Copertina
Autore Georges Perec
Titolo L'infra-ordinario
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 1994, Varianti
OriginaleL'infra-ordinaire [1989]
TraduttoreRoberta Delbono
LettoreRenato di Stefano, 1996
Classe narrativa francese
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Indice


 11   Approcci di cosa?

 15   La rue Vilin

 29   Duecentoquarantatré cartoline
      illustrate a colori autentici

 67   Tutt'intorno a Beaubourg

 74   Passeggiate londinesi

 83   Sancta sanctorum

 89   Tentativo d'inventario degli
      alimenti liquidi e solidi che ho
      ingurgitato durante
      l'anno millenovecentosettantaquattro

 98   Still life/Style leaf

109   Riferimenti bibliografici

 

 

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Pagina 11

Approcci di cosa?


Quel che ci parla, mi pare, è sempre l'avvenimento, l'insolito, lo straordinario: articoli in prima pagina su cinque colonne, titoli a lettere cubitali. I treni cominciano a esistere solo quando deragliano, e più morti ci sono fra i viaggiatori, più i treni esistono; gli aerei hanno diritto di esistere solo quando sono dirottati; le macchine hanno come unico destino quello di schiantarsi contro i platani: cinquantadue week-end all'anno, cinquantadue bilanci: tanti sono i morti e tanto meglio per l'informazione se le cifre non fanno che aumentare! Dietro a un avvenimento ci deve essere uno scandalo, un'incrinatura, un pericolo, come se la vita dovesse rivelarsi soltanto attraverso lo spettacolare, come se l'esemplare, il significativo, fosse sempre anormale: cataclismí naturali o sconvolgimento storici, conflitti sociali, scandali politici...

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Pagina 67

Tutt'intorno a Beaubourg


C'è innanzitutto, sbucando dal lato della rue Saint-Martin, la piazza, leggermente in discesa, che moderni giocolieri, funamboli e saltimbanchi hanno colonizzato spontaneamente fin dai primi giorni. Basta che ci sia un raggio di sole perché, fin dal mattino, la festa cominci: qui, un gruppo di mangiafuoco o di spezzacatene dai pettorali rilucenti e dai tatuaggi ben visibili; là, un ammaestratore di cani che sistema con pignoleria i suoi tappetini, la sua scaletta e la fragile piattaforma in cima alla quale i suoi cagnolini si metteranno gentilmente a camminare su due zampe contando fino a tredici con la coda; là, i giocolieri, i monociclisti, i mimi, i suonatori di organetti di Barberia; là ancora, un sassofonista solitario che improvvisa su My Funny Valentine, un flautista andino con due chitarristi in poncho e un suonatore di tamburo, una banda dagli ottoni ben lustri, o un quartetto d'archi che suona con grazia un pezzo di Boccherini; [...]

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Pagina 74

Passeggiate londinesi


La prima volta che vidi Londra, la trovai francamente brutta. Dovevo avere tredici anni. Le due signore del paesino del Surrey dove ero stato mandato probabilmente, diciamolo pure, per perfezionare il mio inglese, mi condussero a trascorrere una giornata a Londra dove, di quando in quando, andavano a fare spese. Non so più bene a cosa fu dovuta questa mia delusione, forse al fatto che la giornata consistette essenzialmente nell'andare da un negozio all'altro, cosa che a queh'epoca non mi interessava affatto. Mi ricordo che andammo a vedere il cambio della Guardia (changing the Guard), che passeggiammo a Hyde Park, dove venni a sapere che il laghetto si chiamava «la serpentina» e che il nome di uno dei suoi viali, chiamato Rotten Row («stradina marcia»), derivava semplicemente dalla sua antica denominazione francese «route du Roi». Credo che andammo anche a vedere il museo delle cere di Madame Tussaud. Ad ogni modo, alla fine della giornata, ero sfinito...

A quell'epoca, Giorgio VI era ancora re d'Inghilterra; la carne, il tè, i dolciumi continuavano a essere razionati.

Da allora sono tornato parecchie volte a Londra, a volte per qualche ora, a volte per qualche giorno. L'aereo della sera è appena decollato e già comincia la discesa su Heathrow. E ogni volta che, qualche minuto prima di posarsi, buca lo strato di nuvole e si scopre a perdita d'occhio la quadrettatura infinita dei lampioni dalla luce giallo arancio, si prova la sensazione di arrivare nella città delle città. Anche se Londra non è più da molto tempo la più grande metropoli del mondo, resta pur sempre il simbolo del mondo, resta pur sempre il simbolo stesso di quello che è una città: qualcosa di tentacolare eppure incompiuto, una mescolanza d'ordine e d'anarchia, un gigantesco microcosmo nel quale è venuto agglomerandosi tutto quello che gli uomini hanno prodotto nel corso dei secoli. Un semplice dato linguistico testimonia di questa esacerbazione cittadina: dove i francesi arrivano a malapena a sette parole per designare quello che con un termine generico si suol chiamare via (rue, avenue, boulevard, place, cours, impasse, venelle), gli inglesi ne posseggono almeno venti (street, avenue, place, road, crescent, row, lane, mews, gardens, terrace, yard, square, circus, grave, greens, houses, gate, ground, way, drive, walk ecc.); [...]

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Pagina 98

Still life/Style leaf


La scrivania sulla quale lavoro è un antico tavolo da gioielliere, in legno massiccio, munito di quattro grandi cassetti, e il cui piano di lavoro, leggermente concavo rispetto ai bordi, probabilmente per impedire alle perle che un tempo vi venivano vagliate di cadere per terra, è tappezzato con un drappo nero a trama fitta. È illuminato da una lampada snodata, di metallo blu, dal paralume conico, fissata con una specie di sergente a uno dei ripiani sistemati in una rientranza del muro, a sinistra e leggermente oltre il tavolo. All'estrema sinistra del tavolo, si trovano due portaoggetti rettangolari, in vetro di un certo spessore, disposti l'uno accanto all'altro. Il primo contiene una gomma biancastra sulla quale è scritto in nero STAEDLER MARS PLASTIC, un tagliaunghie d'acciaio brunito, una bustina di minerva che offre su uno sfondo giallo-arancione, un disegno rosso alla Vasarely, una calcolatrice tascabile, marca CASIO, sulla quale il numero 315308, letto al rovescio, dà la parola BOESIE, una specie di gioiello composto da due minuscoli coccodrilli incrociati, un pesciolino d'ottone con gli occhi di vetro, la cui pinna ventrale è una manovella che permette di svolgere e di riavvolgere il metro da sarto nascosto all'interno del suo corpo e la cui estremità altro non è che la coda mobile dell'animale e, infilate su un sottile pezzo di cartone, tre medaglie finemente lavorate a forma di foglie e ghiande di quercia, sulle quali sono rispettivamente incise: «SEBASTOPOL», «TRAKTIR» e «ALMA». Il secondo contiene un MULTI PURPOSE SNAP OFF BLADE CUTTER MADE IN JAPAN, marca OLFA, una pinzetta tirapeli, un accendino gettabile sul quale è scritto L'AUTOMOBILE, un grosso pennarello verde, un nastro adesivo, una gomma biancastra (senza scritta), un piccolo levacapsule d'acciaio col manico di madreperla, un temperino, un raschietto di acciaio col manico di plastica in finta tartaruga, e una serie di quadratini ritagliati più o meno regolarmente in un cartoncino spesso tra i quali quello in alto porta la lettera C, tracciata con un pennarello nero. Davanti a questi due portaoggetti si trovano, da sinistra a destra: un portafiammiferi a tronco di cono, decorato semplicemente con due strisce verde pallido, contenente una trentina di zolfanelli; un minuscolo posacenere rotondo di ceramica bianca, la cui decorazione, a dominante verde, rappresenta il monumento ai Martiri di Beirut, ossia, per quanto la precisione del disegno permetta di giudicare, al centro di una piazza [...]

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