Copertina
Autore Erberto Petoia
Titolo Miti e leggende degli zingari
EdizioneMuzzio, Roma, 2004, Parola di Fiaba , pag. 255, dim. 130x220x23 mm , Isbn 978-88-7413-077-1
CuratoreErberto Petoia
PrefazioneErberto Petoia
LettorePiergiorgio Siena, 2004
Classe favole , fiabe , miti , mitologia
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Indice


INTRODUZIONE

"Animali bruti e furenti", 11
"E se non sono morti, vivono ancora oggi", 35

COSMOGONIA ZINGARA

L'albero della vita, 49
Il Puro Del crea il primo mondo,52
La separazione del Cielo dalla Terra, 57
La creazione delle montagne, 59
Sour e Tchandi, 62

LE ORIGINI DEGLI ZINGARI

Quando gli zingari erano uccelli, 67
I discendenti di Noè, 69
L'origine dei Sinti, 73
I testimoni dei tempi, 75
Il grande Mara crea lo zingaro, 77
La creazione dell'uomo perfetto: lo zingaro, 80

PER SEMPRE NOMADI

La leggenda di Tchen e Gan, 85
I chiodi della passione, 88
La nascita dello stramonio, 94
Il popolo del Faraone, 97
La distruzione del primo mondo, 100
La morte del re degli zingari, 103

LE FATE DEL DESTINO

Le fate del destino: le Urmes, 107
Le tre donne bianche, 112
Le Keshali,119
Ana: la regina delle Keshali, 122
Le Ursitory, 124
Dio e le donne del destino, 127

DEMONI E STREGHE

Il Loçolico: il demone della lussuria, 135
Un piccolo demone: il Cignomanush, 138
La bella Nivashi, 140
Il Phuvusch: il demone sotterraneo, 146
Le streghe degli zingari: le Holypì, 150

VAMPIRI E LICANTROPI

Il vampiro, 157
Il Mulo, 163
Il bambino nato morto, 163
Le fanciulle rapite, 165
Il lupo mannaro, 167

NEL REGNO DEI MORTI

Le tre uova, 173
Il fanciullo nel regno dei morti, 177
Il marito geloso, 180
Il figlio del morto, 186

LE FESTE E LE LEGGENDE

L'albero di tutti i semi, 191
Il verme della fortuna, 194
Sara la Nera: la santa senza aureola, 197

LO ZINGARO E LA MUSICA

La fanciulla e il diavolo, 207
Come lo zingaro costruì il primo violino, 211
Come lo zingaro diventò musicista, 214
Lo zingaro e la principessa, 216

LO ZINGARO LADRO E BUGIARDO

II furto perdonato, 227
Le zingare e il calvario di Gesù, 228
Il chiodo rubato, 231
La colpa è di nostro Signore, 234
Come lo zingaro diventò bugiardo, 237
San Giorgio e gli zingari, 239

Note, 243
Bibliografia, 249

 

 

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Pagina 11

INTRODUZIONE



        Il mio popolo è ladro, senza dubbio; ma deruba solo
        il vostro. E voi, voi vi derubate reciprocamente.

                             (H, Fielding, Tom Jones, 1749)
                                  "Animali bruti e furenti"



La storia del popolo zingaro è la storia della persecuzione di un popolo. Sin dalla loro comparsa in Europa, circa otto secoli fa, gli zingari hanno dovuto sopportare schiavitù, persecuzioni, deportazioni, torture e genocidi; sofferenze e umiliazioni che, per consistenza ed estensione nel tempo, non hanno precedenti nella storia dei popoli. Ma la loro storia, come avviene per tutte le culture esclusivamente orali, è una storia scritta dagli altri, dai popoli con cui essi sono venuti a contatto, e gli unici documenti originali che ci restano, sui primi secoli della loro presenza in Europa, sono le cronache del tempo e le leggi emanate contro di loro.

La maggior parte degli studiosi sembra ormai non avere più dubbi sull'origine indiana degli zingari. In questa direzione puntano i rilievi antropologici e linguistici, che definiscono gli zingari residui di una popolazione nomade di cacciatori e raccoglitori che, in un'epoca non accertata cronologicamente, si è spostata da una originaria sede asiatica verso i territori microasiatici, e da qui verso l'Europa sud-orientale e occidentale.

Gli studi antropologici, e soprattutto gli studi linguistici del XVIII secolo, mettono in rilievo la presenza di elementi propri delle popolazioni pre-arie, o dravidiche, dell'India, che hanno assunto parlate del gruppo indo-germanico. Nel 1777 J.C.C. Rüdiger individuava le caratteristiche indiane della lingua zingaresca (detta romani, romanes, da rom, "uomo", e per estensione uomo per eccellenza, ossia "Zingaro"), aprendo in questo modo la strada ai successivi studi, con la conclusione che il romani è, nel fondo, un dialetto neoario indiano, la cui connessione con gli attuali dialetti e lingue dell'India resta molto controversa. Un elemento interessante, emerso dagli studi linguistici, è dato dal gran numero di termini di origine iranica e greca, di cui si è arricchita, nel corso dei secoli, il romanes, attestante la lunga epoca di nomadizzazione e sedentarizzazione degli zingari nei territori dell'Impero Bizantino.

Molto controversa resta anche la datazione dell'epoca di questa grande migrazione, che sembra avvenuta verso i territori bizantini nel IX secolo d.C. La loro presenza è attestata ad Anazarbos, in Cilicia, nell'835, e spostamenti verso la Grecia, l'Europa sud-orientale, e di lì verso le altre regioni europee sono registrati per un periodo che va dal X al XIII-XIV secolo. Una delle prime testimonianze di questo esodo si ritrova nei racconti di due scrittori del X secolo: il cronista arabo Hamzah d'Ispahan, autore di una storia dei re di Persia, e il poeta persiano Firdusi, autore dell'opera Il Libro dei Re. In maniera leggermente diversa, entrambi narrano il medesimo episodio dell'arrivo di migliaia di musicisti (diecimila zott nella versione di Hamzah, dodicimila luri in quella di Firdusi), che il re Bahram Gur manda a chiedere al re indiano Shengul, suo suocero: O re cui giunge la preghiera altrui, di girovaghi musici trascegli uomini e donne, a diecimila, tali che cavalcando battere in cadenza sappian liuti, e a me li invia ben tosto perché la voglia mia per questa gente, celebre tanto, satisfatta sia [trad. Italo Pizzi].

Al di là del loro valore e della loro attendibilità storica, questi testi sono interessanti perché per la prima volta si parla di un popolo venuto dall'India in Persia prima del X secolo, e che già godeva della fama di eccellenti musicisti e di nomadi per vocazione.

Contrastanti, e tutt'oggi ancora oscure, sono anche le cause che hanno determinato questa massiccia migrazione degli zingari dall'India. Una delle tante interpretazioni, ritenuta quasi unanimemente poco attendibile, farebbe derivare questo esodo dalle antichissime ondate di invasione indo-europea.

Oltre ai risultati degli studi linguistici, che attestano il lungo periodo di nomadismo e di sedentarizzazione in tutta l'area greca e bizantina, abbiamo anche testimonianze storiche più dirette sulla presenza degli zingari in questa regione. Nel 1054 la loro presenza viene segnalata in Grecia, come risulta dai documenti di alcuni monaci del monte Athos, in cui si parla di un gruppo di nomadi, definiti Atsingani, di professione maghi indovini, incantatori di serpenti, delinquenti e avvelenatori di animali. L'origine del termine Atsingani non è del tutto chiara, ma probabilmente deriva dal termine greco medievale athinganoi, con il significato di "intoccabile", appellativo con il quale si designava una setta eretica gnostico-manichea diffusa nel VII secolo in Anatolia occidentale.

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Pagina 77

IL GRANDE MARA CREA LO ZINGARO



Il tema della creazione degli zingari da parte di Dio, che nella lingua degli zingari ungheresi, cui appartiene la seguente leggenda, prende il nome di grande Mara, presenta numerose varianti. Frequente è, comunque, il tema della creazione degli zingari in concomitanza con quella di altri popoli, che di solito sono quelli con cui lo zingaro vive a contatto. Le narrazioni, sebbene dal tono giocoso, non mancano di dare un'immagine stereotipata degli altri popoli, visti con tutti i loro difetti, a cui fanno da contraltare la furbizia o le virtù degli zingari; per cui l'ungherese è dedito solo al mangiare e al bere, il tedesco viene visto come un gran consumatore di birra, anche se non perde di vista i propri malvagi interessi, e l'ebreo, soggetto più di tutti a certi luoghi comuni, viene descritto in tutto il suo senso per gli affari e in tutta la sua avarizia.


QUANDO IL GRANDE Mara creò il mondo, creò anche l'uomo, tra cui un ungherese, un tedesco, un ebreo e uno zingaro. L'ungherese nacque in un magnifico castello, dove si mise immediatamente a tavola, imbandita con piatti di gulasch e altre pietanze raffinate, e con brocche di vino dal colore dorato. L'ungherese mangiò e bevve e si sentì a proprio agio.

Il tedesco nacque in un piccolo carretto trainato da un grande cane. Il cane con il carretto e il neonato si fermò dinanzi a una locanda. Dopo essersi un po' stiracchiato, il tedesco prese posto a tavola e bevve boccali di birra uno dietro l'altro. Egli pensava al modo per scacciare l'ungherese dal castello e prenderne possesso.

L'ebreo nacque sotto il banco dell'osteria in cui il tedesco beveva la sua birra. L'ebreo prese subito un pezzo di gesso e segnava, raddoppiando, il numero dei bicchieri di birra e di vino che trangugiavano il tedesco e l'ungherese.

Quando l'ebreo presentò il conto, il tedesco e l'ungherese pagarono con moneta sonante, che egli intascò prontamente, e poi placò i morsi della fame con una testa di aringa e uno spicchio d'aglio.

Lo zingaro nacque nella puszta erbosa, all'ombra di un albero solitario cresciuto in quel luogo. Il dolce zeffiro baciò la sua fronte, la pioggia lo lavò e lo battezzò, e la cicogna, appollaiata nel suo nido, gli fece da madrina.

Nessuno si prese cura dello zingaro. Quando si alzò dall'erba su cui era seduto vide un violino appeso all'albero; afferrò lo strumento e cominciò a suonare una ciarda dal ritmo vivace, accompagnato dall'allegro picchiettio del becco della cicogna. Lo zingaro si diresse verso la locanda, suonando senza concedersi alcuna sosta. Il tedesco beveva birra, e con le reti che prendeva dal suo carretto circondò di trappole l'ungherese seduto al tavolo. L'ebreo cantava il "Majufes", contando nella sua borsa i denari che cadevano dalle tasche del tedesco e dell'ungherese. L'ungherese non si interessava di niente; mangiava e beveva, senza badare ad altro.

Quando l'ungherese, il tedesco e l'ebreo sentirono la musica dello zingaro, rimasero attentamente in ascolto, sorrisero di gioia e cominciarono a danzare. L'ungherese saltava per la stanza come un posseduto, roteava come una trottola, rannicchiato sul pavimento, attorcigliandosi i baffi e battendo i tacchi. Il tedesco, pieno di birra come una botte, girava su stesso lentamente e si guardava intorno con circospezione, senza dimenticare di tendere trappole all'ungherese, come fa il ragno con la mosca. L'ebreo saltellava piano, mettendo nella sua borsa le monete che rotolavano sul pavimento.

Alla fine, stanco, lo zingaro smise di suonare; l'ungherese gli offrì una coppa di vino, il tedesco mezzo boccale di birra, e l'ebreo mezza moneta d'argento, staccandone un pezzo con i denti.

L'ungherese continuò a bere vino e a danzare come un forsennato; il tedesco placò la sua sete con la birra e saltellava per la stanza, e l'ebreo scuoteva la sua testa cantando e contando i suoi denari.

Da quel giorno l'ungherese balla e beve vino; il tedesco beve birra e saltella, cercando a tutti i costi di intrappolare l'ungherese, e l'ebreo conta le sue monete e si prende gioco di entrambi. E lo zingaro? Suona la ciarda, beve birra o vino, e di tanto in tanto riceve qualche moneta spezzata dall'ebreo.

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Pagina 127

DIO E LE DONNE DEL DESTINO



Le fate del destino vengono accolte con tutti gli onori e con una tavola imbandita con tre bicchieri, dolci e vino, quest'ultimo sostituito all'occorrenza dall'acqua. Molto spesso la loro natura non viene specificata e vengono generalmente definite "donne del destino", alle quali lo stesso Dio ha affidato il compito di fissare, immutabilmente, il destino degli nomini. Per questo motivo esse operano in piena libertà e ciò che è stato da loro stabilito, non può essere cambiato da nessuno, nemmeno dallo stesso Dio, rafforzando così quel fatalismo che sta alla base della loro visione del mondo.


"UN GIORNO Dio Padre e san Pietro erano in giro per il mondo. Era inverno, tutto era coperto di neve, faceva freddo e infuriava una bufera. Stava per farsi buio quando giunsero in un villaggio, dove cominciarono a cercare un posto per trascorrere la notte. Bussarono a una taverna e chiesero se potevano avere ospitalità per quella notte, almeno un tetto sotto cui trovare riparo. Ma furono cacciati via in malo modo, e questo accadde ovunque si presentassero.

Era rimasta solo una capanna in tutto il villaggio dove non avevano ancora chiesto ospitalità. Bussarono e una donna venne ad aprire la porta. "Buonasera, cara madre!", salutò Dio Padre. "Buonasera a voi stranieri", rispose cortesemente la donna. "Possiamo avere ospitalità per una notte?". "È un peccato e una vergogna che io non possa aiutarvi, ma lo vedete da voi in che condizioni mi trovo. Sono nelle mani di Dio e aspetto da un momento all'altro di partorire. Sarebbe una vergogna per voi vedere e ascoltare i miei tormenti."

"Non preoccuparti, figlia mia", rispose Dio Padre. "Questo succede a tutte le donne. Quando sarà arrivato il momento di partorire, ce ne andremo in soffitta o fuori." "Bene! Allora entrate, per quanto mi riguarda potete restare volentieri, ma non credo che trascorrerete una notte tranquilla."

Così Dio Padre e san Pietro entrarono felici in casa. La donna divise con loro quello che la sua povertà le consentiva, offrendo loro quel poco da mangiare che aveva in casa. "Mio marito è nella foresta e ci vogliono ancora molto giorni prima che ritorni." "Allora è meglio anche per te che noi siamo qui, visto che sei completamente sola", disse Dio Padre.

Durante la notte, la donna cominciò ad avere le doglie, e Dio disse a san Pietro: "Vai a cercare una donna che possa venire ad aiutarla. In questo caso gli uomini non servono a molto". E san Pietro fu costretto, anche un po' controvoglia, a uscire al freddo e alle intemperie.

Bussò a tutte le case, ma non trovò nessuno disposto a venire in aiuto della donna che stava per partorire. Fu costretto così a recarsi in un villaggio vicino, dove finalmente trovò una vecchia donna che se ne intendeva di queste cose, ma neanche lei aveva molta voglia di seguirlo. "Come ti viene in mente che io debba uscire con questo tempaccio?", chiese la vecchia. "Devi venire e basta", disse san Pietro un po' spazientito, visto che era da un po' che girava per trovare qualcuno che aiutasse la donna a partorire. Dopo molte discussioni, la vecchia donna accettò di seguirlo, ma a patto che la portasse con una slitta fino alla casa della partoriente. San Pietro fu costretto a uscire per trovare una slitta. E anche per questo ci volle molto tempo, ma alla fine ritornò con la slitta. La donna vi prese posto e finalmente poterono partire. Mentre san Pietro, sempre più arrabbiato, sudava e tirava la slitta, la vecchia da dietro borbottava e si lamentava per essere stata costretta a uscire nel pieno della notte con quel tempaccio.

Era buio, e i cumuli di neve diventavano sempre più alti, quando all'improvviso la slitta si piegò un po' su un lato e fece scivolare a terra la vecchia, senza che san Pietro se ne accorgesse. "Ce ne hai messo di tempo", disse Dio padre già sulla soglia quando vide finalmente arrivare san Pietro. "Dov'è la donna?" "Ma...? Cosa è successo? Ho perso la donna per strada. Come faremo ora?", gridò san Pietro. "Non preoccuparti, è andato tutto bene, la donna ha già partorito; le sono stato vicino io." "Bene!", disse san Pietro. "Come è andata? È un maschio o una femmina?" "È uno splendido maschietto. Credo che faremmo bene a fermarci un altro paio di giorni, almeno fino a quando non sarà passata questa bufera, per aiutare questa donna che ci ha ospitati."

San Pietro non aveva niente in contrario, anche perché sembrava che il cattivo tempo non volesse smettere. Si diedero da fare e cercarono di aiutare in tutti i modi la donna e il bambino.

La sera del terzo giorno, san Pietro rivolgendosi al Signore disse: "Il bambino ha tre giorni ormai e stanotte verranno le donne del destino a fissargli il suo". "È vero!", rispose il Signore. "Ascolteremo cosa avranno da dire; andremo a nasconderci su in soffitta, da dove potremo origliare."

Si nascosero in soffitta e restarono in attesa fino a mezzanotte, quando giunsero le tre donne del destino, che si diressero verso il letto, dove la madre, secondo l'antica usanza, aveva messo una bottiglia d'acqua e tre piccole ciambelle.

La prima esordì: "Questo fanciullo dovrà avere una buona sorte". "Dovrà essere benvoluto finché vivrà", disse la seconda. La terza donna concluse: "Quando compirà vent'anni si sposerà e lo stesso giorno morirà annegato". E così come erano apparse, svanirono.

San Pietro guardò Dio Padre sgomento: "Non hai sentito cosa ha detto? Tu sei il Dio Padre, non puoi cambiare il triste destino fissato per questo povero fanciullo?". "Caro Pietro non possiamo fare nulla. È un destino come un altro. È vero che siamo noi a regolare tutte le cose, ma le donne del destino hanno ricevuto da me questo potere, e non posso revocarglielo così facilmente." San Pietro brontolava, ma non poteva fare nulla; infine sbottò: "Se fossi stato io al tuo posto avrei saputo bene cosa fare. Non avrei mai permesso una cosa del genere". "Nessuno può cambiare il destino, caro Pietro", rispose Dio.

Il bambino doveva essere, comunque, battezzato. Il Signore si offrì di essere il padrino insieme a san Pietro, e al fanciullo fu dato un bel nome. Terminata la cerimonia, il Signore salutò la donna e disse: "Fai attenzione al tuo bambino! Quando compirà vent'anni si sposerà, ma state molto attenti che non si avvicini all'acqua e anneghi".

Gli anni trascorsero velocemente, e quando il ragazzo arrivò all'età di vent'anni si sposò, perché, come stabilito, il matrimonio doveva celebrarsi il giorno del suo ventesimo compleanno. La madre non aveva affatto dimenticato il consiglio che le aveva dato Dio Padre, e quando il corteo nuziale si incamminò per andare in chiesa, dietro suo ordine fu costretto a fare un lungo giro per non attraversare un ruscello. Andò tutto bene. Il giovane si sposò e il corteo nuziale prese la strada del ritorno, ma a un certo punto cominciò a piovigginare. I cavalli erano già bagnati, e uno di loro, dimenando la coda, fece schizzare delle gocce d'acqua sullo sposo, che morì all'istante. A quel punto comparve Nostro Signore dicendo: "Felicità e fortuna agli sposi!". "Cosa dici! Non vedi che lo sposo è morto? Vuoi prenderci in giro in questa nostra sventura? Guardati bene dal fare una cosa simile!", disse uno degli invitati. "Cari figlioli i miei auguri sono fatti con le migliori intenzioni". Poi rivolgendosi a san Pietro disse: "Hai visto Pietro? Adesso che le donne del destino hanno svolto il loro compito, tocca a me fare qualcosa". E così Dio Padre si avvicinò alla carrozza e riportò in vita il giovane sposo.

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Pagina 234

LA COLPA È DI NOSTRO SIGNORE



Molti sono i racconti che si rifanno alla tradizione biblica, o direttamente alla volontà di Dio, con cui gli zingari, spesso in maniera anche ironica, forniscono una causa o una spiegazione alla loro tendenza al furto. In una delle tante leggende sulle loro origini bibliche - in cui gli zingari figurano di volta in volta ora come i discendenti di Caino, ora come una delle tribù di Israele catturate dagli Assiri, ora come i Cananei emigrati in Europa dopo la conquista di Giosuè - essi si presentano come i diretti discendenti di Adamo e di una prima moglie, precedente a Eva. Questa loro origine li renderebbe immuni dal peccato originale, trasmesso invece a tutto il resto del genere umano, e sarebbero, perciò, esonerati dall'obbligo di lavorare e di "guadagnarsi il pane con il sudore della fronte", secondo la maledizione della Genesi. In altre narrazioni, anche di carattere non biblico, il furto diventa un vero e proprio lavoro, affidato loro direttamente da Dio in un tempo mitico e primordiale, di cui rispettano scrupolosamente la volontà.


QUANDO IL SIGNORE ripartì i mestieri tra i popoli, mandò san Pietro anche dallo zingaro, che viveva in una capanna fuori dal villaggio. San Pietro entrò e vide lo zingaro sdraiato a terra, su un giaciglio di paglia, intento a scacciarsi le mosche che gli ronzavano intorno. "Cosa fai qui, zingaro?", gli chiese san Pietro. "Cosa vuoi che faccia? Lo vedi bene cosa sto facendo", rispose lo zingaro. "Nessuno mi ha dato un mestiere, perciò scaccio le mosche che mi ronzano intorno." "Questo non va affatto bene!", disse san Pietro. "Vai anche tu da Dio come tutti gli altri, e vedrai che troverai qualcosa da fare. Non te lo porteremo certo a casa il mestiere." "Va bene, ci andrò. Tanto non è una cosa così urgente", rispose lo zingaro con la sua saggezza. "Ma sedetevi, mio buon signore. Non posso offrirvi niente, perché la mia donna è andata in paese a mendicare; al suo ritorno porterà sicuramente qualcosa con sé. Ma finché non tornerà, non posso venire con voi."

Passavano le ore e, per ingannare il tempo, lo zingaro pensò di cantare una canzone a san Pietro, che faceva all'incirca così: "Dov'è Mimi? È soltanto andata a rubare, senza alcuna paura, un po' di frumento, e con sè ha un piccolo coltello, perché nessuno senta il dolce taglio". Alla fine san Pietro si rimise di nuovo in cammino, perché, disse, aveva ancora molto da fare e Dio lo stava aspettando. Sicuramente non apprezzava l'operato di Mimi, ma non si pronunciò.

Lo zingaro continuò a scacciarsi le mosche che gli ronzavano intorno, ma intanto le ore passavano e lui diventava sempre più affamato. Inoltre la moglie ancora non tornava, nonostante fosse ormai quasi buio. Trascorse anche la mezzanotte, e lo zingaro non vedeva e non sentiva più dalla fame. Infine, arrivò la moglie. Lo zingaro la picchiò; in primo luogo perché era stata tanto tempo nel villaggio, e poi perché aveva visto che era ritornata a casa a mani vuote. Così andarono a letto con lo stomaco vuoto. E come è tipico degli zingari, all'ora della colazione stavano ancora dormendo, all'ora di pranzo russavano, e il sole aveva già cominciato a tramontare quando lo zingaro decise di alzarsi. "Vediamo", si disse lo zingaro, "se riuscirò ad avere un buon lavoro; forse Dio me ne ha messo uno da parte, visto che sono un suo figlio".

Svegliò la moglie e si fece ripulire i vestiti pieni di paglia, per potersi presentare in maniera decente al cospetto di Dio. San Pietro lo condusse dinanzi a Dio e lo zingaro rimase stupito, quando sentì Dio apostrofarlo con queste parole: "Ho già ripartito tutti i mestieri, sciagurato di uno zingaro. Li ho già dati tutti via, e per te non è rimasto niente. Ma, visto che sei venuto da me, non ti lascerò andare via a mani vuote. A te darò come mestiere il furto e alla tua donna la divinazione. Mi risulta, inoltre, che abbiate già una certa dimestichezza con queste attività". E con queste parole congedò lo zingaro.

Non ci crederete, ma solo perché abbiamo rispettato la sacra volontà di Dio siamo disprezzati, dileggiati e oltraggiati.

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