Copertina
Autore Adriano Petta
Titolo Eresia pura
SottotitoloLo sterminio dei Catari e il segreto delle "Chiavi del sapere"
EdizioneLa Lepre, Roma, 2012, Visioni , pag. 314, cop.fle., dim. 13,5x21x2,3 cm , Isbn 978-88-96052-61-7
LettoreFlo Bertelli, 2012
Classe narrativa italiana , storia medievale
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Pagina 17

Capitolo primo



Nel momento in cui prendo il calamo in mano, mi rendo conto che non sarà facile districare l'intreccio di trame storiche dalla cronaca della mia vita. Ancor più arduo sarà placare il mio animo dilaniato dall'orrore, grondante di lacrime, di sangue. Eppure, devo percorrere questo cammino a ritroso con mente lucida, per non smarrire il senso che ha animato la mia lotta. E quanto più riuscirò a tenere a freno rabbia e commozione, tanto più avrò reso un servigio alla storia e un omaggio alla memoria di tutti coloro che hanno trovato la morte in un massacro senza precedenti... un eccidio che, mentre scrivo, non è ancora giunto al suo ultimo atto.

La storia – questa storia – non può che partire da una lunga notte d'estate.


Eravamo sul finire del luglio 1207. La luna illuminava lo specchio di Diana, il lago di Nemi. Ero stanco, quel giorno avevamo lavorato sodo mettendo a lustro il castello da cima a fondo, ma era una splendida notte d'estate e ogni tanto una misericordiosa bava di vento alitava dai pioppi e dai castagni del bosco sacro. Me ne stavo perciò appoggiato alla finestrella della nostra capanna che era l'ultima della Pullarella, proprio in cima alla roccia di lava, a strapiombo sul lago. Qui aveva trascorso tutta la sua vita Girolamo o, come lo chiamavo semplicemente io, "il vecchio". Ero quasi certo che nemmeno lui conoscesse la sua vera età, nonostante giurasse e spergiurasse di avere solo cinquanta primavere. Sempre accigliato, borbottava in continuazione snocciolando moccoli a più non posso, masticando livore e rabbia contro il mondo intero.

In quel momento stava riposando. Probabilmente non dormiva, intuivo il suo girarsi e rigirarsi nel letto dal fruscio del pagliericcio. Perlomeno non brontolava. Ne approfittai per restare ancora alla finestra, seguendo con lo sguardo le lucciole, puntine d'oro infuocato che scendevano verso il lago. Ma poco dopo la voce cupa tuonò alle mie spalle, nell'oscurità: «Allora, Giordano, vuoi toglierti o no da quel buco? O vuoi prendere il fresco tutto per te e farmi schiattare? Vieni a riposare e non ci pensare più: non riuscirai mai a far tornare a galla quelle maledette navi!».

Era uno dei tanti modi per dare inizio alle nostre interminabili chiacchierate notturne: colorarle con toni da piccola guerra le rendeva più dilettevoli. Quella notte il vecchio, nonostante la stanchezza, era più battagliero che mai. Nella capanna continuava ad aleggiare l'opprimente afa diurna: l'estate avrebbe tardato ancora molto a spegnersi. Solo allora l'abate e i monaci avrebbero lasciato il castello per tornare al monastero di Sant'Anastasio a Roma. E noi due avremmo potuto finalmente svestire la tonaca bianca, riacquistando la libertà per un altro lunghissimo inverno.

Mi sdraiai accanto a Girolamo proprio mentre la brezza capricciosa mutava direzione e penetrava nella capanna accanto, portando alle mie narici le zaffate di pelli d'agnello messe a seccare. «Vecchio, ricordati che un giorno quelle navi io le tirerò fuori da lì sotto. Te l'assicuro».

«E in che modo, mio valente discepolo? Facendoti aiutare dalla dea Diana? Oppure con qualche arte magica? O forse con uno dei tuoi misteriosi calcoli?». E accompagnò queste parole con una specie di grugnito.

«Senza magia. Con un sistema di carrucole e di leve: ho già pronto un progetto. Altrimenti, se così non si dovesse riuscire, bisognerà inventare qualcosa di diverso. Sarebbe stupendo costruire un legno che scivolasse sotto l'acqua, per poi legarvi le navi romane e trainarle a riva...».

«Una nave che viaggia sott'acqua e non sopra? Per i Campi Elisi, Hic homo sanus non est! Temevo che un giorno saresti impazzito... Ed è tutta colpa mia e dei libri che ti ho permesso di leggere. Hanno ragione loro... Oh, se ne hanno, i libri portano alla follia!». Il suo cruccio sembrava sincero.

«Ma no vecchio, puoi stare tranquillo, sono perfettamente savio. Certo, non saprei da dove cominciare... Eppure sento che non è impossibile. Vedrai, un giorno noi due tireremo fuori quelle navi e da umile converso cistercense ti guadagnerai un'altissima onorificenza: ti faranno abate, non delle Acque Salvie, ma di Cistercium».

Ridevo mentre facevo questa predizione, ma lui prese a borbottare ancora più forte, masticando imprecazioni: «Per l'Acheronte! Penso proprio di non aver fatto un gran gesto togliendoti da quella cesta per farti da padre e da madre! Abate io! Abate!». E abbassando il tono della voce: «Preti, monaci, abati, vescovi, cardinali, papi... Padre santo!».

«Vecchio, perché quel tremolio? Come mai quel sussurro? Cominci a presagire tizzoni ardenti sotto i tuoi piedi? Certo, chi direbbe mai che sei un mezzo frate!».

«Sono un converso, un fratello laico. Sono libero, io».

«Ma porti la bianca sottana dei monaci».

«E tu no? Non fai la stessa cosa, tu?».

«Ma io non mi lamento. Io non finirò mai sul rogo. Mentre tu già conosci la tua fine».

«Ho allevato una serpe, un aspide sotto il mio tetto...».

Avevamo intavolato quella discussione innumerevoli volte. Poco dopo continuò, bofonchiando: «Non è giusto, i signori monaci se ne stanno al calduccio tutto l'inverno, al monastero di Roma, riscaldandosi con giunoniche maddalene: poco ora e molto labora! Poi durante l'estate stanno qui a godersi il fresco... Vengono a Nemi perché non c'è pericolo di malaria! E intanto questo vecchio mezzo zoppo, sotto questo sole, va a lavorare le loro dannatissime terre in riva al lago. Che vengano a sputare sangue anche loro! Che provino a mettere a seccare qualche pelle d'agnello! Dividano con noi le zaffate di questo balsamico olezzo! Invece domani quei maledetti seguaci di Lucifero, assieme ai signoroni, mangeranno gli agnelli arrostiti... Oh, ma Dio li punirà. Dio è giusto, passeranno l'eternità all'inferno, e come pena si ritroveranno immersi in montagne di carne imputridita. Verrà il giorno del giudizio... oh, se verrà!».

«Quel giorno sarai condannato anche tu all'eterno calduccio delle fiamme... Lo sai, vero?».

«Sì, sì che lo so. Ma prima di scendere laggiù, voglio dire due paroline a san Pietro. Perché vedi, il mondo è grande, brulicante di creature che abbisognano della parola di Cristo più di noi latini. Capisci? Quella pietra l'avrebbe dovuta porre in territorio tartaro! In mezzo ai barbari doveva fondare la sua Chiesa, non a Roma! In fondo, qui la gente era già avvezza a questioni d'inferno e di paradiso. E anche a quelle del purgatorio...».

«Ma cosa dici?».

«Oh Signore Iddio, perdona la sua arroganza nonché la sua ignoranza: ecco le nuove generazioni! Ma cosa credi? Per quei quattro numeri che hai imparato, pensi di saperne più di me? I libri dei monaci e dei preti io li ho letti davvero, dunque conosco la storia e so ciò che è accaduto. Tu, invece, sei sempre alla ricerca di formule matematiche, di numeri, simboli, elementi morti, senza vita. E pensare che sei fra i pochi fortunati di questo dannatissimo mondo ad avere a disposizione un'intera biblioteca che contiene un po' di tutto! Inoltre hai avuto la fortuna di trovare me...».

«Vecchio, se quel giorno il cesto l'avesse visto l'abate in vece tua, come minimo ora sarei segretario particolare del Santo Padre».

Motteggiavo per spezzare il suo panegirico che ormai sapevo a memoria. Anche lui conosceva per filo e per segno le mie frecciatine. Con uno scatto improvviso riuscii a evitare la solita bastonata, mentre lui, sempre più accalorato, proseguiva: «...ma non hai saputo approfittarne! Oltre alla lingua del vulgo, sono riuscito a insegnarti un buon latino e un po' di greco, ma per ottenere cosa? Per vederti impazzire dietro quei numeri! E hai coinvolto anche me! Farmi ricopiare pagine intere di stramaledetti numeri arabi e formule di fisica! Ma a cosa servono? Non hai mai aperto un libro di storia o di filosofia!».

«È vero, grazie a te so tutto della vita degli imperatori. E so anche come sono morti: tutti avvelenati. Conosco inoltre la causa dei mali della terra: monaci e preti. Vedi, in due parole t'ho raccontato tutta la storia dell'umanità!». Ridacchiavo, attento a evitare l'immancabile bastonata in arrivo.

«Bastardo... Ah come comprendo quella santa di tua madre! Ma non capisci? Ti ho dato la possibilità di leggere, di studiare, di capire quello che pensava il più grande uomo mai esistito sulla terra dopo Nostro Signore Gesù Cristo: Aristotele. E tu che fai? Dove vai a ficcare il naso? Nei suoi libri di fisica».

«Vecchio, anche a lui piacevano i numeri...».

«Ma non soltanto quelli, è lì la differenza. A te importano soltanto quei maledetti sgorbi, mentre ti disinteressi nel modo più assoluto del mondo in cui vivi. Ti sei buttato a capofitto nello studio dei numeri perché con quelli puoi giocare come vuoi, senza interpellare né Iddio né la tua coscienza. Non sai nemmeno cosa accade intorno a te. Ogni cosa potrebbe finire domani, ma tu non ti preoccupi. Se dovessi essere condannato agli inferi per l'eternità, ci andresti volentieri, purché ti fosse concesso di portare con te un abaco per contare tutte le anime dannate! È vero o no? Almeno riuscissi a ricavarci qualcosa!».

Intuendo ciò che stavo per dire mi posò con forza una mano callosa sulla bocca: «...e va bene! Una volta i tuoi sciagurati numeri sono serviti a comprare un braciere... ma dannazione, avrei preferito crepare di freddo! Non avresti mai dovuto separarti da quel libro! Ma come, un ragazzo di quattordici primavere riesce a scrivere un testo così importante da riempire d'orgoglio persino il vecchio Girolamo... e che fa? Lo vende per poche monete, per comprarci un pezzo di ferro; e come se non bastasse lo vende proprio a un amico del nostro erudito abate Raniero! Devi solo ringraziare Iddio che finora nessuno abbia collegato il grande e stolto matematico Jordanus de Nemore con lo strullo converso del castello di Nemi! Hai sentito invece cos'ha fatto il giovane pisano che acquistò il tuo libro? Sembra che lo abbia riscritto a modo suo. E ora va dicendo d'essere stato lui il primo a scoprire le cifre arabiche e lo zefiro! Per i Campi Elisi, una volta che avevi azzeccato una cosuccia... Nugae non erant!».

«È stato meglio così. Che uso ne avrei fatto io? Le nove figure indiane con lo zero servono soprattutto nel commercio, e il figlio di Bonaccio è un mercante che viaggia molto e che può portare l'uso di quei numeri in giro per il mondo. Non ha alcuna importanza che dica di averli scoperti lui. Se è per questo, in verità non sono stato nemmeno io... A proposito, proprio non ricordi da quale libro copiasti quelle pagine?».

«No, per Ercole! E se anche lo ricordassi non te lo direi mai: potresti trovarci qualche altra diavoleria».

«...e forse potrei anche scrivere un altro libro, venderlo e comprare un grande soffice materasso di lana per il prossimo inverno».

«Signore Iddio, i numeri hanno davvero stravolto la tua mente! Per l'Acheronte, pensare a un materasso di lana con questo caldo!». E sospirò, avvilito.


Mentre il vecchio continuava a bofonchiare, ripensai a quel giorno di sei anni prima. Era l'inizio dell'estate ed ero andato per conto dell'abate Berardo dai monaci cistercensi della chiesa di Santa Maria di Fulano, a Ostia. Dentro la bisaccia, il mio primo libro. Girolamo me l'aveva rilegato, incidendo sopra anche il titolo: Il mio piccolo abaco di Jordanus de Nemore. Era stata grande la mia gioia quando, in una taverna, mi ero trovato a poter intervenire nell'accesa discussione tra il giovane Leonardo Fibonacci e un presuntuoso avventore che si atteggiava a sapientone, entrambi accalorati dai tanti boccali di cervogia. Il pisano aveva offerto anche a me un boccale di giulebbe alla rosa. Raccontavano dei loro viaggi. Sentivo parlare dell'Oriente e ne ero affascinato. Poi il vecchio cominciò a darsi arie di grande uomo di calcolo, sostenendo di saper maneggiare l'abaco come un cavaliere la spada, mentre il giovane, forse per eccessivo rispetto, esitava a controbattere, argomentando solo in modo forbito sulla possibilità di applicare la matematica a tutte le scienze.

Allora posi io al sapientone un quesito: provasse a calcolare quante coppie di conigli sarebbero nate in un anno a partire da un'unica coppia, se ogni mese ciascuna coppia avesse partorito una nuova coppia, che a sua volta avesse partorito dal secondo mese.

Il vecchio a tutta prima ammutolì, poi mi diede dello screanzato.

Al pisano invece brillarono gli occhi e mi domandò se veramente fossi capace di risolvere il problema. Mi feci quindi dare dall'oste un carbone e, usando i nuovi numeri, scrissi la serie 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, spiegando come ciascun numero – dopo i primi due – era la somma dei due precedenti. Il giovane pisano, esterrefatto, esclamò che non era possibile e mi chiese come potessi conoscere le cifre arabe. Insistette perché andassi sulla sua nave, dove mi fece molti racconti. Parlammo soprattutto di numeri e io non narrai nulla della mia vita. Gli vendetti però il libro, perché intuivo che ne avrebbe fatto un buon uso. E con i pochi danari imperiali comprai – da un mercante ebreo – un bellissimo braciere di ferro per il mio vecchio brontolone.


Una lucciola era entrata dalla finestra, ma si affrettò a ritornare verso il chiarore della luna.

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Riprese fiato, sentii che si girava verso di me: «Giordano... ti ho mai raccontato come cominciarono le crociate?». E senza attendere la mia risposta, che come ben sapeva sarebbe stata positiva, continuò: «Nel 1096, mentre erano in marcia verso la Terra Santa, i crociati fecero un po' di esercitazioni nella Lorena, massacrando oltre duecento ebrei, saccheggiando case e sinagoghe e dividendosi poi il bottino. Piombarono quindi su Magonza, stanarono un gruppo di oltre settecento ebrei e li scannarono dal primo all'ultimo, donne e bambini compresi. Tre anni dopo, altri crociati, guidati da duchi e conti illustri, conquistarono Gerusalemme, trucidando tutta la popolazione ebraica e saracena. E questo per non parlare di ciò che è successo tre anni fa...». Un grugnito, uno sputo. «Ricordi? Ti ho sempre detto a cosa veramente miravano le crociate: a Bisanzio! Era quello il vero traguardo di papi e crociati. E quando è stato eletto Innocenzo III, non ho avuto più alcun dubbio: questo papa ci sarebbe riuscito! E così è stato. Solo ora cominciano a giungere le prime notizie. Pochi giorni fa ho sentito il nuovo abate Raniero raccontare a frate Anselmo che Zara – città infestata dagli eretici bogomili – è stata finalmente riconquistata dalla cattolica Venezia, e che gli scismatici di Bisanzio hanno pagato un caro prezzo per essersi voluti dividere dalla Santa Romana Chiesa. Capisci, Giordano? Bisanzio, città cristiana, è caduta sotto i soldati di Cristo! Sotto quegli sgherri che avevano preso la croce dai legati del papa, i quali a loro volta hanno assicurato l'eternità in cielo a chi ha incendiato quasi tutta la città, stuprando monache e fanciulle, calpestando sante reliquie, saccheggiando palazzi e chiese, uccidendo e derubando, distruggendo monumenti, opere d'arte. E, in mezzo a tutto quest'inferno, alcuni monaci al seguito dei crociati hanno nascosto sotto la tonaca oro e reliquie rubate nelle chiese». Si interruppe un attimo, poi riprese: «Sai cosa diceva l'abate Raniero? Che forse alcuni di quei preziosi pezzi finiranno alle Acque Salvie. Un calice di sardonica, smalto, argento dorato, vetro e perle. Una meravigliosa patena con Cristo a smalto, con alabastro, cristallo di rocca e perle, e infine una preziosissima icona con la crocifissione su lapislazzuli. Oro, argento dorato, smalto, vetro... e lapislazzuli!».

«Però anche a noi è toccata una piccola parte di bottino: quella cassa di manoscritti che hai dovuto sistemare nella torre proviene dal saccheggio di Bisanzio... un regalo al Santo Padre. Se non rimarranno chiusi in quel maledetto forziere, per noi due ci sarà un inverno da veri letterati!».

«Che l'Acheronte ti prenda in custodia per l'eternità! Riesci a vedere il tuo tornaconto in ogni cosa. E non dirmi che stavi scherzando, perché sono certo che l'idea di quei manoscritti ti ha fatto dimenticare tutto il sangue innocente che è stato versato. Non provi niente al pensiero che una città come Bisanzio, che da sola racchiudeva più storia e cultura di tutto l'Occidente e Oriente messi insieme, ora non è altro che cenere?». E senza darmi tempo di replicare, continuò: «Per capire tante cose è necessario avere una visione ampia della storia. I preti fanno risalire il potere della Chiesa alla Donazione di Costantino, ovvero a un falso documento ideato da loro per dimostrare che l'imperatore Costantino aveva donato i domini dell'Impero romano d'Occidente a papa Silvestro I. Una clamorosa menzogna! Inoltre, nel 1130, sotto Innocenzo II, la curia pontificia stabilì che Costantino aveva offerto al papa anche il potere di conferire la corona e la spada all'imperatore. In pratica, il pieno diritto di disporre del mondo! Di fronte a queste premesse, puoi ben immaginare quante speranze potesse avere quel povero diavolo di Arnaldo da Brescia... Arnaldo l'asceta, "l'uomo che non mangia e non beve", il rivoluzionario. Venne a Roma per svegliare le coscienze dei romani, tentava di fargli capire che la Donazione era assolutamente falsa. Costrinse il nostro ex abate delle Acque Salvie, papa Eugenio III, a fuggire da Roma. Fu Bernardo di Chiaravalle a reinsediarlo sul soglio e a ristabilire l'ordine consegnandogli le due spade: quella del potere spirituale e quella del potere temporale, accordando così al papa la supremazia assoluta. E pensare che Arnaldo sognava una Roma libera da papi e imperatori...».

Girolamo respirò a fondo: «Ecco un esempio di come il potere riesce a coalizzarsi quando il popolo tenta di sollevarsi. Nel 1155 Federico Barbarossa venne in aiuto di papa Adriano IV, consegnandogli Arnaldo: l'eroe solitario già condannato come eretico dal tribunale della Chiesa, fu impiccato e bruciato, e le sue ceneri furono gettate nel Tevere. Povero Arnaldo: aveva osato predicare che la Curia era diventata una casa di commercio, un rifugio di ladri. E prediceva che i chierici con possedimenti terrieri, i vescovi che avevano feudi e i monaci che disponevano di proprietà, sarebbero stati tutti dannati». Una pausa, un mugugno: «Nel frattempo aumentano soprusi, scandali e oppressione da parte del clero. Anche per questo ovunque è un fiorire di eresie: gli umiliati, i valdesi... Ma soprattutto loro, i catari, lo spauracchio della Chiesa! Sono già stati condannati ufficialmente da papa Alessandro III nel terzo Concilio laterano del 1179. Questa data difficilmente potrà essere dimenticata: in quell'occasione, per la prima volta nella storia, si prospettò l'idea di una crociata contro gli eretici. Una guerra! Un esercito! Il successore al soglio, Lucio III, chiese l'aiuto dell'imperatore Federico Barbarossa, e dal colloquio di Verona del 1184 scaturì la prima grande condanna religiosa e politica degli eretici. Il terreno era ormai pronto, mancava solo un grande condottiero. Ora è arrivato: è Lotario dei Conti di Segni, l'attuale papa Innocenzo III, scelto per divino prodigio!». Una sghignazzata, un colpo sul pagliericcio. «Pensa, per ben tre anni Lotario ha ammaestrato una colomba, e il giorno dell'elezione cosa ti combina il pennuto? Vola su un tavolo dov'era dell'inchiostro di sambuco, diventando tutto nero! Era l'unica colomba ammaestrata, e il cardinale non poté tirare il collo alla diabolica creatura. In fretta e furia dovette chiamare un pittore che utilizzò la più bianca e resistente delle paste per donare nuovo candore all'animale. Tutto filò liscio perché durante l'elezione furono liberate in aria tre povere colombelle, di cui l'unica ammaestrata volò subito sulla spalla di Lotario. Divino prodigio! La più bianca delle colombe si era posata sul prescelto da Dio! Sia fatto papa! L'impertinente uccellaccio però, forse disturbato dall'odore della pittura o forse avendo intuito la natura satanica del nuovo eletto, depositò sul capo del grande Lotario una portentosa dose di escremento. La colombella finì cucinata, e al banchetto ebbe un successo strepitoso, quasi maggiore di quello ottenuto come messaggera divina!».

Finalmente Girolamo finì di gracchiare. Pensai che avesse esaurito la sua solita arguta lezione di storia, ma erravo di molto. Sentii che si muoveva e poco dopo accese una candela.

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Pagina 32

«Vecchio, ascoltami bene. Non penso che tu sbagli a essere sempre contro tutto e tutti. Dico però che i tuoi discorsi sono geremiadi e panegirici che conducono al rogo. I nobili cavalieri ormai partecipano alle crociate soltanto per depredare e uccidere. Non si concepisce più l'idea di una causa nobile. E di uomini sciocchi come Arnaldo da Brescia, questo mondo non ne ha proprio bisogno. O ti adegui e chini il capo, chiudendo la tua mente in un cofanetto di tenebre, oppure combatti. Ma non com'è stato fatto finora. Non a modo tuo».

«E come, mio giovane saputello? Svelami questo mistero, sono curioso...».

Non mi era mai accaduto di vivere con tanta emozione un alterco con Girolamo: «Con i numeri, vecchio, con i numeri. Con le formule di Pitagora, Archimede, Euclide, Tolomeo, Eratostene, Filipono, Boezio, Gerberto...».

«...e di Giordano Nemorario, scommetto».

«Sì, anch'io dirò la mia. E stai tranquillo che se il mondo cambierà, sarà per i miei numeri e non per le tue idee. Saranno le invenzioni a liberare l'uomo dalla schiavitù. Sarà, ad esempio, l'apparecchio che in Oriente usano già da molto tempo e che permette non solo la navigazione d'estate, come avviene adesso, ma anche d'inverno. È finita l'epoca degli eroi: sono controproducenti per il cammino dei popoli. Oltre a farsi ammazzare assieme a chi li segue, contribuiscono a far irrigidire ancor più il potere, che è maestro nel trovare sempre nuove forme di repressione e di oppressione. Sei proprio tu a insegnarmi che il mondo è stato sempre uguale, che pochi uomini hanno comandato e scritto la storia dell'umanità. Pochi uomini che hanno vissuto sul sudore dei più. Da sempre. In qualunque terra». Ripresi fiato: «C'è stato un popolo che avrebbe veramente potuto mutare il volto del mondo: i Greci! Ma la cultura pagana fu cancellata dal cristianesimo, e furono distrutte le biblioteche di Pella, Atene, Antiochia, Pergamo, Efeso e Alessandria. Quel poco che restava era a Bisanzio... ed ecco, ora Innocenzo III ha mandato i crociati a finire l'opera! A bruciare il sapere e la scienza dei più grandi uomini della storia. Questo sì che Dio non glielo perdonerà mai, mai...».

Il vecchio non credeva alle sue orecchie: «Papae, c'è infine qualcosa dei preti che non ti va giù. Dio sia lodato! Sono i libri quindi, il tuo tallone d'Achille...». Un profondo sospiro di sollievo.

«Sì, è così... e non tanto gli scritti di filosofia, ma quelli di matematica, di fisica, di astronomia. In quei testi si trovava la chiave del progresso dell'umanità. Bruciandoli, sono stati cancellati millecinquecento anni di storia. È come se l'uomo, per un millennio e mezzo, non avesse fatto un solo passo avanti. Questo i preti lo sanno molto bene, e il loro principale traguardo è proprio tenere il mondo fermo. Perché se camminasse, il loro potere non sarebbe più lo stesso e in breve tempo il popolo riuscirebbe a scrollarseli di dosso. Anche per questo il tuo modesto allievo studia. Anch'io, vecchio, a modo mio combatto, ma senza fare l'eroe. Non si può contrapporre un esaltato sognatore a un potere freddo e calcolatore. Non si può combattere con una fionda contro una balista, un trabocco o un mangano».

Mai, come in quel momento, avevo visto tutto così chiaro: «La carriola e i verricelli che ho costruito hanno in parte sollevato noi e i contadini della Pullarella dal carico di tante fatiche. Il nuovo attacco per l'aratro ha migliorato di molto il lavoro della terra. L'invenzione della gualchiera ha rivoluzionato la tremenda opera di follatura con i piedi... e queste sono sciocchezze rispetto a tutto ciò che si potrà fare per alleviare le sofferenze dell'uomo e sottrarlo alla schiavitù e alla fame. Girolamo, tu non puoi immaginare quale importanza abbia avuto Aristotele in questo cammino. Vedi, è stato lui il primo ad applicare la matematica ai fenomeni fisici... Povero me, chissà cosa credevo d'aver fatto scoprendo la soluzione di una volgare equazione di secondo grado! È questo il mio vero problema: sono solo, mi manca la scienza degli antichi e quel poco che tu mi hai procurato non è sufficiente. Ogni tanto una piccola luce infiamma la mia mente. Da un po' di tempo, ad esempio, non sopporto più l'idea che la velocità di un corpo sia proporzionale allo spazio percorso: più ci penso, meno mi convince...».

La voce burlona del vecchio si intromise nel mio serio farneticare. Non perdeva mai l'occasione per canzonarmi: «Sì, ora che ci penso è così anche per me: dev'essere proprio questa la causa della mia frequente insonnia... Oh, Signore Iddio, compi il miracolo per questi tuoi umili servi e peccatori, fa' che la tua onniscienza illumini le nostre menti e che, sfolgoranti e avvolte in un manto purissimo, scendano in noi la verità e la luce! Dicci dunque, o Signore, a cosa è proporzionale la velocità di caduta, così da poter finalmente raggiungere l'eterna beatitudine!». Ed esplose in una compassionevole risata.

«Vecchio, sei un dannato bestemmiatore... ma Iddio probabilmente terrà conto dello stato confusionale in cui è stata sempre avvolta la tua mente a causa della terribile caduta di quand'eri ancora un fanciullo... A proposito, anche se non credo tu possa capire la portata rivoluzionaria di questa mia ideuccia, io credo che la velocità di caduta sia direttamente proporzionale al tempo di caduta, non allo spazio percorso. Ah, cosa non darei per avere i libri dei grandi maestri!».

«Anche l'anima».

«Sì vecchio, anche l'anima!». E tacqui, io stesso stupito da tanto ardore.

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Pagina 44

Il volto del giovane tradiva un'intensa lotta interiore. Anania proseguì: «Pensa a come sarebbero andate le cose se quei pochi uomini depositari del sapere e del potere avessero dedicato la loro vita alla divulgazione della conoscenza: avremmo avuto popoli colti, popoli che si sarebbero ribellati a ogni forma di schiavitù e che non avrebbero mai accettato l'idea di rendere schiavi altri esseri umani per seguire un'ideologia o un credo. Una massa di gente incolta è come un gregge di pecore molto particolare, un gregge che quando sente la voce del padrone può trasformarsi in un branco di lupi affamati. Sono profondamente convinto di questo: ho interrogato la storia dell'uomo, ho interpretato il libro di Ahmes, le tavolette d'argilla della Mesopotamia, ho studiato la storia dell'Egitto, di Babilonia, dell'India e, infine, ho incontrato i grandi Elleni, coloro che avrebbero potuto cambiare l'umanità. Se il cammino della scienza non fosse stato interrotto da Roma e dal cristianesimo, oggi avremmo una civiltà diversa, migliore, probabilmente libera. In Grecia erano state gettate le basi per trasformare il mondo!».

Anania sembrava stanco. Il suo sguardo oltrepassò l'angusta finestrella e si perse dietro al volo dei pipistrelli che danzavano freneticamente nella loro caccia agli insetti. Poi i suoi occhi tornarono sul volto di Aser: «Una vita dedicata allo studio della matematica, dell'astronomia, della storia e della geografia mi ha portato a non essere certo benvoluto. Per le mie idee sono giudicato un sovversivo, perseguitato dal clero e dalla legge. Al solo accennare alla possibilità che la Terra si muova, si rischia di essere imprigionati! Basta, Aser. È vero che la civiltà è nata in Oriente, nelle Indie, in Asia Minore, nell'Ellade, ad Alessandria... ma ormai è veramente finita. È giunta l'ora che anche l'Europa intraprenda il cammino della scienza, abbandonando il suo stato di barbarie. Capisci Aser, qui in Oriente è veramente finita. Ciò che noi possiamo e dobbiamo fare è trasferire le Chiavi del sapere in Europa».

«Cosa intendete dire?». Negli occhi del giovane un'espressione guardinga ma attenta.

«Immagina Aser, supponi che le genti di tutto il mondo siano colte, che ogni uomo sappia almeno leggere e scrivere, e che in ogni casa ci sia qualche libro...».

«Anania, perché sognare!».

Con una nuova luce sul volto, il maestro lo afferrò per le braccia: «Aser, è possibile, ti dico! Finora i principali freni alla divulgazione del sapere sono stati l'alto costo della pergamena, che oltretutto è difficile da reperire, e le difficoltà connesse alla tecnica di comporre un manoscritto. Ancora adesso per redigere un solo testo occorre moltissimo tempo. Immagina però di poter usare, al posto delle costose pergamene, un materiale facile a prodursi. E supponi che non sia più tu a scrivere, ma una macchina capace di imprimere in un sol colpo un foglio intero. Una macchina che in una giornata sia in grado di produrre non un solo testo ma moltissimi libri!».

«Sarebbe uno sconvolgimento, maestro, la più grande rivoluzione di tutti i tempi! Ma sacerdoti, re e imperatori getterebbero al rogo sia la macchina che l'uomo che la usasse».

«Per questo dobbiamo agire con grande cautela».

Aser rimase a bocca aperta. «Maestro, voi parlate come se questa macchina esistesse realmente! Vi state forse prendendo gioco di me?».

«No. La macchina è stata inventata, ed è un ottimo progetto. Ma non è ancora stata costruita, e l'Armenia, specialmente di questi tempi, non è certo il luogo più adatto per questa impresa».

Anania lasciò che l'allievo si riprendesse dallo sconcerto, poi depose una borsa di pelle scura nelle mani del giovane, il quale, prima di aprirla, prese a fissarne la fibbietta di bronzo sulla quale spiccavano dei disegni dorati, una serie di triangoli incisi, alcuni con segni orizzontali, altri con un solo segno verticale, infine l'aprì e ne tolse due manoscritti rilegati. Sfogliò il primo, ne lesse qualche brano, e quando sollevò gli occhi la sua espressione era ancor più interrogativa. «Non ti stupire, Aser. Non è un gioco, è una raccolta di epistole di varia natura – amorose, rustiche, morali – di ben scarso valore letterario e filosofico. Mi furono donate dall'autore, Teofilatto Simocatta, che è stato prefetto e segretario imperiale. Ci incontrammo anni fa a Bisanzio e avemmo parecchi colloqui e scambi di varie informazioni. Lui stava componendo un'opera sul regno di Maurizio di Bisanzio e io la mia Geografia. Al termine dei nostri incontri, per riconoscenza, volle farmi dono delle sue epistole. Tuttavia, mio caro Aser, questo insignificante manoscritto contiene ora un artifizio: chi lo sfoglierà, infatti, difficilmente si accorgerà che nelle ultime pagine sono stati inseriti alcuni fogli... Il contenuto non dovrebbe esserti del tutto estraneo... Ricordi Aristarco di Samo?».

Aser sfogliò una ad una le ultime pagine del testo, infine alzò gli occhi, stupito: «Certamente... Aristarco... Quasi mille anni fa... la nuova teoria dei moti planetari».

«Sì figliolo, lì c'è tutta la sua teoria, corredata da una serie di calcoli, e completata da un commento di un seguace di Aryabhata. Sono idee che un uomo osò proporre quasi un millennio fa. Non ebbero molto credito presso gli studiosi della Scuola alessandrina, ma ora potrebbero cambiare il mondo».

Anania invitò quindi il giovane a prendere l'altro manoscritto e ad aprirlo.

«Ma è un palinsesto... è l'Antico Testamento».

«Sì Aser: dal primo Libro dei Re al secondo dei Paralipomeni. Uno dei tantissimi esempi di vandalismo cristiano, anche se in questo caso non hanno cancellato una grande opera, ma solamente alcune commedie di Tito Maccio Plauto. Bene, anche in questo caso, seguendo la medesima tecnica dell'altro testo, ho aggiunto alcuni fogli nel mezzo e alla fine. Guarda tu stesso». Prese il libro dalle mani del giovane: «Vedi, qui si dice di come in Cina, cinque secoli fa, Ts'ai Lun, utilizzando reti da pesca, fibre di canapa e scorze d'albero, riuscì a produrre una nuova sostanza su cui scrivere: la carta! Attualmente questo materiale è usatissimo in tutta la Cina. C'è un'ampia descrizione delle varie fasi di lavorazione... Dall'impasto, alla raffinazione, alla formazione di un foglio. Io stesso ne ho prodotta un'esigua quantità. Ma continua a guardare, questo è il piccolo segreto che farà letteralmente esplodere la matematica e tutte le scienze! Si tratta del nuovo sistema di numerazione, un sistema indiano... Osserva, sono dieci cifre: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9... e infine lui, il piccolo grande zefiro, lo zero! Dunque, come vedi, un diverso simbolo per ogni cifra, una notazione posizionale e infine una base decimale. Per la prima volta, tre princìpi uniti assieme. Che te ne pare?».

Aser esaminò con attenzione il manoscritto poi sollevò il volto con lo sguardo che brillava: «Quale ingegno, quale acuto semplice talento! Come abbiamo fatto a non pensarci fino a oggi?».

«Lo hai detto, figliolo: geniale nella sua semplicità! Solo gli Indiani potevano riuscirci. Ho appreso tutto ciò che è scritto in queste pagine da Severo Sebokt – pensa, da un vescovo! – e da un allievo dell'indiano Brahmagupta. I numeri negativi, lo zero, le equazioni di secondo grado e questa tavola dei seni e delle tangenti che sarà utilissima all'astronomia. E da quello stesso allievo di Brahmagupta che tornava dalla Cina, ho appreso anche qualcos'altro...». Sfogliò il manoscritto dove, poco oltre la metà, erano stati inseriti alcuni fogli contenenti scritte e figure. «Ho preferito redigere io stesso queste note utilizzando il greco... Ecco, vedi? Questo sarebbe il compositoio... e questi alcuni esempi di caratteri mobili. Capisci Aser?».

«Sì Anania, è un'idea assolutamente geniale. Anche se temo che la realizzazione pratica non sarà facile...». Gli occhi del giovane si erano illuminati, la sua voce era colma di eccitazione. «Maestro, questa macchina, una volta realizzata, potrebbe veramente mutare il mondo intero!».

«Esatto Aser, questa macchina cambierà il mondo. Ma dovremo essere noi a farlo cambiare: l'India e la Cina seguono destini e strade troppo diverse dall'Occidente. I Cinesi non riescono a capire l'enorme valore delle loro invenzioni, e per gli Indiani la matematica è come la poesia... Figliolo, queste geniali intuizioni e scoperte le dobbiamo alla magia dell'Oriente, ma tocca a noi proiettarle là dove la scienza potrà svilupparsi: in Europa. Nostro è il compito di trasmettere ai posteri le Chiavi del sapere».

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Pagina 130

«Jolanda, non dobbiamo dimenticare che questa è la prima volta nella storia che un popolo cristiano intraprende una guerra religiosa contro un altro popolo cristiano. E bisogna anche ricordare che il re di Francia è contro di noi».

«Ma perché, in nome di Dio?».

«Filippo Augusto vede lontano, e mira a costruire un grande regno. Vuole annettere sia la Provenza che i paesi occitani. E questo non è che il primo passo. I conti e i baroni del nord sono ormai abituati a guerreggiare in Terra Santa: per loro è come andare a una battuta di caccia, un modo per rompere la noia della quotidianità. Inoltre la Chiesa sta promettendo le stesse indulgenze che ha concesso per le crociate in Terra Santa, e permette anche a chi partecipa di non pagare i debiti e di salvaguardare i propri averi. Come sai, le proprietà dei crociati sono inviolabili. Per non parlare poi del fatto che, con una fiammante croce scarlatta sul petto, si santifica l'omicidio offrendo così a tutti la possibilità di sfogare odio e rabbia uccidendo nel nome del Signore!».

«Tutte le guerre sono orribili, ma convincere addirittura un popolo a uccidere in nome di Dio! Quali incantesimi usano per muovere popoli interi alla guerra?». La voce di Jolanda era colma di tristezza. «Quindi, l'unica vera differenza fra questa crociata e le altre è il colore della croce: dal nero e bianco... al rosso! Eppure lo stesso Filippo Augusto, al tempo in cui il papa gettò l'interdetto su tutta la Francia, sembrava un uomo saldo nelle sue convinzioni. Infatti dichiarò che avrebbe perso la metà del suo regno piuttosto che separarsi dalla sua amata Agnese. Invece, pur di non perdere metà dei suoi possedimenti, ha finito per cacciarla...». Un sorriso amaro le offuscò i dolci occhi verdi.

«E ora, d'amore e d'accordo con lo stesso papa, si sta preparando alla conquista della tua terra. Ma dimmi Jolanda, cosa accadde all'epoca dell'interdetto?».

Prese a seguire il volo delle rondini, mentre un lieve sorriso le illuminava il volto fresco. «Non hai mai sentito messer Shimon raccontare di quando nella cattedrale di Digione, nel cuore di una notte tenebrosa, il crocifisso fu coperto con un panno e le reliquie dei santi nascoste nei sotterranei? Io ero fanciulla e non posso ricordare, ma dalla grande dovizia di particolari con cui lui narra gli eventi credo che li abbia realmente vissuti. Doveva quindi essere presente quando il legato papale, dinnanzi alla folla, pronunziò l'interdetto su tutta la Francia! Sarebbe durato sino a quando il re Filippo Augusto non avesse cacciato la sua bella Agnese. I fedeli restarono senza sacramenti, senza canti religiosi, senza il suono dell'organo e l'odore dell'incenso, senza la luce dei ceri consacrati, senza la consolazione della confessione. I cadaveri non furono più seppelliti nei cimiteri ma esposti per le strade, le chiese vennero chiuse e le campane smisero di suonare. Niente più musica e feste, unicamente digiuni. Ma, soprattutto, furono chiusi mercati e traffici commerciali: nessuno doveva e voleva scambiare merce con gente senza sacramenti, scomunicata e privata delle grazie spirituali! Insomma, un intero paese in lutto, e per ben sette mesi! In breve la Chiesa riuscì a mettere tutti contro il re: popolo, cavalieri, mercanti... Stava scoppiando una vera rivolta popolare capeggiata dagli stessi conti e baroni, e il re dovette cedere e separarsi dalla sua amata. Così, mentre esclamava "Voglio farmi infedele! Fortunato il Saladino che non ha papi!", le campane ripresero a squillare, e la gente corse nelle chiese talmente assetata di fede che oltre trecento disgraziati morirono nell'assalto alle reliquie e alle immagini di Cristo!».

«Signore Iddio, quale forza spaventosa possiede questa organizzazione! Ha allevato un immenso gregge...».

Il cielo era lucente e le acque dell'Orb scorrevano pigramente, ma ormai non riuscivo più a deviare i miei pensieri.

«Jolanda...».

Tardò a rispondere al mio sguardo.

«Jolanda, ora parliamo di noi, di noi due...». La mia voce era trepidante.

«Cosa stanno facendo Sara e David? Riesci a vederli?». Anche il suo tono era scordato.

«Jolanda, ti prego...».

Tornò a rifugiarsi con lo sguardo nel fiume: «Giordano, non vorrei che accadesse una disgrazia, vado a controllarli da vicino».

Mi inginocchiai e le presi il volto fra le mani, forzando i suoi occhi a incontrare i miei. Era emozionata, mi afferrò le mani cercando di liberarsi. «Continuiamo come abbiamo fatto finora, Giordano, ti prego, ti supplico...».

«È questo che vuoi? Nascondere, soffocare ciò che ci spinge l'uno verso l'altra?». Il cuore mi martellava.

«Sì Giordano! Tu devi andar via da questa città, da questa terra! Tu devi andare a Granada, a Toledo! Devi studiare! Non puoi condurre una vita come gli altri. E allora aiuta anche me, cerca di capirmi e non parliamo più di noi, in nome di Dio!». Mi implorava mentre i suoi bellissimi occhi lucevano umidi. Serrò le lunghe ciglia, senza però riuscire a nascondere né arrestare l'emozione.

La vocina di Sara ci colse di sorpresa. «Zio Giordano, perché la fai piangere?».

Alzai lo sguardo e vedendo i riccioli biondi appiccicati alle guance e al collo, la sottoveste incollata all'esile corpicino, la mano in quella di David e gli occhioni smarriti, fui colto da una tenerezza indicibile.

Fu David a tentare di risolvere la situazione, e rivolgendosi alla sorella: «Sara, lo zio Salomon ci attende per la funzione. Andiamo!».

Jolanda si era liberata delle mie mani e si apprestava ad alzarsi quando il fanciullo, vedendo la mia mano tesa a mezz'aria e intuendo il mio disappunto, si affrettò ad aggiungere: «No zia Jolanda, voi restate! Le trote le porti tu zio?».

«Certo David. Però, mi raccomando: direttamente a casa!».

«Stai tranquillo!». Raccolse i suoi vestiti e quelli della sorella e insieme si allontanarono seguendo la riva del fiume. Jolanda aveva ancora gli occhi umidi, il volto infuocato. La fissai a lungo, poi presi i fogli di pergamena con gli appunti dei miei Elementa de ponderibus e glieli mostrai. «Ricordi il mulino dove ci conoscemmo? Rammenti il lavoro incessante di quella macchina che non si stancava mai di eseguire la medesima operazione? Sempre nella stessa maniera, senza arrestarsi, senza perdere la sua efficacia... Ma quella è una macchina Jolanda, una macchina! Io invece sono un uomo, e mi sto rendendo conto che la volontà non basta per fare grandi cose! La scintilla dell'ingegno, che sinora mi ha fatto trovare soluzioni ai problemi, non scocca più. Io non voglio andare all'università di Parigi, e nemmeno a quella di Toledo ad annegare la mia ansia di vivere in una taverna notturna tra un boccale di vino e una meretrice! Io voglio combattere qui, in Occitania. Voglio vivere nella tua terra, avere dei figli come Sara e David. E soprattutto, voglio te, e ti avrò. E non ci saranno guerre, re, papi e imperatori che potranno impedirmelo! Lo potrai fare solo tu, ma non con dei pretesti. Dovrai semplicemente dirmi che non vuoi dividere con me, giorno dopo giorno, il tempo che Dio ci permetterà di stare su questa terra».

Per nulla vinta dalle mie parole, mi rispose: «Ma non capisci? Il tuo è soltanto desiderio, desiderio cieco che non ti fa più ragionare. Tu mi vuoi comunque, a qualunque costo, e questa frenesia ti fa dire cose che non pensi!».

«Può darsi che tu abbia ragione, Jolanda. Probabilmente il libriccino che il Creatore ha impresso nella mia mente, oggi si è aperto alla pagina in cui c'è scritto "famiglia", "compagna", "figli". È possibile che l'emozione che ho nel cuore in questo momento, mentre ti guardo, sia ingigantita da ciò che è scritto in quella pagina. Tutto può essere. Ma la storia, il tempo e le guerre dovranno attendere. Jolanda, questa è la pagina più importante della nostra vita, da essa dipendono l'essere e il divenire, e io sogno di leggerla insieme a te, senza paura, senza vergogna». Mi sentivo finalmente libero.

Rossa in volto, emozionata quanto me, nel suo sguardo leggevo che ormai aveva compreso. Avvicinai le labbra alle palpebre che si serravano ascoltando il suo respiro che diventava affannoso come il mio.

Mi allontanò e prese a sfilarsi il vestito verde, mentre un'aria di vaga malizia si dipingeva sul suo bel volto. Quando restò fasciata soltanto dalla sottoveste immacolata, si alzò e mi parlò con tono dolce. «Sai cosa dice Marta a Shimon quando vede i suoi occhi brillare come ora brillano i tuoi?».

«No Jolanda, cosa gli dice?».

«Spogliati, e...».

«Spogliati... e poi?».

«Spogliati e poi corri a gettarti nell'Orb!». E col sorriso che le inondava il volto, si sottrasse al mio abbraccio e prese a correre, tuffandosi nel fiume. Rimasi pietrificato dallo stupore, poi le grida di gioia di Jolanda mi scossero e mi avvicinai alla riva, cominciando a liberarmi dei vestiti.

«Che fai, in nome di Dio?» gridò lei. Era appena riaffiorata e mi fissava spaventata.

«Mi spoglio, come hai consigliato tu».

«Ma non del tutto! No Giordano, no!». E per non vedere, si immerse di nuovo, proprio mentre io, liberatomi d'ogni indumento, mi tuffavo verso di lei.

Nuotavo, mi immergevo, m'inebriavo di refrigerio e riemergevo, andando incontro al sole; quindi Jolanda mi trascinava nuovamente sott'acqua, allora mi arrendevo, lasciandomi sprofondare nel fresco, e poi tornavo nuovamente a galla, e mi riempivo di vita. In quella giocosa danza di incontri e di fughe, lasciai infine che la penombra dell'incantevole abisso ci catturasse. Così i nostri corpi, col pretesto del gioco, iniziarono a incontrarsi, a scoprirsi, a volersi conoscere sempre più a fondo. Poi tornammo alla luce del sole e baciai le labbra rosse e bagnate di Jolanda che si immerse nuovamente, ma questa volta attese che le cingessi la vita e non si divincolò più. Con una mano cercai il candore del suo seno, mentre la mia bocca le baciava la nuca e il collo. L'acqua in cui eravamo immersi era come un leggero velo che copriva tutte le nostre paure. Trattenemmo il fiato il più a lungo possibile, poi l'aria ci chiamò verso il cielo. La danza e il pretesto del gioco erano finiti, le nostre mani, le nostre braccia aiutavano i corpi a fondersi e i nostri sguardi a far incontrare le nostre anime.

Perso ogni timore, dubbio, incertezza, ci portammo verso la riva del fiume mentre le nostre bocche si cercavano avidamente. Non potevamo più dominare la passione, e in quel momento Jolanda, travolta da tanto ardore, fu pronta ad accogliere la mia vita.

Il mondo si era fermato. Le acque del fiume Orb avevano interrotto il loro cammino, il sole si era arrestato, il vento placato. Dopo una lacrima di dolore, lentamente una pioggia di luce invase il volto della mia amata. Donavo la mia vita a un'altra vita, e questo dono mi restituiva gioia mista a dolore. E negli occhi di Jolanda leggevo il dolce abbandono e l'incanto di accogliere la mia gioia, il mio dolore.

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