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| << | < | > | >> |IndiceFIGURE DI PENSIERO 9 Introduzione 29 Om 53 Sri yantra 75 Mandala 103 Wu xing 141 Otto Trigrammi (ha gua) e Immagine del Grande Culmine (taiji tu) 171 Ensò |
| << | < | > | >> |Pagina 9INTRODUZIONEI. Ci sono immagini che condensano una quantità e una qualità di significati che difficilmente le parole possono esprimere. Anche se, nondimeno, le parole sono state spesso necessarie - e continuano ad esserlo — per spiegare tali immagini, tentando di 'sciogliere' la loro densità. Qui sono state scelte sei immagini emblematiche, prodotte all'interno di tre grandi ambiti culturali: la trascrizione grafica della sillaba om, lo sri yantra, e il mandala provenienti dall'ambito indiano; i wu xing e il taiji tu provenienti da quello cinese, e Enso proveniente da quello giapponese. L'intento di questa ricerca sperimentale è triplice: 1) verificare se e come tali immagini intendono tutte rappresentare - seppure in modi e a livelli diversi - un medesimo problema, quello delle relazioni dinamiche tra unità e molteplicità o, in altri termini, tra infinito e finito, tra fondamento e fenomeni, tra sfondo e figure, tra verità e sue manifestazioni; 2) constatare come, a partire dalle immagini elaborate in ambito indiano, si sia prodotta una progressiva riduzione di complessità, da intendersi non come processo di semplificazione, ossia di contrazione o di impoverimento di significati, ma come processo di decantazione formale, espresso in figure sempre più essenziali, fino agli estremi limiti della rappresentabilità; 3) verificare, mediante alcuni esempi emblematici, come da questa decantazione formale dei simboli sia derivata, in modo coerente benché non lineare, quella delle opere ad essi ispirate. È opportuno notare che la proposta di questo itinerario tra simboli e opere straordinarie prodotte dalle culture orientali si svolge entro limiti molto precisi, benché molto ampi: 1. innanzitutto, entro i limiti cronologici determinati, da un lato, dalle origini, in India, della cultura vedica e vedànta, e, dall'altro, in Giappone, dal periodo Edo (1600-1868); 2. in secondo luogo, entro limiti tematici, nel senso che le 'culture' di cui si tratta non esauriscono né il campo di tutte le culture orientali, né tutti gli aspetti presenti all'interno delle culture scelte ed attraversate, ma solo quelli che hanno come loro punto di riferimento primario l'esperienza 'estetica' intesa, nella sua accezione più antica e più ampia, come esperienza della sensibilità; 3. in terzo luogo, entro limiti concettuali, nel senso che nelle tradizioni orientali un equivalente di 'Estetica' definita, alle origini dell'estetica occidentale moderna, come "scienza della conoscenza sensitiva", non è mai esistito; e nel senso che i concetti e le esperienze comunque riconducibili a tale 'scienza' hanno sempre assunto significati profondamente - anche se non 'assolutamente' - diversi. I confini geografici attraverso i quali si è svolto questo itinerario, non vengono invece tenuti presenti in modo fisso e rigoroso, in quanto alcune delle immagini trattate - per esempio, in particolare, quelle dello sri yantra e del mandala - sorte in contesto indiano, si ritrovano anche in tradizioni di culto e di pensiero proprie di altri luoghi (Giava e Tibet). | << | < | > | >> |Pagina 31Om può essere definita come la sillaba sacra più antica e celebre della tradizione spirituale indiana. Con essa si apre infatti il primo mantra dei Veda: om agnim ile purohitam Yaj nasya devam rtvijam Hotàrmm ratnadàtamam Io magnifico Dio, il Divino Fuoco, il sacerdote, Ministro del sacrificio l'Offerente dell'oblazione, Datore supremo di tesori Prima di cercare di capire il significato specifico della sillaba om, è necessario conoscere qualcosa sulle linee essenziali dello sfondo in cui tale significato si colloca e si alimenta. In primo luogo, è indispensabile ricordare l'importanza fondamentale che viene attribuita nella cultura tradizionale indiana al senso dell'udito e ai suoni o 'voci' che vengono uditi. Tale importanza risulta innanzitutto dal fatto che con sruti (ascolto) si indicano tutte le scritture sacre basate sulla rivelazione divina, dotate, dunque, di autorità assoluta; mentre con smrti (ricordo, tradizione) si indicano quei testi che si rifanno, in qualche misura, alle scritture della sruti. Pertanto ciò che è stato udito dai rsi (santi) è più originario e più importante di quanto è stato scritto: «Il Rg Veda fu conservato oralmente anche quando gli indiani conoscevano la scrittura ormai da secoli. [...] Essi si rifiutavano di conservare il Rg Veda per iscritto perché era un testo magico, il cui potere non doveva cadere in mani sbagliate». La preminenza dell'ascolto e dell'oralità non veniva tuttavia coltivata solo dalla casta dei sacerdoti, ma era presente e diffusa nel sentire comune: «La religiosità popolare indiana vive del racconto e ama perdersi in esso, per poi riemergerne come trasfigurata, elevata nell'anima: l'ascolto (sravana), di fatto, e non la mera lettura è detto costituire la radice di ogni autentica conoscenza».
In secondo luogo - ma primo per importanza - è da ricordare che
vac,
la parola, è l'originaria manifestazione del Brahman, dell'Assoluto:
La Parola, imperitura, è la primogenita della Verità, madre dei Veda e fulcro di immortalità. Possa venire a noi in felicità nel sacrificio! Possa ella, nostra Dea protettrice, essere sensibile alla supplica !
Il primato della parola non è solo nell'ordine del tempo, ma anche in quello
del valore:
«Vac
fu prima di tutta la creazione, prima che qualunque essere
venisse in essere. [...] La Parola non è solamente parte integrante del
sacrificio; è anche la regina cui si deve omaggio in ogni sfera e che,
esprimendo se stessa in forme diverse, resta essenzialmente l'unica Parola che
preserva l'unità di tutti i culti.
Vac
è principio vivificatore di tutti gli
esseri, anche se essi non riconoscono questo fatto: è il vento, il respiro della
vita; è madre attenta ai bisogni sia degli Dei che degli uomini, e concede
benigna e libera, doni e favori a tutti». Non a caso nei Veda vi è un famoso
passo, in cui la protagonista è la Parola, che termina così:
Io espiro potentemente come il vento stringendo A me tutti i mondi, tutte le cose che esistono. Torreggio sopra la terra, sopra i cicli, tanto potente io sono nella mia forza e nel mio splendore! Concettualmente vac è quindi molto di più di 'parola' in senso antropomorfico, perché indica una realtà che eccede il linguaggio come costruzione convenzionale dell'uomo: essa, in quanto manifestazione diretta dell'Assoluto, può venire intesa come condizione di possibilità di ogni parola, sia di quelle dette che di quelle pensate dagli esseri umani. Non solo: essa non può nemmeno essere ridotta a "parola di Dio", né nella forma di una Sua manifestazione diretta, né come Sua espressione indiretta. È invece essa stessa a costituirsi e a funzionare come "grembo dell'universo" : «In quanto quintessenza di tutti i 'nomi', delle intime essenze di tutte le cose, Vac è rappresentante della realtà universa». In altri termini: se ogni cosa esiste in quanto ha un nome, e se ogni singolo nome esiste in quanto espressione della Parola come condizione di possibilità di tutti i nomi, è evidente che la Parola è anche condizione di possibilità di tutte le cose. Vac, dunque, si pone come fondamento non solo linguistico, ma anche ontologico. | << | < | > | >> |Pagina 55Tutto l'universo era un tempo indifferenziato. Fu poi reso distinto secondo il nome e la forma con le parole: «Questi si chiama così, costui ha questa determinata forma». Ancor oggi tutto [resistente] si distingue secondo il nome e la forma. Se i bìjamantra, le 'sillabe seme', esprimono nel modo più emblematico il 'nome' qui evocato di tutte le possibili realtà, gli yantra, gli 'strumenti' figurativi, ne esprimono, con altrettanta forza di condensazione, la forma. In generale va ricordato che «gli yantra sono figure geometriche composte di elementi lineari che rappresentano gli dei, oppure le energie di base del mondo naturale». L'ambito di ciò a cui essi rinviano è dunque vastissimo, dato che possono esprimere, in modi sintetici e stilizzati, le forme e le forze degli uomini e degli dei, le strutture e i movimenti degli astri, delle piante, degli animali e di ogni altro elemento naturale: gli elementi con cui vengono composti sono alcune figure geometriche elementari (cerchio, quadrato, triangolo) associate talvolta al disegno stilizzato delle foglie di loto. Se Om, udito e pronunciato, è considerato la sillaba più famosa e onorata, lo sri yantra è da ritenersi il diagramma più significativo da tracciare, osservare e contemplare: in particolare, se om condensa i diversi livelli e aspetti della realtà e realizza nel contempo la connessione tra un piccolo suono e l'immensa fonte di ogni possibile suono, lo sri yantra condensa anch'esso i livelli e gli aspetti della realtà e, nel contempo, realizza la connessione tra la più elementare delle figure, il punto (binda), e lo sfondo, infinito e non rappresentabile, che è la condizione di possibilità di ogni figura. Letteralmente sri yantra significa 'venerabile (sri) strumento (yantra)' e indica, quindi, già nel nome, la funzione di 'mezzo utile' (upàya); il fine ultimo che esso dovrebbe contribuire a raggiungere è moksa, la realizzazione spirituale, consistente nel distacco da ogni desiderio, nella liberazione da ogni condizionamento e nella conoscenza di ogni sé come identico all'Assoluto. Scomponendo l'intera figura dello sri yantra a partire dal perimetro esterno, si ottengono nove elementi geometrici disposti nel seguente ordine: 1. tre 'case di terra' quadrangolari; 2. tre corone circolari concentriche; 3. una figura circolare con sedici petali di loto; 4. una figura circolare con otto petali di loto; 5. una figura a quattordici angoli; 6. una figura a dieci angoli; 7. una figura a otto angoli; 8. un triangolo; 9. un punto (bindu) che, in quanto inesteso, spesso non è segnato. | << | < | > | >> |Pagina 77Affine, non solo formalmente, allo sri yantra è il mandala: ma, mentre lo sri yantra è formato esclusivamente da figure geometriche e, talvolta, da sillabe sacre, il mandala può invece includere raffigurazioni di esseri viventi e di oggetti inanimati. Il termine sanscrito mandala indicava in origine la qualità circolare o sferica di un oggetto. Una volta sostantivato, venne a significare 'cerchio' o 'sfera'. Secondo un'etimologia assai suggestiva, mandala deriverebbe dalla radice manda che significa letteralmente 'crema' e, più genericamente, 'essenza'; e dal suffisso la che indica il contenere: mandala, dunque, sarebbe un "contenitore dell'essenza": ciò condurrebbe a considerare che, a livello geometrico, l'essenza corrisponde al centro, mentre il contenitore corrisponde alla circonferenza. Nella lingua tibetana emerge in modo esplicito questo significato che connette, nel termine e nel concetto di mandala, l'immagine del centro con quella della circonferenza: in tibetano, infatti, la parola sanscrita mandala viene tradotta con due parole, dkyl 'khor, che significano "centro-circonferenza": il significato di questa traduzione tibetana costituisce un fatto importante, sul quale ritorneremo più volte, perché, da un lato, indica la necessità di tenere insieme due elementi diversi ma complementari e, dall'altro, suggerisce la possibilità di intenderli nella loro connessione grazie alla mediazione di altre forme pensate ed incluse nello spazio circolare situato tra di essi. Fissato questo punto, che non è solo formale, si deve ricordare che le prime raffigurazioni pittoriche di mandala si trovano a Dunhuang, un'oasi sulla via della seta (oggi nel Kansu, parte della Cina nord-occidentale) e risalgono all'VIII secolo; ma è con lo sviluppo del Buddhismo Vajrayàna in Tibet che i mandala acquistano un ruolo importante ed assumono una struttura stabile dotata di alcuni caratteri canonici, come la serie di cerchi concentrici e di quadrati in essi inscritti, forniti di quattro portali a forma di T: testimonianza di questa trasformazione sono i mandala murali del monastero di Alchi, in Ladhak, costruito nell'XI secolo. Le combinazioni dei cerchi concentrici e dei quadrati quali strutture geometriche in cui vengono ordinati gli elementi traducibili in figure, sono numerosissime. La più comune è quella costituita da una prima corona circolare detta "montagna di fuoco (meri)", nella quale le fiamme alludono «al fuoco purificatore della conoscenza che brucia i pensieri mondani e trasforma la mente». | << | < | > | >> |Pagina 143Gli otto trigrammi (ha gua) che circondano il taiji tu, simbolo taoista per eccellenza, rappresentano emblematicamente il contenuto del «Libro dei mutamenti» (Yijing) la cui composizione è stata fatta risalire addirittura all'XI secolo a.C. e che viene considerato - almeno dall'inizio dell'epoca Han (II secolo a.C.) in poi - uno dei testi fondamentali dell'intero sapere tradizionale cinese assieme agli altri quattro 'Classici': «Libro delle Odi» (Shijing), «Libro dei Documenti» (Shujing), «Memorie dei Riti» (Liji) e «Primavere e autunni» (Chunqiu}.
Oggetto di commenti da parte di quasi tutti i grandi pensatori cinesi, il
Libro dei mutamenti costituisce un «unico nel suo genere, senza equivalenti in
altre culture, è un libro di vita quanto di conoscenza, che contiene tutta la
visione specificamente cinese dei moti dell'universo e del loro rapporto con
l'esistenza umana». L'originalità di tale opera spicca in modo particolare in
rapporto ai grandi testi prodotti dalle tradizioni del pensiero occidentale,
quasi tutte dedicate a stabilire principi universali eterni e immobili. Invece
l'
Yijing
è «l'unico libro dell'antica saggezza che mette al centro dell'osservazione il
mutamento stesso e riconosce il tempo come fattore essenziale nella struttura
del mondo e nello sviluppo dell'individuo. Il tempo non è concepito
semplicemente quale agente negativo o distruttivo, da temere o negare, ma quale
vera essenza della vita e pertanto non opposto all'eterno: è piuttosto ciò
grazie al quale l'eterno viene rivelato».
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