Copertina
Autore Annalisa Pavan
Titolo Nelle società della conoscenza
SottotitoloIl progetto politico dell'apprendimento continuo
EdizioneArmando, Roma, 2008, I problemi dell'educazione , pag. 192, cop.fle., dim. 16x24x1,3 cm , Isbn 978-88-6081-286-5
LettoreLuca Vita, 2008
Classe politica , scienze sociali , scuola
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Indice

Introduzione:

Nelle società dello sviluppo, della conoscenza,
dell'apprendimento continuo                                  7


Capitolo primo: Quale cultura?                              21

– 1. Le società entrano in apprendimento continuo
– 2. Dall'economia politica dell'incertezza all'economia
     politica della consapevolezza
– 3. Elementi di elaborazione della prospettiva
     dell'economia politica della consapevolezza:
     3.1 Società dell'istruzione, società dell'informazione,
         società della conoscenza;
     3.2 Dall'insegnamento all'apprendimento;
     3.3. Informare, conoscere, pensare,
     3.4 L'apprendimento continuo come filosofia,
         come compito, come opportunità
– 4. Culture e politiche dell'apprendimento continuo:
     4.1 Quattro culture dell'apprendimento continuo,
         a. La cultura etico politica dei diritti umani,
         b. La cultura funzionale-economica delle risorse umane,
         c. La cultura digitale delle nuove tecnologie,
         d. La cultura antropologica dei potenziali;
     4.2 Tre modelli di politiche dell'apprendimento continuo,
         a. Il modello "giapponese ",
         b. Il modello "americano ",
         c. Il modello "europeo ".

Capitolo secondo: Quale democrazia cognitiva?               57

– 1. La democrazia del futuro sarà cognitiva o non sarà
– 2. Società della conoscenza per tutti
– 3. Problemi di accesso alla società della conoscenza:
     3.1 La via dei sistemi formali;
     3.2 La via delle azioni ambientali;
     3.3 La via dell'informazione,
         a. Quattro grandi linee di. fatto nel dibattito
            recente sulla società dell'informazione,
         b. Media, rete, libro;
     3.4 La via delle culture,
         a. Il prerequisito linguistico per formulare
            la questione della democrazia cognitiva,
         b. Tre pilastri per costruire la democrazia cognitiva,
         c. Il pericolo di quattro grandi fratture che
            ostacolano la democrazia cognitiva
– 4. Problemi di qualità nella società della conoscenza:
     4.1 Quattro linee di fatto nella cultura della qualità;
     4.2 Sei lezioni dai dibattiti sulla cultura della qualità
– 5. Problemi di costruzione politica della società
     della conoscenza democratica.

Capitolo terzo: Quale Europa della conoscenza?             139

– 1. Questi difficili giorni d'Europa
– 2. Verso l'Europa della conoscenza
– 3. Il catalizzatore di Lisbona
– 4. A partire da Lisbona
– 5. Il quadro normativo del dopo-Lisbona
– 6. Il ritmo del processo di Lisbona:
     6.1 Il modello di sviluppo europeo nel dopo-Lisbona;
     6.2 Il motore educativo europeo nel dopo-Lisbona
– 7. Alla ricerca di un'Europa della conoscenza integrata:
     7.1 Politiche dell'apprendimento continuo;
     7.2 Politiche della ricerca;
     7.3 Politiche dell'innovazione
– 8. All'incrocio di tre politiche: il nodo università
– 9. Quasi a riepilogo: costruire l'Europa politica
     per un'Europa della conoscenza europea.


Conclusione:

Interrogare l'educazione.
Un nuovo ordine educativo mondiale?                        188


 

 

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Pagina 7

Introduzione

Nelle società dello sviluppo, della conoscenza, dell'apprendimento continuo


«Noi proponiamo l'educazione continua e proponiamo di collocare l'educazione al cuore della società lungo tutto il corso della vita, in modo che l'educazione collochi ciascuno al cuore del cambiamento del mondo, al cuore delle strutture della vita». (J. Delors)


«Dove siamo, in questi primi anni 2000, con il nostro pensare/fare formazione?» mi chiedevo, a conclusione di Cultura della formazione e politiche dell'apprendimento (2005), che tentava un'organizzazione concettuale più formalizzata dei risultati della ricognizione dei dibattiti internazionali in materia di formazione continua impostata nel volume Formazione continua. Dibattiti e politiche internazionali (2003). Idealmente le riflessioni di queste pagine intendono dare un seguito a quell'interrogativo, supponendo evidentemente gli acquis di quelle ricerche, ma tentando anche di osservare gli sviluppi che si possono cogliere nel dibattito pubblico di questi primi anni 2000 nel campo della "grande politica" della formazione continua. In altre parole: si vorrebbe, in queste pagine, rendere conto dello stato di avanzamento del work in progress della formazione continua nel primo lustro del XXI secolo. E nel fare questo non è tanto questione di sviluppo delle ricerche personali, che si spera ci sia, ma ben più seriamente del fatto incontrovertibile che nelle società contemporanee il paradigma della formazione continua è un grande cantiere aperto di "pratiche, teorie e politiche" dell'educazione; un cantiere nel quale l'approfondimento che l'ottica dell'apprendimento è andata introducendo nell'intero campo dell'educazione sembra via via dare nuovi riscontri alla profezia di Faure, secondo il quale la prospettiva dell'apprendimento continuo, oltre che le strategie e le politiche dell'educazione, avrebbe prodotto «una mutazione del processo dell'apprendimento» e trasformazioni radicali nella sostanza dell'atto educativo, nello spazio educativo e nel tempo dell'educazione. E sul filo del progressivo inveramento di questa previsione, inveramento che gli ultimi tre decenni del Novecento non hanno fatto che manifestare, i sistemi educativi e la stessa riflessione educativa sembrano entrati in una sorta di disagio educativo, fino a tanti interrogativi diffusi circa la sostenibilità educativa del nostro modello di sviluppo; in una presa di coscienza dei paradossi nei quali versano le pratiche, le teorie e le politiche dell'educazione nell'attuale mainstream culturale dell'economia politica dell'incertezza; in uno sforzo, infine, data la difficile ricchezza di pratiche, teorie e politiche educative di questo tempo, di elaborazione di una nuova filosofia (e di un nuovo senso) dell'educazione. Mi è sembrato che questa filosofia dovrebbe orientarsi verso una "economia politica della consapevolezza". Con questa espressione – che riprende, riformulandola, quella proposta da Bauman di "economia politica dell'incertezza" – ho inteso, e cerco di indicare, una prospettiva di ricerca in materia di riflessione educativa e politiche dell'apprendimento che tenga conto della diagnosi del Rapporto all'UNESCO della Commissione Internazionale sull'Educazione per il XXI secolo, presieduta da Jacques Delors, che, attraverso la celebre – e troppo spesso banalizzata nella vulgata pedagogica – dottrina dei "quattro pilastri", indica all'educazione il nuovo compito per il XXI secolo. Da una parte, costretta a trasmettere quantità crescenti di informazioni, l'educazione dovrà sempre più «additare i punti di riferimento che consentano agli individui di non venire sommersi»; dall'altra parte, dentro lo spazio pubblico crescentemente complesso e globale, l'educazione dovrà «offrire simultaneamente le mappe di un mondo complesso in perenne agitazione e la bussola che consenta agli individui di trovarvi la propria rotta». Rispetto a questo obiettivo della nuova culture educativa, osserva lo stesso Delors, «noi proponiamo l'educazione continua e [con essa] proponiamo di collocare l'educazione al cuore della società lungo tutto il corso della vita, in modo che l'educazione collochi ciascuno al cuore del cambiamento del mondo, al cuore delle strutture della vita». È un'affermazione ipersintetica che dice, al contempo, sia la portata politica che sta prendendo l'educazione/formazione continua nelle nostre società, sia — in questo orizzonte — il valore strategico che l'educazione, nella sua figura di educazione/formazione continua, va prendendo nei processi di costruzione, nel nuovo spazio pubblico, del nostro vivere insieme. Tutto questo può essere detto anche in termini di educazione come sempre più chiaramente affare di polis o anche, come faccio in queste pagine, come progetto politico.

In realtà, nelle accennate indicazioni del Rapporto Delors è tutto il contributo della cultura politica dell'UNESCO che viene messo in opera, dal grande Rapporto Faure sopra citato (1972), da cui comincia la nuova cultura politica dell'educazione del secondo Novecento, al "visionario" Ur monde nouveau del 1999 di Federico Mayor, al recente innovativo Rapporto mondiale Towards knowledge societies del 2005. E dire UNESCO checché ne sia oggi della crisi del sistema delle istituzioni internazionali, almeno di quelle a vocazione politica, continua a voler dire il più grande laboratorio di comparatistica multilaterale ed ermeneutica di cultura politica dell'educazione di cui disponiamo; dunque, un osservatorio particolarmente accreditato dei processi reali in corso, che vanno inevitabilmente oggi osservati internazionalmente per capirne la filosofia fondamentale. È soprattutto tenendo conto delle indicazioni provenienti da questo laboratorio che, in tempi di globalizzazione, può assumere un senso e diventare pertinente l'espressione economia politica della consapevolezza in campo educativo. Questa espressione, infatti, indica innanzitutto, e in senso lato, l'esigenza che la gestione dei fatti e delle conseguenze prodotti dalla razionalità intenzionale del nostro modello di sviluppo, e cioè la razionalità di fatto o il trattamento conoscitivo dei fatti di tale modello, venga sempre meglio integrata in una nuova presa di coscienza dei meccanismi, dei poteri, delle logiche che producono questo sviluppo e lo governano. Presa di coscienza sempre più necessaria e senza la quale non è possibile né agli individui di trovare la propria bussola né alle società di agire efficacemente per partecipare all'orientamento del proprio sviluppo per cambiarlo, per farne progressivamente, e proprio attraverso la coscientizzazione educativa, un fatto di qualità umana, un interesse generale a controllo e verifica sociale: è questa l'esigenza cui si allude, in generale e sinteticamente, quando oggi si aggettiva lo sviluppo con "umano".

Nel suo poderoso Un monde nouveau, Mayor, rilevando tutte le sperequazioni in via di accentuazione nei processi di globalizzazione e la conseguente urgente necessità di una redistribuzione dei benefici della globalizzazione, tramite l'allestimento di un grande "contratto sociale" mondiale, sostiene che tutto ciò non si potrà ottenere se non con lo sviluppo dell' ethos democratico e del gusto dei cittadini per la cosa pubblica e per la partecipazione alla costruzione del bene comune. E osserva: «Il "cogito ergo sum" del cittadino del XXI secolo si dovrà formulare così: "Partecipo dunque sono". Perché se non partecipo non sono preso in considerazione nei monitoraggi e nei sondaggi, sono come scaricato sulle elezioni, ma che cosa conto in realtà? Contare nel XXI secolo sarà partecipare». E per partecipare e partecipare in dignità, serve consapevolezza; per accrescere la consapevolezza occorre coltivarsi; per coltivarsi occorre stare in apprendimento: occorre ridisegnare le nostre società come appunto learning societies, così come si è intuito fin dai primi avvii della nuova cultura dell'educazione tra gli anni Sessanta e Settanta.

Forse sull'apprendimento e sulla cultura dell'apprendimento continuo che si vorrebbe assumere come il nuovo punto di vista sull'intero campo dell'educazione e come la nuova architettura o il paradigma delle pratiche-teorie-politiche dell'educazione, nel momento in cui la dinamica cognitiva delle nostre società è divenuta una major issue e porta a formulare per le società il paradigma società della conoscenza, e in cui «il modello dell'apprendimento [soprattutto attraverso il learning by doing e la capacità di innovazione] si è diffuso ben al di là del mondo degli educatori ed è entrato in tutti i pori della vita economica e sociale», conviene chiedersi con l'UNESCO: «Che cosa sappiamo veramente dell'apprendimento? I progressi recenti in materia di modi di apprendere e di scienze cognitive si vedranno un giorno tradotti in pratiche concrete ed efficaci... [anche oltre] la pedagogia scolastica?». Che cosa sappiamo, si potrebbe aggiungere, di un apprendimento che si fa sempre più lifelong e lifewide, continuo e diffuso, e per tanti aspetti spiazza modelli collaudati di pratiche-teorie-politiche dell'educazione; che trasforma modi di espressione e di comunicazione, valori e cultura del vivere insieme (in altre parole: cambia profondamente i sistemi sociali); che innova i processi della produzione e del consumo, e cioè i sistemi economici? Che cosa sappiamo della società della conoscenza nella quale abbiamo cominciato ad entrare e della cui dinamica l'apprendimento continuo è una sorta di condizione di possibilità generale? Insomma, per farla breve: che cosa sappiamo del life -long and -wide learning come fattore propulsivo e innovativo della polis di questi primi anni 2000, e cioè come progetto politico delle società?

Per dare credibilità a questa affermazione sull'apprendimento continuo come progetto politico delle nostre società, bisogna innanzitutto levare all'apprendimento stesso la patina pedagogistica con cui spesso circola, e con cui lo si confina negli affari – o comunque lo si tratta con le modalità familiari degli affari – dell'istruzione e degli addetti ai lavori. Bisogna inoltre spogliare l'apprendimento continuo della retorica che troppo spesso lo investe – e con la quale si tende ad accreditare società che offrirebbero a tutti e in tutti i loro ambienti uguali opportunità di formazione –, retorica che fa velo al knowledge divide che nei riguardi dell'apprendimento si va registrando nelle società della conoscenza, dove l'incremento della quantità degli accessi all'educazione sembra sempre più penalizzato in termini di qualità educativa, e la democrazia educativa, mentre pare avanzare, sembra altresì produrre una progressiva "élitarizzazione", per dirla alla Mayor, del privilegio della qualità dell'educazione e della conoscenza, riservandolo alle "democrazie del quinto" e, anche in queste, ai gruppi sociali più favoriti e performanti. Non a caso l'UNESCO, lo vedremo, mentre accede al paradigma società della conoscenza, pone energicamente anche una questione di quality imperative.

D'altro canto, per dare credibilità all'affermazione sull'apprendimento continuo come progetto politico delle nostre società, bisogna situare e cogliere l'apprendimento continuo nei nessi e nelle mediazioni che attorno ad esso si vanno stabilendo nelle società della conoscenza. Alcuni passaggi più analitici al riguardo saranno sviluppati nelle riflessioni di queste pagine. Ma qui si vorrebbero già indicare le interazioni tra i livelli essenziali tra i quali si stabiliscono questi nessi e dentro ai quali prende la sua portata la figura dell'apprendimento continuo come progetto politico. Questi livelli essenziali, sempre più connessi e interattivi, sono quelli dello sviluppo, della conoscenza e dell' apprendimento. È difficile oggi immaginare di pensare/fare formazione e di progettarne le relative politiche senza prendere seriamente in considerazione queste interazioni nelle società contemporanee che sono, indivisibilmente, società dello sviluppo, società della conoscenza, società dell'apprendimento continuo.

Non v'è dubbio che al cuore delle dinamiche delle società contemporanee gioca un ruolo economicamente, politicamente ed eticamente strategico la cultura dello sviluppo (primo livello). E quali che siano le unilateralità che possono parassitare questa cultura – con vedute sullo sviluppo come semplice cambiamento, come affare anzitutto di PIL e di crescita, come espansione incrementale dei consumi ecc. – resta che, nel suo fondo, la cultura dello sviluppo ha a che vedere anzitutto con l' ethos dei diritti umani. Nel codice dei diritti umani, in effetti, il diritto allo sviluppo rappresenta una sorta di diritto-sintesi, di valore meta-giuridico o di diritto dei diritti, perché enuncia simpliciter il diritto dell'uomo e delle comunità a sviluppare i propri potenziali e le proprie possibilità; si potrebbe anche dire: il diritto dell'uomo a essere in dignità e a diventare in creatività e libertà uomo. Quali che siano le violazioni che l' ethos dei diritti umani subisce oggi nelle società, nonché le distorsioni a cui lo si piega per addomesticarlo alle ragioni dei vari poteri – fino quasi a tentarne la sospensione invocando il nuovo stato di guerra: il terrorismo –, il diritto allo sviluppo sta diventando un movente profondo delle prese di coscienza degli individui e delle collettività umane. Nell'orizzonte dell' ethos dei diritti umani la domanda e la ricerca di sviluppo stanno diventando, pur nella varietà delle situazioni, delle tradizioni e delle vocazioni, e cioè delle peculiarità dei modi di sviluppo, un fattore ormai universale di civiltà.

Oggi (secondo livello) lo sviluppo umano viene sempre più concepito e praticato come anzitutto produzione, diffusione e applicazione di conoscenze, e questo non solo nel campo economico, nel mercato del lavoro e delle competenze, nell'innovazione delle professionalità, ma, più in generale, nella produzione dei nuovi stili di vita, nelle dinamiche delle relazioni sociali, nelle creazioni simboliche delle società. In breve: nella cultura generale non solo oggettiva, e cioè nei prodotti, nei risultati e nelle istituzioni della storia delle società, ma anche nella cultura soggettiva, nella cultura cioè come esperienziale e vitale coltivarsi delle collettività umane; in quello che si può chiamare, secondo i linguaggi di queste pagine, il sapere delle società. In modi diversi, questo non solo trasforma e induce a rivedere le concezioni stesse della conoscenza, ma anche orienta verso quell'interiorizzazione dei processi di produzione e di elaborazione delle conoscenze che viene registrata in sede di riflessione educativa con l'enfasi che si focalizza crescentemente sulla prospettiva dell'apprendimento a preferenza della prospettiva, più tradizionale, che era centrata soprattutto sull'insegnamento. E proprio l'esigenza di approfondimento e di interiorizzazione comportata dalla prospettiva dell'apprendimento continuo, al Delors del già citato Rapporto, che riconosce nel pilastro dell'"imparare a vivere insieme" il nuovo grande bisogno dell'educazione in tempi di globalizzazione, fa dire dell'educazine «come soprattutto viaggio interiore, le cui tappe corrispondono a quelle della continua maturazione della personalità».

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3.1. La via dei sistemi formali

La prima via è quella, più tradizionale, dei sistemi formali dell'istruzione e dell'apprendimento. Occorre riconoscere che lungi dal diminuirne l'importanza, come in un primo momento, negli anni Sessanta e Settanta, si era ritenuto di dover e poter fare, il paradigma dell'apprendimento continuo non ha fatto, pure con una filosofia dell'educazione nuova, che sottolinearne l'importanza e il ruolo cruciale rispetto a tutte le politiche e le strategie dell'educazione e della formazione. Si capisce sempre meglio che i sistemi formali, ancorché non più titolari del monopolio educativo/formativo, restano tuttavia decisivi in una triplice direzione: anzitutto come strumenti delle strategie dell'educazione per tutti e della democrazia educativa; in secondo luogo come risorse iniziali di successo della filosofia dell'apprendimento continuo: buoni sistemi educativi e d'istruzione rendono probabile il formarsi e il persistere nel learner, anche oltre la scolarità, dell'interesse e della curiosità a sapere, ad innovare le proprie conoscenze, a cercarne creativamente nuove applicazioni, ad adattarsi più flessibilmente alle mutazioni culturali ed organizzative, a riqualificare le proprie competenze e ad acquisirne di nuove (attitudine decisiva nel regime dell'apprendimento continuo caratteristico delle società della conoscenza); in terzo luogo come luoghi ed erogatori di opportunità di educazione e di formazione (a tutt'oggi, in tutto il mondo, i maggiori fornitori),

A queste tre direzioni lungo le quali i sistemi formali confermano oggi la loro importanza rispetto alle politiche generali dell'istruzione e della formazione, vanno aggiunte altre conferme. I sistemi formali, nei loro differenti gradi, sono sempre più investiti nella società dell'apprendimento continuo anche da ulteriori finalità: oltre che ad assolvere ai compiti istituzionali di istruzione per le differenti fasce d'età della scolarizzazione, sono sempre più chiamati dalla società ad attivare le proprie risorse (insegnanti, competenze, strutture, strumenti ecc.) anche per allestire opportunità di apprendimento post-scolare o extrascolare di formazione continua, di acculturazione degli adulti, di specializzazione ecc.; e questo è un modo nuovo per i sistemi formali di assolvere al compito di promotori di accesso alla società della conoscenza. A questo si aggiunga che i sistemi formali d'istruzione, storicamente e per lo più collocati nell'educazione/formazione iniziale, vengono dal paradigma dell'apprendimento continuo spinti a dilatare il loro spazio: all'indietro, fin verso la prima infanzia pre-scolare e alle sue forme proprie di apprendimento; in avanti, fin verso l'"istruzione terziaria" o l'università e i suoi modi critici e avanzati di apprendimento; verso il primo spazio, perché si capisce sempre meglio che la tempestività e l'appropriatezza degli stimoli, nell'età della meraviglia in cui ci si apre al mondo e ai perché, possono essere decisive sul futuro dell'apprendimento e della stessa scolarità; e verso l'altro spazio, perché la maturazione delle attitudini riflessive e critiche che costituisce l'obiettivo dell'istruzione universitaria viene sempre più sentita come decisiva per assicurare un futuro creativo alle dinamiche cognitive individuali e sociali nelle quali risiede la possibilità stessa dello sviluppo.

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È difficile immaginare questo passaggio dall'accesso alla partecipazione al sapere, passaggio che concretizza la democrazia cognitiva di una società della conoscenza, a prescindere da una pertinente ed efficace istruzione iniziale all'interno dei sistemi formali d'istruzione. Certo: le società della conoscenza impongono oggi di "arricchire l'educazione" e per questo insistono sulla necessità di riformare le istituzioni, di curare la formazione degli insegnanti, di innovare profondamente la qualità generale dell'educazione. Ed è pur vero che «anche nei paesi più ricchi – in cui la scolarizzazione universale è stata in linea di principio raggiunta – si stima che la proporzione di abitanti che non dispongono delle competenze e delle abilità necessarie ad una piena partecipazione alla vita sociale e all'occupazione tende a raggiungere il quarto. Questo è un segno di un grande fallimento dei sistemi e delle istituzioni sulla scena... Bisogna applicarsi ad evidenziare le cause di una tale crisi... Molti mettono sotto accusa la forza di inerzia dei sistemi educativi davanti alle evoluzioni sociali e tecnologiche fondamentali. L'istruzione si lascerebbe trainare, perché si starebbe assistendo a una sfasatura tra una considerevole crescita della domanda di educazione e i rendimenti decrescenti dei sistemi classici di trasmissione delle conoscenze... Questa asimmetria tende ad accentuare un certo ritardo degli istituti d'istruzione rispetto al reale e ad acuire le contraddizioni tra il contenuto dell'insegnamento erogato e la realtà che ogni giorno gli allievi conoscono da sé». Ne risulta «un grande scetticismo, una demotivazione generalizzate e una crisi della ragione che non riconosce più i propri fini e le proprie motivazioni».

Una simile analisi realisticamente impietosa va forse interpellata almeno intorno a due domande, volendo stare all'andamento interrogativo di queste pagine. Da una parte: dobbiamo allora prendere commiato dai sistemi formali? Ma per quali strumenti nuovi di accesso universale ai saperi reali della società? Siamo proprio convinti che sistemi di comunità educative virtuali, a colpi di nuove tecnologie, o una sorta di nuovo liberismo educativo, esteso a tutti i gradi dell'istruzione, possano fare meglio dei sistemi normali ispirati dal senso del valore pubblico del bene educazione e formazione? Dall'altra parte: non è che questa società della conoscenza avanzata, malgrado tutto, è stata prodotta da uomini usciti da sistemi d'istruzione che, in qualche modo, sono sotto accusa almeno fin dalla fine dell'Ottocento, perché più lenti rispetto alle dinamiche cognitive della società? Non è che da sempre, e soprattutto nella modernità, scuola e società sono in tensione tra loro e che proprio questa tensione genera riforma continua nella scuola ma anche consapevolezza riflessiva nella società? Ma non sarà che il deperimento dei sistemi formali che oggi denunciamo è anche l'effetto, nel sistema delle concause oggettive che vanno analizzate, di una scelta politica che tende a dotare di un'altra anima (di mercato, di competizione, di eccellenza per i pochi e di mediocrità per i più...) questa nostra istruzione di base a inizialità prolungata? La diagnosi della crisi attuale dei sistemi formali che fa Mayor nel suo Un monde nouveau è, da questo punto di vista, inquietante. Così come risulta comprensibile quell' Eloge de la culture scolaire che Guy Coq, pure venendo da una sensibilità personalista e comunitaria mounieriana non sempre incline ad enfatizzare la dimensione istituzionale della società, ritiene di dover oggi elevare, senza intenti di conservazione di sorta, al ruolo dei sistemi formali d'istruzione. Fatte le debite proporzioni, sembra, quando incontriamo tante analisi della crisi dei sistemi formali d'istruzione, di trovarci di fronte alle analoghe diagnosi di crisi che oggi sono ricorrenti nei confronti delle grandi istituzioni internazionali, regionali o mondiali, come Unione Europea e Nazioni Unite: è certo che si può e si deve fare meglio e occorre dunque riformare; ma riusciamo ad immaginare che cosa sarebbero stati, malgrado tutto, gli Stati europei senza la Comunità Europea, o un mondo in crescente interdipendenza, senza il pur carente abbozzo di Autorità mondiale che pure le Nazioni Unite sono? Per analogia domandiamoci: riusciamo ad immaginare che cosa sarebbe stato, e cosa sarebbe, della giustizia distributiva del bene istruzione e cultura senza il tessuto dei sistemi educativi formali e il senso del valore pubblico di tale bene che essi hanno contribuito a tener desto nelle società?

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