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| << | < | > | >> |Pagina 11 [ cronone, lunghezza di Plank ]Consideriamo un po' le scale che ci possono servire per trattare sia dell'Universo, sia della nostra posizione in esso. E' possibile sintetizzare tutte queste scale in un unico diagramma (Figura 1.4). Nella parte sinistra del diagramma sono rappresentate le scale temporali e nella parte destra le corrispondenti scale delle distanze. In basso, a sinistra, c'è la scala temporale più breve che sia fisicamente significativa. Questa scala temporale è di circa 10^(-43) secondi, ed è spesso denominata scala del tempo di Planck o "cronone". Questa scala temporale è più breve di qualsiasi cosa di cui si sia fatta esperienza in fisica delle particelle. Per esempio, le particelle a tempo di vita più breve, dette risonanze, durano circa 10^(-23) secondi. Nella parte superiore del diagramma, a sinistra, è rappresentato il giorno e l'anno, e, in cima al diagramma, l'attuale età dell'Universo.Nella parte destra del diagramma sono rappresentate le distanze corrispondenti a queste scale temporali. La lunghezza corrispondente al tempo di Planck (o cronone) è la fondamentale unità di lunghezza detta lunghezza di Planck. I concetti di tempo di Planck e di lunghezza di Planck emergono in modo naturale quando si cerca di combinare le due teorie fisiche che descrivono rispettivamente il grande e il piccolo, cioè di connettere la teoria generale della relatività di Einstein, che descrive la fisica del molto grande, con la teoria dei quanti, che descrive la fisica del molto piccolo. Il tempo e la lunghezza di Planck risultano fondamentali quando queste teorie vengono messe insieme. Il passaggio dalla parte sinistra alla parte destra del diagramma avviene attraverso la velocità della luce, così che i tempi possono essere tradotti in distanze considerando quanto lontano un segnale di luce può viaggiare in quel lasso di tempo. | << | < | > | >> |Pagina 19 [ coni di luce, causalità ]I coni di luce costituiscono le più importanti strutture nello spazio-tempo. In particolare, rappresentano i limiti dell'influenza causale. La storia di una particella nello spazio-tempo e rappresentata da una linea che attraversa dal basso verso l'alto il diagramma spazio-temporale, e questa linea deve restare all'interno del cono di luce (Figura 1.8). Questo è solo un altro modo per dire che una particella materiale non può viaggiare più veloce della luce. Nessun segnale può passare dall'interno all'esterno del "cono di luce futuro", e così il cono di luce rappresenta davvero i limiti della causalità.| << | < | > | >> |Pagina 32 [ leggi della natura, teoria della relatività, teoria newtoniana ]C'è una morale in tutta questa storia: le motivazioni che spinsero Einstein a dedicare otto e più anni della sua vita a formulare la teoria generale non furono osservative o sperimentali. A volte si dice: "Bene, i fisici cercano degli schemi nei loro risultati sperimentali e poi trovano qualche teoria elegante che si accorda con essi. Forse, ciò spiega perché matematici e fisici lavorino così bene insieme". Ma, nel nostro caso, le cose non andarono affatto così. La teoria fu sviluppata originalmente senza motivazione osservativa, eppure la teoria matematica è assai elegante e fisicamente ben motivata. Il punto è che la struttura matematica è proprie là nella natura, la teoria è realmente là fuori nello spazio; non è stata imposta alla natura da qualcuno. Questo è uno dei punti essenziali di questo primo capitolo. Einstein rivelò qualcosa che "c'era". Inoltre, non indagò solo una qualche parte minore della fisica, ma la cosa più fondamentale che abbiamo in natura, la struttura dello spazio e del tempo.E' un caso lampante, che ci riporta al mio precedente diagramma circa le relazioni tra mondo della matematica e mondo fisico (Figura 1.3). Nella relatività generale abbiamo un tipo di struttura che realmente sottende il comportamento del mondo fisico con precisione straordinaria. Il modo in cui queste fondamentali caratteristiche del nostro mondo sono state scoperte spesso non deriva dall'osservazione di come la natura si comporta, benché anche ciò, ovviamente, sia assai importante. Bisogna essere pronti a respingere teorie che potrebbero essere interessanti da molti punti di vista ma che non si adattano ai fatti. Ma qui abbiamo una teoria che si adatta ai fatti con straordinaria precisione. Tale accuratezza è circa il doppio che nella teoria newtoniana; in altre parole, la teoria generale della relatività è nota per essere corretta per una parte su 10^(14), mentre la teoria newtoniana solo per una parte su 10^(7). Vale la pena di paragonare tale miglioramento all'aumento di precisione con cui si è appurata la correttezza della teoria di Newton tra il diciassettesimo secolo e oggi. Newton sapeva che la sua teoria era corretta per circa una parte su 1000, mentre adesso è considerata corretta per una parte su 10^(7). | << | < | > | >> |Pagina 55Nel capitolo 1 ho sostenuto che la struttura del mondo fisico è dipendente, con estrema precisione, dalla matematica, come è illustrato simbolicamente nella Figura 1.3. E' sorprendente quanto la matematica sia straordinariamente precisa nel descrivere gli aspetti più fondamentali della fisica. In una famosa conferenza Eugene Wigner (1960) ne parla in questi termini: "L'irragionevole efficacia della matematica nelle scienze fisiche". L'elenco dei successi è impressionante: La geometria euclidea è accurata per misurazioni che vanno da ampiezze inferiori a un atomo di idrogeno fino a quelle superiori a un metro. Come si è detto nel capitolo 1, essa non è completamente accurata a causa degli effetti della teoria generale della relatività; tuttavia, per la maggior parte delle esigenze pratiche, la geometria euclidea è davvero molto precisa. La meccanica newtoniana è accurata una parte su 10^(7), ma non lo è in modo completo: di nuovo, abbiamo bisogno della relatività per ottenere risultati più precisi. L' elettrodinamica di Maxwell resta valida per un'enorme gamma di scale, dalle dimensioni delle particelle, quando essa è usata insieme con la meccanica quantistica, fino alla dimensione di galassie distanti, corrispondenti a una scala di 10^(35) o più. La relatività di Einstein, discussa nel capitolo 1, si può dire accurata per circa una parte su 10^(14), grosso modo il doppio della meccanica newtoniana, che si suppone inclusa nella teoria di Einstein. La meccanica quantistica è l'argomento di questo capitolo, ed è anche una teoria straordinariamente accurata. Nella teoria quantistica dei campi, che è la combinazione della meccanica quantistica con l'elettrodinamica di Maxwell e con la relatività ristretta di Einstein, ci sono risultati che possono essere considerati accurati per circa una parte su 10^(11). Nello specifico, in un insieme di unità note come "unità di Dirac", il momento magnetico dell'elettrone è considerato essere 1,001159652(46), contro un valore determinato sperimentalmente di 1,0011596521(93). C'è un aspetto importante che riguarda tutte queste teorie: oltre a essere straordinariamente efficace e accurata nella descrizione del nostro mondo fisico, la matematica è anche straordinariamente feconda in sé. Molto spesso si scopre che qualcuno dei più fertili concetti della matematica si basa su concetti derivati dalle teorie fisiche. Ecco qualche esempio dei tipi di matematica stimolati dalle esigenze delle teorie fisiche: - numeri reali; - geometria euclidea; - calcolo ed equazioni differenziali; - geometria simplettica; - forme differenziali ed equazioni alle derivate parziali; - geometria di Riemann e geometria di Minkowski; - numeri complessi; - spazio di Hilbert; - integrali funzionali; ...e così via. Uno degli esempi più sorprendenti fu la scoperta del calcolo (infinitesimale), sviluppato da Newton e da altri per fornire un fondamento matematico a quella che oggi chiamiamo meccanica newtoniana. In seguito, quando essi vennero applicati alla soluzione di problemi puramente matematici, questi vari tipi di matematica si mostrarono estremamente fecondi di per sé. | << | < | > | >> |Pagina 57Nel capitolo 1 abbiamo esaminato le scale degli oggetti, che vanno dalla distanza di Planck e dal tempo di Planck, le fondamentali unità di lunghezza e di tempo, attraverso le piccole dimensioni incontrate nelle particelle fisiche, che sono circa 10^(20) volte più grandi della scala di Planck, attraverso la scala di lunghezza e la scala temporale umane, le quali mostrano che noi siamo strutture estremamente stabili nell'Universo, fino all'età e al raggio del nostro Universo fisico. Ho menzionato il fatto, abbastanza sconcertante, che nella nostra descrizione della fisica di base ci serviamo di due modi assai differenti per descrivere il mondo, a seconda che stiamo parlando della grande scala o della piccola scala. La Figura 2.1 (che è una riproduzione della Figura 1.5) mostra che noi usiamo la meccanica quantistica per descrivere il piccolo livello di attività dei quanti e la fisica classica per descrivere i fenomeni su larga scala. Ho indicato questi livelli di attività con la lettera U, che sta per Unitario, cioè per il livello dei quanti, e con la lettera C per il livello classico. Ho discusso nel capitolo 1 la fisica su larga scala enfatizzando il fatto che sembrano esserci leggi notevolmente differenti su larga e su piccola scala.| << | < | > | >> |Pagina 67La meccanica quantistica è un campo di ricerca affascinante, e ben definito. Tuttavia, presenta non pochi enigmi. E certamente un campo misterioso e, per molti aspetti, sconcertante o paradossale. Vorrei sottolineare che i suoi misteri sono di due tipi differenti. Li chiamerò misteri Z e misteri X.I misteri Z sono i misteri "rompicapo" [puZZle]: si tratta di cose che sono certamente presenti nel mondo fisico; cioè, ci sono buoni esperimenti che ci dicono che la meccanica quantistica si comporta davvero in questi modi misteriosi. Forse, qualcuno di questi effetti non è stato del tutto controllato, ma restano pochi dubbi sul fatto che la meccanica quantistica, qui, sia corretta. Questi misteri includono fenomeni quali la dualità onda/particella (cui ho fatto prima riferimento), le misurazioni nulle (di cui tratterò tra poco), lo spin (di cui sopra), e gli effetti non locali (di cui mi occuperò tra breve). Si tratta di fenomeni davvero sconcertanti [puzzling], ma soltanto poche persone ne mettono in dubbio la realtà: essi sicuramente fanno parte della natura. Ci sono altri problemi, tuttavia, che ho chiamato misteri X. Sono i misteri che prendono la forma di un "paradosso" [paradoX]. Questi, a mio modo di vedere, sono indicativi del fatto che la teoria è incompleta, sbagliata o qualcos'altro. Tutto ciò richiede ulteriore attenzione. Il principale mistero X riguarda il .cors problema della misurazione, che ho prima discusso cioè, il fatto che le regole cambiano da U a R quando usciamo dal livello quantistico ed entriamo nel livello classico. Potremo forse capire perché nasce questa procedura R, come un'approssimazione, o magari un'illusione, se capissimo meglio come si comportano i sistemi quantistici grandi e complicati? Il più celebre tra i paradossi X è certo il cosiddetto | << | < | > | >> |Pagina 86Non solo viene a mancare una spiegazione del perché il gatto sia in realtà vivo o morto (e non qualche combinazione); ma non c'è niente che spieghi neanche perché il gatto sia percepito come vivo o come morto. Inoltre, nel caso di ampiezze generali w, z, non si spiega perché le probabilità relative siano |W|^2 e |Z|^2 . La mia opinione è che tutto ciò non è sufficiente. Torno al diagramma che mostra il complesso della fisica, ma ora lo modifico per mostrare quello che mi sembra dovrà fare la fisica in futuro (Figura 2.17). La procedura che ho indicato con la lettera R è un'approssimazione a qualcosa che non abbiamo ancora: una cosa che chiamo OR, che sta per Riduzione oggettiva. E una cosa oggettiva: una cosa o l'altra avviene oggettivamente. Ciò che manca è una teoria. OR è un acronimo elegante perché (in inglese) sta anche per "oppure", e questo è veramente quello che succede, una "oppure" l'altra.Ma quando avviene questo processo? Io sostengo che qualcosa non quadra nel principio di sovrapposizione quando esso si riferisce a geometrie dello spazio-tempo significativamente differenti. Abbiamo incontrato il concetto di geometrie dello spazio-tempo nel capitolo 1; due di esse vengono rappresentate nella Figura 2.18(a). Inoltre, nella figura rappresento la sovrapposizione di queste due geometre dello spazio-tempo esattamente nello stesso modo della sovrapposizione di particelle e fotoni. Quando siamo obbligati a considerare la sovrapposizione di differenti spazio-tempo, sorgono non pochi problemi perché i coni di luce dei due spazio-tempo possono puntare in direzioni differenti. Questo è uno dei grandi problemi contro cui ci si scontra quando si cerca seriamente di quantizzare la relatività generale. Cercare di fare fisica all'interno di un tipo di spazio-tempo sovrapposto in maniera così buffa è qualcosa che, a mio avviso, ha finora scoraggiato tutti. | << | < | > | >> |Pagina 92Terminerò il capitolo prendendo in esame le scale temporali esplicite che emergono col mio approccio - ritornerò su questo argomento nel capitolo 3. Quali sono i tempi di decadimento per i sistemi reali nei quali queste sovrapposizioni di spazio-tempo hanno luogo? Per un protone (che consideriamo provvisoriamente come una sfera rigida), la scala temporale è di qualche milione di anni. Questo è compatibile con quanto sappiamo, perché gli esperimenti coll'interferometro su singole particelle hanno mostrato che non possiamo veder accadere questo tipo di cose. Così, ciò è coerente. Se si prendesse una piccolissima goccia d'acqua di raggio lungo circa 10^(-5) cm, il tempo di decadimento sarebbe di qualche ora; nel caso del raggio di un micron, il tempo di decadimento sarebbe di un ventesimo di secondo e, per il raggio di un millesimo di centimetro, sarebbe circa un milionesimo di secondo. Queste cifre indicano il tipo di scale per cui questo genere di fisica comincia a diventare importante.Devo, però, introdurre un altro ingrediente essenziale. Forse, sono stato un po' ironico nei confronti della filosofia FAPP, ma un elemento su cui essa insiste va preso molto sul serio: l'ambiente. L'ambiente ha un'importanza vitale in questo tipo di considerazioni, e nella discussione fin qui non ne ho parlato. Si è così costretti a fare qualcosa di molto più complicato. Si debbono considerare non solo le due particelle sovrapposte, ma la particella con il suo ambiente sovrapposta all'altra particella e al suo ambiente. Si deve attentamente considerare se l'effetto maggiore stia nella perturbazione dovuta all'ambiente o nel movimento della particella. Se è nell'ambiente, l'effetto sarà casuale e non si dovrà far altro che applicare le procedure standard. Se, invece, il sistema può essere sufficientemente isolato, in modo che l'ambiente non sia coinvolto, si potrà assistere a qualcosa di piuttosto differente dall'abituale meccanica quantistica. Sarebbe molto interessante sapere se possono essere suggeriti degli esperimenti plausibili - e conosco varie possibilità sperimentali - che controllino se questo tipo di schema rispecchia ciò che avviene in natura o se la convenzionale meccanica quantistica mantiene la propria validità anche in questi casi, e allora si deve proprio supporre che queste particelle - o anche gatti - debbano persistere in tali stati sovrapposti. Nella Figura 2.22 riassumo quanto si è cercato di fare. In questa illustrazione ho collocato le varie teorie ai vertici di un cubo distorto. I tre assi del cubo corrispondono alle tre costanti di base della fisica: la costante gravitazionale G (asse orizzontale), la velocità della luce espressa nella forma reciproca c^(-1) (asse diagonale), e la costante di Planck-Dirac h (asse verticale verso il basso). Ciascuna di queste costanti è molto piccola in termini ordinari, e può essere considerata eguale a zero con buona approssimazione. Se le consideriamo tutte e tre come zero, otteniamo quella che chiamo fisica galileiana (in alto a sinistra). Una costante gravitazionale diversa da zero ci fa spostare lungo l'asse orizzontale verso la teoria gravitazionale di Newton (la cui formulazione come geometria dello spazio-tempo è stata data da Cartan solo in seguito). Se, invece, ammettiamo che c^(-1) sia diverso da zero, otteniamo la teoria della relatività ristretta di Poincaré, Einstein e Minkowski. La faccia superiore del nostro cubo distorto è completata se assumiamo che entrambe queste costanti siano diverse da zero, e così otteniamo la teoria generale della relatività. Tuttavia, questa generalizzazione non è affatto immediata, e ho alluso a questo fatto nella Figura 2.22 mediante le distorsioni nel quadrato superiore. Considerando h diverso da zero ma tornando per il momento a G=c^(-1)=0, otteniamo la meccanica quantistica. Con una generalizzazione non del tutto diretta, si può includere anche c^(-1) e ottenere cosi la teoria quantistica dei campi. In tal modo viene completata la faccia sinistra del cubo, dove lievi distorsioni alludono al carattere tortuoso del procedimento. A questo punto, voi penserete che quel che resta da fare sia completare il cubo; forse, volete proprio sapere tutto! Però, è noto che i principi della fisica gravitazionale sono fondamentalmente in conflitto con quelli della meccanica quantistica. Questo si vede già nella gravità newtoniana (dove 1/c=O) quando ci serviamo dell'appropriata struttura geometrica (dovuta a Cartan), nella quale si usa il principio di equivalenza di Einstein (secondo cui i campi gravitazionali costanti sono indistinguibili dalle accelerazioni). Questo mi è stato fatto notare da Joy Christian, al quale devo anche l'ispirazione della Figura 2.22. Non è ancora venuta alla luce un'unione convincente tra la meccanica quantistica e la gravità newtoniana che tenga conto pienamente del principio di equivalenza di Einstein, come si fa nella teoria classica grazie alla geometria di Cartan. A mio avviso, quest'unione dovrebbe contemplare il fenomeno della riduzione dello stato quantistico - pressappoco sulla falsariga dell'idea OR presentata in questo capitolo. Tale unione, evidentemente, non sarebbe affatto un completamento immediato della faccia posteriore del cubo della Figura 2.22. La teoria che, considerando tutte e tre le costanti, h, G e c^(-1), completa davvero il "cubo", dovrebbe essere qualcosa di ancora più sottile e sofisticato dal punto di vista matematico. Ecco, chiaramente, un compito per il futuro. | << | < | > | >> |Pagina 104Il punto di vista che ho chiamato A, che talvolta viene indicato come Intelligenza Artificiale forte o funzionalismo (computazionale), asserisce che tutto il pensiero è semplicemente il risultato di calcoli e quindi, se vengono fatti i calcoli appropriati, ne risulterà la consapevolezza.Il secondo punto di vista, che ho chiamato B, afferma che, in linea di principio, si potrebbe simulare l'azione di un cervello quando il suo proprietario è consapevole di qualcosa. La differenza tra A e B è che, per quanto tale attività possa venir simulata, la mera simulazione non avrebbe, secondo B, nessuna sensazione e nessun tipo di consapevolezza; c'è qualcos'altro in più, che è forse connesso alla costruzione fisica dell'oggetto. Quindi, un cervello fatto di neuroni e altro potrebbe raggiungere la consapevolezza, mentre una simulazione dell'attività di quel cervello non potrebbe farlo. Questo, mi sembra, è il punto di vista che è stato proposto da John R. Searle. Inoltre, c'è il mio punto di vista, che ho chiamato C. Secondo questo modo di vedere, in accordo con B, c'è qualcosa nell'azione fisica del cervello che evoca consapevolezza - in altre parole, c'è qualcosa nella fisica che dobbiamo indagare, ma quest'azione fisica non può mai essere simulata computazionalmente. Non c'è simulazione che potrebbe riprodurre quell'azione. Ciò significa che ci dovrebbe essere qualcosa nell'azione fisica del cervello che è al di là della computazione. Tabella 3.1 A Il pensiero è computazione; in particolare, il sentimento di conscia consapevolezza è evocato dalla semplice esecuzione dei calcoli appropriati. B La consapevolezza è espressione dell'azione fisica del cervello; e, mentre qualunque azione fisica può essere simulata computazionalmente, le simulazioni computazionali non possono di per sé evocare consapevolezza. C L'azione fisica del cervello evoca consapevolezza, ma questa azione fisica non può mai essere simulata computazionalmente nel modo appropriato. D La consapevolezza non può essere spiegata in termini fisici, computazionali, o di qualsiasi altro tipo scientifico. Infine, c'è sempre il punto di vista D, secondo cui è del tutto sbagliato considerare siffatte questioni in termini scientifici. Forse, la consapevolezza non può essere spiegata con gli strumenti della scienza. Sono un convinto fautore del punto di vista C, che ammette peraltro non poche varianti. Potremmo distinguere, all'interno di C, una posizione debole e una forte. "C debole" è il punto di vista secondo cui nella fisica (così come la conosciamo) è sufficiente un'osservazione attenta per trovare alcuni tipi di azione al di là della computazione. Chiarirò quasi subito che cosa intendo con "al di là della computazione". Secondo la posizione "C debole", non è necessario indagare al di fuori della fisica conosciuta per trovare un'appropriata azione non computazionale. Per i sostenitori di "C forte", invece, quest'azione si trova al di fuori della fisica nota; la nostra conoscenza fisica è inappropriata per la descrizione della consapevolezza. Come abbiamo visto nel capitolo 2, essa è incompleta; io credo che lo sia davvero, come indicato dalla Figura 2.17. Secondo il punto di vista "C forte", forse la scienza futura spiegherà la natura della coscienza; quella attuale non è in grado di farlo. | << | < | > | >> |Pagina 145Ciò che ammiro di più nel lavoro di Penrose è lo spirito della sua ricerca - la combinazione di esperienza tecnica, coraggio e determinazione nell'andare al cuore del problema. Egli segue la grande esortazione di Hilbert, "Wir müssen wissen, wir werden wissen". Del suo programma di ricerca condivido tre tesi di base. Prima, la natura della mente può essere trattata scientificamente. Seconda, le idee della meccanica quantistica sono importanti per il problema del rapporto mente-corpo. Terza, il problema (entro la meccanica quantistica) dell'attualizzazione delle potenzialità è un problema fisico genuino che non può essere risolto senza modificare il formalismo quantistico. Sono scettico, però, riguardo a molti sviluppi particolari che Penrose deduce da queste tre tesi, e spero che le mie critiche lo stimolino a migliorarli. | << | < | > | >> |Pagina 149Questi due argomenti contro il fisicalismo sono semplici, ma abbastanza solidi. E' difficile capire come possano essere respinti e come la mente possa apparire antologicamente derivata, se non con argomentazioni massicce e molto elaborate. Innanzitutto, non c'è nessuna evidenza dell'esistenza del pensiero al di fuori di sistemi nervosi altamente sviluppati. Come dice Penrose, "Se la 'mente' fosse un qualcosa del tutto esterno al corpo fisico, sarebbe difficile capire perché tanti suoi attributi siano strettamente collegati a proprietà di un cervello fisico" (OM, p. 427). La seconda considerazione è che, con straordinaria evidenza, le strutture neurali sono dei prodotti dell'evoluzione a partire da organismi primitivi privi di tali strutture; anzi, se il programma dell'evoluzione pre-biotica è corretto, la genealogia va estesa all'indietro fino alle molecole inorganiche e agli atomi. La terza considerazione è che la fisica di base non attribuisce proprietà mentali a tali costituenti inorganici."La filosofia dell'organismo" di Alfred North Whitehead (di cui la monadologia di Leibniz può essere considerata un'anticipazione) propone un'ontologia della mente che riprende tutte e tre le considerazioni precedenti, ma con qualche sottile qualificazione. Le sue entità ultime sono "occasioni attuali", che non sono entità permanenti ma quanta spaziotemporali, ognuno dei quali è dotato - normalmente a un liveho molto basso - di caratteristiche mentali come "esperienza", "immediatezza soggettiva", "appetizione". I significati di questi concetti sono derivati dalla vita mentale che conosciamo introspettivamente, ma sono anche ampiamente estrapolati da quella base familiare. Una particella fisica elementare, che Whitehead concepisce come catena temporale di occasioni, puo essere caratterizzata adeguatamente attraverso i concetti della fisica ordinaria, dato che la sua esperienza è oscura, monotona e ripetitiva; tuttavia, vi sono alcune cose che vanno perdute: "la nozione di energia fisica, che è alla base della fisica, deve allora essere interpretata come un'astrazione derivata dalla complessa energia, emozionale ed intenzionale, inerente alla forma soggettiva della sintesi finale in cui ogni occasione tende a completare sé stessa". Solo l'evoluzione di "società" di occasioni altamente organizzate permette al pensiero primitivo di diventare intenso, coerente e pienamente consapevole: "il comportamento della materia inorganica resta immutato anche quando essa fa parte della materia vivente. Sembra che nei corpi viventi si sia realizzata una coordinazione che pone su un piano di preminenza certi modi di funzionare inerenti alle occasioni ultime". | << | < | > | >> |Pagina 151Il concetto più radicale della teoria dei quanti è che uno stato completo di un sistema - vale a dire, che specifica il sistema in modo massimale - non è esaurito da un elenco di proprietà attuali del sistema, ma deve includere delle potenzialità. L'idea di potenzialità è implicita nel principio di sovrapposizione. [...] Se lo stato quantistico è interpretato realisticamente, come una rappresentazione del sistema come esso è, piuttosto che come un compendio di conoscenze su di esso, e se la descrizione quantistica è completa, non suscettibile di alcuna modificazione con "variabili nascoste", allora questa indeterminazione è oggettiva. Inoltre, se un sistema interagisce con il proprio ambiente in modo tale che A diventa definito, per esempio mediante una misurazione, allora il risultato è materia di casualità oggettiva, e le probabilità |ci|^2 dei vari risultati possibili sono probabilità oggettive. Questi tratti dell'indeterminatezza oggettiva, della casualità oggettiva e della probabilità oggettiva sono riassunti nella caratterizzazione dello stato quantistico come rete di potenzialità. Il secondo concetto radicale della teoria quantistica è l'intreccio [entanglement]. [...] | << | < | > | >> |Pagina 156 [ teoria quantistica delle mente, psicologia quantistica ]Se una versione modernizzata di Whitehead, o una qualsiasi teoria quantistica della mente, sta per raggiungere la maturità e l'approvazione scientifica, allora dovrebbe essere riservata una maggiore attenzione ai fenomeni psicologici. Alcuni di essi hanno un "sapore quantistico": per esempio, il passaggio dalla visione periferica a quella focale; la transizione dalla consapevolezza alla non consapevolezza; la presenza diffusa della mente nel corpo; l'intenzionalità; le anomalie nella localizzazione temporale degli eventi mentali; le "confusioni" e le ambiguità del simbolismo freudiano. Parecchi libri riguardanti le relazioni tra la meccanica quantistica e la mente hanno esaminato fenomeni mentali che hanno tale sapore quantistico, in particolare quelli di Lockwood e di Stapp. Anche Penrose ha discusso alcuni di questi fenomeni, per esempio gli esperimenti di Kornhuber e Libet sulla regolazione degli aspetti attivi e passivi della coscienza (OM, pp. 469-470).Un'applicazione seria della teoria dei quanti alla mente dovrebbe considerare anche la struttura matematica dello spazio degli stati e dell'insieme delle osservabili. Questo non è dato dal quadro concettuale quantistico. Nel caso della meccanica quantistica standard, non relativistica e della teoria quantistica dei campi queste strutture vengono determinate in vari modi: considerando la rappresentazione dei gruppi per lo spazio-tempo; grazie a un'euristica basata sulla meccanica classica e sulla teoria classica dei campi e, naturalmente, attraverso la sperimentazione. Uno dei più importanti lavori di Schödinger sulla meccanica delle onde, del 1926, ci offre un'analogia meravigliosamente feconda: l'ottica geometrica sta all'ottica ondulatoria così come la meccanica delle particelle sta a un'ipotetica meccanica delle onde. Non potrebbe essere euristicamente produttivo considerare una nuova analogia: la fisica classica sta alla fisica quantistica così come la psicologia classica sta a un'ipotetica psicologia quantistica? Naturalmente, una delle difficoltà nell'uso di questa analogia è che la struttura della "psicologia classica" è molto meno nota e, forse, meno definita al suo interno della struttura della meccanica classica. Ecco un'altra proposta. Forse, i concetti quantistici possono essere applicati alla psicologia, ma non con una struttura geometrica così forte come nella fisica quantistica. Anche se esistesse qualcosa come lo spazio degli stati mentali, potremmo sostenere che questo spazio ha la struttura, poniamo, di uno spazio di Hilbert proiettivo? Nello specifico, si potrebbe davvero definire un prodotto interno tra due stati mentali, che determinerebbe la probabilità di transizione da uno all'altro? Non potrebbe darsi che in natura esista una struttura più debole, anche se ancora di tipo quantistico? Ci sono molti contributi interessanti di Mielnik che propongono come concetto quantistico minimo l'esprimibilità di uno stato "misto" in più di un modo come combinazione convessa di stati puri, mentre nella meccanica statistica classica uno stato misto può essere espresso in termini di stati puri soltanto in un modo. | << | < | > | >> |Pagina 161Abbiamo discusso Ombre della mente di Roger Penrose nel seminario congiunto della London School of Economics/King's College di Londra entro la serie dedicata a Filosofia: scienze o teologia. Vorrei cominciare colla stessa domanda che mi è stata rivolta da uno dei partecipanti al seminario: "Quali sono le ragioni per cui Penrose ritiene che le risposte ai problemi riguardanti la mente e la coscienza vadano cercate nella fisica, e non nella biologia?". Direi che Penrose avanza tre tipi di ragioni: 1. Tale programma di ricerca è molto promettente; mi sembra che questa potenzialità costituisca la motivazione più forte. Positivista come sono, contraria allo stesso tempo alla metafisica e alle argomentazioni trascendentali, io sarei propensa ad affermare persino che è il solo tipo di argomentazione a cui dovremmo dare peso. Naturalmente, la forza con cui un'argomentazione sostiene un progetto dipende da quanto è promettente il programma - e da quanto è dettagliato. E' però chiaro che la proposta di Penrose - supporre in primo luogo una coerenza quantistica macroscopica attraverso i microtubuli del citoscheletro e poi indagare con un nuovo tipo di interazione quantistico-classica le particolari caratteristiche non computazionali della coscienza - non costituisce un programma dettagliato. | << | < | > | >> |Pagina 166 [ realismo/imperialismo della fisica ]In parte, la ragione per pensare che tutto debba essere fisica è, credo, una tesi sulla chiusura: si suppone, infatti, che i concetti e le leggi di una buona teoria fisica costituiscano un sistema in sé chiuso, e che questa sia la condizione per fare buone predizioni. Ritengo che si tratti di una visione errata o per lo meno irragionevolmente ottimistica - del successo della fisica. Mentre l'idea della "sopravvenienza" divenne preminente in filosofia, si impose anche l'idea di scienza particolare. Essenzialmente, tutte le scienze, eccetto la fisica, sono scienze particolari. Ciò significa che, nel migliore dei casi, le loro leggi valgono ceteris paribus. Valgono solo finché non sorge nessuna interferenza proveniente dall'esterno del dominio della teoria in questione.Ma che cosa genera la fiducia che le leggi della fisica siano qualcosa di più di leggi ceteris paribus? Essa non è giustificata dai nostri sorprendenti successi di laboratorio; così come non lo era dalle straordinarie scoperte di Newton circa il sistema dei pianeti, che tanto impressionarono Kant. E non viene giustificata neppure dalle grandi ricadute tecnologiche della fisica - tubi a vuoto o transistor o magnetometri SQUID. Infatti, questi strumenti vengono costruiti per garantire l'assenza di interferenze. Essi non controllano se le leggi sono ancora buone quando entrano in gioco fattori esterni al dominio della teoria. C'è solo una fede generale che, nel caso della fisica, nulla possa interferire a eccezione di ulteriori fattori che potranno essere decritti nel linguaggio della fisica e che risulteranno sottoposti alle sue leggi. Ma è proprio questo il punto in discussione. Voglio chiudere con un'osservazione sul realismo. Ho proposto, in breve, un tipo di visione pluralistica in cui tutte le scienze vengano messe l'una accanto all'altra sullo stesso piano con i vari tipi di interazione tra i fattori studiati nei loro differenti domini. Quest'immagine si accompagna spesso a una visione della scienza come una mera costruzione umana che non rispecchia la natura. Non si tratta, però, di una connessione necessaria. Kant traeva esattamente la conclusione opposta: è proprio perché costruiamo la scienza che un sistema unificato diventa non solo possibile, ma necessario. Ciò nonostante, oggi la posizione pluralistica è associata spesso al costruttivismo sociale. Perciò è importante sottolineare che il pluralismo non implica l'antirealismo. Dire che le leggi della fisica sono vere ceteris paribus non vuol dire negare che esse siano vere. Semplicemente, la loro sovranità non è illimitata. Non è il realismo della fisica, ma il suo imperialismo a essere messo in crisi dal pluralismo. Non intendo, dunque, mettere in discussione il realismo scientifico. Vorrei invece che Penrose riesaminasse il suo impegno metafisico secondo cui deve essere la fisica a spiegare tutto. E' questo l'autentico presupposto di tutta la discussione su un tipo di fisica o sull'altro. Il problema non è se le leggi della fisica siano vere e se debbano in qualche modo sostenere il peso delle operazioni della mente, ma se siano tutta la verità e se tocchi esclusivamente a loro l'onore e l'onere della spiegazione scientifica. | << | < | > | >> |Pagina 169Per iniziare, devo confessare che sono un riduzionista spudorato. Ritengo che le leggi della biologia possano venir ridotte a quelle della chimica. Come sappiamo, questo è già accaduto con la scoperta della struttura del DNA. Credo inoltre che le leggi della chimica, a loro volta, possano venir ridotte a quelle della fisica. Penso che i chimici, in maggioranza, sarebbero d'accordo. Penrose e io abbiamo lavorato insieme sulla struttura a larga scala dello spazio e del tempo, incluse singolarità e buchi neri. Eravamo abbastanza d'accordo sulla teoria classica della relatività generale; il disaccordo è cominciato a emergere quando ci siamo avvicinati alla gravità quantistica. Adesso abbiamo approcci differenti al mondo, fisico e mentale. Sostanzialmente, Roger è un platonista che crede ci sia un unico mondo di idee che descrive un'unica realtà fisica; io sono, invece, un positivista, convinto che le teorie fisiche siano solo modelli matematici costruiti da noi, e che sia senza significato chiedersi se essi corrispondano alla realtà, solo perché rendono possibili previsioni a livello osservativo. Questa differenza d'approccio ha portato Penrose a fare nei capitoli 1-3 tre affermazioni con cui sono fortemente in disaccordo. La prima è che la gravità quantistica causa quella che lui chiama OR, la riduzione oggettiva della funzione d'onda. La seconda è che questo processo ha un ruolo importante nelle operazioni del cervello attraverso il suo effetto su flussi coerenti nei microtubuli. E la terza è che a causa del teorema di Gödel qualcosa simile all'OR è necessario per spiegare la consapevolezza di sé. Iniziamo dalla gravità quantistica, che è ciò che conosco meglio. La riduzione oggettiva di Penrose della funzione d'onda è una forma di decoerenza. Questa decoerenza può occorrere attraverso interazioni con l'ambiente o attraverso fluttuazioni nella topologia dello spazio-tempo. Ma Roger non accetta nessuno di questi meccanismi. Invece, sostiene che ciò avviene a causa della leggera deformazione dello spazio-tempo prodotta dalla massa di un piccolo oggetto. Ma, stando alle idee correnti, quella curvatura non impedisce un'evoluzione hamiltoniana senza decoerenza e riduzione oggettiva. Può essere che le idee correnti siano errate, ma Penrose non ci ha posto di fronte a una teoria dettagliata che ci permetta di calcolare quando la riduzione oggettiva dovrebbe aver luogo. Il motivo per cui Penrose ci pone di fronte alla riduzione oggettiva sembra nascere dallo sfortunato gatto di Schrödinger nel suo stato di metà vivo, metà morto. Certo, in questi giorni di trionfo del movimento animalista, nessuno oserebbe suggerire una simile procedura, anche solo come esperimento mentale. Tuttavia, Penrose afferma che la riduzione oggettiva è un effetto così debole da non potere essere distinto sperimentalmente dalla decorrenza causata dall'interazione con l'ambiente. Se è così, allora la decoerenza ambientale può spiegare il gatto di Schrödinger. Non c'è necessità di invocare la gravità quantistica. Se la riduzione oggettiva non è un effetto abbastanza forte da essere misurato sperimentalmente, allora non può fare ciò che Penrose vuole che faccia. La seconda affermazione di Penrose è che la riduzione oggettiva ha un'influenza significativa sul cervello, forse attraverso i suoi effetti sui flussi coerenti nei microtubuli. Non sono un esperto sul modo di operare del cervello, ma questa tesi mi sembra piuttosto inverosimile, anche credendo nella riduzione oggettiva (in cui, peraltro, non credo). Non posso pensare che il cervello contenga sistemi che siano isolati fino al punto da consentire la distinzione tra riduzione oggettiva e decoerenza ambientale. Se fossero così bene isolati, essi non interagirebbero abbastanza rapidamente per prendere parte ai processi mentali. La terza affermazione di Penrose è che la riduzione oggettiva è in qualche modo necessaria dal momento che il teorema di Gödel implica che una mente cosciente non sia computabile. In altre parole, Penrose ritiene che la coscienza sia qualcosa che concerne specificamente gli esseri viventi e che, dunque, non possa essere simulata su un computer. Ma non chiarisce come la riduzione oggettiva potrebbe spiegare la coscienza. Piuttosto, la sua argomentazione sembra essere che la coscienza è un mistero e la gravità quantistica è un altro mistero, e che quindi deve esistere una relazione tra tali due "misteri". Personalmente, mi sento a disagio quando le persone, in speciale modo dei fisici teorici, parlano di coscienza. La coscienza non è una qualità che si può misurare dall'esterno. Se un omino verde dovesse apparire domani davanti alla nostra porta, non avremmo modo di dire se è conscio e autocosciente, o se è solo un robot. Preferisco parlare dell'intelligenza che è una qualità che può essere misurata dall'esterno. Non vedo alcuna ragione per cui l'intelligenza non potrebbe essere simulata su un computer. E' indubbio che, per il momento, non siamo in grado di simulare l'intelligenza umana, e Penrose lo ha mostrato con il problema degli scacchi. Ma Roger ammette pure che non c'è nessuna linea divisoria tra intelligenza umana e animale. Pertanto, gli sarebbe stato sufficiente considerare l'intelligenza di un lombrico. Non credo che si possa mettere in dubbio la possibilità di simulare il cervello di un lombrico su un computer. L'argomento di Gödel non è appropriato perché i lombrichi non si preoccupano degli enunciati. L'evoluzione dai cervelli dei lombrichi a quelli umani presumibilmente ha avuto luogo per selezione naturale, come voleva Darwin. La qualità selezionata fu l'abilità nello sfuggire ai nemici e nel riprodursi, non quella a fare matematica. Cosi, il teorema di Gödel, di nuovo, non è pertinente. Semplicemente, l'intelligenza necessaria per la sopravvivenza può essere usata anche per costruire dimostrazioni matematiche. |
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