da allevamenti intensivi, che non tengono in alcun conto le minime esigenze etologiche proprie degli animali allevati, mirando esclusivamente a uno sfruttamento privo di qualsiasi scrupolo; con la sua scelta, vuole esprimere il dissenso nei confronti di questo tipo di allevamenti. 2) L'O.C. predilige i prodotti locali; con la sua scelta vuole esprimere il suo dissenso nei confronti dei trasporti degli animali, sempre fonte di stress e spesso di veri e propri maltrattamenti. 3) L'O.C. evita le carni di animali appartenenti a specie selvatiche, esprimendo così il suo dissenso nei confronti dell'attività venatoria. 4) L'O.C. predilige i prodotti provenienti dagli allevamenti e dalle coltivazioni biologiche; con la sua scelta dà sostegno allo sviluppo di una zootecnia e di una agricoltura che rispetta la vita animale e l'ambiente. 5) L'O.C. infine si pone l'obiettivo di sperimentare, almeno una volta alla settimana, una dieta vegetariana (a base per esempio di tofu o di hamburger di soia, che forniscono la stessa quantità di proteine del pollo industriale), scoprendo che con un pizzico di fantasia rimane inalterato l'irrinunciabile piacere offerto dalla buona tavola! "Cosa si può dire in conclusione della dieta degli onnivori coscienziosi?" si chiede Peter Singer. "Forse, tutto considerato, non è la miglior dieta possibile, ma la distanza morale tra le scelte alimentari degli onnivori coscienziosi e quelle della maggioranza della popolazione è talmente grande che sembra più giusto lodare gli onnivori coscienziosi per il cammino da loro compiuto, piuttosto che criticarli per non essere andati oltre". | << | < | > | >> |Pagina 109Questa parola è strana per me. In inglese, capovolgendo God, ottieni dog. E un cane non ha molto a che vedere con Dio, non è vero? Bau bau, Grrr, grrr. Sono queste le parole del cane. A me sembrano bellissime. Così armoniose e vere. Come le parole che io invento.
Paul Auster,
La città di vetro
In realtà, le parole del cane sono numerose: nessun altro animale, eccetto l'uomo, ha a sua disposizione la possibilità di utilizzare un linguaggio così mutevole e raffinato. Quanti e quali sono i verbi del cane! Abbaiare. "Can che abbaia non morde", dice un proverbio, e risponde al vero. Il cane che abbaia, di solito, si limita a comunicare la sua presenza – la sua esistenza – al mondo che lo circonda: "Sono qui! Guardatemi! Un po' di attenzione, che diamine!". Esistono in realtà diversi tipi di abbaio: rapido, continuo ma lento e basso, breve e distinto, più prolungato. Ognuno ha una sfumatura, un contenuto diverso, che troppe volte l'uomo non sa interpretare. Guaire. Racchiude nella sua radice la parola 'guai': e infatti il guaito è un lamento, la segnalazione che qualcosa non va, la comunicazione di uno stato di dolore. Latrare. Quando il cane esprime il suo verso con rabbia e forza, con insistenza, desidera comunicare il suo stato di insoddisfazione, molte volte conseguente alla prolungata condizione di solitudine nella quale è costretto a vivere. "Solo come un cane" è un'altra espressione significativa: e tutto il giorno da solo, un cane che mai può fare? Latra. Ringhiare. È la reazione di fronte a una condizione di minaccia, di incombente pericolo: quando qualcuno – persona o animale – invade la sua zona prossemica più intima e incrina il bisogno di sicurezza. Un avvertimento che non deve essere ignorato: dopo il ringhio, scatta il morso. Uggiolare. "Oh, l'amore farebbe / uggiolare in rima un cane" afferma poeticamente Francis Bacon. L'uggiolio è il verso un po' lamentoso proprio dei cuccioli che richiedono attenzione, e che esprimono un chiaro invito al gioco e alla carezza, non dissociato dalla preoccupazione di essere lasciati soli. Ululare. Non solo i lupi: anche i cani qualche volta ululano. Originariamente l'ululato aveva la funzione di riunire il branco, all'alba o al tramonto, per intraprendere una battuta di caccia; esprime l'innato desiderio di "fare parte" del branco, di vivere nella comunità alla quale sente di appartenere (umana o animale che sia). | << | < | > | >> |Pagina 15412 luglio 1967. Visita ai macelli della Villette. Quei tori che non vogliono entrare nel mattatoio, che sicuramente avvertono dall'odore ciò che li attende, e che vengono spinti da dietro. Uno di loro, al momento di entrare, lanciò un muggito straziante. Un altro aveva negli occhi un'espressione di angoscia, terribile. Si dice: hanno paura perché vedono. Macché, hanno paura prima di vedere, già fuori. Sicuramente è l'odore. Il macello israelita — il più crudele. Almeno cinque minuti di agonia. E poi, quel mezzo rabbino con il coltello in mano per provocare il dissanguamento, che spettacolo odioso! Per tutto il tempo che sono rimasto nei macelli, ho pensato ai campi di concentramento. L'Auschwitz delle bestie.
E. M. Cioran,
Quaderni 1957—1972
Non è facile diventare vegetariani in una società che da anni promuove la cultura della bistecca. Alcuni numeri dovrebbero farci riflettere: duecento milioni di persone nel mondo sono ancora coinvolte in attività connesse con la produzione zootecnica; più di un miliardo i bovini che pascolano — o ingrassano — negli allevamenti dei cinque continenti; negli Stati Uniti il mercato della carne bovina rappresenta un business colossale: centomila vacche macellate ogni giorno, mentre il settanta per cento dei cereali prodotti sul pianeta viene destinato all'alimentazione animale. L'efficienza di conversione delle proteine alimentari in un bovino è piuttosto bassa (6%); quando un manzo d'allevamento viene portato alla macellazione, ha mediamente consumato — per raggiungere i cinque quintali di peso — 1.200 chilogrammi di granaglie! Sono i bovini e gli altri animali d'allevamento a divorare la gran parte dei cereali prodotti nel mondo, e questo è paradossale, se pensiamo che più della metà della popolazione mondiale patisce la fame. Non è più questione di zoofilia: è una vera e propria faccenda di sopravvivenza, per popoli non fortunati come noi. E allora? Certo, anche in Italia come nel resto dell'UE sono state recepite in questi ultimi anni norme che regolamentano i sistemi di produzione alimentare, tutelando il benessere degli animali sia negli allevamenti che nella fase della macellazione. Ma siamo sicuri che può bastare? O non è forse il momento per fare un salto qualitativo? "Andare oltre la carne significa trasformare radicalmente il nostro modo di pensare su quello che è l'atteggiamento più giusto nei confronti della natura" conclude Jeremy Rifkin nel suo prezioso Ecocidio — ascesa e caduta della cultura della carne. "Nel nuovo mondo che si va formando, l'attività umana è legata tanto alla forza generativa intrinseca della natura quanto agli artificiosi dettati del mercato. Iniziamo ad apprezzare le fonti del nostro sostentamento, la creazione ispirata da Dio che merita di essere nutrita e richiede di essere tutelata. La natura non è più un nemico da sottomettere e domare, ma una comunità primordiale di cui facciamo parte. Le altre creature non sono oggetti o vittime, ma compagni partecipi di quella grande comunità della vita che costituisce la natura e la biosfera. Eliminando la carne dalla dieta umana, la nostra specie può compiere un significativo passo in avanti verso una nuova consapevolezza, che contempli uno spirito di comunione con i bovini e, per estensione, con le creature viventi con cui condividiamo il pianeta". Mangiare meglio, e soprattutto mangiare meno è del resto il segreto della longevità. Il popolo più longevo sulla terra è quello giapponese: nell'isola di Okinawa risulta concentrata la percentuale di centenari più elevata del pianeta. Hara hachi bu, il consiglio principale: alzarsi da tavola quando non si è ancora del tutto sazi. La loro dieta è principalmente a base di riso, pasta, fagioli, frutta e formaggi... | << | < | > | >> |Pagina 174Zoofilo: amico degli animali. Tutto qui? Definire lo zoofilo è facile: esserlo, esserlo veramente, sforzandosi di tenere sempre ben aperto il terzo occhio, quello che ci permette di estendere il cerchio di compassione a tutte le specie viventi, e di arrivare forse a una conoscenza superiore, è difficile, ma non impossibile: l'abbecedario si conclude con alcune gemme tratte dal delizioso diario di Jules Renard (1864-1910), conosciuto come l'autore di Pel di carota e delle Storie naturali, ma che piace ricordare come cacciatore pentito e zoofilo doc.
La guerra non è forse altro che la rivincita delle bestie che
noi abbiamo ucciso. (30 luglio 1891)
Le ore in cui ci si sente un po' canarini, e si amano gli uccelli. (4 maggio
1893)
Quando un merlo vede i vendemmiatori entrare nella vigna, si stupisce
soprattutto che essi non abbiano paura come lui dello spaventapasseri. (9 maggio
1894)
Un giorno avrò un berretto con su ricamato a lettere d'oro: "Interprete
della Natura". (14 giugno 1894)
Quando le morì il cagnolino, essa disse al marito: "Ti sarei
tanto riconoscente se tu mettessi un nastro da lutto al tuo
cappello, un nastro lungo magari solamente due dita, un
nonnulla...". (10 luglio 1894)
Dopo aver letto una lezione del professor Carlo Vogt sulla
utilità della talpa, ne ho ammazzata una con un colpo di
carabina. Vedevo che sollevava la sua cupoletta di terra fresca, e due volte
gliel'ho distrutta. La talpa ricominciava.
Allora, ho sturato il suo buco. Ha messo fuori il naso per
un momento. L'ho uccisa in un istante con la mia folgore
personale, per veder com'era fatta. Deve aver avuto la stessa impressione che
avrei io se il tuono mi scoppiasse sulla
testa. L'ho uccisa come uccidono gli dei. Era in mezzo al
vialetto. Essa non faceva del male alla mia insalata, alla
quale del resto tengo pochissimo. L'ho uccisa. Perché? Perché? E il mio gatto
viene a fare i suoi bisogni sulla fodera
della mia poltrona, e non gli dico niente. (8 luglio 1896)
Il covo di una lepre, anche se la lepre è assente, è sempre
pieno di paura. (23 settembre 1899)
Se mi farete una statua, fateci un buco sulla testa perché gli
uccelli possano venirci a bere. (10 dicembre 1899)
Se un solo maiale conoscesse il suo destino, con quella faccia, con quei
denti, con quegli urli, con quel testone pesante e potente, la razza umana
sarebbe subito battuta da quella dei porci. (24 dicembre 1900)
Dal mio villaggio io posso misurare tanto l'anima umana
quanto la formica. (12 luglio 1901)
Sento sbadigliare le ostriche. E sento lo scalpiccio delle
mosche sui vetri. (17 settembre 1901)
Non chiedo che una sola cosa: guadagnare abbastanza pane per darne agli
uccellini. (20 gennaio 1902)
Falciano il fieno. Le pernici dicono tra di loro: "Distruggono la nostra
povera patria". (2 agosto 1902)
Un incontro di cacciatori sembra quasi un incontro di nemici. Manca poco che
i fucili sparino da soli. (6 settembre 1902)
Una farfalla ha preso il treno a Clemsy, e ha voluto fare il
viaggio con me. (19 agosto 1903)
L'istrice gigante. Credevamo che fosse di una razza speciale. Ci divertiva
molto. Non aveva paura. Era stato trovato
con una zampa ornata da un nodo di giunco, e per questo
si pensava che qualche monello avesse potuto ammaestrarlo a girare sempre
attorno a se stesso. Alla fine, ci si è
accorti che aveva un orecchio pieno di vermi. Girava giorno e notte attorno a se
stesso, per addentarsi l'orecchio. (7 ottobre 1903)
Vorrei consigliare ai cacciatori di uscire una volta senza il
loro fucile e di percorrere i campi dove hanno ucciso. La
gazza diventa una creatura di famiglia. Le pernici si lasciano avvicinare. Le
prugne e la piccola pera selvatica ti fanno l'occhietto. I prati si addormentano
sotto una leggera bruma. Il bue si ferma e guarda, e il bue che lo segue gli
lecca la schiena con un pigro colpo di lingua. Questo prato sembra che tiri
dalla sua parte tutta la coperta verde. E
non si è ucciso niente: è già qualcosa. (24 settembre 1904)
I passeri dicono di noi: "Gli uomini costruiscono delle case, perché noi
passeri si possa fare i nostri nidi dentro le loro mura". (13 marzo 1905)
La bellezza di un prato immenso, dove i buoi sembrano in
libertà e dove la libertà non ha per limite che i boschi lontani. (9 agosto
1905)
Tanto la caccia alla volpe quanto la caccia coi battitori son
cose ignobili e senza attenuanti. Non è una caccia per cercar del nutrimento. Se
c'è una scusa, il solo cacciatore scusabile è il bracconiere che vende la sua
selvaggina, e vive di questo tutto l'anno. (1 ottobre 1905)
Capus. La sua vacca ha figliato. Per darne l'annuncio Capus manda agli amici
delle scatole di confetti con un acquerello che raffigura una scena di stalla.
In un angolo si legge: "Da parte della nostra giovenca". (7 gennaio 1906)
Un gatto che dorme venti ore su ventiquattro è forse an-
cora la cosa che è meglio riuscita a Dio. (26 gennaio 1906)
Concorso agricolo. Un piccione è scappato e vola sotto le
arcate della galleria. Sarebbe tanto contento di poter tornare nella sua gabbia.
Una civetta impagliata. L'imbalsamatore tira lo spago: la civetta gira la testa,
muove gli occhi, apre le ali. Ma tutto questo lo faceva molto meglio
quando era viva. Pelli di coniglio lavorate alla perfezione.
Degli altri conigli sono lì accanto: aspettano. (17 marzo 1906)
L'allodola sale in cielo. Va a posarsi sulla cima del dito di
Dio. (24 aprile 1906)
Un cavallo da
fiacre
tanto stanco che non voleva più andare avanti, e che si sedeva accanto al
marciapiede, delicatamente, senza rompere le stanghe: un passante lo rialzava,
ma lui tornava subito a sedersi venti passi più in là. (1 gennaio 1907)
Attraversando il giardino abbasso gli occhi per non far
paura, quando passo, all'uccellino che è dentro al suo nido. (13 giugno 1907)
Durante la guerra un uomo si rassegna a mangiare il suo cane. Guarda le ossa
che sono avanzate, e dice: "Povero Medoro! Che bella scorpacciata ne avresti
fatto!". (12 febbraio 1908)
Non ho mai potuto fare a meno di salvare una mosca presa in una tela di
ragno. (26 agosto 1908)
La corrida: una cosa triste, cupa, ripugnante. Il matador,
con un colpo di testa, lancia il suo berretto verso il pubblico, prima di
colpire il toro al posto giusto. Un momento
di pericolo per il pubblico, perché il toro, con una spallata, fa schizzar
lontana chissà dove la spada che si era infilata male. (1 ottobre 1908)
Sul fondo di una gabbia c'è un uccellino tutto spennato: il
padre di tutti gli altri – una ventina – che volano nella gabbia. L'uccellino
spennato non può più volare, ed è coperto
dallo sterco dei suoi figli, dei suoi veri figli. (5 maggio 1908)
Sognatore come un gatto che guarda sul soffitto i raggi luminosi di una
lampada. (16 febbraio 1910)
|