Copertina
Autore Angelo Petrella
Titolo La città perfetta
EdizioneGarzanti, Milano, 2008, Narratori moderni , pag. 510, cop.ril.sov., dim. 14,5x21,5x3,5 cm , Isbn 978-88-11-68645-3
LettoreLuca Vita, 2009
Classe narrativa italiana , citta': Napoli
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Indice


MENU PRINCIPALE
INTRO Forza Napoli! (1988) 11 PARTE PRIMA L'anno della Pantera (1989-1990) 35 01. La fabbrica 37 02. Strada senza luce 47 03. Le indagini 57 04. Assemblea 74 05. La staffetta 85 06. Lo scontro 96 07. Alla festa dell'Unità 109 08. Intercettazioni 128 09. Nei vicoli 144 10. Traffico di armi 162 11. Ladri di motorini 183 12. Esilio 200 13. Blindati 218 14. Terzo grado 231 15. La verità 240 INTERMEZZO Cerimoniali (1990-1991) 265 PARTE SECONDA L'altro Rinascimento (1992-1993) 283 01. Il nuovo ufficio 285 02. Il direttivo 300 03. Tribuna d'onore 314 04. La Barricata Silenziosa 330 05. Compartimentazione 348 06. Serpico 364 07. Spie 377 08. Peggio di Mussolini 391 09. Rave 403 10. Alle terme 427 11. Red Ronnie 450 12. L'appostamento 459 13. Il matrimonio 471 14. La spiaggia 482 OUTRO Il ritorno dei Borboni (1993) 493 CONTENUTI SPECIALI 501 Cast 503 Soundtrack 505 Crediti 507
 

 

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Pagina 13

SANGUETTA

Fuorigrotta. Stadio San Paolo.

1° maggio 1988, ore 13.00


«Allora? Rispondimi! Non fare lo stronzo e rispondimi. O giuro che ti sparo in mezzo alle palle.»

«Vaffanculo», fa il Limone.

«Figlio di puttana!» urla lo sbirro, gli dà una ginocchiata in pancia e lo butta per terra.

Cazzo, lo sbirro è incazzato a livello. Continua a pigliare a calci in pancia il Limone, che non riesce a reagire. L'ha colpito di sorpresa. Il Limone se ne sta rannicchiato vicino ai pisciatoi e cerca di coprirsi colle braccia. Più si copre e più lo sbirro lo piglia a calci. Io non so che fare e me ne sto attaccato al muro come una mosca. Vorrei scapparmene fuori e tornare in curva ma non tengo il coraggio di muovermi. Volevo giusto venire a pisciare ma appena so' entrato nei bagni ho visto questi due che già stavano urlando e si capiva che stavano per succedere le tarantelle.

Lo sbirro caccia fuori il ferro da dietro il pantalone, carica il colpo e toglie la sicura. Cazzo, a finale questo lo ammazza.

«Allora, parla, bastardo!»

Lo sbirro gli punta il ferro in faccia, ma il Limone gli riesce a tirare un calcio e glielo fa volare via. Poi si rialza in piedi, gli dà un pugno e una ginocchiata nelle palle. Lo sbirro indietreggia, scivola con un piede e va a sbattere colla testa vicino a un tubo. Un po' di sangue gli scende dalla fronte. Il Limone prova a raccogliere il ferro, ma lo sbirro gli corre addosso colla testa abbassata e lo sbatte contro la porta di un cesso. La porta si spacca e tutti e due cadono per terra. Cazzo, qua veramente va a finire male. Sto quasi pensando di andare a chiamare qualcuno, quando per fortuna entra Polifemo. Mi guarda come a dire «che cazzo sta succedendo qua», poi vede i due che stanno per terra vicino alla porta sfondata e dice: «Che cazzo state facendo?».

Il Limone tiene lo sbirro per la camicia e gli sta per tirare un pugno in bocca, ma appena vede Polifemo subito si ferma.

«Allora, che cazzo state facendo?»

«Niente... non è colpa mia, è lui che...» fa il Limone.

«Statti zitto e alzati in piedi. Torna in curva cogli altri.»

Il Limone si alza, si tocca la bocca e si pulisce il sangue. Poi si aggiusta i pantaloni e esce dai bagni. Polifemo mi guarda di nuovo, indica il ferro dello sbirro che sta per terra e mi dice di raccoglierlo. Io glielo porto e lui lo piglia per la canna. Poi dà una mano allo sbirro e lo aiuta a rialzarsi.

«Stai bene, Gomez?»

Lo sbirro fa sì colla testa.

«Che cazzo stavi combinando qua? T'ho detto che allo stadio non voglio nessuna cazzata.»

«Va bene. Ma ti devo parlare.»

Polifemo si guarda attorno, poi mi fa il gesto di uscire dai bagni. Io ubbidisco pure se devo pisciare. Cazzo, che situazione di merda. Non avevo mai visto il Limone incazzarsi così.

Sulle scale c'è un sacco di gente in piedi che s'è ammassata. In curva hanno appena messo uno striscione enorme colla N del Napoli. Il tempo è secco però ci stanno le nuvole sopra al San Paolo. Io dentro allo stadio non è che ci so' stato molte volte, però così tanta gente tutt'assieme non l'ho mai vista. Tutta la curva canta «Celerino primo nemico». A finale è vero, oggi quei ricchioni di poliziotti stanno dappertutto. Già fuori dallo stadio so' successe le tarantelle perché i milanisti hanno sfondato il cordone di polizia e volevano entrare a Fuorigrotta a fare bordello. Roba che non sanno manco cosa li aspettava, si credono che stanno a casa loro. Intanto noi siamo primi in classifica co' 42 punti e non ci batte più nessuno: stamattina ho giocato ventimila lire di bolletta e il Napoli lo davano vincente a tre, cioè se vinco m'intasco quarantamila. Mo' che conquistiamo lo scudetto sarà stupendo perché è il primo che riesco a vedere coi miei occhi. L'anno scorso papà non mi voleva mandare allo stadio perché diceva che non c'aveva soldi. E quest'anno diceva che oggi dovevo aiutarlo a lavorare invece che andare alla partita. Sì, col cazzo.


CHIMICONE

Pendino. Rettifilo.

1° maggio 1988, ore 13.35

La manifestazione va avanti che è una bellezza. Noi stiamo un po' più dietro della testa del corteo: non è che c'è aria di tensione, però la città oggi pare stia per scoppiare, tutti vanno allo stadio o vengono qui al corteo e le strade sono intasatissime. Infatti ho dovuto farmi a piedi fino a piazza Garibaldi perché nemmeno la metropolitana funzionava, mi sono alzato alle otto e c'ho messo quasi un'ora.

I compagni hanno preparato 'sto striscione contro il nuovo governo e contro i fatti che stanno succedendo all'Italsider. Quegli stronzi sia al comune che al governo non stanno facendo un cazzo e ormai i disoccupati diventano migliaia in più ogni settimana, perciò succedono gli scontri un giorno sì e uno no. Dentro al PCI invece ci sono un sacco di persone che fanno le distinzioni, tipo che è vero che gli operai hanno diritto a scioperare ma non è con la violenza che si ottengono i risultati, bisogna aspettare che il sindacato raggiunga un accordo eccetera. Per me è una cazzata: è a furia di perdere tempo che in Italia hanno vinto i fascisti. È lo stesso ragionamento che fa mio padre, che è uno che vive tutto tra la fabbrica e il partito, e però ora è cassintegrato da un sacco di tempo. Io vorrei fargli capire che secondo me Occhetto e tutto il PCI lo stanno prendendo per il culo, però quello non vuole sentire ragioni e non posso contraddirlo sennò s'incazza.

Ora stiamo sfilando per il Rettifilo. Ad aprire il corteo ci sono i COBAS assieme a quelli di Democrazia Proletaria. Quelli della CGIL e degli altri sindacati stanno dietro a tutto assieme ai socialisti, perché dicono che hanno bisogno di spazio per il camioncino e i microfoni. Secondo me invece si sono cacati sotto perché sanno che i disoccupati sono incazzati e se succede qualche casino li picchiano pure a loro. I dirigenti comunisti invece stanno un po' più dietro di noi, tutti tesi in faccia e a discutere tra loro sulla notizia di Natta.

Io me ne sto assieme a Zapatino, Betta, Boris e Asterix, il cane di Zapatino. Siamo quelli che facciamo più casino, pure perché ci siamo portati le bombolette che si usano allo stadio e ci siamo pittati le facce di rosso, e infatti la gente ci guarda tutta stranita. Boris ogni tanto disegna falce e martello su qualche macchina parcheggiata. Zapatino invece gioca a calcio con il cane con una lattina di Fanta. Dai palazzi vedo un sacco di persone che sventolano le bandiere alle finestre, alcuni ci salutano con il pugno chiuso e noi rispondiamo, poi una vecchia cala giù all'improvviso un lenzuolo bianco dove c'è scritto «Diversi eppure uguali Berlusconi e De Mita – entrambi avete perso la partita» e tutti quanti scoppiamo a ridere e applaudiamo, che te lo dico a fare. Poi attacchiamo a cantare Bella ciao e la vecchia si vede che segue anche lei il coro da là sopra.

Il corteo procede tranquillo per il Rettifilo. Boris ha portato due bottiglie di vino e all'altezza dei Quattro Palazzi le stappa e le fa girare. Noi già siamo su di giri e il vino ci alza ancora di più l'umore. Boris è il mio migliore amico, anche se è pazzo. Cioè è il tipo che si mette sempre nei casini, tipo due mesi fa si è messo a pisciare sulle scale di scuola e il preside l'ha sospeso per tre giorni, e poi ha pure rischiato di essere arrestato per due volte, perché fa un sacco di bordello. Dice di essere un graffitaro, cioè di quelli che fanno i disegni sui muri, ma in realtà gli basta solo fare il vandalismo contro la gente, a volte anche addosso ai cani. Un giorno l'ho visto pitturare il cane di Zapatino di rosso, diceva che così è più comunista. Però io l'ho difeso sempre perché è un grande, cioè è un amico, e una persona così ci vuole sempre.

Dal fondo del corteo, ma proprio lontano, si sente che hanno attaccato la musica sul camioncino. Stanno suonando un pezzo di Bennato e infatti qua davanti c'è pure qualcuno che balla. Io bevo un altro sorso lungo dalla bottiglia, la passo a Zapatino e poi mi metto a squagliare. Lo sgozzo si apre una meraviglia, che te lo dico a fare. Chiedo a qualcuno se mi dà una cartina, Betta mi passa una Rizla, poi mescolo il tabacco e inizio a rollare. Betta mi piace un casino. In realtà mi sono fissato con lei da quando abbiamo iniziato l'autogestione. Vabbè, diciamo pure che sono innamorato, che te lo dico a fare. La scuola abbiamo iniziato ad autogestirla verso il 10 aprile e ci hanno eletto tutti e due responsabili dell'organizzazione del collettivo, così ci siamo trovati a lavorare assieme quasi ogni giorno. Boris mi dice che c'ho 'ste fissazioni da coglione sulle donne, cioè, voglio dire, mi dice che ci penso troppo e mi innamoro inutilmente e che 'sta cosa un giorno mi fotterà perché incontrerò una che me lo mette nel culo. Io penso che forse è vero però gli dico ogni volta vaffanculo, perché se sono fatto così non è che posso cambiare da un momento all'altro.

Comunque mi faccio prima due spruzzi di Ventolin così si aprono i polmoni, poi accendo lo sgozzo, faccio tre tiri lunghi e lo passo a Betta, poi prendo la bottiglia di mano a Zapatino, bevo un sorso pieno e la ripasso. Asterix abbaia due volte e gli do una grattata dietro alle orecchie. Il corteo si ferma per qualche istante, forse i COBAS stanno dando tempo di compattarsi a quelli dietro a tutto: salgo un attimo in piedi su una fioriera per dare un'occhiata fino in fondo e, cazzo, non ho mai visto tante bandiere rosse tutte assieme. C'è gente che ancora è rimasta in piazza e solo ora sta entrando al Rettifilo: mi chiedo se qua è così chissà che cazzo sta succedendo a Fuorigrotta, vicino allo stadio. Boris sta un po' fatto e infatti ha tirato fuori di nuovo la bomboletta e sta graffitando falce e martello su tutte le macchine parcheggiate. Mentre ritorno dai compagni sento un rumore di vetro che si spacca, penso che qualcuno ha fatto cadere la bottiglia e invece mi giro e vedo due carabinieri che stanno manganellando un manifestante, dopo averlo gettato contro la vetrata di un negozio, proprio all'angolo di via Duomo.


SANGUETTA

Fuorigrotta. Stadio San Paolo.

1° maggio 1988, ore 14.09

«Statevi zitti, coglioni!» urla Polifemo.

In curva B di fronte a noi ci so' quei ricchioni del Commando Ultrà che stanno sempre felici e continuano a cantare Porompompero. 'Sti stronzi non capisco che ci vengono a fare allo stadio, loro e i gemellaggi colle altre squadre e il pacifismo, che in pratica non fa differenza se vinciamo o perdiamo. Vabbè, in compenso ci stanno pure i Fedayn che so che in genere c'hanno sempre i nervi a posto tranne quando si va in trasferta. E infatti sullo striscione c'hanno 'sta sigla «Estranei alla massa» che mi sembra un po' come a dire «Ci facciamo i cazzi nostri».

Qua in curva A è il posto dove ti diverti di più perché a finale quando ci so' di mezzo le mazzate si fa a gara a chi dà in faccia per primo. Noi siamo il gruppo delle Teste Matte, che è il gruppo nato l'anno scorso quando il Napoli ha vinto lo scudetto. Dentro alle Teste Matte ci sta tutta gente grande però io, grazie a mio fratello Champagne, so' l'unico che a quattordici anni può andare allo stadio co' loro. Polifemo è il capo delle Teste Matte e è lui che dirige i cori, le cariche e gli striscioni. Polifemo è pure il capozona di Sant'Anna di Palazzo, vicino a dove vivo io, cioè è quello a cui dobbiamo rendere conto per il fumo venduto, gli scippi, le bollette e le altre storie. In genere i capizona so' figli di zoccola, ma Polifemo a me mi vuole bene perché vuole bene pure a mio fratello. Cioè, a finale lo schifa un po' per il fatto della roba però comunque so' cresciuti insieme e queste cose non si scordano. Champagne ormai è tutto avanti e indietro dalla comunità al SERT alla galera e infatti sta perdendo tutti i contatti. Oggi però mi aveva promesso che mi portava allo stadio e non poteva dirmi di no.

La partita va avanti tranquilla. A finale Ferrara e Careca stanno giocando bene, però pure Gullit, Virdis e Baresi. Diego ogni tanto saltella come se c'ha problemi alla gamba. Ma Diego è sempre Diego. Alcuni degli amici più vicini a Polifemo stanno attaccati alle radioline a sentire i risultati delle altre partite. Ci sta un'atmosfera strana perché sembra quasi un'amichevole, dove c'hai la vittoria assicurata. E poi invece Virdis segna a dieci minuti dall'intervallo. Dalla curva non si vede bene e infatti all'inizio non ci credevo. Poi ho visto Champagne buttare per terra la canna che stava rollando e Polifemo spaccare una bottiglia contro il vetro che divide i settori, e ho capito. Porca zoccola non ci voleva. I tifosi milanisti esultano colle trombe e coi cori: li sento cantare «Senti che puzza scappano anche i cani». Il Limone continua a urlare: «Venduti! Venduti di merda!». Sta così incazzato che secondo me si è già scordato pure delle tarantelle di prima nei bagni collo sbirro.

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Pagina 120

L'AMERICANO

Posillipo. Parco Virgiliano.

30 gennaio 1990, ore 22.16

Eva. Una che ha un nome così, non so se mi spiego. Praticamente mi ha fatto arrapare solo per il nome. Va bene, OK, lo ammetto, anche per il fisico. Sembra svedese, ha i capelli appiattiti sulla fronte con il fermacapelli e gli occhi di un blu quasi inquietante. Poi ha un corpo magrissimo però scolpito che sembra granito. Le tette le esplodono fuori dalla maglietta. Si veste con la moda anni Settanta. Non riesco a capire come faccia a essere figlia di quel povero coglione e di quel mostro della moglie. La stavo per accompagnare in centro, poi abbiamo iniziato a parlare, io ho acceso la ricetrasmittente per darmi un po' l'aria da duro e lei subito si è impressionata. Mi ha chiesto di cosa mi stavo occupando e perché c'erano tutti quei casini a scuola, io le ho ingigantito un po' la storia dicendo che la scuola è a rischio attentati. Ho capito subito che lei è una di quelle a cui piacciono gli uomini forti, una di quelle che fanno finta di essere superiori e poi invece appena vedono un cazzo lungo ci si fondano immediatamente. Infatti l'ho dirottata a prendere un caffè alla Riviera e lei s'è lasciata convincere. Poi siamo passati a un Aperol a Mergellina, poi a un Campari Soda a via Petrarca, poi a un altro Campari stavolta con il Gordon e ora ci stiamo pippando una striscetta al parco Virgiliano. Mi sono fermato un po' prima della rotonda, lontano da dove parcheggiano i tizi con i giornali per coprirsi. Allo stereo c'è Fausto Leali che canta Ti lascerò. Il tempo è buono, è quasi buio, noi siamo già abbastanza ubriachi per l'alcol e la coca ci tira un po' su. Eva sembra abituata a questo genere di situazioni. Glielo faccio notare e le dico che non mi sembrava la tipa.

«In che senso?» fa lei aggiustandosi il naso con un dito.

«Nel senso che tuo padre mi sembra una persona rigida, piena di idee morali in testa. Insomma... il tipo di genitore che non fa uscire la figlia in giro a pippare coca.»

«Ma infatti mica gli dico che vado a pippare coca», ride.

«E cosa gli dici?»

«Qual è la scusa preferita dalle donne?»

«Shopping.»

«Esatto», fa lei, poi aggiunge: «È bello quel medaglione che porti al collo. Me lo regali?».

Faccio no con la testa. Non mi sono accorto che mentre pippavo la collana è scivolata fuori dalla camicia. «Non posso.»

«Perché?»

«È un ricordo.»

Eva si strofina il dito sulle gengive e poi dice: «È buona la tua coca».

«Ne vuoi un'altra striscetta?»

Lei annuisce, poi dice: «Però la preparo io».

Le passo la bustina e lo specchietto, lei prende la carta di credito e si mette a tagliare, poi lecca la coca che era rimasta attaccata alle centomila e le arrotola di nuovo. Prepara due striscette lunghissime, pippa prima lei dalla narice destra, poi mi passa lo specchietto ma mantiene lei stessa la banconota. Io pippo, questa cosa mi fa arrapare, allora strofino il dito nella coca e glielo metto in bocca. Lei scosta la testa, con aria imbarazzata.

«Che c'è? Pensavo ti piacesse», faccio io.

«Sì, ma non in questo modo.»

«E in che modo allora?»

«Che vuoi dire?»

«Come "che voglio dire"? Pensavo che...»

«Pensavi che?»

Sbuffo. Che cazzo, fa finta di non capire. E io non voglio fare la parte del coglione che le sbava appresso.

«Niente, niente. Scusami, devo aver frainteso», dico io fingendomi più incazzato di quello che sono, alzo un po' il volume dello stereo e fisso un punto fuori dal finestrino.

Ci sa fare, non c'è che dire. E ha l'aria di una che ti può mettere nei casini. Voglio dire, nel senso che non te ne liberi con una scopata e via. E questa cosa mi intriga, cazzo. Però resto comunque in silenzio. È la tattica migliore. Ce ne stiamo così per due minuti buoni. Deve parlare per prima lei e deve capire che è una stronza, non so se mi spiego.

«Sei una persona troppo orgogliosa», fa lei.

Dentro di me sorrido, perché forse ha abboccato, però continuo a stare in silenzio.

«Cioè, non ti puoi incazzare al primo tentativo...»

«E allora quando è che mi posso incazzare?»

«Be', non lo so. Ma ci siamo appena conosciuti. E non è che perché abbiamo pippato assieme vuol dire che ti voglio succhiare il cazzo...»

«Speravo di sì», dico io e lei ride di nuovo.

«Sì, c'hai un certo qualcosa che attrae, non c'è dubbio», dice lei, «però non vuol dire che questo ti autorizza a saltare la trafila.»

«Quale trafila?»

«Come "quale trafila"? Quella che si fa con le donne. Ma che cazzo, ma sei nato in campagna e ti scopavi le pecore senza preliminari?»

«Devo dire che hai un modo di parlare molto raffinato per essere la figlia di un preside», faccio io.

«E tu hai un'intelligenza molto da carabiniere per essere uno sbirro...»

«Vabbè, ho capito. Lasciamo le cose al destino. Prepara l'ultima striscetta», rido io e le passo la coca.


CHIMICONE

San Giuseppe. Liceo Genovesi.

31 gennaio 1990, ore 00.32

Piazza del Gesù è vuota. Lego la Vespa al palo della luce e corro verso l'ingresso di scuola. Ci sono un casino di luci accese sia al piano terra che al primo piano e si sente un pezzo di Bob Marley. Le gemelle amiche della figlia del preside stanno uscendo dalla scuola con gli zaini in spalla. Le saluto, loro mi lasciano il portone aperto e io entro. C'è un volantino azzeccato all'ingresso. Un sacco di ragazzi stanno ballando, qualcuno ha pure portato il faro stroboscopico. C'è una cappa di fumo che fa paura. Da un lato del corridoio c'è Boris che sta disegnando la mia faccia sul muro e dietro di me mio padre che mi infila una bottiglia in culo, mentre dall'altro c'è uno che non conosco che sta facendo il mangiafuoco. Cazzo, ha refuso! Beve benzina da una bottiglia e poi la sputa e fa la fiammata. Appena mi avvicino qualcuno che stava ballando si gira e urla: «Il chimico! È tornato il chimico!». Io rido, la stroboscopica si stoppa e tutti mi stanno attorno. Mi passano una canna e sgozzo un paio di volte, poi Boris mi corre vicino e mi mette una bottiglia in bocca, voglio dire, me l'avvicina alla bocca per farmi bere però sbaglia mira e mi tozza un dente. Faccio una sorsata lunghissima, ma il sapore fa schifo e gli sputo tutto addosso.

«Ma che cazzo è?»

«Aspirina e Coca-Cola», fa Boris, «è droga. Ti sballa peggio delle anfetamine. Guarda là, stavo facendo il tuo ritratto!»

Mi pulisco la bocca, tutti ridono.

«Ma che è successo? Che è quel volantino azzeccato all'ingresso?»

«È arrivato oggi via fax. Le università si stanno iniziando a incazzare!»

«C'abbiamo il fax?» chiedo io.

«Sì, Zapatino ha rimesso in funzione quello del preside. Ci mancava il rotolo di carta e lui se l'è fottuto dall'ufficio di suo zio.»

Rido. Buon segnale, 'sta cosa delle università. Vuol dire che alla manifestazione a Roma gli spaccheremo il culo. Zapatino arriva palleggiando con il Super Santos, con Asterix pittato di rosso che lo insegue. Quando è vicino a me, mi supera con un pallonetto, poi stoppa il pallone al volo e lo tira contro un bidone dell'immondizia, facendo centro.

«L'anno prossimo entro nel Napoli. Fra due settimane c'è un provino...» ride lui contento mentre i compagni lo applaudono. «Ma a te che è successo?»

Qualcuno abbassa la musica, allora io gli spiego la situazione della festa dell'Unità e ovviamente tutto quello che è successo dopo, il prefetto che parlava, io che mando affanculo mio padre e gli butto la birra in faccia. I compagni scoppiano dal ridere, applaudono e battono le mani. Qualcuno mi passa un cilum, faccio un tiro lungo e mi accorgo che è erba, ormai sto veramente fuori, che te lo dico a fare. Li sento urlare il mio nome, 'sta cosa mi fa scordare tutto il resto. Cazzo, finalmente marco bene.

Dopo essere corso via da Soccavo ero incazzatissimo, sono schizzato con la Vespa che per poco mi scontravo con un taxi alla prima curva. Per la prima volta mi metto vergogna di essere figlio di mio padre, di avere un padre che se la fa con i leccaculo. Poi qualcuno sintonizza lo stereo su Radio città Futura e alza il volume a palla. C'è un pezzo dei Sex Pistols e vedo i compagni che iniziano a ballare. Mi trascinano in mezzo al casino e iniziano a pogare. Ormai non capisco più un cazzo, sto collassando. Cado per terra e perdo una scarpa. Poi mi trascino vicino al bagno, che c'ho bisogno di sciacquarmi la faccia, ma ogni volta che provo a uscire dal cerchio i compagni mi spingono in mezzo e iniziano di nuovo a pogare. Rido, ma sento che non mi reggo in equilibrio. Allora torno indietro verso l'aula dove teniamo tutte le provviste e penso di sciacquarmi la faccia fuori dalla finestra con una bottiglia di minerale. Mentre cerco di aprire la porta chiusa a chiave qualcuno mi tira per la maglietta. Mi giro automaticamente per spingerlo via ma alzo gli occhi e mi accorgo che è Betta. Cazzo, in tutto questo casino m'ero scordato di Betta. Lei mi guarda e sorride. C'ha gli occhi rossi, anche lei è strafatta. Si è raccolta i capelli in un berretto degli Yankees credo apposta per ballare e sembra più maschile. 'Sta cosa mi piace cento volte di più, che te lo dico a fare. La testa mi gira un casino, perciò gioco tutto sulla sincerità.

«In teoria dovrei andare a nascondermi dopo la figura di merda dell'altro giorno», dico, «però a mia discolpa ti posso dire che ho quasi sputato in faccia al prefetto Finocchiaro e ho quasi picchiato mio padre...»

Betta sorride. La cosa funziona.

«Ti ho portato questo», fa lei e tira fuori dalla tasca un libro, piccolo.

«Che roba è?»

«Le poesie di Majakovskij. In mezzo c'è pure quella dell'altro giorno.»

«Cazzo, grazie...»

Apro il libro a caso, provo a leggere ma le parole sono tutte sfocate. «Cristo, vedo tutto doppio.»

«Sei proprio un alcolizzato di merda», fa lei ridendo.

Le strappo la Peroni di mano, faccio un sorso, poi Betta mi afferra per la maglietta. «Ho capito solo una cosa: se non mi muovo io va a finire che ci riusciamo nel 2010.»

«Ci riusciamo a fare cosa?»

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Pagina 200

12. ESILIO



SANGUETTA

Fuorigrotta. Stazione Campi Flegrei.

3 febbraio 1990, ore 8.05

Cazzo, devo stare calmo. Mi sto facendo il giallo ma devo stare calmo. Quelli là hanno pigliato Champagne. È il Sarracino. Era una paranza del Sarracino. E mo' che gli fanno? E mo' io che cazzo faccio? Cerco una Merit dal pacchetto e vedo che è l'ultima. A finale devo provare tre volte prima di riuscire a accenderla. Non c'è vento ma la mano mi trema. C'è un pit bull che sta girando nei giardinetti davanti alla stazione. Non è di quelli cattivi, sta odorando le piante, poi mi viene vicino e si siede a guardarmi. Io resto seduto sul mezzo, poi piglio duecento lire dalla tasca, le infilo nel telefono e faccio il numero di casa. Mi viene una strana sensazione in testa. Il telefono squilla cinque volte, poi mia madre risponde.

«Pronto?»

«Mamma, so' io...»

«Sanguetta, grazie a Dio! Dove stai? Mi stava venendo un infarto. Da stanotte che stavamo pensando... Tuo padre in ospedale mi ha pure chiesto...»

Mia mamma sta urlando come che.

«Stai calma, non gridare. Come sta papà?»

«Sempre uguale, i dottori dicono che se continua così...»

Mamma non riesce a completare la frase e si mette a piangere. Cazzo, sento una cosa nello stomaco e mi viene da piangere pure a me. Ma mi trattengo.

«Dimmi una cosa, mamma: è venuto qualcuno a cercarmi, a casa?»

«Non a te, ma a tuo fratello.»

«Che facce tenevano?»

«Non lo so, ma era brutta gente. Hanno chiesto dove stava Champagne, poi si so' messi a cercare in giro per casa. Io ho provato a urlare e a fermarli ma quelli mi hanno minacciato.»

«E che cercavano?»

«Che ne so io. Hanno aperto il cassetto di Champagne dove ci stavano un sacco di soldi, più di un milione.»

«Un milione? Sei sicura?»

«Sì, erano un sacco di centomila lire. E poi si so' pigliati pure la cassetta.»

«Quale cassetta?»

«Una cassetta di musica. Quella che gli aveva portato il poliziotto l'altro giorno. Stava nella busta di carta assieme ai soldi. Ma che è successo a tuo fratello? Si è messo di nuovo a fare tarantelle?»

Cazzo. Questo non me l'aveva detto. Champagne, che figlio di zoccola. Mi aveva detto che c'aveva solo quattrocentomila lire in mano. E gli uomini del Sarracino cercavano proprio quella roba. Forse hanno capito che Champagne ha parlato collo sbirro. Allora sanno pure che siamo noi che abbiamo visto il Sarracino uccidere Gomez. Se è così Champagne è già morto. E io so' fottuto.

«Mamma, non ti preoccupare. Io sto bene e pure Champagne. Mo' devo andarmene. Tu fai finta di niente e se torna qualcuno digli che non sai dove stiamo.»

«Aspetta, aspe'... dimmi solo se...»

Attacco il telefono. Butto il mezzo per terra e corro dentro alla stazione. La gente mi guarda in modo strano, ma non me ne fotte un cazzo. Scavalco i binari e vado verso il treno che è appena arrivato. Sul tabellone ci sta scritto: «Direzione Roma via Formia». Per mo', va bene. Mi avvicino all'entrata del treno, ma mi sento afferrare per le spalle da qualcuno. Metto la mano dentro alla tasca e acchiappo la molletta, ma a finale è il controllore.

«Dove stai andando?»

Indico il treno colla mano.

«Lo sai che è vietato attraversare i binari a quel modo? Ti dovrei fare la multa.»

«C'avete ragione, scusate. Ma sennò lo perdevo.»

«Il biglietto ce l'hai?»

«Sì, in tasca», faccio io.

«Ah, sì? E fammelo vedere un attimo, per cortesia.»

Faccio finta di cercare, poi tiro fuori le mani e dico: «Scusate, ma non lo trovo. Non mi potete fare salire lo stesso?».

«Vai, vai. Vai a comprare il biglietto o via dalla stazione.»

«Ma lo devo pigliare, 'sto treno. Per favore.»

«Non tengo tempo da perdere, qua stiamo lavorando. Vai a fare il biglietto o niente treno.»

Faccio per salire lo stesso ma quello mi mette le mani addosso e mi tira giù.

«È meglio se te ne vai, sennò chiamo la polizia ferroviaria e ti faccio passare un guaio. Cammina, forza.»

Figlio di zoccola. Mi allontano dai binari, il controllore fischia e il treno si mette a camminare. Mi ha appeso, il ricchione. Entro dal tabaccaio dentro alla stazione e mi compro un pacchetto di Merit. Poi vedo che sopra al bancone ci stanno i Buondì sfusi e ne compro uno. C'ho le sessantamila della rapina, in tasca. Il tabaccaio sorride, pare che è tutto tranquillo. Piglio una Merit dal pacchetto e inizio a giocarci colle dita. Esco fuori alla stazione, alzo il mezzo da terra e mi siedo su una panchina là vicino.

Che cazzo devo fare? A qualche metro da dove sto io c'è una cosa strana, è una pianta che è cresciuta nel poco terreno in mezzo a due sampietrini della strada. C'è una specie di pomodoro appeso alla pianta. Mi alzo, lo strappo e mi siedo di nuovo sulla panchina. È strano, è rosso ma c'ha delle righe nere tutto attorno. Il pit bull mi ha aspettato là fuori, seduto. Mi guarda, si avvicina, odora il pomodoro che c'ho in mano e inizia a mangiarselo. Poi mi lecca la mano. Cazzo, non ci capisco più niente, mi fa male la pancia. 'Sti figli di zoccola... Non gli basta che mio padre sta combinato così dentro all'ospedale. Si so' pigliati pure Champagne. E che gli fanno? E se lo uccidono? Poi sicuro uccidono pure me. Mi accorgo che scoppio a piangere all'improvviso. Non ci posso fare niente, non riesco a resistere. Non mi succedeva da quando ero piccolo. Mi metto a piangere e non mi riesco a fermare. Più piango e più il cane mi lecca la mano.


CHIMICONE

San Giuseppe. Liceo Genovesi.

3 febbraio 1990, ore 8.59

«Ci stanno gli sbirri! Cazzo, è una retata. Compagni, tutti dentro!»

Urlo come se stessi parlando a un comizio, ma in realtà siamo in cinque-sei, all'uscita di scuola. Immediatamente ci precipitiamo dentro e chiudiamo il portone. Cazzo, gli sbirri. Le prime pattuglie sgommano e fermano le macchine. Sento gridare. C'è qualcuno che sta dando gli ordini. Poi c'è un fiume di altre sirene di pattuglie che si avvicinano, pare che non finiscono mai. Urlo a Boris di chiamare tutti i compagni e farli venire all'ingresso. Sto nel panico, che te lo dico a fare. Qua marca male, se riescono a entrare è la fine, perché ci sgomberano e ci rompono il culo. Betta inizia a spostare un gruppo di banchi che stanno in corridoio. Le chiedo cosa sta facendo.

«Bisogna barricare», urla Betta.

«E perché?»

«Svegliati, Chimico. Se lo Gnomo si è fottuto le chiavi di riserva, secondo te a che gli servivano?»

Merda, c'ha ragione! Dico ai compagni di correre e darmi una mano. Zapatino viene verso di me e mi aiuta a sollevare una cattedra pesante che sta nell'aula là vicino. Riusciamo a metterla davanti al portone proprio mentre qualcuno sta armeggiando con la serratura. Cazzo, lo Gnomo veramente ci voleva vendere alla polizia! Gli altri compagni corrono pure loro all'ingresso e ci aiutano a mettere altri banchi e sedie. Dovrebbe reggere abbastanza bene, la barricata. Pure se provano a sfondare con l'ariete, 'sti figli di troia non ci riescono a spostare tutto il peso.

«Questa è un'occupazione abusiva di un edificio pubblico. Uscite subito fuori e liberate la scuola, non mettetevi nei guai. Potete andare incontro a una denuncia penale se fate resistenza. Uscite immediatamente...»

Qualcuno ha pigliato il megafono, forse è il commissario. Urlo ai ragazzi di barricare bene, perché gli sbirri c'hanno le chiavi del portone, mentre salgo sul muretto e guardo dalla finestra piccola che sta all'angolo della scuola. Mi metto in punta di piedi e riesco a vedere almeno sei pattuglie. Merda, è il degenero. Ci sono venti sbirri in tenuta antisommossa con i manganelli pronti in mano. Ce ne sono pure due con i lacrimogeni. Porcoddio, e che cazzo c'hanno in mente, questi? Quello che sta parlando è un ciccione di merda, con una mano c'ha il megafono e con l'altra tamburella il manganello contro la coscia. 'Sti stronzi c'hanno brutte intenzioni.

«Uscite subito, lo sappiamo che siete rimasti in pochi, tutti gli altri stanno per arrivare alla stazione. È inutile che provate a fare resistenza, rischiate solo di pagarla voi per tutti quanti...»

Boris sta trascinando due secchi enormi, di quelli con cui gli ambulanti ci vendono le birre con il ghiaccio a piazza San Domenico.

«Che roba è, Boris?»

«Roba da riciclare. Per fare la raccolta differenziata...» ride lui.

Nei secchi ci sono bottiglie di birra vuote, tutte quelle delle feste che abbiamo fatto finora. Io scendo giù dal muretto e me ne metto tre nelle tasche di dietro del jeans. Poi arrivano due compagne assieme a Zapatino con delle buste di plastica piene di sampietrini. Betta mi passa il mio tascapane e io lo riempio con i sampietrini, lei prende una bottiglia dalla mia tasca e la tiene stretta in mano. Boris raccoglie una mazza di legno in una mano e c'ha la bomboletta spray nell'altra.

«Compagni, dobbiamo riuscire a non farli entrare a scuola. Sennò è finita. E non parlo tanto per noi, ma per l'occupazione. 'Sti stronzi s'erano preparati il piano e aspettavano che andavamo tutti a Roma per sgomberare. Dobbiamo resistere pure per gli altri», dico io.

Betta e Boris annuiscono. Boris non l'ho mai visto così serio. Uno dei compagni ha la faccia contratta, si vede che è impaurito. Salta sul muretto per dare un'occhiata fuori e poi mi chiama: «Chimicone, se questi sfondano la porta siamo fottuti! Guarda quanti ne sono. C'hanno tutti i manganelli in mano e pure i lacrimogeni. Che cazzo facciamo?».

«Stai calmo. Nessuno può fare un cazzo finché non riescono a entrare. Andate a prendere un'altra cattedra e mettetela davanti all'ingresso.»

«Ma non è meglio uscire fuori e trattare?»

«Ma trattare cosa?» urla Betta. «Non hai capito che appena entrano quelli ci spaccano il culo? E poi che cazzo di comunista sei se ti cachi sotto del primo stronzo con il manganello che ti urla in faccia!»

Betta lo guarda senza fiatare. C'ha il viso che sembra una roccia. Fossero tutti così, che te lo dico a fare. Salgo di nuovo sul muretto. Cazzo, ne sono arrivati altri. Saranno una trentina, ora. Alcuni c'hanno la faccia proprio cattiva, da figli di troia. Sono incazzati ma non sono tesi, 'sta cosa è strana. Ce ne sono pure due che stanno ridendo tra loro mentre giocherellano con i manganelli. Il commissario ciccione sta parlando alla radio con qualcuno. Poi si sente un rumore di colpi vicino al portone. Qualcuno lo sta prendendo a calci o sta provando a sfondarlo.

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