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| << | < | > | >> |IndiceV Avvertenza Petrolio 3 Nota progettuale 5 Forte (8 settembre 1973) 9 Appunto 1 Antefatti 10 Appunto 2 La Prima Rosa dell'Estate 13 Appunto 3 Introduzione del tema metafisico 16 Appunto 3a Prefazione posticipata 18 Appunto 3b Prefazione posticipata (ii) 1q Appunto 3c Prefazione posticipata(iii) 20 Appunto 3d Prefazione posticipata (iv) 28 Appunto 3e Seconda parte della prefazione posticipata: Le spade vendute 29 Appunto 4 Che cos'è un romanzo? 32 Appunto 5 Continua la follia prefatoria: Carlo primo 34 Appunto 6 Continua la follia prefatoria: Carlo secondo 37 Beirut, 5 maggio I974 38 Appunto 6a ecc 39 Appunto 6b Le fonti (premessa) 4o Appunto 6bis I personaggi 'che vedono' 42 Appunto 6ter Vecchi conti 43 Appunto 6quater La vita segreta di Carlo alla luce del sole 45 Appunto 6quinquies Due parole su questo Pasquale 46 Appunto 6sexies La valigia col verbale 49 Appunto 7 Turno della madre 52 Appunto 8 Seguito 57 Felicità del giorno ecc. 63 Appunto 9 Alla stazione 65 Appunto 10 Alla stazione (seguito) 67 Appunto 10bis Dispendio di Spirito 72 Appunto 10ter 75 Appunto 10quater Cosmo 77 Appunto 11 Il nuovo giorno 78 Appunto 17 La Ruota e il perno 81 Il giro della seguente ruota 83 Appunto 18 Cose irrilevanti per Pasquale 84 Appunto 19 Consuntivo 85 Appunto 19a Ritrovamento a Porta Portese 88 Appunto 20 Carlo - come in un romanzo di Sterne - lasciato nell'atto di andare a un Ricevimento 93 Appunto 21 Lampi sull'Eni 94 Appunto 22 Il cosiddetto impero dei Troya: lui, Troya [...] |
| << | < | > | >> |Pagina 10Appunto 2La Prima Rosa dell'Estate La casa che Carlo aveva affittato - e dove abitava solo, in attesa che lo raggiungesse suo padre - era ai Parioli, quartiere ancora pieno del prestigio che gli era stato attribuito nel decennio precedente, ma che già immalinconiva nell'atmosfera che hanno i luoghi in declino, con vecchi giardini che hanno avuto troppi padroni, e un'architettura già vecchia rispetto anche a quella dei quartieri piccolo-borghesi piú poveri. Ma in quel Maggio del 1960 il Neo-capitalismo era ancora una novità troppo nuova, era il termine di un sapere ancora troppo privilegiato per cambiare il sentimento della realtà. La casa di Carlo era una palazzina grigia, con davanti un giardino che sembrava di pietra anch'esso; sempre in ombra; o in una luce grigia; in fondo a un casuale imbuto geometrico, tra gli spigoli delle altre palazzine chiuse nel loro silenzio ermetico: spigoli spesso rotondeggianti, secondo lo stile dei bunker del periodo fascista... Carlo abitava al quarto piano; sul grigio un po' tristemente corroso del vecchio intonaco, si staccavano i davanzali delle piccole terrazzine, che erano color rosso fragola scuro. Carlo si trovava appunto, quasi per esplorare il teatro della sua nuova esistenza, su uno di questi terrazzini. Era mattina. Correvano nel cielo nuvole calde, covando in terra, l'umido della pioggia che poco prima vi avevano tristemente scaricato. Pareva che la vita nella città si fosse interrotta. Carlo, come sempre, era oppresso dall'angoscia; il non aver niente da fare se non l'occuparsi della casa - con la certezza in queste cose che hanno gli uomini sui trent'anni - lo obbligava a stare solo con se stesso, come un'ombra; e quindi a recitare quella scena di solitudine di fronte al panorama di Roma (che da lí sembrava una città come Atene o Beirut). Uno sconforto (di lontane origini) gli toglieva ogni forza e ogni volontà. La vita gli appariva - davanti a sé - come un inevitabile fallimento, visto del resto con la piú assoluta lucidità ecc. ecc. La serie degli insuccessi che da qualche anno si succedevano nella sua vita di tecnico che vuole prendere il suo posto nella società rifiutata, erano perfettamente logici: ma da cosa dipendesse quella logica, Carlo non poteva (riusciva a) capirlo. Forse dalla nevrosi? Cioè - in povere parole - da quel Peso che egli sentiva da tutta la vita dentro di sé ('nel petto') e da cui non riusciva mai, neppure per un solo istante, a sentirsi sollevato? Fu ad un tratto, cosí, che vide il proprio corpo cadere. | << | < | > | >> |Pagina 128Appunto 34 bisPrima fiaba sul Potere (dal "Progetto") «Vi racconterò la storia di un intellettuale - esordí l'affabulatore, come ne Le mille e una notte, non onnisciente ma umilmente intenzionato solo a 'riferire' ciò ch'eghi stesso aveva sentito - vi racconterò la storia di un intellettuale, ma si avverte che selezione ed elezione domineranno il mio racconto, e che sarò linguisticamente povero: universale e dunque generico! Tanto per cominciare, non vi dirò nemmeno il nome di questo intellettuale; come non vi dirò il suo lavoro preciso, la sua età, le sue abitudini, la città dove visse; potrebbe addirittura anche non essere nato nel nostro paese. Quello che mi è invece necessario tratteggiare - come stretta funzione del racconto - è il suo quadro clinico. Nevrosi. E forse piú che nevrosi, pazzia. Nella sua grassezza (non era obeso, ma tondo, e gonfio di una carne insana, giallastra) c'erano poi squallidi segni, appunto, della degenerazione psichica. (Aveva, nel viso), tutto tondo, come se fosse fatto di cerchi concentrici, le sopracciglia tonde, e, sotto, gli occhi tondi, le guance tonde - anche se, malgrado i suoi trentacinque anni, già cascanti - il mento tondo, la bocca tonda. Solo quest'ultima, nel parlare, perdeva la sua rotondità, e acquistava forme irregolari, ma sempre incerte, imprecise - e da qui un certo senso di ripugnanza - lo stesso che si ha per le (cose) viscide. Tonda era anche la fronte, abbondantemente stempiata, su cui si disegnava una corona tonda di radi capelli chiari - vagamente ascetici, da prete di paese, da avvocato (...) di provincia. La rotondità dava alla sua fisionomia un'aria infantile: ma il bambino a cui egli assomigliava era un bambino, appunto, un po' ripugnante. Per il resto si comportava proprio come deve comportarsi un adulto. | << | < | > | >> |Pagina 266Appunto 59Passaggio di tempo Dal Maggio del '72 all'Ottobre di quell'anno, non successe niente di ciò che era previsto addirittura come un Evento. Il Msi ebbe molti voti alle elezioni: ebbe addirittura un grande successo, come il lettore sa meglio di me. I socialisti uscirono dal Governo che si spostò a destra, con i Liberali, e capo del Governo fu Andreotti. I vecchi clerico-fascisti rialzarono la cresta, e un clima di restaurazione soffiò come uno scirocco sull'Italia. Ma tutto, almeno per ora, si limitò a questo. Che era una cosa vecchia. La realtà, andando avanti per conto suo, come volevano le sue leggi reali, trasformava gli italiani attraverso nuovi fenomeni di permissività (...): certe (...) acquisizioni, che, coi socialisti al Governo, si chiamavano Riforme, erano divenute ormai irreversibili. L'Italia era avviata verso l'Edonismo del Consumo - se il lettore mi permette questa frettolosa definizione - il cui tempio non era certo la Chiesa. Un fascista edonista era una contraddizione in termini. Il Potere era preso nell'impasse di questa contraddizione. Che direzione avrebbe imposto la sua Mente, calandosi, nella fattispecie, nel Capo del Governo Andreotti? Una piú decisa svolta a destra - come in superficie dimostrava il revival moralistico dei vecchi agonizzanti clerico-fascisti alla Magistratura, della Polizia ecc.? Oppure una piú reale svolta a destra, lungo le lunghe strade della democrazia tollerante? Il Potere è eternamente giovane, duttile, spesso dubbioso e in crisi, come ogni cosa umana. Ora i suoi lemmi erano in discussione. L'Opposizione si era riordinata, e aveva ritrovato una certa unità tradizionale fondata su quella idea retorica del Potere inteso tradizionalmente come 'vecchio, idiota, ottuso, senza dilemmi'. Il gauchismo aveva perduto le sue masse, perché sottocultura di protesta contro sottocultura di potere è un'antitesi che non può non finire con la sconfitta della prima. Le masse dei giovani erano rientrate enigmaticamente nell'ordine, pur conservando visibilmente i segni traumatici della sua rivolta di qualche anno prima. La cosa però si era rivoltata contro di loro. La condanna totale e intransigente che avevano pronunciato senza discriminazione contro tutti i padri, aveva impedito loro di avere con quei padri un rapporto dialettico, attraverso cui superarli, andare avanti. Il rifiuto puro è arido e malvagio. E cosí, attraverso il rifiuto, i giovani si trovarono fermi nella storia. Ciò che implicò, fatalmente, un regresso. Su loro ricomparvero i caratteri psicologici e corporali di una vecchia borghesia infelice: segni che, almeno in minima parte, nei loro padri erano scomparsi: si rividero facce di vecchi preti, di avvocatucci colpevoli, di giudici vuoti, di sergenti corrotti, ecc. ecc.: questo nei piú indifesi di quei giovani, naturalmente. Nella 'massa' altro non c'era che scontentezza, nevrosi, ignoranza, aggressività: l'integrazione non pagava il tradimento.
L'avvicinamento della periferia al centro, della
provincia alle capitali, aveva intanto distrutto anche le
varie, particolari culture popolari. La periferia di Roma o
le terre povere del Meridione, le piccole città tradizionali
e le regioni contadine del Nord, non producevano piú modelli
umani propri, nati appunto dalle loro vecchie culture;
modelli umani da opporre a quelli offerti dal centro, come
forme di resistenza e di libertà - anche se vecchie e
povere. Il modello ormai era unico: era quello che il
centro, attraverso la stampa e la televisione, mollemente
imponeva. E poiché era un modello piccolo-borghese,
l'immensa quantità di giovani poveri che cercavano di
adeguarvici, ne erano frustrati (umiliati). Non c'era piú
orgoglio popolare, (...) alternativo (...). Anzi, le mille
lire di piú che il benessere aveva infilato nelle saccocce
dei giovani proletari, avevano reso quei giovani proletari
sciocchi, presuntuosi, vanitosi, cattivi. È solo nella
povertà che si manifesta sia pure illusoriamente la bontà
dell'uomo. Non c'era giovane del popolo, che ormai non
avesse impresso nel viso un ghigno di autosufficienza, che
non guardasse piú negli occhi nessuno, o non camminasse con
gli occhi bassi, come un'educanda, a manifestare dignità,
riservatezza e moralità. Non c'era piú curiosità per
niente. Tutto era già obbligatoriamente noto. C'era solo
l'ansia nervosa - che rendeva brutti e pallidi - di
consumare la propria fetta di torta. A questo si
aggiungevano i capelli lunghi, o meglio i capelli acconciati
come su laide maschere, con tiraggi, codine, frangette,
ciuffi arrotolati: una deformazione íncontenibile, che si
presentava come un risultato raggiunto attraverso ineffabili
sforzi, e che sostituiva addirittura la parola.
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