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| << | < | > | >> |Indiceabc 9 abuso 11 acertar [colpire nel segno] 14 ajedrez [scacchi] 15 anacronismo 22 anteojos [occhiali] 25 barthes/borges 28 borges/cortázar 32 celda [cella] 34 escenas [scenari] 37 estructuralista [strutturalista] 40 gula [gola] 44 hiato [iato] 46 leer en el cine [leggere al cinema] 51 leerle [leggere per qualcuno] 54 leer mal [leggere male] 58 léido [erudito] 60 léido bis [erudito bis] 63 libros encontrados [libri trovati] 67 maestros [maestri] 71 misterio [mistero] 73 mito inaugurai [mito inaugurale] 75 mostruos [mostri] 79 mostruos bis [mostri bis] 81 multitasking 90 música [musica] 92 o 94 piglia 98 posturas [posture] 99 precoz [precoce] 102 pudor [pudore] 109 releer [rileggere] 111 silencio [silenzio] 113 subrayar [sottolineare] 115 S/Z 119 traductores [traduttori] 123 vicio impune [vizio impune] 127 zugzwang 130 zzzzzzz 131 Letture citate 134 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Scopre molto presto che niente gli interessa più di leggere. Legge tutto quello che può, tutto quello che trova. Legge anche quello che non capisce. Certo perché dura più del ragionevole, a poco a poco il suo comportamento, fino ad allora portato a esempio di assennatezza, maturità, civiltà, si fa un po' ingombrante, troppo visibile. Gli altri, misteriosamente, si sentono chiamati a intervenire. L'assedio è cominciato. All'inizio con le buone: gli sistemano la lampada, gli correggono la postura, gli aprono o chiudono la finestra, decidono che deve togliersi o mettersi il maglione. Arrivano a suggerirgli le letture. Più avanti, data la resistenza indifferente che oppone alle migliorie, il suo desiderio di leggere, di continuare a leggere, diventa imbarazzante, un motivo di disturbo, come un atto di superbia, un pavoneggiarsi, il memento di una negligenza o di un debito non pagato. Adesso non lo vedono più come un esempio ma come un'anomalia, il sintomo di una pericolosa asocialità. I metodi cambiano. Ora non vogliono più affinare il suo piacere: vogliono solo reprimerlo. Irrompono nella sua stanza, gli parlano a voce alta, gli ricordano tutte le cose inestimabili che dimentica, che rimanda, che rimpiazza con lo starsene lì sdraiato con quei suoi libri. Pretendono che faccia qualcosa. Lui, nell'unico slancio di ispirazione che avrà nella vita, decide di diventare scrittore. Gli scrittori leggono, pensa. Dà loro quello che vogliono (un fare) per tenersi in segreto, invulnerabile, quello che vuole lui: un piacere. Miracolosamente, la cosa funziona. Dichiarare il debito incommensurabile che lo scrivere (quella compulsione strategica) ha con il leggere (quel vizio gratuito, benefico, generoso) è lo scopo di questo glossario.| << | < | > | >> |Pagina 15ajedrez [scacchi]. Viene da li, forse, il primo impulso ad annotare ciò che legge, e anche la prima tecnica di notazione che impiega: dalla pagina degli scacchi sul giornale.[...] La cosa importante è un'altra: gli scacchi sono il proseguimento con altri mezzi di una vocazione letteraria precoce. [...] Così, addestrati come macchine per uccidere, anche i campioni mondiali avevano paura, soffrivano di attacchi di amnesia, tremavano nervosi, e non facevano ciò che ci si aspettava da loro. La delusione del commentatore era modulata: andava dalla semplice svista (descritta con un singolo punto di domanda: ?) all'errore madornale (lapidato con due, tre e perfino quattro attoniti ????), passando per lo sconcerto, la sua reazione di lettore preferita, che il codice di notazione commentava, in modo esemplare, con un punto di domanda e un punto esclamativo affiancati (?!), una bella accoppiata anomala che prometteva tutta una serie di succose conseguenze. Questo (?!) è stato il primo segno che ha importato dagli scacchi nella lettura: la sua prima icona di glossa, economica, di un'efficacia grafica imbattibile, ideale per segnare, e rendere subito visibili nel caso di una rilettura successiva, i passi del testo nei quali letteralmente inciampava, che non sapeva se ammirare o mettere in questione ma davanti ai quali gli era impossibile tirare dritto, e che continuavano a ronzargli in testa a lungo dopo che il libro li aveva inghiottiti. Solo in seguito, perché gli sembravano poco poetiche, troppo facili e funzionali, ha adottato anche le interiezioni che esprimevano riserva (?) e scherno (???), col tempo magnificate lungo i margini dei testi da un lettering pop smisurato, come uscite dalle scene di combattimento di Batman, e naturalmente la loro contropartita entusiasta, formulata con segni esclamativi: uno solo (!) per rimarcare una mossa intelligente e ardita (che usava soprattutto quando leggeva qualcosa che credeva di aver già pensato prima, ma detto con una precisione tale che la sua idea, ammesso che ce ne fosse stata una, per il semplice fatto di rispecchiarsi nel suo doppio perfetto sembrava ripulirsi da tutte le goffaggini e le imperfezioni che la rovinavano), due o a volte tre (!!!) per la grande mossa, la mossa-evento, una fra mille, imprevista, che umiliava la tradizione, liquidava la partita con una rapida successione di colpi di grazia e per di più era di un'eleganza folgorante. Quell'esagerazione, quell'estasi, le riservava ai momenti di lettura sublimi: quelli che aggiungevano mondi ai mondo. | << | < | > | >> |Pagina 22anacronismo. Forse leggere è l'unica pratica continua rimasta al mondo. Ce ne sono altre - la musica, per esempio -, ma nessuna che faccia della continuità una ragion d'essere così dispotica come la lettura. Leggere è sottomettersi a un impero estinto: l'impero della linearità. Impossibilità di abbreviare, prendere scorciatoie, skippare (senza mettere a repentaglio la comprensione di ciò che si legge, ovvio). Se oggi la lettura è una grande pratica anacronistica - l'altra è il teatro - è proprio per l'insolenza, la sfacciataggine, perfino l'ingenuità provocatoria con cui esibisce il blasone di una cultura del concatenamento, della sequenza, del passo a passo, in uno stato di cose in cui moneta corrente sono la simultaneità e il montaggio.| << | < | > | >> |Pagina 26Perché questa banalità fisiologica è così traumatica? Perché perdura in lui come una ferita aperta, quando tante altre disgrazie altrettanto umilianti lo reclamano, ricordare dove ha messo gli occhiali da lettura, tanto per fare un esempio, dai quali dipende ora in tutto e per tutto, tossico incurabile, per il suo massimo piacere nella vita, e che, com'è prevedibile, perde, dimentica, graffia, rompe? Forse, pensa, perché incarna qualcosa da cui è impossibile riprendersi: un disincanto. Nelle frazioni di secondo che impiega quel giorno a spostare il fuoco dal libro al mondo, ciò che va in pezzi, per lui, è l'illusione, nella quale vive da quando ha cominciato a leggere, che leggere sia postulare e al tempo stesso realizzare la continuità fra libro e mondo (facendo del secondo, naturalmente, l'appendice rudimentale del primo).| << | < | > | >> |Pagina 28barthes/borges. I personaggi iperletterati di Borges - ce ne sono molti - di rado sono scrittori. Sono lettori: pavidi, di basso profilo, poco versati nell'arte di negoziare con il mondo e uscirne bene. Questo identikit, assai fedele allo stereotipo diffuso dai nemici della lettura e dei libri, ha in Borges sfumature particolari, che pervertono sottilmente il male dell'indifferenza di quel nerdismo delle origini. Leggere, per quei personaggi, è tutto meno lo scudo di protezione o il materasso che può sembrare a un primo sguardo; non è tanto ciò che li separa da un mondo ostile quanto, semmai, ciò che li collega, che li getta in esso senza anestesia, in modi spesso avventurosi o insensati. È come se leggere, attività solitaria e sicura per eccellenza, avesse nelle narrazioni di Borges una valenza doppia, equivoca, che mette a repentaglio il rifugio che offre subito dopo averlo offerto. Juan Dahlmann, il topo di biblioteca del racconto «Il sud», ha appena trovato un «esemplare incompleto delle Mille e una notte» ed è in estasi.[...] «Il sud» contraddice il verdetto secondo il quale leggere sarebbe non vivere, che viene sfoderato abitualmente per screditare Borges e i devoti dei libri. Leggere, qui, è piuttosto la causa del vivere, di un vivere intenso, vertiginoso, senza ripensamenti, a cui nessuna «azione» permetterà mai di accedere. [...] Pensa - con una specie di inquietudine esaltata: e se il rapporto della lettura con la vita non fosse di opposizione, né di esclusione, né di insegnamento, né di complementarità, ma - come sa chiunque si rifiuti, con gli occhi in fiamme, di posare il libro che glieli brucia - un rapporto di isteria pura e semplice? | << | < | > | >> |Pagina 90multitasking. Forse oggi il tratto più problematico della lettura è il suo esclusivismo, la dedizione totale che richiede, incompatibile con qualsiasi altra cosa. Leggere, anche nei casi più comuni, sulla spiaggia, in metropolitana, in una sala d'aspetto, anche con gli oggetti più banali, best seller, biografie, libri di autoaiuto, riviste di attualità, esige la consacrazione piena come conditio sine qua non. In caso contrario, il risultato non è una lettura «peggiore», «fallita», «impropria»: semplicemente, non c'è lettura. Non è una questione di qualità ma di natura. La lettura è esclusiva o non è. È questa la sua perversione, il suo anacronismo, e anche la sua potenza: il segreto della sua intensità incomparabile. Perché solo l'esclusività - solo la sorta di monogamia assoluta che impone - fa sì che la lettura funzioni contemporaneamente su tutti i canali, tutte le piste, tutte le frequenze che è capace di occupare. Solo così, refutando le obiezioni con cui la cultura del multitasking cerca di minimizzarla, la lettura, oltre ad avere il dono delle lingue, è immaginazione, memoria, intuizione, calcolo, anticipazione, concettualizzazione, conoscenza.| << | < | > | >> |Pagina 940. Esistono almeno due teorie:1) Leggere astrae colui che legge; lo rapisce, lo apparta, lo assolve dal mondo (e pertanto si oppone all'azione, alla partecipazione, all'intervento). Corollario: lettura e vita si escludono; c'è un mal di lettura: si chiama «escapismo». 2) Leggere insegna, forma, attrezza; fornisce armi, idee, risorse per stare al mondo (e pertanto è condizione di possibilità dell'azione). Corollario: lettura e vita sono complementari; perché ci sia vita (vita «buona», autonoma, nobile, sensibile, ecc.) è necessario che ci sia lettura. [...] Non c'è bisogno di ricordare due casi illustri di mal di lettura quali Don Chisciotte o Emma Bovary per difendere, o almeno constatare, l'evidenza che la lettura in sé non è niente, né buona né cattiva, né efficace né sterile, né impegnata né escapista, né pedagogica né deludente. Tuttavia «non è niente» vuol dire questo: che è una forza, un'energia, una potenza, e come tale può agire in modi diversi e perfino contradditori. Può ammaliare e disincantare, rapire e sommergere, insegnare e anestetizzare, alternativamente, successivamente e perfino simultaneamente. Così, il riflesso di chiusura in sé stessi può essere una fase iniziale, di meditazione e sperimentazione, e preparare a una seconda fase, pragmatica, che sarebbe difficile immaginare senza di esso. Ma con il pretesto di illuminare un mondo esistente, la lettura che insegna e forma può a sua volta immaginare, postulare e dare per certo un mondo molto diverso, impossibile ma altrettanto vero dell'esistente. Nella sua espressione più drastica, l'alternativa tra leggere o vivere assomiglia molto al tentativo di addomesticare la polivalenza essenziale della lettura. Si legge per vivere quanto per evitare di vivere; si legge per sapere che cos'è vivere e come vivere; si legge per fuggire dalla vita e immaginare una vita possibile. | << | < | > | >> |Pagina 99posturas [posture]. No, non si legge con lo stesso corpo con cui si vive. La massima che il Contro Sainte-Beuve di Proust applicava agli scrittori gli sembra quasi più indovinata se riferita all'elasticità e alla tolleranza al dolore che, presi dalla malia di un libro, sono capaci di dimostrare quegli stessi corpi che nella vita quotidiana fanno pietà, non riescono a infilarsi un maglione senza procurarsi una contrattura né a procurarsi una contrattura senza trascinarsi per giorni con gemiti penosi. In ogni lettore devoto si nasconde un soldato del corpo passivo, genio di un contorsionismo di segno negativo le cui figure, degne di un catalogo di supplizi, emergono solo sotto la pressione dell'oblio in cui la lettura sprofonda il corpo. Ha visto persone con serie difficoltà a camminare, salire le scale o alzarsi dalla poltrona rimanere per ore, catturate da un libro, in posizioni del loto impossibili senza un lamento, mentre la luce del giorno declina e i loro occhi, che per leggere contavano solo su quella, proseguono ciechi, producendo da sé, chissà con quali riserve, estratte da chissà dove, la luce che le pagine a venire richiedono. Questo trionfo sul corpo è forse la prova più irrefutabile dell'intensità della trance in cui cade chi legge, nonché, per quanto sia una parola di cui diffida e che tende a escludere dal proprio lessico personale, della sua autenticità, in quanto non vi sono in essa sforzo né volontà alcuni: solo ripiegamento e oblio, l'indifferenza quasi zen in cui la lettura avvolge chi legge, disattivando tutte le funzioni che potrebbero cospirare contro l'esclusività dell'esperienza. Per persistenti e fastidiosi che siano, non c'è intorpidimento, formicolio ai piedi, sensazione di arto fantasma, crampo, bruciore agli occhi, spasmo muscolare, fame, sete, sonno - volgari rappresaglie con cui il corpo cerca di ritrovare il protagonismo una volta conclusa la lettura - che riesca a inoculare in un lettore l'unico senso di colpa dal quale lo protegge al cento per cento la sua fede: aver passato due ore a leggere, lontano da tutto ma, soprattutto, lontano da sé stesso, dalla vanità, dalla presunzione, dai patetici limiti del proprio corpo, quell'anticaglia che per viaggiare ha ancora bisogno di muoversi.| << | < | > | >> |Pagina 106Su tale assunto fonda inoltre, più o meno surrettiziamente, due delle convinzioni (e fobie) di lettore a cui tiene di più. La prima punta il dito contro il dogma che fa della comprensione l'obiettivo, la condizione e la garanzia di ogni lettura benefica, formativa, efficace. Per lui «capire» è solo uno degli strati di quel complesso millefoglie che è leggere, non necessariamente il più importante; ma la legge con cui regola il campo multiplo del leggibile, arbitraria e del tutto discutibile, viene data per scontata come se fosse un diritto sacrosanto. Tutto «quello che non si capisce», qualunque cosa sia, finisce subito in quarantena, accusato di essere poco chiaro, inutile, secondario, non pertinente o, ancora peggio, dannoso. La sua idea di buona lettura è meno igienica: secondo lui, ciò che leggendo non si capisce è altrettanto importante di ciò che si capisce, se non di più, purché, e solo purché, abbia un qualche rapporto, per quanto labile e sottile, con ciò che si capisce. Solo questo residuo ermetico, indecifrabile, che scuote, sprofonda nello stupore o lascia perplessi, separa la lettura dall'unica esperienza con la quale non dovrebbe essere confusa: una soddisfazione - un hobby del gusto -, e le inocula il virus temporale che ne farà un vero oggetto del desiderio: la residualità.| << | < | > | >> |Pagina 115subrayar [sottolineare]. A un certo punto dell'anno scolastico, un anno di letture, per qualche motivo riesce a farsi prestare un libro da Panesi e a portarselo a casa. Non sa come funzioni adesso, ma a metà anni Settanta certi passaggi di mano non avvengono tanto facilmente. Avere qualcosa che appartiene a un professore, lontano da lui, dal suo sguardo, fuori dall'orbita della scuola, unico contesto che autorizza simili scambi, è un'anomalia tipica del genere fantastico, eccezionale quanto la chiave o l'anello che balenano in sogno e compaiono nel mondo di chi li ha sognati, che li trova sotto il cuscino quando apre gli occhi. Il libro, per giunta, è S/Z di Barthes, la prima edizione francese di Seuil, nella collana Tel Quel. È lì che, dopo un primo contatto con la tecnica di notazione rupestre degli scacchi (vedi ajedrez), scopre l'arcano delle sottolineature. Guarda quelle pagine annotate, fiorite di chiose, vede la grafia di Panesi, che conosce bene, strisciare in margine al corpo del testo, e apprende due cose fondamentali per la sua vita di lettore: che una pagina di testo è anche un'opera grafica, plastica, suscettibile di essere non solo letta ma anche guardata, e che il confine tra leggere e scrivere è molto labile. Apprende che sottolineare è contestare, discutere, a volte insultare per iscritto la voce di quei morti che parlano attraverso i libri. Non potrà mai più leggere senza una matita a portata di mano.[...] Dopo quasi mezzo secolo di sottolineature di ciò che legge, quel che sopravvive, lo confessa a suo rischio e pericolo, è il kit del sottolineatore classico: matita portamine 0,5 mm, mine 4B, linee rette per le cose interessanti e un po' ondulate per quelle esaltabili, punti esclamativi e di domanda, ondine laterali, righe verticali per l'enfasi, commenti sempre brevi, misurati e sottovoce, da sviluppare magari in qualche articolo, libro, conversazione postprandiale o vaga meditazione notturna. [...] Anello di congiunzione fra la lettura silenziosa (gratuita, godibile, dilettante) e la lettura scritta (specializzata, professionale), la sottolineatura, come ama chiamare, in modo generico, il semplice piacere di lasciare una traccia nella neve di ciò che si legge, è forse l'unico documento autobiografico che non oserebbe contraddire, che riconoscerebbe e accetterebbe anche se lo compromettesse o umiliasse, così fedele, preciso e non manipolabile come lo sono gli anelli del tronco per la vita di un albero. | << | < | > | >> |Pagina 128Leggere, per lui, è l'esperienza minima, modesta, economica, attorno alla quale si manifesta la molteplicità del mondo. Come altri si vantano delle loro prodezze sessuali, del variegato repertorio di luoghi, circostanze, posizioni e rituali in cui hanno espresso il proprio desiderio, lui si vanta di aver attraversato la foresta dell'esistente in preda a una passione silenziosa e direbbe celibe, che si apre e si chiude ogni volta che accade ma non si estingue mai.
Naturalmente, continua a leggere - e forse la resistenza della lettura a
quasi tutte le inclemenze che minacciano un corpo è uno dei segreti della sua
seduzione. Perché allora ne parla al passato, come un pensionato o un invalido,
crogiolandosi nella nostalgia di un piacere che non sarebbe più per lui? È un
passato strano, difficile da definire. Non è il tempo dell'irreversibile, di ciò
che ormai non tornerà più. È il passato del morto che parla; non designa
qualcosa che è successo (e non succede più) ma qualcosa che è sempre successo
nello stesso modo, fedele a sé stesso, anche se colto
in circostanze, maniere, temperature, vite diverse.
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