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| << | < | > | >> |Indice9 Prefazione. Fair trade not aid 15 1. Globalizzazione e società 1. Verso l'insicurezza globale, 15 2. La globalizzazione: tra mitologie e realtà, 19 3. La polarizzazione sociale su scala mondiale, 28 4. Un mondo in saldo, 31 36 2. Il vitello d'oro: il dominio della moneta e il futuro dell'umanità 1. I nuovi abitanti dell'Olimpo,36 2. La metamorfosi della moneta, 39 3. La legge di Gresham e il destino della moneta, 42 4. Il denaro, la merce e il futuro dell'umanità, 47 5. Moneta e società: economia virtuale ed economia reale, 50 56 3. Etica e capitalismo: le risposte della società civile internazionale 1. Il bisogno di etica nell'era della mercificazione globale,56 2. Mercato capitalistico ed economia di mercato: le risposte della società, 60 3. Le ONG, l'economia popolare e il mercato globale, 62 4. Movimenti sociali e imprese non profit, 67 5. La finanza etica, ovvero del recupero del valore sociale della moneta, 73 80 4. Il grande racconto: origini e sviluppo del commercio equo e solidale 1. Alle origini del fair trade, 80 2. Le radici culturali del fair trade, 83 3. I luoghi dello scambio: la nascita dei world shops, 87 4. La diffusione delle botteghe del mondo, ovvero quando i prodotti hanno una storia, 91 5. Alla ricerca di un prezzo «equo», 97 6. Il fair trade e il commercio internazionale: prezzi, crediti e consumi etici, 104 111 5. Potenzialità e limiti del fair trade 1. Il fair trade e l'economia politica, 111 2. Il dono e il mercato, 116 3. Innovazione e tradizione: il regno della moda versus il patrimonio culturale, 119 4. Il comportamento dei consumatori nella teoria e nella prassi: il valore dell' informazione, 123 5. Oltre la legge di Engel: mercati alimentari, movimento dei consumatori e ruolo del fair trade, 129 6. Contraddizioni e limiti del fair trade, 135 143 6. Il futuro della solidarietà internazionale: la regolazione dal basso del mercato capitalistico 1. La bici e l'auto: le vie per un'alternativa al capitalismo reale, 143 2. La crisi delle istituzioni internazionali e la necessità della regolazione dal basso del capitalismo, 147 3. Per un'etica «fuori mercato»: il senso e la direzione del fair trade, 152 159 Note 181 Riferimenti bibliografici |
| << | < | > | >> |Pagina 9PrefazioneFair trade not aid Il crollo del muro di Berlino ha sancito la disfatta definitiva del socialismo reale. Una catastrofe annunciata dalle sconfitte che si erano registrate, nel ventennio 1970-90, di tutte le vie nazionali al socialismo (dal socialismo africano di Julius Nyerere al sandinismo del comandante Daniel Ortega). Il «secolo breve» come l'ha definito Hobsbawm (1996) ha decretato il fallimento di tutti i modi di produzione ideali, realizzati da partiti che, pur partendo da ideologie differenti (come lo sono il nazismo e il comunismo), avevano in comune il metodo: prendere con la forza il Palazzo d'Inverno e imporre un primato della politica sull'economia, puntando sulla costruzione, a tappe forzate, dell' uomo nuovo che sostituisse l' homo aeconomicus creato dal capitalismo, teso unicamente al suo «particulare» benessere materiale. Questi fallimenti hanno rilanciato, nell'ultimo scorcio del secolo XX, l'ideologia neoliberale, rafforzando la convinzione che l'economia capitalistica, retta dal principio della massimizzazione del profitto, fosse il punto di approdo della storia dell'umanità, il termine della sua naturale evoluzione. Da queste premesse nasce quello che è stato definito il «pensiero unico», una visione unilineare della storia che cancella qualunque istanza di cambiamento radicale e confina nel regno delle utopie le speranze di liberazione - dalle ingiustizie, dalla miseria, dal lavoro coatto - di gran parte dell'umanità. Se guardiamo a questo secolo attraverso le lenti giganti del Potere, vale a dire della coppia Stato-Mercato, difficilmente riusciremo ad andare al di là del «pensiero unico», a immaginare un cammino diverso, un'alternativa credibile al dominio del denaro e del processo di accumulazione del capitale. Ma, se scendiamo nei «sotterranei della storia», tra i campesinos della sierra o nei barrios miserabili dell'America Latina, nelle bidonvilles africane o nelle water-houses delle megalopoli asiatiche, così come se entriamo nelle allucinanti banlieues delle nostre metropoli, scopriamo che c'è una società umana che si inventa la vita ogni giorno, che non si piega ai diktat della Banca mondiale o alle ricette avvelenate del Fondo monetario internazionale, ma che sperimenta, nel Nord come nel Sud del mondo, altre forme di economia, altri modi di gestire il rapporto «economia-società». E nel mare magnum di questo mondo vitale, spesso genericamente identificato con l'economia informale, esistono tutta una serie di reti sociali, di sperimentazioni e innovazioni, che ci mandano un segnale forte: i giochi non sono fatti, la ricerca di una società più giusta e vivibile, più rispettosa della dignità dell'uomo e del valore della natura, cammina, tra mille difficoltà e contraddizioni, in tutte le grandi periferie del mondo. L'economia solidale, come la definisce Laville (1998), avanza in vari modi, nel Nord come nel Sud, coinvolgendo sia gli «esclusi» dallo sviluppo sia chi soffre dell'ipersviluppo, tutti ugualmente colpiti, a vario titolo, dal processo di mercificazione su scala mondiale. Trent'anni fa, quando un gruppo di giovani sessantottini inaugurò a Breukelen, una piccola città olandese, il primo world shop (bottega del mondo), non avrebbe potuto immaginare quale sviluppo avrebbe avuto il movimento del fair trade (commercio equo). In pochi anni la pratica del commercio equo e solidale si diffuse in tutta l'Europa settentrionale, coinvolgendo migliaia di volontari e centinaia di associazioni. In trent'anni, attraverso migliaia di progetti, grandi e piccoli, centinaia di migliaia di produttori agricoli e artigianali di Africa, Asia e America Latina, sono entrati in contatto, in relazione d'amicizia, con le organizzazioni europee (nordamericane, giapponesi, australiane ecc.) del fair trade. Se all'inizio sono stati soprattutto i volontari e i cooperanti delle ONG (Organizzazioni non governative) del Nord che hanno preso i primi contatti con le associazioni dei produttori, le cooperative, le comunità di villaggio del Sud, successivamente sono stati gli stessi produttori associati che hanno contattato la rete del fair trade. Ne sono nate idee, progetti, prime forme di collaborazione che col tempo sono state perfezionate e che tuttora sono soggette a continui miglioramenti perchè il movimento per un commercio equo non nasce da un'ideologia che si vuole imporre alla realtà, ma dalla sperimentazione e incarnazione di un bisogno di giustizia che come tale è continuamente soggetto ad aggiustamenti e riflessioni critiche. Da queste spinte dal basso, in modo del tutto spontaneo, sono nati migliaia di punti vendita del fair trade, le cosiddette «botteghe del mondo», che costituiscono luoghi di scambio alternativi a quelli del mercato capitalistico: luogo di scambio culturale, di campagne d'informazione e sensibilizzazione, prima ancora che luoghi di vendita. Nella gestione delle oltre 3500 botteghe del mondo, solo in Europa, sono impegnati circa 60000 volontari in 15 paesi e vi lavorano qualcosa come 4000 persone. Questo mix di lavoro e volontariato, cementato da un forte senso dell'agire comune ha fatto sì che le botteghe crescessero a un tasso medio annuo del 20 per cento, nel periodo 1984-94. Una performance che poche imprese for profit possono vantare. E questa crescita ha significato il coinvolgimento di più di un milione di lavoratori del Sud del mondo che sono entrati nell'area dello scambio «equo», che significa: prefinanziamento del 50 per cento al momento del contratto, un prezzo dei beni tale da consentire una vita dignitosa ai lavoratori e una quota di guadagno da destinare alla comunità per servizi primari (istruzione, sanità ecc.). Lo slogan fair trade not aid, con cui è partito trent'anni fa il movimento per un commercio equo, si è dimostrato vincente. Quello che poteva apparire come un gesto di buona volontà, o di testimonianza, si è trasformato in una organizzazione moderna dotata di grande flessibilità e capacità d'innovazione. Certo, rispetto ai numeri del commercio internazionale, i circa mille miliardi di fatturato del commercio equo, su scala mondiale, possono apparire come una goccia nell'oceano. Ma, il fatto che nell'era della globalizzazione si sia aperta una finestra per offrire un'alternativa praticabile al predominio del capitale internazionale, dimostra quali grandi potenzialità si aprono oggi, nel villaggio globale, per tutte le organizzazioni sociali che puntano sul primato della dignità umana, della crescita sociale e culturale. Vale a dire: esiste un altro esito possibile della globalizzazione, che utilizzando a fini sociali le nuove tecnologie della comunicazione, può dare alla società umana una chance di rivincita sulle cosidette leggi della economia capitalistica.
Questo testo nasce sia dalla curiosità di capire le
dinamiche di questo straordinario fenomeno sociale che in
Italia è conosciuto come «commercio equo e solidale», sia
dal desiderio di indagare sulle potenzialità del fair trade
e di tutti quei movimenti (come la finanza etica, la
cooperazione popolare ecc.) che sulla base di una forte
spinta etica stanno producendo fatti economici sempre più
rilevanti.
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