Copertina
Autore Daniel Pennac
Titolo Il paradiso degli orchi
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1996 [1991], UE 1210 , pag. 204, dim. 125x195x13 mm , Isbn 978-88-07-81210-1
OriginaleAu bonheur des ogres
EdizioneGallimard, Paris, 1985
TraduttoreYasmina Melaouah
LettoreAngela Razzini, 1998
Classe narrativa francese
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Pagina 9

La voce femminile si diffonde dall'altoparlante, leggera e piena di promesse come un velo da sposa.

- Il signor Malaussène è desiderato all'Ufficio Reclami.

Una voce velata, come se le foto di Hamilton si mettessero a parlare. Eppure, colgo un leggero sorriso dietro la nebbia di Miss Hamilton. Niente affatto tenero, il sorriso. Bene, vado. Arriverò probabilmente la settimana prossima. È il 24 dicembre, sono le 16 e 15, il Grande Magazzino è strapieno. Una fitta folla di clienti gravati dai regali ostruisce i passaggi. Un ghiacciaio che cola impercettibilmente, in un cupo nervosismo. Sorrisi contratti, sudore lucente, ingiurie sorde, sguardi pieni d'odio, urla terrorizzate di bambini acciuffati da Babbi Natale idrofili.

- Non aver paura, tesoro, è Babbo Natale!

Rapidi flash.

A proposito di Babbo Natale, ne vedo uno, gigantesco e translucido, che si staglia sulla coda immobile con una terribile silhouette d'antropofago. Ha una bocca color ciliegia. La barba bianca. Un bel sorriso. Gambe di bambino gli escono dagli angoli della bocca. È l'ultimo disegno del Piccolo, ieri, a scuola. Urla della maestra: "Le sembra normale che a quell'età un bambino disegni un Babbo Natale del genere?" "E Babbo Natale, ho risposto, le sembra poi così normale?" Ho preso in braccio il Piccolo, bruciava di febbre. Aveva talmente caldo che gli occhiali gli si erano appannati. E questo lo rendeva ancora più strabico.

- Il signor Malaussène è desiderato all'Ufficio Reclami.

Il signor Malaussène ha sentito, per dio! È già ai piedi della scala mobile centrale. E ci sarebbe anche già salito se non fosse inchiodato dal muso nero di un cannone striato. Perché è proprio a me che mira, il fetente, senza possibilità di errore. La torretta ha girato sul proprio asse, si è immobilizzata nella mia direzione, quindi il cannone ha alzato il naso fino a fissarmi in mezzo agli occhi. Torretta e cannone appartengono a un carro armato AMX 30, telecomandato da un vecchio alto un metro e quaranta che manovra il carro a distanza, ed emette brevi squittii di stupore. È uno degli innumerevoli vecchietti di Théo. Davvero molto piccolo, assolutamente vecchio, individuabile dal camice grigio che Théo fa indossare loro per non perderli di vista.

- Per l'ultima volta, nonno, rimetta quel giocattolo al suo posto!

La commessa brontola sfinita dietro lo scaffale dei giocattoli. Ha la testolina graziosa di uno scoiattolo che abbia conservato le noccioline nelle guance. Il vecchio sputacchia un rifiuto infantile, il pollice sul tasto del fuoco. Io scatto impeccabile sull'attenti e dico: - L'AMX è superato, Colonnello, buono per il ferrovecchio o per l'America Latina.

Il vecchietto getta uno sguardo desolato al giocattolo poi, con gesto rassegnato, mi fa cenno di andare. Il sorriso della commessa mi dedica un diploma di gerontologia. Cazeneuve, la guardia del piano, sorge dal suolo e raccatta il carro armato con aria furente.

- Insomma, devi sempre far casino, Malaussène!

- Chiudi il becco, Cazeneuve.

Che ambiente...

Sparito il carro, il vecchio resta con le braccia ciondoloni. Mi lascio portare su dalla scala mobile, con un certo sollievo, come se in altitudine sperassi di trovare più aria.

In altitudine trovo invece Théo. Inguainato in un completo rosa fenicottero, è in coda, come al solito, davanti alla macchinetta delle fototessere. Mi sorride gentile.

- Uno dei tuoi piccoli sta seminando il panico al reparto giocattoli, Théo.

- Meglio così; nel frattempo non spalanca il camice all'uscita delle scuole.

Sorriso per sorriso. Poi, con la coda dell'occhio, Théo mi indica la gabbia di vetro dei Reclami.

- Mi sa che si stanno occupando di te, lì dentro.

Infatti, mi basta meno di un secondo per capire che Lehmann è al lavoro da un pezzo. Sta spiegando alla cliente che è interamente colpa mia. Brevi spruzzi di lacrime sgorgano dagli occhi della signora. Ha sistemato in un angolo un bebè obeso, ficcato a forza in un passeggino scassato. Apro la porta. Sento Lehmann affermare nel tono della più sincera solidarietà: - Sono totalmente d'accordo con lei, signora, è assolutamente inammissibile, del resto...

Mi ha visto.

- Del resto, eccolo, adesso gli chiediamo un po' cosa ne pensa.

La sua voce ha cambiato registro. Da compassionevole si è fatta velenosa. Il problema è semplice e Lehmann me lo espone con una tranquillità da ipnotizzatore. Il bebè obeso posa su di me uno sguardo allegro come non mai. Ecco, tre giorni fa il mio reparto avrebbe venduto alla signora qui presente un frigorifero di una capienza tale che lei vi ha infornato un cenone per venticinque persone, antipasti e dolci compresi. "Infornato" è la parola giusta perché questa notte, per una ragione di cui Lehmann gradirebbe gli fornissi la spiegazione, il frigorifero in questione si è trasformato in un inceneritore. È un miracolo se questa mattina la signora non è stata bruciata viva aprendo la porta. Lancio una rapida occhiata alla cliente. Le sopracciglia, in effetti, sono bruciacchiate. Il dolore che trapela sotto la rabbia mi aiuta ad assumere un'aria pietosa. Il bebè mi guarda come se fossi la fonte di tutto. I miei occhi si portano con angoscia su Lehmann, che a braccia conserte si è appoggiato allo spigolo della scrivania e dice: - Sto aspettando.

Silenzio.

- Il Controllo Tecnico è lei, no?

Ne convengo con un cenno del capo e balbetto che, appunto, non capisco, i test di controllo erano stati effettuati... Come per la stufa a gas della settimana scorsa o l'aspirapolvere dello studio Boëry!

Nello sguardo del moccioso, leggo con chiarezza che lo sterminatore dei piccoli di foca sono proprio io. Lehmann si rivolge di nuovo alla cliente. Parla come se io non ci fossi. Ringrazia la signora per non aver esitato a presentare un deciso reclamo. (Fuori, Théo aspetta ancora davanti alla macchina delle fototessere. Bisognerà che mi ricordi di chiedergli una copia della foto per l'album del Piccolo.) Lehmann ritiene sia dovere della clientela collaborare al risanamento del Commercio. Ovviamente la garanzia resta valida e il Grande Magazzino le consegnerà seduta stante un frigorifero nuovo.

- Quanto ai danni materiali annessi che lei stessa e i suoi hanno dovuto subire - (parla così, l'ex-sottufficiale Lehmann, con, in fondo alla voce, il ricordo della buona vecchia Alsazia dove lo depose una cicogna alimentata a Riesling), - il signor Malaussène avrà piacere a rimborsarli. A sue spese, naturalmente.

E aggiunge: - Buon Natale, Malaussène!

Ora che Lehmann ripercorre la mia carriera in azienda, ora che Lehmann le comunica che, grazie a lei, questa carriera avrà fine, negli occhi stanchi della cliente non leggo più la rabbia, ma l'imbarazzo, poi la compassione, con lacrime che tornano all'assalto, e che tremano ben presto sull'orlo delle ciglia.

Ci siamo, è giunto il momento di innescare la mia ghiandola lacrimale. Lo faccio distogliendo gli occhi. Dalla vetrata tuffo lo sguardo nel vortice del Grande Magazzino. Un cuore spietato spinge globuli supplementari nelle arterie ostruite. L'umanità intera sembra strisciare sotto un gigantesco pacco regalo. Graziosi palloncini translucidi salgono senza sosta dal reparto giocattoli per agglutinarsi lassù, contro la vetrata smerigliata. La luce del giorno filtra attraverso grappoli multicolori. È bello. La cliente tenta invano di interrompere Lehmann che, spietato, delinea il mio futuro curriculum. Niente affatto brillante. Due o tre lavori da fame, nuove esclusioni, la disoccupazione definitiva, un ospizio, e la prospettiva della fossa comune. Quando gli occhi della cliente si posano nuovamente su di me, io sono in lacrime. Lehmann non alza il tono. Batte metodicamente sullo stesso tasto.

Quel che vedo negli occhi della cliente, ora, non mi sorprende. Vedo lei. t bastato che mi mettessi a piangere perché lei prendesse il mio posto. Compassione. Riesce finalmente a interrompere Léhmann nel mezzo di un respiro. Indietro tutta. Ritira il reclamo. Basta che si faccia valere la garanzia del frigorifero, non chiede altro. Inutile farmi rimborsare il cenone per venticinque persone. (A un certo momento, Lehmann deve aver parlato del mio stipendio.) Le dispiacerebbe farmi perdere il posto alla vigilia di una festa. (Lehmann ha pronunciato la parola "Natale" una ventina di volte.) Capita a tutti di sbagliare, lei stessa, non molto tempo fa, sul lavoro...

Cinque minuti dopo, la cliente lascia l'Ufficio Reclami provvista di un buono per un frigorifero nuovo. Il bebè e il passeggino restano per un attimo incastrati nella porta. Lei spinge, con un singhiozzo nervoso.

Lehmann e io restiamo soli. Per un po' lo guardo sbellicarsi dalle risate poi (spompato o che?) mormoro: - Bella squadra di porci, eh?

Spalanca per rispondermi le fauci da cane ringhioso. Ma qualcosa gliele chiude.

Qualcosa che sale dalle viscere del Grande Magazzino.

È un'esplosione sorda. Seguita da urla.

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