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| << | < | > | >> |Indice7 Prefazione Parte prima - Un viaggio di piacere nell'eternità 19 I Alcuni dubbi sull'evoluzione 42 II La deriva dei continenti 53 III Storia delle carte impossibili 70 IV Le cicatrici della terra 77 V Due incantesimi per un'altra volta Parte seconda - Fantasticherie sulla grande lingua 93 I La musica del Balletto dei giganti 109 II Il centesimo nome di Dio 124 III Alla ricerca di una scrittura dell'assoluto Parte terza - Il problema più vasto 141 L'esemplare enigma degli Akpallus Parte quarta - Su alcune interrogazioni romantiche 169 I Piccolo manuale della caccia agli enigmi 191 II Uno studioso di statistica nella caverna 203 III Gli sconosciuti d'Australia 214 IV Sulla comunicazione dei mondi 225 V A proposito della scienza cinese 233 VI Viaggio intorno a Numinor Parte quinta - Su alcune meravigliose quasi-certezze 255 I La libera unione del sapere e del fare 272 II Le dodici città di Çatal Hüyük 285 III L'impero di Dedalo 297 Bibliografia |
| << | < | > | >> |Pagina 7La nostra civiltà, come ogni civiltà, è una congiura. Una miriade di minuscole divinità, il cui potere deriva dal nostro consenso a non contestarle, stornano i nostri sguardi dal volto fantastico della realtà. La congiura viene adoperata per non farci riconoscere l'esistenza di un altro mondo entro quello che abitiamo, di un altro uomo entro quello che siamo. Bisognerebbe rompere il patto, farsi barbari; e innanzi tutto essere realisti: cioè partire dal principio che la realtà è sconosciuta. Usando liberamente delle conoscenze a nostra disposizione, stabilendo tra queste ultime rapporti inattesi, accogliendo i fatti senza pregiudizi vecchi o nuovi, muovendoci insomma tra i prodotti del sapere come degli estranei, ignorando gli usi stabiliti e colui che cerca di comprendere, vedremmo in ogni momento emergere, insieme alla realtà, il fantastico. Questo atteggiamento è fondamentalmente tipico della scienza che non rappresenta solo ciò che la tradizione accademica del XIX secolo ha finito per imporre col pretesto del razionalismo, ma proprio tutto quel che la nostra mente può prospettare, tanto all'esterno quanto in noi stessi, senza snobbare l'inconsueto, senza escludere quel che sembra sfuggire alla norma. Ci è impossibile prevedere esattamente che cosa sarà la conoscenza in futuro; e se essa non si rifarà a concetti che noi trascuriamo e dei quali i nostri discendenti avranno scoperto l'importanza e la funzione nascosta in noi come nell'universo sul quale allora ci porremo degli interrogativi. La mente è come il paracadute: funziona solo quando è aperta. Tutto il nostro scopo consiste nel provocare una massima apertura, in particolare per affrontare i campi delle scienze umane nei quali la congiura ha maggiormente serrato le sue fila. Ci si trova allora adagiati in un mondo così meraviglioso, duttile e vasto quanto quello del fisico, dell'astronomo o del matematico. Vi è continuità, felicità. L'uomo, il suo passato, il suo avvenire e anche tutto ciò che nasconde l'invisibile complessità, parlano d'infinito, cantano la musica delle sfere. Quanto è ignorante il cuore e quanto manca d'amore l'intelligenza di coloro che si sentono soffocare, che si annoiano, che si disperano all'interno di tante sublimi stranezze e fiammeggianti enigmi! Ah! il mondo è così bello, dice un eroe di Claudel, che bisognerebbe metterci qualcuno capace di non dormire! Naturalmente, il nostro approccio non è scevro di pericoli e di inconvenienti che le nostre insufficienze tendono indubbiamente ad aggravare. Si formulano una quantità di ipotesi azzardate, si alza una polvere di fatti maledetti, si scava in un guazzabuglio di errori e di sogni. Accade tuttavia che si aprano, sulla base di dubbiosi riferimenti, orientamenti fino ad allora insospettati e di reale utilità. E sebbene si sia lavorato con tutta la cura e la serietà possibili, l'essenziale, per noi, è testimoniare di questo atteggiamento d'apertura. L'aspetto essenziale sta nel desiderio di una visione ampliata, nell'amore per le realtà fantastiche che mettono in luce la testardaggine dell'uomo e del mondo di essere con pienezza. Parafrasando il barone di Gleichen, possiamo dire che questi sono i motivi che ci muovono: una inclinazione per il meraviglioso innata in tutti gli uomini, il nostro particolare gusto per le cose impossibili, il nostro disprezzo per ciò che è noto, il nostro rispetto per ciò che è ignoto. [...] Il tema di questo volume non è molto originale. Esso è stato utilizzato da molti autori dopo la pubblicazione del Mattino dei maghi e della rivista «Planète». Ci è sembrato tuttavia necessario riprenderlo a modo nostro per sgombrare il nostro stesso campo di indagine. Non è facile mettere - come raccomandava Nietzsche - «una barriera attorno alla propria dottrina per impedire ai porci di entrarvi». Egli stesso, nella tomba, ha certamente dovuto saperne qualcosa. Bisogna inoltre spargere acqua a secchi e spazzare con forza. È proprio quello che facciamo in queste pagine. Talvolta siamo alquanto noiosi: sorvolate senza scrupoli i capitoli pesanti, sfogliate, orientatevi a piacimento. Mentre stavamo redigendo quest'opera, scoprimmo con piacere il milleunesimo discendente del Mattino dei maghi. Si trattava di un libretto popolare, molto ben documentato e pubblicato nel 1968 dalle Edizioni di Stato di Mosca. L'autore, Alexander Gorbovsky, trattava dell'ipotesi di civiltà avanzate nelle epoche antidiluviane. Ma fu soprattutto la prefazione a darci un certo piacere. Essa era stata scritta da un ricercatore ufficiale, il professor Fedorov, dottore in scienze storiche. Diviso tra lo scetticismo e la seduzione, Fedorov dichiarava: «I poeti e gli scettici sono ambedue indispensabili alla ricerca: si tratta di una combinazione necessaria. Se l'autore, e coloro che condividono le sue tesi, hanno ragione, molti fatti fin qui inspiegabili trovano una loro spiegazione. Questo libro costituisce una nobile impresa. L'autore ha voluto mettere alla portata del vasto pubblico una grande e generosa idea, una nuova visione storica. Ci è riuscito. Molti leggeranno quest'opera con un interesse prossimo alla passione: proprio come è accaduto a me.»
La nostra felicità si accompagnava a una certa amarezza
nel pensare che certamente mai si sarebbe trovato un accademico francese di
rilievo disposto ad appoggiarci in quel modo. È anche vero che l'amarezza era
lieve poiché eravamo immersi nel clima che avrebbe generato sui muri della
Sorbona una fioritura di graffiti quali: «Professori, ci fate invecchiare!» e
«Immaginazione al potere!».
Il nostro Manuale di abbellimento della vita, se Dio ce ne darà il tempo, comprenderà cinque volumi: L'uomo eterno, saggio e fantasticheria sul tema delle civiltà scomparse; L'uomo infinito, che tratterà della condizione sovrumana; L'uomo ín croce, che tratterà dei rischi e delle possibilità che stanno di fronte alla nostra civiltà; L'uomo collegato, che tratterà del contatto con altre intelligenze nel cielo e sulla terra; Dell'uomo e degli dei futuri, che svilupperà l'idea secondo cui, apparentemente, non è forse possibile creare un nuovo mito, ma che il sopraggiungere di siffatto mito è indispensabile.
Già da dieci anni abbiamo raccolto la documentazione
necessaria alla stesura del manuale. Per questo primo volume - oltre a diverse
centinaia di corrispondenti sparsi in
tutto il mondo e consci della nostra riconoscenza - ringraziamo Paul-Émile
Victor, direttore delle spedizioni polari francesi, che aveva preparato su
nostra richiesta uno studio sull'enigma delle carte geografiche di Pirî Reis e
che ci ha autorizzato a pubblicarlo in questo volume; ringraziamo
l'amico e collaboratore di «Planète» Aimé Michel che ci
ha permesso di ristampare il suo articolo sui lavori di Leroi-Gourhan e l'arte
delle caverne, come pure le note sulla
scienza e gli ingegneri dell'antichità; ringraziamo la signora Freddy Bémont,
incaricata alla facoltà di Lettere e Scienze umane di Nanterre, che ci ha
particolarmente assistito nella redazione dei capitoli su Numinor, le città di
Çatal Hüyük e l'impero di Dedalo.
Questo manuale non ha alcuna pretesa di dignità scientifica. La saggezza, anche planetaria, consiste nel limitare la propria patria: ma patria è la poesia, e la poesia, come d'altra parte la scienza, diffonde ovunque il suo bene con l'intenzione di produrre un bene ancor più grande. La scienza produce la verità, o quantomeno vi si dedica sinceramente. La poesia produce il meraviglioso, o quantomeno vi si dedica con altrettanta sincerità. E forse nel meraviglioso vi è una parte di verità. Orbene, se mi si dice, abusando dell'autorità scientifica che non ha affatto il compito, che io sappia, di condurre gli uomini alla disperazione: «In questo mondo non vi è alcunché di meraviglioso da trovare», mi rifiuterò ostinatamente di ascoltare. Continuerò invece, con i miei deboli mezzi e con infinita passione, a cercarlo. E se non dovessi trovare del meraviglioso in questa vita direi, lasciandola, che la mia anima era troppo rozza e la mia mente cieca, e non che non vi era nulla da trovare.
L.P. - 1970
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